CAPITOLO XXX
Questa lettera mise l'inferno nel cuore di Marco: egli
avrebbe voluto montar dirittura a cavallo, e correre di filato a Milano; appena
potè contenerlo il pensiero delle cose di Lucca, di cui il domani doveva andare
il trattato. Passò tutta quella notte come sulle spine, senza poter chiuder
occhio, trafitto, martoriato da mille rimorsi, da mille terrori, con
un'impazienza, con una smania addosso, che lo facevan pressochè frenetico.
Balzava dal letto, s'affacciava ad un balcone a guardare se spuntasse la luce
desiderata ad un punto ed odiosa, passeggiava a gran passi per la camera,
tornava a sdraiarsi, a dar volta, a mutar lato, senza trovar mai un momento di
pace o di respiro.
Finalmente si fece giorno, arrivò l'ora concertata, ed egli
presentossi ai Priori. Avea una faccia smarrita, due occhi sconvolti; parlò
poco, e il suo dire era avviluppato e mal composto; s'irritava d'ogni
contraddizione, perfidiava su d'ogni parola, su d'ogni atto; parea che avesse
voglia di coglier cagione addosso a tutti quanti; si comportò insomma tanto
fuor d'ogni termine di discrezione e di modestia, che i pochi che non avean mai
avuto l'animo a quel mercato ebbero bel giuoco per poterne svolgere il maggior
numero, che vi si accordava volentieri, mostrando come fosse da far poco
fondamento sulla fede e sulle parole d'un uomo tanto strano, bisbetico, superbo
e dispettoso; d'un uomo che parea lì lì per uscire di cervello, per dar la
volta affatto5. Fu dunque preso il partito di ricusar l'acquisto di
Lucca, e di troncare in conseguenza ogni trattato intorno a quello.
Come una tale diffinizione fu portata all'orecchio di Marco,
il quale erasi ritirato dalla sala intanto che i Priori e gli altri capi della
Repubblica deliberavano; egli, senza pure abboccarsi coi capi delle bande
tedesche, venute con lui a Firenze pel maneggio di quel fatto, senza mostrar nè
maraviglia nè sdegno d'un rifiuto così fuori d'ogni aspettazione, venne al suo
palazzo, si tolse in compagnia Lupo e due scudieri, montò a cavallo, e partì
nascostamente da tutti alla volta di Lombardia.
Cambiando spesso di cavalcature, camminava giorno e notte; e
per via si faceva raccontar dal Limontino tutto quello ch'ei sapeva intorno a
Bice e al suo signore.
Ermelinda, nella sua lettera, non era discesa a particolare
nessuno, come quella la quale tenendosi sicura che tutti i fili della trama
erano stati tesi da Marco, avvisava ch'egli conoscesse per la minuta ogni cosa,
ben più in là di quel poco, ch'essa era pur giunta a scoprirne.
Ma il Visconte che trovavasi al buio di tutto, all'intender
ora della sparizione di Bice e dell'ancella, dell'agguato a cui lo stesso
narratore era stato preso in compagnia del suo padrone, e del pericolo ch'egli
avea corso da ultimo, venendo a Lucca, tornava con la mente sul passato,
pensava all'odio mortale che Lodrisio teneva addosso ad Ottorino, gli veniva in
cuore una certa qual profferta fattagli fare un tempo per bocca del Pelagrua di
sbarazzarlo del giovane cavaliere, si ricordava di qualche motto velenoso, di
qualche perfida insinuazione lanciata dal Pelagrua proprio, o da qualche
corriere in nome suo; e raffrontando insieme i tempi, considerando l'avvenuto e
la natura delle persone, trovò tali riscontri, che lo persuasero come tutto
quell'assassinamento voleva esser fattura dei due soppiattoni, stretti da un
pezzo, com'ei ben sapeva, in grande dimestichezza fra loro.
Questa conclusione gli faceva ribollire il sangue nelle
vene, scorrere una fiamma al volto: egli giurava nel suo furore di vendicarsi di
tanta infamia che quei traditori avevan voluto rovesciargli in capo, di pagarli
dell'agonia che avean dato ad una povera madre, ad una infelice fanciulla; di
non posare finchè i furfanti avesser fiato; e tutto infervorato in siffatte
fantasie di corruccio e di sangue, spronava il palafreno cacciandolo di
carriera.
Dopo uno sconcio e precipitoso viaggio, giugnendo a Milano,
mandò i suoi due scudieri coi cavalli al proprio palazzo, ed egli a piede colla
sola compagnia di Lupo, corse alla casa del conte del Balzo, risoluto di aver
ad ogni modo un colloquio con Ermelinda, per intendere da lei le novelle dei
trafugati se mai intanto le fosse venuto fatto di raccoglierne, onde potersi
tosto e provvedutamente adoperare al loro scampo; e per iscolparsi nel tempo stesso
in faccia sua, per chiarirla com'egli non avesse tenute le mani a sì nefanda
turpitudine; perocchè non poteva patire di sapersi macchiato di tanta bruttura
nel concetto della donna ch'egli avea già amata più della sua vita medesima, e
che riveriva pur sempre sopra ogni altra creatura al mondo.
Era notte alta e piena di tenebre, quando Lupo bussò alla
porta del palazzo del Conte, e Marco si calò sul volto la visiera per non esser
riconosciuto dai servi. Fu aperto: tutto taceva là dentro: il Limontino fece
attraversare al Visconte molte sale in fila, e lo condusse finalmente in una
cameretta rimota, dove lo lasciò solo con una lucerna accesa, dicendogli come
egli corresse intanto a svegliare una vecchia fante di Ermelinda, perchè desse
parte alla padrona dell'arrivo di lui, e del bisogno che avea di favellarle
tosto.
Marco, slacciatosi l'elmo, se lo cavò e lo depose sulla
tavola, poi gettossi su d'una seggiola ad aspettare che Ermelinda venisse.
Erano venticinque anni che non l'avea veduta: quante vicende! che rivolgimenti
nei loro casi da quel tempo in poi! come l'avea lasciata! come la troverebbe!
con che cuore sostenere quel suo sguardo, che gli avrebbe rimproverata la morte
del padre, e la presente desolazione, dopo tanto amore e tanta virtù!
Ad ogni lieve fruscio, ad ogni agitarsi d'aria, ad ogni
ombra che si movesse, egli diceva: - È dessa, - e un freddo brivido gli correva
per tutta la persona.
Ma non istette a lungo in quella trepidazione; chè vide
aprirsi pian piano un uscio di fronte, e farglisi incontro una donna tutta
vestita di bianco, allentata il fianco, non però discinta, colle chiome
incomposte, ma senza disordine: una lieve fiamma le coloriva il volto, e si
vedea che v'era stata chiamata da una straordinaria perturbazione a velarne
momentaneamente il pallore abituale, che traspariva tuttavolta di sotto a quel
velo mutabile e fuggitivo: negli occhi gonfi e rossi per le lunghe veglie, pei
lunghi planti, brillava un tenue raggio di speranza, intorbidato da un
recondito sbigottimento.
Il Visconte a tutta prima non riconobbe risolutamente
Ermelinda, tanto l'età e più di essa i patimenti l'avean mutata da quella d'una
volta: e quantunque al vedersela comparir dinanzi in quel luogo, coll'angoscia
che mostrava, avvisasse troppo bene non poter esser ella altra che la madre di
Bice, non s'assicurava però di volgerle la parola, e stavasi come fra due;
quando la donna, che si era fermata a qualche passo da lui; aprendo onestamente
le braccia, cogli occhi rivolti verso terra disse:
- Siete voi?
Era quel dolce suono, quella voce soave, quella celeste
armonia che soleva già inebbriarlo da giovinetto: egli balzò in piedi come
smemorato, e direi quasi pauroso, affisò nuovamente in volto alla donna gli
occhi attoniti, cercandovi, e sperando quasi in quel primo istante di
frenetichezza di trovarvi ancora la beltà, l'incanto, quel raggio d'amore che
fu per tanti anni la face del viver suo, e la cui memoria soltanto avea potuto
in quella età già matura condurlo a delirare ancora per Bice; ma ravveduto poi
tosto, abbassò il guardo, e ristette in aria contristata senza risponder
parola.
- Siete voi?... - seguitava Ermelinda coll'accento d'una
grave e dolce commozione, - venuto in persona a darmi la vita? Il Signore vi
terrà conto di quest'opera di misericordia. L'ho detto sempre in cuor mio:
quando ei sappia il dolore di che è cagione, non potrà durarvi contro, ch'egli
è buono e generoso.
Marco al sentir quelle parole fu assalito da una pietà, da
una tenerezza sì forte per quella povera sgraziata, da uno sdegno, da una
confusione, da un tal fastidio di sè stesso, che fece un atto dispettoso con la
mano, di che la donna a tutta prima fu quasi atterrita. - Io buono? io
generoso? - disse poi con voce soffocata: - per carità, Ermelinda, cessate da
questo scherno crudele. Io?... sono un miserabile, un demente... un tristo io
sono, ma non sono ancora tanto perduto di cuore, che non mi conosca almanco,
che non provi un conforto nel confessarlo, nel confessarlo a voi
principalmente...
- No, no, non dite così: il Signore vi perdona, io vi ho gìà
perdonato: la gioia che mi fate provare in questo momento mi ristora d'ogni
angoscia passata. Or via, ditemi, dov'è la mia figlia? quando potrò rivederla?
- Non vi è dunque riuscito d'averne alcun indizio dal
giullare che s'era messo sulle tracce di lei? - rispose premurosamente Marco.
A questo la donna parve ad un tratto adombrarsi: una nube
improvvisa le oscurò la fronte, che s'era prima aperta alla speranza; guardò in
volto al Visconte, indi rispose esitando:
- Il giullare, dite?... no, non è comparso più; e comincio a
temere... Ma voi... ne domandate a me? voi?... - e non andava più innanzi.
- V'intendo, Ermelinda, - proseguiva il Visconte: voi
credete che Bice l'abbia fatta rapire io; ma non è vero. Sappiate...
- Oh Dio! che mi dite mai? dov'è ella dunque?... Marco,
perdonatemi;... non ch'io dubiti punto della vostra parola; ma non me l'avete,
si può dire, confessato voi stesso pur ora?... Ed è già gran tempo, vedete,
ch'io so qual sia l'animo vostro verso quella mia poveretta.
- Ascoltatemi, - disse allora il Visconte abbassando il capo
in atto di reo, e movendo la voce lenta e fioca, che s'andava poi facendo di
mano in mano più concitata: - ascoltatemi, Ermelinda. Sì, è vero, io l'ho amata
la vostra figlia; ... l'ho amata d'un amore tremendo. Fu l'immagine vostra
impressa sul suo volto, fu la vostra anima ch'io mi figurai in lei trasfusa,
che mi affascinarono e mi tolsero il lume dell'intelletto. Oh! se avessi potuto
mettere a' suoi piedi una corona! farla mia sposa e mia signora! Vi fu un
momento in cui ho pur gustata la divina dolcezza di tale speranza, e quel
momento mi ha perduto; un veleno arcano mi corse nel sangue, mi penetrò le
midolle, mi si diffuse come un torrente per tutta l'anima... Quando m'accertai
che la fanciulla avea già accolto il voto d'un uomo, era troppo tardi, la piaga
si era fatta insanabile... Non vi dirò per che lunga ed aspra via di dolori mi
sono condotto fino alla rabbia di meditar la morte del mio fedele, del mio più
caro e più generoso parente... Io fremo ancora pensando che fui a un pelo
d'imbrattare nel suo sangue questa mano, ch'egli avea stretta tante volte col
caldo e modesto amore d'un figlio.
- Parlate voi di Ottorino?
- Sì, il cavaliere sconosciuto che combattè con lui ad armi
micidiali il dì della giostra, è questo furibondo che vi sta innanzi.
La donna levò pietosamente gli occhi in volto al Visconte, e
parea che volesse dir qualche cosa; ma egli proseguiva col calore
d'un'indegnazione sempre crescente: - No, sentite prima tutto. Sapete che a
quel tempo io dovetti allontanarmi da questi paesi; or bene, nell'andarmene
lasciai qui un mandato di iniquità; imposi a un ribaldo che sturbasse le nozze
del giovane colla vostra figlia; il mio oro nelle mani di costui si comprò un
traditore perfino nella vostra casa, fra i vostri servitori più stretti: ve lo
ripeto, Ermelinda, io non ho comandato il ratto di Bice, non ne ebbi pure il
minimo sentore; ma l'iniquo, cui diedi quell'incarico d'infamia, può averne
preso animo per trapassare a tanta enormità: ad ogni modo io sono un
vituperoso, un... empio...
- No, no, Marco, per pietà di me, smettete questo duro
linguaggio: è un'onta che non vi si conviene, che non è per voi: no, che non è
un empio chi prova un sì vivo dolore del suo fallo. La tempesta delle passioni
ha potuto trascinarvi fuor del retto cammino, ma il cuore di Marco, ne son
sicura, non ne ebbi mai punto di dubbio, il cuore di Marco non fu pervertito
mai.
- Oh mio angelo consolatore! - proruppe Marco tutto
intenerito, - che balsamo sono per me queste vostre parole!... Ermelinda,
Ermelinda!... Se voi mi foste sempre stata a lato, luce e scorta soave nel
tenebroso e duro sentiero della vita, i miei giorni sarebbero scorsi tranquilli
e innocenti, pieni della santa gioia dell'amore di marito e di padre; e, giunto
sul declinare dell'età, il passato non mi si affaccerebbe grave e doloroso di
tanti traviamenti... Non mi credete perverso? oh! vi ringrazio, Ermelinda, vi
ringrazio! dacchè me lo dite voi, io crederó anche io di non esserlo mai stato
del tutto: come avrebbe potuto corrompersi affatto un cuore che arse lungamente
del fuoco celeste accesovi dal vostro angelico costume, dalle vostre virtù
immortali? Sì, Ermelinda, lo credo, lo credo per l'onor vostro, d'esser ancora
manco reo che infelice.
La donna nascose il volto fra le palme, e si mise a
piangere.
- Or son qui tutto per voi, - seguitava Marco con accento
sempre più commosso; - così il mio sangue potesse starvi Invece di qualche
ammenda, come son pronto e volonteroso di versarlo fino all'ultima goccia! Cercherò
di Bice per ridonarvela, per farla contenta delle nozze bramate; Ottorino lo
troverò, tocca a me a trovarlo anch'esso, a presentargli di mia mano la sposa
che gli ho contrastata; tocca a me, voglio dargliela io questa gioia, a sconto
del tanto male che gli ho fatto patire, per ristorarlo della mia lunga e dura
ingratitudine a tanto amore, a tanta fede. Non avrò pace finchè non vi vegga
tutti consolati, finchè non abbia tratto in luce codesto mistero d'iniquità.
A questo punto si arrestò un momento, e fissò gli occhi in
volto ad Ermelinda, che non cessava dal piangere, dal singhiozzare; poscia
stringendo i pugni seguitava con accento furioso:
- E tremino i ribaldi che hanno a render conto di tante
lagrime; guai, guai a tutti! Sentite, Ermelinda, se dovessi strapparli ad uno
ad uno d'all'altare, lo giuro a voi, lo giuro per l'inferno...
- No, Marco, - l'interruppe quella pia, levando
risolutamente il volto pieno d'una accorata e timida dignità: - non esca una
bestemmia dalla bocca d'un cristiano. Come potete sperare che il Signore
benedica l'opera di carità che m'avete profferta, se l'imprendete colla
vendetta nel cuore? e che fiducia volete che riponga io nel fatto d'un uomo che
non ha il Signore con sè?
- Voi siete un angelo! - sclamò il Visconte, - ed io... non
sono che un miserabile. Or via, prima dell'alba sarò al mio castello di Rosate:
il sole di domani vi vedrà più contenta. Addio!
- Addio, - rispose Ermelinda, - il Signore vi accompagni ora
e sempre, e ci usi misericordia a tutti quanti. Addio. - E vedendolo partire,
quasi che l'animo al cessar del bisogno allentasse lo sforzo che avea fatto
fino a quel punto per reggere a sì violenti scosse, tutto ad un tratto ella
sentissi venir meno, sicchè dovette abbandonarsi su d'una seggiola, d'onde
porgea languidamente l'orecchio ai passi di lui che si allontanavano sonanti
sotto le vôlte delle lunghe sale. Quando ogni rumore fu perduto, si levò in
piedi, e tornò vacillando alle sue camere; ma, stordita e fiaccata da tante
commozioni, le pareva che tutto non fosse stato che un sogno.
Il Visconte uscito sotto i portici vi trovò Lupo che lo
stava aspettando, e gli disse: - Verrai meco a Rosate. - Il Limontino,
significatogli con un ossequioso chinar del capo la sua riconoscenza per
quell'invito, gli tenne dietro senza risponder parola. Uscirono ambedue dalla
porta, attraversarono a gran passi fra le tenebre buona parte della città,
l'uno innanzi e l'altro dopo, sempre in silenzio; finchè, divenuti alla casa di
Marco, vi presero due cavalli, e s'avviarono di galoppo verso Rosate.
Ma un altr'uomo, senza ch'essi lo sapessero, galoppava già
da un pezzo su quella strada medesima, e gli avanzava d'un bel tratto: un
corriere che Lodrisio, avvisato subitamente dell'arrivar di Marco a Milano,
spacciava in tutta furia al Pelagrua.
I nostri due cavalcatori giunsero innanzi alle mura del
castello di Rosate, che incominciava appena a spuntar l'alba: Marco diede il
segnale consueto; si calò il ponte levatoio, fu spalancata la porta, e passò in
compagnia di Lupo sotto l'androne, che nè ivi, nè pel cortile vicino non si
vedeva ancor in volta anima viva.
Il portinaio, riconosciuto tosto il signore del luogo,
correva per sonar una campanella onde annunziare il suo arrivo, ma questi
intimatogli con un cenno che non facesse, gli domandò tosto del Pelagrua.
- È uscito stanotte, - rispose il portinaio, - e non è più
tornato; anzi, - soggiunse come per un di più, - è arrivato, or fa un'ora, un
corriere da Milano con una lettera per lui, molto pressante, a quel che si
capisce.
- Dov'è codesto corriere?
- Qui nelle mie camere che bestemmia come un ariano del
ritardo.
- Mandamelo tosto nella sala rossa. Se frattanto il Pelagrua
ritorna, lascialo entrare, e che nessuno poi vada fuori più senza un mio
ordine, hai capito?
- Nè anche il castellano dopo che fosse tornato?
- Nessuno.
- Non uscirò un punto dal vostro comandamento.
Marco, attraversato un vasto cortile, andò ad aspettare il
corriere nella sala indicata. Da lì a pochi momenti l'uomo comparve, ed egli
facendoglisi incontro, afferrollo per un braccio, e disse:
- Qua quella lettera!
Il galantuomo, che per lo scarso lume ch'era in quell'ora là
dentro, non riconobbe a tutta prima chi fosse quel che gli parlava e lo
trattava a quel modo, sforzandosi di liberare il braccio, di schermirsi, si
divincolava e rispondea: - Tengo ordine di non consegnarla che nelle mani
proprie del castellano.
Ma il Visconte, stringendolo con maggior forza, lo trasse
presso un finestrone, e gli replicò con voce terribile: - Qua quella lettera!
Alla luce che veniva dalle vetriere, il poveraccio ravvisò
la faccia del famoso capitano; e impallidendo e tremando rispose: -
Perdonatemi, non vi aveva conosciuto... Veramente il mio padrone... ma voi...
siete voi il padrone: ecco, ecco la lettera: - e cavandosela di seno gliela
porse.
Marco l'aperse, vi gettò gli occhi avidamente: non v'era
notato il nome di chi l'avea scritta: ne lesse il contenuto, ed eccolo pel
disteso.
«Tristo impiccato.
«A quest'ora avrai già dato spaccio alla faccenda, secondo
che siam rimasti l'altro dì. Il diavolo ti porti che ti sei indugiato tanto!
Che partito sarà il tuo, ora che Marco è in Milano? Sì, ei v'è giunto stanotte,
e domani potrebbe capitarti alle spalle. Presto! maladetto da Dio! presto! che
questa lettera ti metta addosso il fuoco: distruggi ogni traccia del fatto,
togli via qualunque indizio, antivedi, ripara... Pensa, o sciagurato, che fai
sulla tua pelle».
Il Visconte inorridì, gli corse un gelo per le membra, gli
si arricciarono i capelli, e andando colle pugna in sul viso al corriere, gli
gridò: - Chi t'ha data questa lettera?
La domanda era fatta in un tuono che non lasciava luogo a
tentennare: l'interrogato, posta da banda ogni scusa, rispose netto: - Me l'ha
data Lodrisio.
- Se hai caro d'uscir vivo di qui, - replicava Marco, -
dimmi che sorta di negozi ha colui col mio castellano.
Ma l'altro, mezzo istupidito per la gran paura, guardava in
faccia all'interrogante, con tanto d'occhi, senza risponder nulla.
- Sai?, - seguitava Marco alzando sempre più la voce, - sai
di che cosa voglia parlare il foglio che hai recato?
Il corriere non capiva più nulla e seguitava a tacere.
- Lo sai, manigoldo poltrone? - gridò furiosamente il signor
del castello, scuotendolo forte per una spalla.
- Misericordia! - rispose questi, come destandosi tutto
spaventato, - io non so nulla; io non ho fatto che obbedire al mio padrone, che
m'ha detto: «Porta questa lettera al Pelagrua»; e l'ho portata... Del resto, vi
giuro in fede di cristiano, che non so niente: potreste darmi la morte, ch'io
non so niente.
- Ci riparleremo poi: intanto guardati dal metter piede fuor
di questa camera.
Ciò detto, Marco corse al quartier del castellano, bussò, e
venuta una fante ad aprirgli, le disse che volea parlar subito alla moglie del
Pelagrua.
La fante senza conoscerlo, lo introdusse in un salotto, dove
di lì a pochi momenti la donna del castellano venne a trovarlo con un bambino
in braccio, tal quale era stata côlta in quel punto.
- Dov'è vostro marito? - le domandò il Visconte, con voce
cupa, al primo vederla comparire.
Quella poveretta, spaventata dal trovarsi improvvisamente
innanzi al suo signore, dal sentirsi fare quella domanda in quel modo, diede
alcuni passi indietro, stringendosi al seno il figliuolino, e rispose
balbettando: - È uscito stanotte, e non so dove sia ito.
- Leggete questa lettera, - le disse Marco presentandole il
foglio di Lodrisio, - e rendetemi conto qui, subito, del mistero che c'è sotto.
La donna scorse paurosamente coll'occhio su quella carta
fatale; poi, cadendo in ginocchio innanzi a lui che gliel'avea porta, disse con
un torrente di lagrime: - Oh! abbiate pietà di quello sciagurato di mio marito!
- Via, dite, che significano queste parole? - l'interruppe
Marco.
- Sì, dirò tutto, tutto quello che so.
- Levatevi e parlate.
La povera spaventata surse in piedi, e tremando e
singhiozzando cominciava: - Io gliel'avea detto tante volte, l'ho pregato, l'ho
supplicato: il Signore m'è testimonio...
- Domando di Bice! - proruppe Marco come ruggendo. - Ditemi
che è di lei; è ella viva?
- È viva, è qui da più d'un mese, - rispose la donna.
- È viva? e qui? - ripetè il Visconte respirando.
- Sì, - seguitava la castellana; - ieri prima che rabbuiasse
ho veduto la sua ancella ad una finestra, d'onde suole farmi intender per cenni
quel che accade, e quello che bisogna alla sua padrona; m'ha significato
ch'ell'era tranquilla: la poveretta è malata da un pezzo.
- Presto! menatemi da lei, ch'io voglio vederla subito,
subito, vi dico!
La donna depose il bambino fra le braccia della fantesca, e
disse a Marco: - Venite con me. - S'avviò giù per una scaletta, volse a mancina
sotto il portico, dal quale uscì in un cortile, che attraversò; si mise in un
anditino lungo e oscuro; e dopo molti giri e rigiri, venne finalmente a
sboccare in un altro cortiletto solitario, dove giunta, levando la mano verso
alcune finestre in alto, ch'erano in una muraglia di contro, disse: - È là
dentro in compagnia d'una giovane sua fidata, che fu condotta qui con lei.
- Andiamo subito a trovarla, - disse Marco, e già metteva il
piede sul primo scalino d'una scala che andava là sopra; ma fermandosi tosto,
stette un momento sopra pensiero, e: - No, salite voi sola, - tornò a dire, -
io rimarrò qui; chè la vista d'un uomo... chè la mia vista... Fatele coraggio,
ditele che stia di buon animo, che vedrà tosto sua madre... che tornerà a casa
sua... Ditele che io... No, no, non le parlate di me, non profferite il mio
nome, ditele tutto quello che le può far del bene, promettetele tutto quello
che vi domanderà.
- Ma siete proprio venuto per liberarla? - chiese
timidamente la castellana, - chè non mi patisce il cuore di tradire quella
povera creatura...
- Ch'io muoia scomunicato, che il mio corpo non riposi in
terra consacrata, se non dico il vero.
- Il Signore vi benedica, - esclamò la donna giugnendo le
mani.
- Anzi, - seguitava il Visconte, - per avanzar tempo,
intanto che voi salite da lei a darle le prime consolazioni, io corro a
spacciare un corriere a' suoi parenti, che vengan qui tosto. - Ciò detto, tornò
indietro, rifece la strada fatta poco prima, uscì nel maggior cortile, trovò
Lupo, gli ordinò che montasse subito in sella e volasse a Milano con quanta
furia potea cacciare il miglior corridore delle sue stalle, per annunziare al
conte e alla contessa del Balzo che la loro figlia era trovata, per
sollecitarli a venir tosto a Rosate a vederla, a condurla a casa con loro.
Intanto che Marco facea questo, la moglie del Pelagrua,
salita la scala, sboccò su d'un loggiato, ed appressandosi a un uscio ch'era
quello per cui si entrava nel quartiere di Bice, vi bussò leggermente, facendo
nel tempo medesimo udir la sua voce. Nessuno risponde: porge l'orecchio al buco
della toppa, non si sente nelle camere uno zitto; batte più forte, domanda
Lauretta, domanda Bice, niente: viene ad un finestrone difeso da una ferrata,
il quale dava nella seconda camera, picchia colle dita nei vetri, vi guarda
dentro, chiama per di là ora l'ancella, ora la padrona, nessuno: torna
all'uscio, picchia, ripicchia, scrolla, tambussa: opera perduta.
La poveretta si sentì venir addosso il gelo della morte. Che
cosa potea esser avvenuto delle prigioniere? pensò alla lettera di Lodrisio, e
rabbrividì; pensò a Marco, e avrebbe voluto cascar morta in quel punto,
sprofondar mille braccia sotto terra per non avergli a comparir dinanzi con
quella notizia. Che far dunque? rimpiattarsi? fuggire? ma dove, ma come? e il
Visconti, non vedendola subito, avrebbe côlto sospetto anche addosso a lei; e
se intanto tornava il marito?... Rivolse gli occhi al cielo, e disse: -
Signore! sono nelle vostre mani; - quindi colla rassegnazione di un'anima buona
si avviò verso le camere, che sapeva abitate da Marco quand'ei faceva dimora
nel castello.
Stava ella per metter il piede nella prima sala, quando lo
vide appunto che spuntava sotto un'ala di portico, tornando allora allora
dall'aver spacciato Lupo a Milano. Egli pure s'accorse di lei, affrettò il
passo per raggiugnerla, e tosto che le fu tanto vicino da poter essere inteso
senza gridare: - E così? - le domandò ansiosamente, - l'avete consolata? le
avete detto che sua madre sarà qui fra poche ore? Come sta ella? che cosa dice?
che cosa fa?
La donna invece di rispondere si coperse il volto con ambe
le mani, e diede in un pianto dirotto.
- Oh Dio! - gridò Marco mutando tutto ad un tratto
quell'aria di contenta sollecitudine in un'aria di spavento e di desolazione -
Che è di lei?... dite, ditelo subito... ditelo per la vita vostra; - e intanto
le aveva afferrata una mano.
- Non si trova più, - rispose la castellana con voce
soffocata e rotta dai singhiozzi, - nelle sue stanze non c'è più.
- Vile canaglia! infami e traditori tutti! - si mise a
gridar Marco, come un indemoniato. - Ma ringrazio Dio, che siete in mia balìa: scellerati!
sì, siete in poter mio, e il sangue sarà pagato col sangue. - Intanto dandosi
d'una mano nella fronte, stringeva coll'altra quella della donna, la quale,
credendosi venuta all'ultimo istante del viver suo, volgeva gli occhi al cielo
in un atto di sì trepida pietà, che avrebbe mosso a compassione ogni più duro
cuore.
Il Visconte ne fu toccato, lasciò andare la mano della
castellana, e la guardava in volto, mentr'ella, levando al cielo quella mano
fatta livida dalla forte stretta del pugno di lui, diceva piangendo pur sempre:
- Iddio m'è testimonio: sono innocente!
- Ed io ve lo credo, - disse Marco. - Buona donna,
rassicuratevi, non abbiate punto sospetto di me. - Ma vedendo che ella non
cessava dal piangere, ripigliando tosto un tuono più risoluto e impaziente: -
state su dunque, su, vi dico, e raccontatemi tutto che sapete. -
La donna mezzo confortata, mezzo paurosa, disse dell'uscio
che avea trovato chiuso, del bussare e del gridare inutile che vi avea fatto
intorno; di che il Visconte entrò in qualche speranza che Bice potesse pur
trovarsi ancora nelle sue camere, e che per sue ragioni non avesse voluto nè
aprire, nè rispondere. Gli corse alla mente l'altro usciolo segreto che dava
adito in quelle (l'uscio pel quale entrati Lodrisio e il Pelagrua alcuni giorni
prima, avean dato tanto spavento alle due povere prigioniere), propose alla
castellana d'introdurvela da quella parte, ve la guidò egli medesimo
sull'istante per un andirivieni di tragetti nascosti; e dettole ch'egli
l'aspettava lì fuori, toccò una susta che fece giocare certi ingegni pei quali
l'uscio si dischiuse.
La castellana entrò, ribattè l'imposta per toglier Marco
alla vista di chi potesse pur trovarsi là dentro, diede una occhiata intorno
per la camera, ch'era quella appunto dove Bice era solita dormire, e non vide
anima nata; passò oltre nella seconda, nella terza, nell'ultima, frugando,
trambustando, domandando dappertutto: ma non trovò nessuno.
Pensate su che croce stava intanto il povero Marco.
Dopo non molto, la donna tornò all'uscio dietro, al quale lo
aveva lasciato, e disse a voce bassa: - Nessuno.
Egli venne innanzi, e girava intorno gli occhi con un
rispetto, con una costernazione che non possono significarsi. Premeva quel
suolo ch'era stato toccato dal piede di Bice; poneva le mani su quelle
suppellettili ch'ella avea trattate; respirava l'aria che la fanciulla aveva
respirata: tutto gli parea pieno di lei. Ad ogni istante eragli avviso di udire
il suo sospiro, la sua voce languente uscir da qualche segreto nascondiglio, e
domandare aiuto e pietà.
A canto all'assito nel quale aprivasi l'uscio, era un ricco
letto coi cortinaggi dipinti, e si vedea tuttora fatto, colle lenzuola
rimboccate, bello e spianato; salvo che da una sponda serbava l'impressione
d'una persona che dovea esservisi appoggiata. Bice non s'arrischiando più di
entrarvi, di coricarvisi, dal momento che potè accorgersi di non esser sicura,
quantunque chiusa nelle sue camere, inferma com'era, passava dolorosamente le
notti senza spogliarsi mai delle sue vesti, sdraiata su d'una seggiola,
inchinando sul letto il debil fianco, e abbandonando languida il capo fra i
guanciali.
Sul tavolino, nel mezzo della camera, si vedea una lucerna
tuttor viva, ma che ormai, consunto l'alimento, mandava appena un fil di luce
da una fiammella guizzante sugli estremi lembi dei lucignolo riarso, e quasi
che ridotto in cenere. Marco vi affissò gli occhi, e in quel momento di
passione, abbandonandosi alle fantasie del suo secolo pieno di ubbìe e di vani
auguri, gli cadde in pensiero che quella tenue mancante fiammella fosse una
immagine, dirò così, il simbolo della vita di Bice, e con un superstizioso
terrore ne allontanò tosto soavemente la moglie del castellano, chè col mover
dell'aria non fosse venuta ad estinguerla.
Presso alla lucerna posava una Bibbia aperta al capo XXXIV
delle profezie di Geremia: i fogli apparivan bagnati di lagrime recenti, e ai
versetti tre, quattro e cinque, si vedevan segnate con un frego le seguenti
parole: «Non effugies de manu eius, sed in comprehensione capieris... Attamen
audi verbum Domini... Hæc dicit Dominus ad te: non morieris in gladio... sed in
pace morieris... et væ Domine! plangent te»6.
Marco leggendole, sentissi entrar nel cuore una confidenza,
una sicurezza come soprannaturale, che avrebbe trovata l'infelice, che
l'avrebbe trovata ancor viva: quel detto del Profeta ch'ella avea notato, del
quale dovevasi pure esser consolata, gli parve in quel punto di concitazione,
di sollevamento, una chiara predizione del fine di lei; onde, rivoltosi alla
donna, le disse: - State di buon animo, che Bice non è morta.
La moglie del castellano gli levò gli occhi in volto, e
senza ardire di domandargli d'onde cavasse quella certezza tanto risoluta che
mostravano le sue parole, e che si leggeva ancor più nel suo volto, lo seguitò
nella seconda camera, nella quale egli entrava per continuare l'intraprese
ricerche. Ivi trovarono evidenti segni di violenza usata, di contrasto opposto,
di combattimento. Videro un tavolino rovesciato, e sparsi e infranti intorno sul
suolo alcuni vasi ed alberelli che doveano esservi stati sopra; videro il letto
tutto sconvolto, tutto arruffato, le coltri strappate e riverse, una cortina
lacerata da cima a fondo, la lettiera scostata dal muro, sbiecata dall'un de'
lati; ed avvisarono che l'ancella nel dibattersi contra i suoi aggressori
avesse abbracciata una delle colonnette della testiera, e ne fosse stata
divelta a forza.
Marco, considerato ch'ebbe il tutto senza aprir bocca, passò
nella terza camera, passò nella quarta, venne fino all'uscio che metteva sul
loggiato, lo scrollò, e trovatolo chiuso con una stanga per di dentro, cavò da
questo un indizio che le prigioniere non dovessero essere state trafugate per
di là, ma bensì per la via dell'uscio segreto: tornò dunque indietro, seguito
sempre dalla castellana, ripassò per tutte le camere già visitate, ed uscirono
insieme d'onde erano venuti. Solo che la donna in un certo tragetto oscuro
venne a sorte a dar de' piedi in qualcosa di molle, di leggiero, e chinatasi a
raccorlo, quando fu in luogo da veder lume, riconobbe che era un velo tutto
gualcito e calpesto; il che fu un nuovo argomento per confermare il Visconte
nel primo avviso, che la fanciulla era passata per di là. Dunque innanzi.
Quell'andito, mettendo capo in altri corritoi lunghi,
tortuosi, riusciva finalmente, dopo un'infinità di volte e di rivolte, in una
corticella abbandonata, tutta piena d'ortiche e d'altre male erbe, nella quale
si scendeva per una scaletta a chiocciola. In quella corticella rispondevano
due porte; la prima, aprendosi nel fondo d'un voltone oscuro che attraversava
un enorme terrapieno ed una grossa muraglia, dava sul di fuori del castello,
avea la sua saracinesca, il suo ponte levatoio, ed era una postierla da
soccorso; l'altra più bassa, tutta ferrata, chiusa con grosse sbarre, con
pesanti chiavistelli, quasi nascosta fra due smisurati barbacani di pietra
brunastra, schiudevasi verso l'interno del forte, e dava adito a tutti i
sotterranei: una infinità, un avvolgimento, un intrico di camerotti, di casematte,
di fondi di torre; un andirivieni, un labirinto di vie, di viottoli, di
tragetti, che si spartivano, s'íncrocicchiavano, si confondevano in cento
maniere, girando e diramandosi lungo tutte le fondamenta del vasto edifizio.
Marco, fatto chiamare il giudice feudale che teneva
giurisdizione da lui, e faceva giustizia in suo nome nel castello e nelle
attinenze, gl'impose che interrogasse una famiglia, la quale abitava nel corpo
d'un terrazzo poco discosto dalla corticella mentovata. Se ne cavò, che la notte
erano state intese da quella banda alcune grida interrotte, e come soffocate.
Non potendosi far ragione, se le prigioniere fossero state trafugate per la
porta da soccorso, o rimpiattate nelle fondamenta del castello, Marco ordinò
che si sfondassero le porte dei sotterranei, perchè non vi fu modo di trovarne
le chiavi; e nello stesso tempo spedì al di fuori alcune persone accorte, che
corressero il Paese, che prendesser voce, frugassero tutto all'intorno,
coll'avvedimento di non dar sospetto al Pelagrua se mai si trovasse sulle loro
tracce, e colla commissione espressa, abbattendosi in lui, di condurlo in
castello per amore o per forza.
Quelli a cui eran commesse le perquisizioni nell'interno,
atterrata a forza di mazze, di leve e di picconi, la prima porta, discesero in
un largo androne oscuro, d'onde cominciavano a spargersi chi di qua e chi di là
in vari drappelli; ma ad ogni poco incontravan nuovi intoppi; chè all'imboccar
di tutti i corridori eran grossi cancelli di ferro; ogni cameretta a destra e a
manca si chiudeva con massiccie tavole, con salde e pesanti ferramenta. Marco
medesimo, correndo or qua or là, inanimava gli operatori; egli stesso dava mano
a scassinar usci, a sconficcare arpioni e bandelle! ma tutt'era niente.
Penetrato con grande stento in uno degli anditini, atterrati due, tre, quattro
usci, visitate altrettante camerette che si trovavan vôte; quanti viottoli
rimanevano da conquistarsi! quante camere da espugnare ad una ad una!
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