CAPITOLO XXXI
Durava da più ore quel faticoso lavoro, quando parve ad
alcuno d'udire come una voce lontana che uscisse di sotterra. Marco fa cessare
immediatamente ogni rumore: stanno tutti in orecchi... Da lì a qualche tempo la
voce si fa intendere un'altra volta; una voce lunga, acuta, come di lamento,
che viene da una carbonaia scavata sotto quel primo sotterraneo, tra le più
basse fondamenta d'un torrazzo. Su, presto, all'opera tutti quanti; la novella
speranza raddoppia la lena: in un momento si sganghera un cancello, si sconquassa,
si abbatte un uscio. Marco con una fiaccola in mano entra egli per il primo in
un camerotto, fa risaltare una ribalta a fior di terra, e giù per una scaletta
a chiocciola fino al fondo della torre divisata. S'avanza palpitando per entro
una vasta oscurissima prigione, ode una voce che gli domanda misericordia, vede
in un angolo, a canto al muro di fronte, come un'ombra che gli tende le
braccia; si precipita verso quella parte; il lume che reca fra le mani
rischiara un'ignota figura... Non è Bice altrimenti... è un uomo... Era il
Tremacoldo.
Il giullare diede tostamente notizia dell'esser suo, del
come essendo capitato in castello per esplorare se ivi fosse nascosta la figlia
del conte del Balzo, l'avesser preso, e gettato in quel fondo, donde non isperava
omai più di poter uscire a veder lume. Di Bice, nessuna novella.
Rotti i ceppi, il prigioniero fu posto subito in libertà, e
Marco, più scoraggiato che mai, comandò che si continuassero le intraprese
indagini. Dopo qualche tempo venne giù uno scudiere ad annunziargli che il
conte e la contessa del Balzo erano giunti al castello, e domandavano di lui
premurosamente. A questa nuova egli impallidì: diede alcuni passi verso la
porta come per uscire, per correre ad incontrare quei nuovi ospiti; ma poi tornò
indietro, e colla fronte dimessa, colle braccia spenzolate, stette un bel pezzo
appoggiato ad un pilastro senza muover parola, senza dar un segno.
Se non che, dal lato opposto a quello in cui Marco era in
quei punto, si sentì gridare da più voci in una volta:
- È qui! è qui! è trovata! è trovata! - Tutti quanti,
gittati gli arnesi, rispondono con un altro grido di gloia, e corrono a
precipizio verso quella banda. Il lume di molte faci agitate rischiara mutabilmente
le lunghe brune vôlte dell'intricato labirinto.
- È ella viva? - domanda Marco di mezzo alla folla degli
accorrenti.
- È morta, - risponde una voce dal luogo a che tutti erano
dirizzati.
Ed ecco venir innanzi un gruppo di gente, e nel mezzo due
scudieri che portano pietosamente sulle braccia la figlia del Conte bianca in
volto, e cogli occhi chiusi e il capo pendente su d'una spalla. Lauretta la
seguiva tutta scapigliata, e sorreggendole con le mani la fronte non cessava
dal baciarla, dall'innondarla di lagrime.
Marco, cui erano rimbombate nel cuore le prime voci di
speranza e di morte, che vedeva or proceder lento lento quel corteo funebre, e
al lume di tante faci raffigurava a poco a poco la bella persona, il bianco
volto della giovane portata, non potea persuadersi che quello spettacolo fosse
reale: sperava pure d'essere posseduto dall'illusione fantastica d'un sogno;
per certificarsene, andava stendendo intorno attonitamente le mani; ed ora
palpava le muraglie, ora stringeva per le spalle e per le braccia le persone
che s'abbattevano a passargli dinanzi; finalmente, facendosi largo tra la folla
che s'aperse tosto per lasciarlo passare, accostossi a Bice, e le pose una
palma sulla fronte. Il freddo che gli venne da quel tocco lo riscosse dalla stordigione,
dalla stupidità in che era caduto: un tremore crescente gli si diffuse per le
membra, il sangue gli rifluì violentemente al volto rigonfiandogli le vene
della fronte, dalla quale si vedevano scorrere grosse gocce di sudore.
Così, seguitando a lato a lato la fanciulla, pervenne fino
in capo alla scala, per la quale dal sotterraneo s'usciva nel cortiletto. Ivi
l'impressione dell'aria aperta, la vista del sole, parvero tornarlo affatto nel
sentimento; si ricordò di Ermelinda, la quale stava aspettando; sentì com'ella
sarebbe morta di spavento e di dolore, se avesse trovato d'improvviso la figlia
a quel modo; e quel pensiero potè restituirgli ad un tratto l'usata forza. Fece
segno alla gente che lo seguitava, e che gli era d'intorno, di fermarsi; e con
voce sicura, e con un'aria posata, che fece maravigliare tutti quanti, comandò
che, spenti i lumi, cessato ogni rumore, la folla si disperdesse tacitamente, e
si guardassero bene dal far parola di quanto avean visto laggiù.
Egli, precedendo Lauretta e i due scudieri che portavano
Bice, s'avviò in silenzio verso le camere della castellana.
Come la figlia del Conte fu posta su d'un letto a giacere,
Marco domandò all'ancella di lei, quando la sua padrona fosse spirata.
- Ell'era ancor viva poco fa, - rispose Lauretta con voce
interrotta dai singhiozzi, - e mi è morta di spavento, fra le braccia, quando
sentì rovinar l'uscio della prigione, e credevamo che venissero per
assassinarci.
In questa entra il medico del castello ch'era stato tosto
chiamato: guarda, esamina la giacente, le accosta un lume alla bocca... la
fiammella par che si pieghi alquanto mossa da un tenue fiato. Lauretta, la
castellana, le si affaticano intorno, adoperando ogni argomento per riaverla: a
poco a poco le si ridesta il battito del cuore, le rinvengono i polsi; il
calore della vita torna a diffondersi per le membra... Ma le forze sono
consunte di lunga mano dai patimenti, dalle angosce, dallo spavento durato: le
entrò una febbre ardente... Potrà ella giugnere a veder il domani?
Marco, che all'improvvisa gioia del trovarla viva s'era
sentito rapire fuor di sè stesso, a questo annunzio abbassò desolatamente il
capo, e disse in cuor suo: - Ecco adempite le parole del profeta; - poscia col
volto e coll'atto di un uomo che non ha più nulla da temere o da sperare a
questo mondo, avvicinossi alla moglie del Pelagrua, ed interrogolla intorno ad
Ottorino.
La donna, che da certe parole dette da Lodrisio in sua
presenza sospettava che lo sposo di Bice fosse rinchiuso nel castello di
Binasco, comunicò a Marco quel suo sospetto, e questi risolvette di mettersi
subito sulle tracce del trafugato. Uscì dunque dalla camera dell'inferma,
presso la quale volle che per allora non rimanesse che la sua ancella, affinchè
la poveretta che andava sempre più ricuperando gli spiriti, nel momento che
sarebbe tornata in sè, non avesse a vedersi d'intorno altro volto che quel
volto soave e fidato.
- Ora andate a chiamar la madre di Bice, - disse poscia alla
castellana, - ditele che preghi... che preghi anche per me.
Ciò detto, discese precipitosamente nella corte, lasciò
alcuni ordini al giudice del luogo, ed uscì a cavallo dal ponte levatoio, che
si rialzò subito dietro le sue spalle.
La camera entro cui Bice era stata portata dava su d'uno
spiano che stendevasi innanzi al castello dalla parte d'oriente. Il sole già
alto entrando per una finestra, in faccia alla quale era collocato il letto su
ch'ella posava, diffondea sul suo volto un chiarore, che ne faceva risaltar la
pallidezza e lo sfinimento mortale. Al primo rinvenire, la fanciulla apriva gli
occhi, e li richiudeva tostamente, portandovi una mano per difenderli dalla
luce, dolorosa in quel primo incontro, dopo le lunghe ore passate nella più
fitta oscurità del carcere da cui era stata tolta.
L'ancella chiuse subito le imposte; poi tornata a sedersi a
canto alla padrona, l'abbracciava piangendo, e chiamandola per nome. Ella sentì
I'impressione di quelle lagrime, riconobbe quella voce, ed aprendo un'altra
volta gli occhi, la stette guardando qualche tempo come smemorata, e poi disse:
- Sei tu, Lauretta?
- Sì, son io, non abbiate sospetto di nulla; siamo liberate,
state di buon animo.
Ma ella, che non apprendeva ancor bene il senso delle
parole, domandava paurosamente:
- Dove sono iti quei manigoldi?... Hanno pur fracassato
l'uscio della prigione, ho pur intese le lor grida, e sentiti i colpi dei loro
pugnali nella persona... Oh dimmi, non m'hanno dunque uccisa?... mi pareva
d'esser morta, e che mi portassero a seppellire in mezzo a tanta gente, con
tanti lumi d'intorno... Era notte; e come s'è fatto giorno chiaro in un tratto?
e dove siamo noi adesso?
- Siamo nelle camere della nostra buona castellana; siamo
libere, vi dico; è stato lo stesso Marco che è venuto...
Il suono di quel nome terribile fu come il tocco d'un ferro
rovente, che fa risentire un tramortito. Bice balzò a sedere sul letto, e
diceva: - Fuggiamo! fuggiamo! nascondimi, salvami, salvami per pietà!
- Oh no, Dio! tranquillatevi: Marco non è qui; e poi, state
sicura, non entrerà in queste camere persona che voi non vogliate... Siamo
libere, torno a dirvi; e, sapete la buona nuova che v'ho a dare? Vostra madre è
giunta.
- Mia madre?
- Sì, vostra madre, e tosto che siate riavuta tanto da poter
sopportare la via, torneremo a casa insieme con lei.
- Oh! non volermi ingannare ancora! non ti ricordi quante
volte me l'hai detto che sarebbe venuta? e poi?...
- Ma ora ella è qui, vi dico, è qui, e la vedrete quando che
sia!
- No, no, mia cara, la tua pietà è troppo crudele; no, che
non la vedrò più; l'ho domandata tante volte al Signore questa grazia, con
tante lagrime, con tanta fiducia!... Egli non m'ha voluta esaudire!... Ed
ora... sarebbe troppo tardi.
- Ah figlia mia! - gridò in quella Ermelinda con una voce
mezzo spenta dall'angoscia. Trattenuta essa dal medico nella camera vicina,
perchè lo spavento della prima gioia non desse un troppo grande scrollo alle
forze affralite dell'inferma, di là aveva sentito ogni sua parola; e non
potendo più reggere all'impeto dell'affetto s'era precipitata fra le braccia di
lei.
Bice chinò il capo sull'omero della madre, e stettero
lungamente strette insieme in silenzio.
Fu la prima Ermelinda a sciogliersi da quel nodo soave, e
pur doloroso; e ponendo una mano sul capo della figlia: - Ora statti riposata;
- le diceva, - vedi, io son qui con te, per non abbandonarti mai più: staremo
sempre insieme, sempre, sempre; sì, cara, cara la mia povera Bice! Tutti i guai
sono finiti, non pensar più che a cose liete, pensa a tua madre che è qui con
te, che non ti si staccherà mai più da canto.
Bice obbedì, posò un istante il capo sui guanciali; ma non
potendo frenarsi, lo rilevò subitamente, e alzando un'altra volta le braccia le
intrecciò intorno al collo della madre; e siccome, questa resisteva pure
mollemente, ed accennava sgomentita che cessasse:
- No. - diceva la figliuola, - no, lasciate ch'io sfoghi il
desiderio di tanti giorni, di tante notti dolorose: lasciatemi godere questa
consolazione, lasciate che m'innebrii d'una dolcezza che sarà l'ultima della
mia vita.
- Per carità, rimettiti in calma: tanto commovimento... così
sfinita come sei!...
- Ah! no, - replicava Bice, - credetemi, non me ne può venir
altro che bene, provo un sollievo... lasciate, lasciatemi; - e stringendola, e
baciandole il volto, e innondandola di calde lagrime, non faceva che ripetere
con un gemito d'amore: - Oh madre mia! oh cara madre!
Ermelinda, vinta alla fine da quel sentimento che tutto
soverchia, si abbandonò fra le braccia della figlia, e piangendo anch'essa, le
ricambiava i baci e le carezze che ne ricevea. Era uno spettacolo di pietà, ma
d'una pietà consolante, d'una pietà tutta piena di letizia, di pace, e, dirò
pure, di riverenza, il vedere le due infelici mescere insieme le lagrime, non
saziarsi dallo stare negli amplessi, dal ripetersi il loro mutuo amore, i loro
lunghi tormenti nel tempo che erano state divise.
- Sai che è qui anche tuo padre? - disse Ermelinda, tosto
che si fu quietata tanto da poter profferire le parole.
- Perchè non viene? - rispose la fanciulla, serenandosi in
volto di nuova gioia.
Fu chiamato il Conte, il quale entrò con un'aria tra il
commosso e lo spaventato. Ma quando vide la figlia tanto smagrita, così
svenuta, staccare un braccio dal collo della madre, e stenderlo amorosamente
verso di lui, la codardia fu vinta dalla pietà, nè gli rimase più altro affetto
fuor quello di padre. Corse a lei, ed abbracciandole il capo, le disse tutto
intenerito: - Tu stai male, figlia mia.
- Oh! no, ora che sono co' miei cari parenti sto bene, sto
troppo bene... Ma, e Ottorino?...
Il Conte strinse le labbra, come chi inghiotta una medicina
amara, e per quanto si facesse forza non potè a meno di lasciarsi scappare
queste parole:
- Oh! per l'amor di Dio! chi vai tu a nominare adesso! in
questo luogo!
- Non è egli il mio sposo? - rispose la fanciulla con un
atto che sapeva pure d'un certo qual risentimento; quindi volgendosi con
maggior tenerezza alla madre: - È egli vivo? posso io sperare di vederlo?
- Oh! sì, il Signore ce l'avrà serbato, - disse Ermelinda. -
A quel che mi disse la castellana, egli debb'essere a Binasco; e lo stesso
Marco è partito di qui per cercar di lui, per condurtelo tosto che l'abbia
trovato.
- Marco! - esclamarono ad una voce il padre e la figliuola,
colpiti ambedue da una diversa maraviglia, da un diverso terrore.
- Si, Marco Visconti, - ripete la donna: e qui si fece a
narrare il colloquio ch'ella avea avuto seco la notte antecedente; disgravò il
Visconte d'ogni enormità non sua; disse del profondo dolore di lui per quella
parte di colpa che avea avuta nel principio; certificò la sua risoluzione di
riparare colla propria vita, ove fosse stato d'uopo, ogni sconcio che n'era
venuto in seguito; fece parola della cresciuta sua benevolenza verso Ottorino,
nè peritossi pure di confessare l'amor di lui verso Bice, ora che quell'amore, purificato
dai rimorsi e dal pentimento, erasi mutato in una carità ossequiosa ed
espiatrice; infine parlò tanto a commendazione, non che a discolpa, di
quell'uomo, che potè togliere ogni ombra di sospetto, ogni traccia di rancore
dall'animo tanto del marito che della figlia.
Quest'ultima, che avea cominciato ad ascoltare con ansietà
paurosa, alla fine del discorso levò gli occhi al cielo, e stringendo le palme
esclamò: - Il Signore gli perdoni! - poi volgendosi un'altra volta alla madre:
- M'avete detto ch'egli è uscito per cercar d'Ottorino, è vero?... Credete voi
che possa giungere a tempo a vedermi?
- Ah, non dir cosi, figlia mia! - sclamò Ermelinda con voce
di dolce e accorato rimprovero: - senti, cara, la vita e la morte stanno nelle
mani d'un Signore misericordioso... egli non vorrà... per pietà di noi... - e
si tacque.
Bice prese una mano di sua madre e gliela baciò: nè l'una
osava dare, nè l'altra chiedere, parole di speranza, d'una speranza che nessuna
d'esse avea in cuore.
Per tutto quel giorno il male venne sempre più acquistando
rovinosamente di forza su quel corpo troppo affievolito e rotto per potergli
durar contro.
La fanciulla, obbedendo alle prescrizioni del medico
avvalorate dalle più strette preghiere della madre, stavasi coricata
quietamente e in silenzio, accontentandosi d'affissare di continuo quella sua
cara a piè del letto, dove s'era posta a sedere, e di seguitarla cogli occhi
ogni volta che per qualche necessità tramutavasi da luogo a luogo.
A piè del letto medesimo, in compagnia di Ermelinda, stava
seduta anche l'ancella, l'amorosa Lauretta, la quale, per quanto fosse stata
pregata da tutti, e da Bice principalmente, non avea mai voluto abbandonar
quella camera, per andare a prender un po' di riposo, di cui doveva aver tanta
necessità, dopo le dure vigilie delle notti antecedenti. Ella narrava
interrottamente e sotto voce alla madre la storia dei mali che avea patiti
insieme colla sua giovane padrona, da che erano state condotte a Rosate, fino a
quel giorno; le perfidie, gli spaventi, con che si era tentato di svolger Bice
dalla fede data al suo sposo, di aggirarla per farla rinunziare a lui, perchè
avesse a piegarsi a veder di buon occhio quel terribile uomo, che esse
credevano l'autore di tutta quella persecuzione; nè tacque in fine la carità
usata ad esse dalla castellana, che in quanto la sua strettezza, ed il
sospetto, in cui il marito vivea continuamente di lei, glielo consentivano, non
avea lasciato mai di sovvenirle di opportuni avvisi, di consigli, e d'ogni
sorta di consolazione. Ermelinda, commossa da quel racconto, gettava a quando a
quando uno sguardo compassionevole sulla figlia che avea patito tanto; ed ella
che si accorgeva troppo bene di che fosse tutto quel lungo ragionare. le
rispondeva con un sorriso pieno d'amore.
Quel riposo però, quella quiete, veniva talvolta turbata da
qualche rumore che si sentiva in castello: Bice si faceva tosto intenta, una
lieve fiamma le saliva sul volto, e domandava alla madre: - È giunto?... -
L'interrogata usciva tosto dalla camera, e rientrava dopo qualche tempo,
dicendo di no, ed aggiugnendo sempre qualche parola di consolazione e di
speranza.
Verso sera, l'inferma, che si sentiva sempre più grave,
chiese d'un confessore: stette a lungo con un vecchio Benedettino che fu
chiamato ad assisterla, poscia volle tornar a vedere i suoi parenti.
- Senti, figlia mia, - le disse il padre, - Ottorino non è
ancor giunto, ma l'aspettiamo prima che sia giorno.
Ella si conturbò tutta, e rispose: - Ottorino! il mio sposo!
il mio caro sposo!... Oh, se il Signore m'avesse fatto tanta grazia!... se
avessi potuto vederlo prima di morire!
- Via, offritelo a Lui, - disse il pio monaco, - offritelo a
Lui che ve l'avea dato; e adorate l'eterno consiglio di giustizia e di pietà,
che accetta questo sacrificio del cuore ad espiazione delle vostre colpe, a
rimedio dell'anima vostra.
La poveretta congiunse le palme, e levò gli occhi al cielo
in atto di viva sì, ma dolorosa rassegnazione; ma Ermelinda, posandole una mano
sul capo: - Oh figlia mia! - esclamava, - oh cara la mia figlia! ch'io t'abbia
dunque a perdere! che mi rimane a questo mondo senza di te, ch'eri il mio
conforto, la mia sola consolazione!
La fanciulla chinò il capo, e pianse: dopo un momento
ripigliava singhiozzando:
- Consolazione! avete detto? e che consolazione avete mai
avuta da questa miserabile, che colla sua protervia ha seminato tante spine sul
sentiero della vostra vita?... Oh cara madre! io non ve ne chieggo perdono,
perchè so che mi avete già perdonato tutto; e voi pure, padre mio, e voi pure
m'avete perdonato, è vero?
Ermelinda e il Conte soffocati dal pianto non potevano
formar parola: stettero tutti qualche tempo in silenzio. Intanto l'ancella,
dopo aver porto all'inferma non so che bevanda ristoratrice, erasi adagiata
sulla seggiola a canto al letto, e vinta dalla stanchezza e dal disagio a poco
a poco chinava il capo sulle coltri e s'addormentava. Bice, che se ne accorse,
senza rimuovere una mano che le tenea su d'una spalla, accennò con l'altra agli
astanti che stessero zitti, che si guardassero da ogni strepito; ella medesima
ricambiando di tanto in tanto qualche parola col confessore, abbassò la voce,
quantunque per sè stessa già mezzo spenta, e il pio monaco intenerito da quella
gentile sollecitudine fece altrettanto. Dapprima, ad ogni poco ella si faceva
acconciar le coltri o i guanciali; ora voleva rilevarsi, ora mutar fianco, come
sogliono gl'infermi che non sanno trovar requie in nessun lato; ma adesso
sforzavasi di star quieta nella giacitura in cui si trovava, osando a mala pena
di trarre il fiato per paura di non destare quella sua cara, nel cui volto
abbassava gli occhi, e teneali intesi in atto d'amorosa compiacenza.
Quando Lauretta si destò, cominciava a spuntar l'alba, e
vedevasi la fiammella d'una lucerna posta a canto al letto impallidire al primo
chiarore ch'entrava dalla vetriera di fronte.
La svegliata volse intorno gli occhi attoniti, non sapendo
in quel subito dove si fosse, se non che venne ad incontrarli in quelli di
Bice, la quale schiudendole un riso pieno di dolcezza: - Sei qui con me, - le
disse: - sei colla tua cara Bice. - L'altra abbassò il volto, dolente e
vergognoso che la fralezza delle membra avesse potuto farle obliare per qualche
tempo la sua diletta padrona in quello stremo. Ma questa, che indovinò l'animo
dell'amorosa compagna, seppe consolarnela tosto coll'imporre a lei sola ogni
minuto servigio di che le facesse mestieri, col ricevere graziosamente tutte
quelle amorevolezze, ch'essa con sottile, raddoppiata sollecitudine, le veniva
profondendo.
Verso un'ora di sole disse di sentirsi stanca e di voler
riposare; si coricò, chiuse gli occhi, e da lì a qualche tempo prese sonno; un
sonno lento ed affannato: ma tutto ad un tratto fu vista riscuotersi come in
sussulto, levò il capo dai guanciali, e tosto vi ricadde; un sudor freddo le
corse sul volto, cessò l'anelito, i polsi sparirono; e fu uno spavento
generale, chè tutti la credettero spirata. Non era stata però che una
strettezza passeggiera di cuore, un deliquio da cui si riebbe in breve, e
vedendosi d'intorno i suoi cari che si disperavano:
- Di che piangete? - disse, - ecco, ch'io sono ancora con
voi.
Tutti le si strinsero d'intorno, ed essa, dopo aver ripreso
un po' di lena, rivolta alla madre: - Però, - continuava, - sento che la vita
mi fugge, e l'ora è vicina; or via, siate forte, e accogliete l'ultime mie
parole, l'ultimo voto dell'anima mia.
Si trasse di dito un anello, e lo porgeva a lei dicendo: -
Mi fu dato da Ottorino alla presenza vostra; simbolo di un nodo che dovea durar
poco quaggiù, ma che verrà rinnovato in paradiso... Se vi è concesso di
rivederlo, rimettetelo nelle sue mani, che me lo mostrerà un giorno... E
ditegli insieme, che in questo solenne momento, tremando d'avermi fra poco a
trovar sola nelle mani del Signore, l'ho pregato d'una cosa, pel bene che mi ha
voluto, per la sua, per la mia salute eterna, l'ho pregato che non domandi
ragione ad alcuno di quel tanto che ho patito quaggiù.
Riposò un momento, quindi accennando con un lieve moto del
capo l'ancella che stavasi a piè del letto: - Io non ve la raccomando: l'avete
sempre avuta negli occhi e nel cuore; ma dopo tutto quello che ha patito per
me, come mi sarebbe stata una sorella, così sia per voi una figlia... Ella vi
sarà più sottomessa di questa... che avete amata troppo. - E volgendosi a
Lauretta: - Mi prometti?...
- Ah! sì, - rispose l'interrogata, - non l'abbandonerò mai
finchè avrò vita, starò sempre con lei; tutta, tutta per lei.
Allora sentendosi mancar le forze si tacque. Stette lungo
tempo come sopita, alla fine schiuse lentamente gli occhi, li volse alla
finestra d'onde entrava il sole, e mormorò fra sè stessa: - Oh le mie care
montagne!
La madre le si fece più dappresso, ed ella movendo a fatica
la voce sempre più fioca e vacillante, profferì interrottamente queste parole:
- Là, nel camposanto di Limonta, in quella cappelletta... dove giace il mio
povero fratello... vi abbiam pregato ... e pianto insieme tante volte... Ch'io
riposi presso di lui ... vi tornerete sola a pregare, a piangere per ambedue...
Mi verrà il suffragio di quella buona gente... Salutateli tutti per me... e la
povera Marta, che ha un figlio anch'essa in quel santo luogo...
La madre più coi cenni che colla voce, impedita dal pianto,
l'assicurò che avrebbe fatto ogni suo desiderio. Allora il monaco, accorgendosi
come non rimanessero all'inferma che pochi istanti di vita, si pose la stola,
la benedisse, e cominciò a recitar sopra di lei le orazioni degli agonizzanti.
Tutti s'inginocchiarono intorno al letto, e vi rispondevano singhiozzando. Bice
anch'essa, quando con un fioco articolar di voci, quando col chinar lento e
divoto del capo, mostrava di prender parte agli affetti espressi da quelle
sante parole: il suo volto placido e sereno rendeva testimonianza della pace di
quell'anima pia, che fra i dolori della morte pregustava il gaudio d'un'altra
vita.
Ma tutto ad un tratto l'augusta quiete che regnava là
dentro, vien rotta da un fragore di passi concitati che salgono la scala: tutti
gli sguardi si rivolgono verso l'uscio; la castellana levandosi in piedi si fa
incontro a due persone che vi si affacciano, e ricambia alcune parole; l'uno
dei vegnenti si ferma sul limitare, ma l'altro avventandosi nella camera si
precipita ginocchione a piè del letto, ne stringe e bacia le coltri, e le
innonda di lagrime.
Ermelinda, il Conte, Lauretta, conobbero tosto Ottorino; gli
altri l'indovinarono.
Il giovane arrivava allora allora dal castello di Binasco in
compagnia di quell'uomo, in nome del quale v'era stato tenuto prigione, e che
era corso in persona a liberarlo.
La morente, scossa da quel subito trambusto, aperse
languidamente gli occhi, e senza essersi potuta accorgere del sopravvenuto, chè
gli altri standole d'intorno gliene toglievan la vista, domandò che fosse.
- Rendete lode a Dio, - sclamò il confessore intenerito, -
avete accettata dalle sue mani l'amarezza, l'avete accettata con pace, con
riconoscenza; accettate collo stesso animo la gioia che ora vi vuol dare, e
tanto quella che questa vi sarà attribuita a merito.
- Che?... Ottorino?... - disse l'agonizzante facendo un
ultimo sforzo per profferire quel nome.
- Sì, il vostro sposo, - ripetè il sacerdote, e accostatosi
al giovane, lo fece levare in piedi e lo condusse presso di lei. Bice gli fissò
in volto gli occhi lampeggianti d'un raggio che stava per ispegnersi, e gli
stese una mano, sulla quale egli chinò la faccia tramutata, ma non più
lagrimosa. Dopo un istante, la moribonda ritrasse dolcemente a sè quella mano;
e mostrandola al suo sposo, accennava nello stesso tempo la madre, e
s'affannava per dir qualcosa senza poter mai profferire distintamente le
parole. Il monaco indovinò il suo desiderio, e vôlto al giovane: - Vuol dirvi
dell'anello nuziale ch'essa ha dato alla madre, e che riceverete da lei. - Il
volto di Bice si animò tutto d'un sorriso, accennando di sì. - Allora Ermelinda
si trasse tostamente di dito quell'anello, e lo porse ad Ottorino, il quale
baciollo e disse: - Verrà meco nel sepolcro.
- E una preghiera vi ha legato la vostra sposa, - seguitava
a dirgli il sacerdote, - che deponghiate, se mai l'aveste nel cuore, ogni
pensiero di vendicarla. La vendetta appartiene al Signore.
Ella tenea fissi ansiosamente gli occhi nel volto del
giovane, il quale stavasi a capo basso e non rispondea parola; ma il
confessore, prendendo l'irresoluto per un braccio: - Or via, - gli domandò con
voce grave e severa, - lo promettete? lo promettete a questa vostra sposa, che
sull'ultimo passo tra la vita e la morte, fra il tempo e l'eternità, ve lo
domanda come una grazia, ve lo impone come un debito, in nome di quel Dio
innanzi al quale ella sta per comparire?
- Sì, lo prometto, - rispose Ottorino, dando in uno scoppio
di pianto. Bice lo ringraziò con uno sguardo pieno d'angelica dolcezza, che
mostrava chiaramente come non le restasse più nulla da desiderare a questo
mondo.
Allora il sacerdote fe' cenno agli astanti; i quali
tornarono a inginocchiarsi, ed ei riprese le preghiere interrotte. Solo in un
momento di sospensione e di silenzio universale, l'agonizzante parve accorgersi
d'un suono represso di singhiozzi, che veniva dalla camera vicina, e levò uno
sguardo lento in volto alla madre, come domandandole che cosa fosse: questa
abbassò il viso fra le mani, chè non le reggeva il cuore di profferire un nome;
ma il sacerdote curvandosi sulla moribonda le disse sottovoce: - Pregate anche
per lui, principalmente per lui: è Marco Visconti. - La pia chinò soavemente il
capo ad accennare che già lo faceva, e non fu più vista rilevarlo: era spirata.
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