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Tommaso Grossi
Marco Visconti

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  • CAPITOLO XIII
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CAPITOLO XIII

 

Sì, di gelosia. Da quel giorno in cui Marco ebbe vista per la prima volta la figlia del conte del Balzo, l'immagine della bella e modesta vergine gli stette sempre dinanzi salda, fissa, ostinata, come una visione nei sogni d'un infermo. Ella si gettava in mezzo alle tempestose consulte, ai trepidi arcani, alle gioie, alle speranze, di quell'anima indomita: ora componendosi in quello splendido avvenire di gloria che si vedeva preparato, glielo spargea d'una dolcezza, d'una giocondità, d'una pace celeste; ora ribellandosi al soave delirio della sua mente, parea che gli troncasse ogni nerbo, che lo lanciasse in un deserto oscuro e freddo, dove le ricchezze, la potenza, la fama, tutto quello che soleva agitargli la vita, risolvevasi in una dissipata vanità: era come se nel calore d'una danza venisse ad un tratto a cessare il suono, che la riesce una scempiaggine sgraziata e pazza.

A quella età fresca, è vero, ma d'una freschezza matura, ricreduto dalle illusioni della giovinezza, rotto da molti anni alla sfrenata licenza del viver soldatesco, macerato dai colpi della sorte e dalla iniquità degli uomini, abbandonarsi all'amore? e vi si era abbandonato colla spensierata baldanza d'un giovinetto inesperto, e colla risoluzione fatale d'un uomo vissuto sotto il ferro, in mezzo al sangue.

Marco non avea amato mai veramente altra donna che Ermelinda. Col tempo, col mancar ogni speranza, quell'amore era venuto declinando, e avea dato luogo ai furori di parte, alla sete di dominio e di vendetta, a tutte quelle altre brame or magnanime, or basse, che gli fecero compire sulla scena del mondo quanto di glorioso e di reo ci venne conservato intorno ad esso nelle storie. Con tutto ciò, Ermelinda non gli uscì mai affatto del cuore: era la memoria di lei che lo temperava qualche volta negl'impeti procellosi della sua collera: perdonando la vita ad un nemico supplichevole, sollevando un caduto, gli pareva di tornare ancora l'amico di quell'angelo, il giovane Marco, quel Marco da cui i casi e le passioni l'avean fatto tanto diverso.

In ultimo egli sentiva troppo bene, ch'ella fatta madre di prole già allevata, doveva avere smarrita la beltà del primo sembiante: con tutto ciò ogni volta che pensasse a lei, come poteva figurarsela, se non qual era nel mattino de' suoi giorni, lieta, rugiadosa, con quel volto, con quegli occhi in cui soleva inebriarsi da giovinetto? da quel tempo in poi non l'avea più vista, e l'immagine ricevuta nella mente non poteva essere sfiorata dall'età, più che non siano i tratti d'un volto giovanile impressi su d'una tela. E però quando egli vide Bice per la prima volta a Milano, e trovò la figlia tanto somigliante all'idea che gli era rimasta della madre, fu affascinato da una potenza irresistibile, il cuore l'accolse come cosa già sua; quel cuore rattiepidito, affreddato da tanto tempo, si ravvivò della prima fiamma, palpitò de' palpiti antichi, riconobbe il giogo usato.

Nei primi giorni egli si persuase che non fosse che un ribollimento momentaneo della fantasia riscossa da tante memorie, sdegnossi contra sè medesimo, propose di vincersi, e se ne tenne sicuro; ma dibattendosi faticosamente nello strano laccio in cui si trovava avvolto, non faceva che stringerselo sempre più sodo dattorno. Stanco al fine da tanto travaglio, si lasciò ire a poco a poco, senza quasi accorgersene, alla speranza di poter dare onesto fine a quell'amore che gli era troppo duro di vincere: pensò che qualunque principe d'Italia, non che il conte del Balzo, si sarebbe recato a onore d'averlo genero, e quanto ad Ermelinda pensò, che se le avea tolto il padre, gliel'avea tolto in giusta guerra, gliel'avea tolto per meritata vendetta di quell'amore furioso che portava a lei medesima; e che però l'abborrimento che ella doveva avere per l'autore di quell'eccesso, sarebbe stato mitigato in qualche parte dalla cagione che l'avea fatto commettere; perocchè non è donna di sì austera e feroce virtù, che non si chini segretamente ad accordar qualche scusa alle colpe che derivano da quella sorgente.

D'altra banda, in quel tempi di fazioni continue, le ire erano sempre deste, pronte le offese e le vendette; il sangue si pagava col sangue, ed eran troppe le famiglie divise, perchè non fossero frequenti i casi in cui si vedesse l'uccisore mescersi alla razza dell'ucciso.

Questi pensieri gli sorrisero all'anima: egli cominciò ad accarezzarli, a compiacersene, a starvi sopra deliziosamente, e il veleno dell'amore gli entrava più sempre nel sangue, gli cercava ogni fibra, lo penetrava, lo riempiva tutto.

Vi fu un tempo che gli parve d'aver fatto pace con sè medesimo, si sentì una vita novella e fresca aggiungersi all'antica, gli diventò più bello, più ridente, l'avvenire verso cui correva: non avea mai desiderato con tanto fervore la signoria di Milano; non s'era mai con più alacrità affrettato sulla carriera pericolosa che ve lo dovea condurre, come in quei pochi giorni, nei quali in fin d'ogni sua immaginazione vedeva Bice, ai cui piedi avrebbe posto ogni cosa e sè stesso.

Ma a destarlo da quel sogno vennero tosto i primi sospetti dell'amore che era tra la fanciulla e Ottorino. Ogni comparazione è poca a significare le smanie di quell'anima riscossa al freddo tocco della gelosia. Stette qualche tempo fra due, ora parendogli, or no, che quella sua tema avesse fondamento: volle certificarsene del tutto, e lo fece in quella cavalcata, di cui si è detto più indietro.

Composta a quei dì con Lodrisio ed assestata tutta la trama per tôrre al nipote Azzone la signoria di Milano, Marco avea poi risoluto di portarsi al Ceruglio ad assoldarvi per conto proprio le bande tedesche ribellate, come ne avea già dato intenzione, e dovea mettersi in viaggio al più presto; ma dacchè gli parve d'essere sicuro dell'amore dei due giovani, tutto andò sossopra. A che partito appigliarsi, partendo, per acquetare quella smania che lo divorava? Condur seco Ottorino? Ma il giovane vi veniva ritroso, o se si fosse anche accomodato di buona voglia, egli non avrebbe potuto vederselo dinanzi agli occhi. Mandarlo, sotto colore di alcun trattato, in qualche paese lontano, ove dovesse indugiarsi fino a che egli medesimo non fosse tornato dal Ceruglio? ma non poteva simulare affetto e confidenza verso quel serpente che gli avea avvelenato il sangue. Lasciarlo qui presso a Bice, sicchè tornando egli glorioso dalla sua intrapresa, avesse a trovarli forse già sposi? Questa immagine lo rendeva furioso, gli suscitava in cuore mille fantasmi di corruccio e di sangue: e guai se in quei momenti!... Ma dopo d'aver ondeggiato lungamente fra cento pensieri si piegò ad un più mite consiglio; risolvette di partire ad ogni modo, ma di chiamar prima a sè il conte del Balzo, e mettergli addosso una gran paura del Rusconi, o di checchè altro di oscuro, se mai, per cagion di Bice, Ottorino avesse avuto a mancar della sua parola: egli conosceva l'uomo, ed era certo del fatto suo.

Dopo ch'ebbe preso questo partito, cominciò poi anche ad entrargli di nuovo alcuna luce di speranza; cominciò a prestar l'animo a qualche ragione che gli concuteva in parte la desolante certezza di prima. Chi lo assicurava che Bice rispondesse all'amore di Ottorino? ne avea egli altra prova, altro indizio, fuorchè quel rossore, troppo naturale, ch'ella avea mostrato salutando il giovane dal verone quando passava seco lui a cavallo? Questo era bastato per cavarlo dell'intelletto; ma non poteva essersi ingannato?

Volle chiarirsene, e fermò di veder Bice, d'interrogarla esso medesimo onde accertarsi qual fosse il cuor suo. Fece bandire una festa pel dì precedente a quello che avea determinato di partire, e v'invitò il Conte, facendogli intendere che l'aspettava senza fallo in compagnia della figliuola.

Intanto si maturava un nuovo caso che avrebbe facilmente condotto Marco per un'altra via all'intento proposto. Noi ne renderemo conto dopo d'aver detto brevemente di Ottorino.

Il quale quantunque pieno di rabbia e di dispetto pel severo modo e bisbetico con cui l'avea trattato l'ultima volta il suo signore, era tornato alla casa di lui per giustificarsi, per fargli scusa dell'esitazione mostrata quando fu invitato al viaggio di Toscana, per profferirsi d'accompagnarvelo, e pregarlo che nol volesse defraudare di tanto favore: ma la porta gli era sempre stata negata: e in ultimo gli fu fatto intendere che non si avvisasse di metter piede mai più in quella casa.

S'ei ne fu dolente, non è da domandarlo. Troppo lontano dal sospettare la cagione vera e capitale che gli aveva concitato addosso quel tal mal talento, ne incolpò semplicemente il suo rifiuto della figlia del Rusconi; e in vero che poteva esser colpa bastante per cader di collo affatto ad un uomo qual era Marco.

Allora egli cominciò a pensare seriamente al casi suoi: rinunziare a Bice non era cosa che potesse mettere in consulta; ma come acconciarsi col suo signore? È vero, che venendo da Monza s'era vantato col Conte (non so se ve ne ricordi) d'esser egli alla fine padrone di sè, e di sposare qual più gli piacesse a grado o a dispetto di Marco; ma quella era stata propriamente un po' sparata, ed ora a testa fredda non se la sentiva di romperla con quell'uomo: Marco Visconti! lo conosciamo un tantino, ed egli lo conosceva assai meglio di noi: e lasciando anche da una banda il terrore che potea ragionevolmente mettere in qualsivoglia animo più intrepido e baldanzoso l'inimicizia d'un uomo di quella tempra, Ottorino non poteva poi sostenere il pensiero di dover cadere in ira a lui che l'aveva sempre amato come un figliuolo, sotto al quale avea dato i primi passi nella carriera dell'armi, dalle cui mani era stato creato cavaliere; a lui ch'egli aveva sempre riguardato come un esempio, una guida, come la luce che illuminava la sua via.

E poi un'altra ragione: se il giovane avesse anche voluto far il bell'umore, saltar la sbarra, come si dice, e tôr Bice a dispetto di mare e di vento, ecco che il Conte gliel'avrebbe negata; l'avea detto troppo chiaro, che non voleva aver nulla a partire con Marco, e, non l'avesse detto, era facile l'indovinarlo.

Ottorino combattuto da tanti pensieri, cominciò a diventar torbido, paturnioso l'un dì più che l'altro, e quell'uggia che gli stava addosso non poteva a manco di lasciarla scorgere tanto o quanto ad Ermelinda ed alla figlia, colle quali soleva passare gran parte del suo tempo. Esse a stargli attorno perchè rivelasse la cagione di quella nuova cura, ed egli a schermirsene sempre, o col tacere, o col dar parola, o col voltar discorso; tanto che sì l'una che l'altra cominciarono ad entrare in sospetto di qualche cosa di grave.

E il padre della fanciulla?... Chi? il conte del Balzo? Pover'uomo! inebriato da tanti trionfi, dai complimenti che si succiava a tutte l'ore, dagli inchini, dalle sberrettate che gli fioccavano da ogni banda, come ad un amico intrinseco di Marco, non si ricordava quasi più d'aver nè una moglie nè una figlia; sto per dire che non sapea pur d'essere al mondo; e guai se Ermelinda attentavasi qualche volta di farlo calare da quella sua gloriosa altezza, per richiamarlo un istante alle cose di quaggiù; guai se gli toccava di Bice, delle nozze che non andavano innanzi, delle ombre che le avea fatto nascere in cuore il contegno d'Ottorino: guai! montava sulle furie. - E che fretta c'è? Lasciate che la cosa cammini pei suoi piedi: non è tutto appianato? che difficoltà ci può nascere? le darà l'anello quando gli tornerà; par che vi tardi di levarvela d'addosso! -

Ottorino dopo qualche giorno cominciò a lasciar correre alcuna parola del suo desiderio d'affrettar più che si potesse il parentado, insinuando però alla lontana nel discorso un motto del bisogno che ci sarebbe stato di tenerlo nascosto, e messo fra l'uscio e il muro da Ermelinda, la quale si risolvette di volerne veder l'acqua chiara, lasciò intendere a mezza bocca qualcosa di Marco, come a dire, che forse avrebbe potuto spiacergli che si pubblicasse tosto, per non parere d'aver egli rotto col Rusconi. La cosa poteva essere così, ma però la donna non vi si acquietò del tutto, chè, a suo credere, quel puro riguardo non sarebbe bastato a dare al giovane la passione che ne mostrava. Dunque si mise ad assediarlo, a tempestarlo, a tribolarlo, tanto che alla fine egli si lasciò andare a raccontar tutta di punto in punto la cosa com'ella stava, o, per dirla giusta, come credeva anch'egli ch'ella stesse; e se Ermelinda ne fu sconfortata e piena di spavento, potete pensarlo.

Dopo di ciò, qualora l'amorosa madre trovavasi sola colla figlia, e la vedeva taciturna e mesta, indovinando il tarlo che in quel silenzio le rodeva il cuore, che potea mai dirle? che non pensasse più alle nozze? che si scordasse di Ottorino? non credea veramente di essere ancora a questo; e poi capiva bene che sarebbe stato troppo tardi: alimentarle dunque in cuore una fiamma ch'ella un giorno non avesse poi forza di spegnere? una fiamma che le divorasse miseramente la vita?

Ella reputò dunque miglior partito di manifestarle ogni cosa. D'allora in poi Ottorino, stando spesso in segrete consulte colle donne, le veniva lusingando con tali speranze. - Marco, - diceva, - deve partir presto per la Toscana, dove dovrà indugiarsi, a quel che pare, un gran pezzo; ora la lontananza, le nuove brighe in che va a trovarsi avvolto, gli faranno sfumar via questi dispetti. Si vede chiaro che non è che un impegno che vuole spuntare, un capriccio momentaneo: è così fatto quell'uomo; ma quando Bice sia mia, tutto s'accomoderà per bene; vedrete, da cosa nasce cosa, e il tempo le governa: da qui a ora ch'egli torni, chi sa? potrebbe anche esser che a lui non importasse nulla il guastarsi col Rusconi, o che al Rusconi premesse troppo di tenersi amico il Visconti, per non fare il disgustato a cagione d'una cosa in aria; perchè, vi ripeto, non solo io non ho mai data parola, ma lo stesso Marco non è entrato in nessun impegno... E poi, la fedeltà che gli ho avuta, i servigi che gli ho resi... egli non è uso dimenticarle queste cose. -

Bice pareva acquietarsi a questa e ad altrettali ragioni, ma la madre non ne restava però tranquilla.

E un altro guaio era a pensare che se al Conte fosse venuto mai a trapelar nulla di quella renitenza di Marco, ogni cosa n'andava sossopra; che Dio ne guardi! piuttosto che mettersi al rischio di spiacere a quell'uomo, si sarebbe tolto a patto, non so che mi dire: dunque zitti tutti quanti; e nell'intesa che il parentado si sarebbe stretto tosto che Marco fosse partito per la Toscana, si tirò innanzi fino a quel giorno in cui venne alla casa del Balzo uno scudiere del Visconte, invitando da parte del suo signore il padre e la figliuola alla festa, di cui abbiam fatto cenno più indietro. Ottorino ne fu tutto consolato, e quantunque gli dolesse tanto di vedersene egli escluso, combattè tutte le ragioni che Ermelinda metteva in campo per ricusare al marito che vi conducesse la figlia, tutte le ragioni che Bice stessa veniva cavando fuori per non andarvi, tanto che fu conchiuso che anch'ella terrebbe l'invito.

La sera destinata per la festa, il Conte passeggiava in una sala della sua casa già bell'e all'ordine, con una roba di velluto fiorato e un par di calzaretti colla punta più lunga che non il piede, rivolta all'insù, e tenuta con una catenella d'oro che si allacciava sotto il ginocchio; passeggiava pavoneggiandosi tutto di trovarsi così vago. Una sorella di lui, che dovea accompagnar Bice in luogo della madre, seduta intanto presso Ernielinda, s'impazientiva di veder la nipote che s'indugiava or con questa or con quella scusa, e che da ultimo, facendo vista che le si fosse sconciato in capo un nastro d'argento, se lo faceva rassettare dalla sua Lauretta.

Un segreto terrore era entrato nell'animo della fanciulla vedendo avvicinarsi il punto in cui stava per comparire al cospetto di Marco, ora che sapeva come Ottorino gli fosse caduto in dispetto; ella tremava al solo immaginarsi d'aversi a trovar dinanzi a quell'uomo, sotto a quel suo sguardo indagatore, e avea bisogno di attingere un po' di coraggio dalla presenza, dalle parole del giovane, pei conforti del quale principalmente erasi lasciata piegare a tanto: ma il giovine non compariva; e, cosa strana! non s'era lasciato veder mai di tutto quel giorno.

Come il nastro fu accomodato, la zia si levò in piedi, e porgendo una mano a Bice, la quale non seppe più come scusarsi dal seguitarla, si avviò in compagnia di lei e del Conte; e già erano sull'uscio della sala, quando fu visto Ottorino entrare affrettatamente tutto affannato, colla faccia alterata gridando:

- Sapete? Lupo è stato preso dal satelliti dell'abate di Sant'Ambrogio, preso di notte, a tradimento, mentre dormiva: l'hanno condannato nel capo, e domani sarà l'ultimo suo giorno.

Lauretta, al sentire in qual punto si trovasse il suo caro fratello, scappò via mezza morta dallo spavento per darne avviso ai genitori: tutti gli altri rimasero come incantati.

- Ho pregato, ho promesso, ho minacciato, - seguitava Ottorino: - tutto invano: bisogna dire che l'abate sia sicuro dell'assenso di Marco, chè non avrebbe osato certamente di far metter le mani addosso a un mio scudiere, se ciò non fosse.

- Sentite, Ottorino, - disse il Conte balbettando: - io ve l'avea pur detto, avete voluto fare a vostro modo...

Ma la moglie e la figlia, tutt'e due in una volta, gli rupper le parole in bocca: che non si voleva perdersi in querele inutili, quando era da cercare qualche riparo.

- Perchè non correte voi da Marco? - tornò egli a dire ad Ottorino, - l'affronto è vostro; voi gli siete stretto per sangue e per amistà...

- Sono stato alla sua casa, ma ricusa di ascoltarmi.

- Come? come? che cosa avete detto? Marco non vi vuol sentire?

Il giovane nella passione, dimenticando ogni riguardo, disse per disteso tutto il fatto come stava, e che Marco, era già da un pezzo, che non gli veniva accordato di vederlo.

- Siete dunque in disgrazia del Visconte? - esclamava il padre di Bice. - Ah! capisco adesso quel che m'andava ingarbugliando Ermelinda poco fa; che non avessi a far sembiante di nulla con Marco, che non gli toccassi parola delle nozze stabilite, nè di voi, nè nulla. Ecco qui, ecco tutto il mistero che c'è sotto, e a me non se ne dice nulla eh? Bene, bene, com'è così, io me ne chiamo fuori, me ne lavo le mani io, per me non c'entro.

- E vorrete lasciar morire il figlio d'un vostro servitore, senza spendere una parola per salvargli la vita? quella vita che egli ha posto volenterosamente pel suo paese e per voi? - gli disse Ermelinda.

- Santo Dio! vedete bene, sono già in sospetto presso l'abate... E poi che attenenza ho io? che balìa sul cuor di Marco perchè possa pigliarmi tanta sicurtà?

Ma qui venne in aiuto dei supplicanti la sorella del Conte. - Come? - gli disse: - non siete voi l'amico più intrinseco che Marco si abbia? il suo confidente più caro? non l'avete detto voi medesimo le tante volte? e poi, non è ella cosa che si sa da tutti? e vorrete tirarvi indietro quando si tratta di salvare un vostro servitore?

- Ma santo Dio! se io potessi.

- Lo potete, e lo dovete fare, - insisteva la sorella.

- Sentite, - rincalzava Ottorino, - la notte che Marco si congeda da' suoi amici, nella gioia d'una festa, non vi potrà negare la prima grazia che gli domandate... egli ha l'animo umano... Ditegli che è un prode condannato a morire per aver salvato il suo paese, per aver tolti degl'innocenti dalle unghie d'una sfrenata canaglia: ditegli ch'egli è un soldato, il quale ha combattuto sotto le insegne del biscione, e le ha tinte del suo sangue; che non lasci morire un valoroso della morte dei malfattori; che Lupo ha un padre e una madre.

Qui il conte del Balzo volse gli occhi verso l'uscio, avendo sentito da quella parte un suono di gemiti e di pianti che veniva innanzi: poco stante l'uscio si spalancò, e furon visti entrar nella sala il falconiere, Marta e Lauretta, tutti in lagrime, pallidi, sbattuti dall'angoscia e dallo spavento. Ambrogio si gettò ai piedi del suo padrone, gli abbracciò le ginocchia, e levandogli in viso uno sguardo tutto stravolto, tentò di formar qualche parola, ma non usciva che un gemito rotto e inarticolato; gli si vedeano tremar le labbra smorte, si sentiva il battere convulso dei denti percossi insieme. Tutti gli occhi erano fissi su di lui; la stessa moglie, la stessa figliuola, pareva quasi che, sospeso il proprio dolore, non attendessero che a quello più tremendo ch'ei mostrava.

- Il mio figlio! il mio figlio! - esclamò egli alla fine profferendo a stento le parole. - Oh salvatemi il mio figlio!

Il Conte si chinò per rilevarlo dal suolo; ma egli crollando il capo e scuotendo una mano nell'aria: - No, - gridava, - lasciatemi qui, lasciatemi morir qui; io non mi leverò che non m'abbiate promesso di salvarlo.

- Farò tutto quello che sta in me; via, alzatevi, Ambrogio, fatevi coraggio: vi prometto che pregherò, che supplicherò; via quietatevi.

- Avete sentito? - disse allora Marianna, - il padrone ve l'ha promesso; dunque quietatevi, confidiamo nel Signore, e quietatevi.

- Me l'avete promesso? me l'avete promesso? Oh dite a quell'uomo nelle cui mani sta la vita del mio Lupo, a quell'uomo che con una parola può darmelo salvo, ditegli che si ricordi anch'egli di suo padre, di cui era il figlio prediletto... E se l'abate vuol pure una soddisfazione, son qua io, un sangue medesimo, una stessa carne... io che l'ho consigliato, e la colpa è mia: egli ha obbedito suo padre. - Accorgendosi in quella di Ottorino, che nella prima perturbazione gli era sfuggito dagli occhi, si levò in piedi a un tratto, e andandogli incontro con un atto più risoluto che rispettoso: - Tocca a voi, - gli disse, - a salvarlo; a voi che l'avete messo nel punto in ch'ei si trova.

- Vi pare? - scappò su tosto la sua donna in tuono di rimprovero, - vi pare che sian codesti i modi con un cavaliere tanto buono, che fa ogni cosa per lui, che è qui appunto per questo, vi pare?

- Oh che il Signore vi benedica! - proruppe Ambrogio tutto confortato, - perdonatemi; abbiate compassione d'un povero padre che è fuor di sè e non sa che si dica o che si faccia. Via, non perdete tempo, andate... andate, e tornate a portarmi la vita.

Il Conte si asciugò gli occhi, e: - Non dubitare, - gli disse ancora, - farò tutto quello che potrei fare per un mio figlio. - Fece segno a Bice e alla sorella che lo seguitassero, e s'avviarono. Allora Lauretta che non avea fatto mai altro che piangere e singhiozzare, corse innanzi a Bice nel momento che usciva dalla sala e le strinse una mano, e gliela baciò inondandola di lagrime: non potè profferire una parola; ma la preghiera era negli occhi suoi, sul suo volto, in tutta la persona.

Appena fuor dell'uscio, in una seconda sala, trovarono Bernardo, l'altro figlio del falconiere, che stava lì ritto come un voto ad aspettare.

È da sapersi che Marianna, la quale non vedeva altro al mondo al di là di quel suo cucco, al primo annunzio della novella fatale portata da Lauretta in casa, dove su quell'ora stavan tutti raccolti, era balzata in piedi. - A voi, Bernardo, - gridando, - tocca a voi, correte giù dal padrone, voi che sapete parlare. Noi siamo gente materiale, ma voi gli direte le cose come vanno dette. - Il fantoccio cominciava a tentennare, e che? e come? ma Ambrogio corse a precipizio giù per le scale, e la moglie e la figlia dietro a lui.

Ora nel tempo che il povero padre, prostrato ai ginocchi del padrone, lo supplicava con quelle parole che vengono dal cuore, e alle quali ogni cuore risponde, parole che l'arte ammira e nota con rispetto per imitarle, la donna nella sua caparbia scempiezza: - Oh santo Dio! - pensava, - non fa altro che piangere e lamentarsi; questo che vale? son buona anch'io di dirle queste cose qui: se fosse venuto Bernardo le avrebbe ben trovate lui le cose da dirsi - ; e però quando uscendo dalla prima sala anch'essa in compagnia degli altri, lo trovò lì sull'uscio, si consolò tutta, e pigliandolo per un braccio: - Via, parlategli voi, parlategli, - instava affannosamente, - chè noi non si è saputo dir nulla. -

Allora egli si pose dinanzi al Conte, e col tuono e colla maniera gelata d'uno che reciti una predica imparata a memoria, cominciava: - Quantunque Lupo... Sebbene quel traviato di mio fratello... - Ma il padre afferrandolo per una spalla gli diede una strappata e gli gridò: - Lascia ch'ei vada in nome di Dio.

Il padrone sgabellato tirò innanzi, e Bernardo rimase lì goffo al suo posto, ritto ritto, lungo lungo, colle braccia distese giù per le coscie, guardandogli dietro colla bocca aperta.

 

 




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