CAPITOLO TERZO
Viaggio all'isola di Dinamo, uno dei quattro grandi laboratorii della forza
planetaria. - Il Museo storico dell'evoluzione meccanica del nostro pianeta. -
Le tre grandi epoche storiche. - La scoperta di Macstrong e il pandinamo. - L'uffizio centrale della
distribuzione delle forze cosmiche.
I nostri
viaggiatori, dopo essersi riposati alcuni giorni in uno dei deliziosi alberghi
dell'Isola degli Esperimenti, dopo aver passeggiato all'ombra di quei boschi di
palme inghirlandate di rose; dopo essersi inebbriati di tutti i profumi di
quella flora inesausta e divina, aspettarono un vapore italiano, che doveva
portarli all'Isola di Dinamo e poi nelle Indie.
Il piroscafo
italiano li portò in poche ore dal porto dell'Eguaglianza a Dinamo.
Quest'isola fu un
tempo l'antica Andaman, abitata prima da una razza pigmea e selvaggia, che
scomparve come tante altre sotto il contatto omicida delle razze europee e
divenne colonia inglese, e poi, fondati gli Stati Uniti planetarii, uno dei
quattro grandi accumulatori di energie cosmiche, chiamati Dinami; dei quali uno
era posto a Malta, l'altro a Fernando di Noronha, un terzo in una delle Isole
Kurili e un quarto per l'appunto nell'antica Andaman.
Paolo voleva che
Maria vedesse uno di questi grandi laboratorii, dove si raccoglievano le
energie planetarie e venivano poi distribuite per mezzo di fili in tutte le
regioni del globo.
La Dinamo indiana,
dove sbarcarono i nostri viaggiatori, era divenuta una città e una scuola.
Città abitata dagli ingegneri, che dirigevano la gigantesca officina e scuola
dove accorrevano da ogni parte del mondo gli scolari, che volevano avere il
diploma di dinamologhi, o dottori nella scienza delle forze fisiche.
Sbarcando a Dinamo,
nessun rumore stridente, nessun fumo disgustoso, che annunziasse un'officina,
come invece era il caso delle antiche fabbriche. E per le vie nessun uomo
sporco di carbone o di sugna, o colla faccia logorata da lavori malsani o
eccessivi. Gli operai erano pulitamente vestiti, vigorosi d'aspetto, e quasi
per nulla si distinguevano dai loro capi, gli ingegneri dinamologhi.
Alberi sempre verdi riuniti in boschetti e aiuole di fiori
profumati separavano i diversi compartimenti dell'officina gigante.
I nostri due
viaggiatori chiesero, se si potesse vedere il Direttore generale dell'isola, ed
essi furono introdotti subito nel suo salotto, dove stava studiando.
Avevano per lui una
lettera di presentazione ed egli, appena l'ebbe scorsa, li fece sedere,
pregandoli ad aspettare un momento, perchè avrebbe incaricato un ingegnere di
accompagnarli nei diversi laboratorii di Dinamo.
Pochi momenti dopo
si presentò un giovane amabilissimo, che si mise a loro disposizione.
- Già, credo, che
lor signori non siano specialisti, e che desiderano di fare una corsa rapida
nelle nostre officine per farsi un'idea generale del modo, con cui qui
produciamo le forze e le distribuiamo nei più lontani paesi del mondo. Siccome
il nostro pianeta, possiede altri tre grandi centri eguali al nostro, ci siam
divisa la terra in quattro dipartimenti, e noi corrispondiamo con tutta l'Asia
e colla Micronesia.
Dalla palazzina
abitata dal Direttore scescero in un grande giardino. La palazzina era nel
centro e da essa per tante strade divergenti, come i raggi di una ruota, si
andava nei diversi laboratorii.
- Se credono, -
disse l'ingegnere, - andremo prima di tutto nel Museo storico, dove vedremo la
rapida evoluzione della meccanica attraverso i secoli dimostrata in altrettanti
modelli.
Maria, che non
conosceva l'esistenza dei grandi distributori planetarii della forza altro che
di nome, era tutt'occhi e tutt'orecchi e passava di curiosità in curiosità; di
ammirazione in ammirazione.
- Ecco, - disse
l'ingegnere, entrando nella prima sala del Museo, - i primi saggi preistorici
della meccanica; le forze degli animali adoperate a vantaggio dell'uomo.
Si vedevano i primi
aratri guidati dai bovi, i primi carri senza ruote, poi con ruote piene, poi
con ruote a raggi trascinati da cavalli, da asini, da muli. Vi erano
raffigurati tutti gli animali, che in tempi antichissimi avevano prestato i
loro muscoli all'uomo, dall'elefante al piccione viaggiatore, dal dromedario
allo struzzo, dal cane al renne.
In un altro salotto,
che veniva dopo il primo, si vedevano le prime applicazioni degli elementi
della natura; il mulino a vento e ad acqua, la barchetta e la nave mosse dalle
vele; tutte le applicazioni del fuoco, come grande modificatore della materia
bruta.
Anche Paolo, poco
dotto nella storia della meccanica, non sapeva intendere come agissero quelle
grandi ruote a vele dei mulini a vento, nè come le navi si movessero un tempo
soltanto per opera del vento.
- Ecco qui, - disse
l'ingegnere, entrando in un nuovo compartimento del Museo, - il gran salto che
fece la meccanica nel secolo XIX, adoperando il vapore e l'elettricità come
nuove forze, che l'uomo aveva fino allora ignorato. Si può dire, che la
locomotiva e la pila segnano una nuova êra, che ormai ha già undici secoli di
vita; così come vedremo più innanzi un'êra terza, l'ultima (per ora) segnata
dalla produzione artificiale e dall'applicazione della forza nervea alla
meccanica; forse la più grande delle umane scoperte e che si deve al grande
inglese Macstrong, che morì nell'anno 2654 e di cui vedrete la statua nel parco
qui vicino accanto a quelle del Volta e del Watt.
Qui dove siamo
vedete in altrettanti modelli rappresentate tutte le applicazioni del vapore e
dell'elettricità, le antiche locomotive, le antichissime pile, poi le più
moderne; gli antichi telegrafi, i telefoni, i fonografi e tutti gli ingegnosi
apparecchi, che aprirono orizzonti nuovi all'umana famiglia sulla fine del
secolo XIX e in tutto il secolo XX.
Io credo che la
rapidità delle comunicazioni, - continuava a dire l'ingegnere, - ottenute col
vapore e col telegrafo hanno contribuito più di tutti i libri, di tutti i
giornali, più di tutti i parlamenti, di tutti i codici ed anche di tutte le religioni
a distruggere l'antica e scellerata epoca delle guerre fra popolo e popolo e a
creare una nuova morale; sana e sincera.
Verso la fine del
secolo XIX, la fede cristiana, che era quella dei popoli più civili d'allora,
aveva quasi perduta ogni influenza moralizzatrice e mentre cadevano tarlati dal
tempo e dalla scienza gli antichi templi, dove per tanti secoli gli uomini
avevano pregato e sperato; mentre preti e soldati e re puntellavano per ogni
parte gli edifizi decrepiti; la gente onesta, cioè i poeti dell'avvenire e i
galantuomini del presente, era tutta sgomenta per la morale umana, che sembrava decadere ogni giorno per cadere in una
bassa speculazione di piaceri facili e commerciabili. Senza un Dio
amministratore, come avrebbe potuto salvarsi la nave della morale?
Intanto tutti
deploravano il presente, temevano l'avvenire; ma non sapevano chi avrebbe
potuto salvare dal naufragio l'umana famiglia, chi avrebbe potuto predicare il
nuovo Verbo, chi avrebbe salvato gli uomini dalla putredine. Si ripeteva a un
dipresso quello che diciotto secoli prima si era veduto nel mondo antico, cioè
l'aspettativa di un Messia, di un uomo, che avrebbe rigenerata l'umanità e
proclamato nella storia una nuova êra.
In mezzo a tante
paure angosciose e a tanto sfacelo di chiese e di Dei, era la scienza, che
preparava all'insaputa e al dispetto di filosofi e di teologi l'êra nuova. Era
la meccanica, era la fisica, era la chimica, che senza teorie parolaie, nè
sofismi di scuole; colle ferrovie, col telegrafo e tutti gli altri apparecchi
ingegnosi inveritati in quell'epoca, avvicinavano gli uomini gli uni agli
altri, rendendo difficili gli odii e impossibile la guerra. Conoscersi, vedersi
ogni giorno, potersi parlare agli antipodi, vuol dire amarsi, vuol dire
stringersi le destre, per raddoppiare la gioia e confortare i comuni dolori.
La nuova morale escì
proprio da quei laboratorii, che i preti avevano maledetto come officine di
iniquità; e la poesia, che i miopi d'allora credevano sepolta per sempre, sorse più bella e rinnovellata di nuove
fronde, trovando ispirazioni nuove nell'indefinita libertà delle umane energie
e nella contemplazione sapiente delle forze della natura.
Il Vangelo del
Cristo fu ai suoi tempi un'opera santa, fu una grande battaglia vinta dalla giustizia
universale; ma nel secolo XX la scuola di Edison scrisse un altro libro sulle
applicazioni dell'elettricità, che esercitò un'influenza ben più potente sulla
morale dell'avvenire. -
L'ingegnere, che
serviva di guida a Paolo e a Maria, era giovane e innamorato della sua scienza
e il calore delle sue parole entusiasmava i due viaggiatori, che pendevano dal
suo labbro. Tutto ciò che vedevano era per essi cosa nuova, e tutto ciò che
udivano, pareva fosse una luce vivissima, che uscendo dalle tenebre del passato
lontano, illuminasse le tenebre dell'avvenire....
- Ed ora, - disse
l'ingegnere, - lasciamo l'êra di Watt e di Volta e passiamo in quella del
Macstrong, l'ultima e la più feconda fra tutte.
Credo di non
esagerare dicendo, che la scoperta di Macstrong è la più grande fra tutte
quelle che onorano l'umanità, tanto per la sua originalità, quanto per i
risultati che ha dato e il passo gigantesco che ha fatto fare alla civiltà.
E voi non
credereste, che questa scoperta si deve ad una lucciola.
Questo piccolo
insetto fu per quel grand'uomo ciò che fu la lampada della cattedrale di Pisa
per Galileo e la mela caduta dall'albero per Newton. Eppure per quanti secoli
gli uomini avevano veduto nella notte volare le lucciole, accendendo e
spegnendo la loro piccola fiamma d'amore!
Il grande inglese in
una sera d'estate passeggiava lungo il Ticino a Pavia, ammirando come, avevano
fatto milioni prima di lui le mille lucciolette, che scintillavano per l'aria.
Seduto sull'argine
del fiume, col capo appoggiato ad una mano, meditava profondamente, quando a un
tratto si alzò in un impeto di gioia e di entusiasmo creatore e come tanti
secoli prima aveva gridato Archimede, esclamò: Eureka!
La grande scoperta
era fatta!
Ed egli nelle sue
memorie lasciò scritto l'evoluzione del pensiero, che lo condusse alla sua
immortale e feconda scoperta.
Ecco, egli pensò, un
piccolissimo insetto, che senza pile e senza grandi apparecchi produce la luce
a sua volontà come a sua volontà la spegne. Ma gli altri animali non son forse
capaci senza ordegni complicati di produrre calore, elettricità; tutte le forze
insomma, che l'uomo genera a furia di meccanismi intricati, con macchine dove
entrano metalli, ruote, acidi potentissimi?
La torpedine e il
ginnoto non producono coi loro tessuti una quantità straordinaria di
elettricità?
E tutti gli animali
a sangue caldo non producono forse costantemente del calore, che in taluni di
essi supera i quaranta gradi?
E i piccioni non
percorrono lo spazio con una velocità superiore a quella delle locomotive, e
gli insetti non producono una forza muscolare, che in rapporto col loro volume
è superiore a quella delle nostre macchine migliori?
Dunque gli animali
possono senza metalli, senza caldaie, senza pile, senza acidi produrre moto,
luce, elettricità. Studiamo come la producono questa forza e imitiamoli. Tutte
quante le invenzioni umane, e che con troppa superbia diciamo creazioni nostre,
non sono che imitazioni della natura; non sono che applicazioni di forze, che
sono esistite prima di noi e senza di noi.
Da quel giorno
Macstrong si chiuse nel suo laboratorio, studiando al microscopio e
coll'analisi chimica i caratteri intimi del protoplasma dei corpi vivi e dopo
diversi anni di ricerche trovò modo di produrlo artificialmente, colla sintesi
organica e gli diede il nome di pandinamo; perchè con facili maneggi si
può da quella sostanza onnipotente far sprigionare la luce, il calore,
l'elettricità, il movimento, il magnetismo.
Il pandinamo ha
messo in seconda linea locomotive, pile, tutti i macchinosi ordegni dell'antica
meccanica, riducendoli a piccolissimo volume e a facile applicazione. Qui nel
Museo vedete tutta la serie delle fasi per le quali passò la grande scoperta
del Macstrong, che fu poi perfezionata dai suoi discepoli e dai successori in
parecchi secoli di ricerche e di studi.
Nel laboratorio
centrale di quest'isola voi vedrete come si ottiene il pandinamo, che
distribuisce le diverse forze, che sprigiona, alle più lontane regioni del
nostro pianeta.
Con leggere
compressioni e reattivi speciali un semplice
operaio manda una corrente, che darà luce, calore, elettricità o forza
meccanica a piacimento; secondo che lo esige la richiesta delle officine
lontane o lontanissime. E i fili che portano e guidano queste correnti non sono
più di metallo, come negli antichi telegrafi e telefoni, ma son tubetti di una
sostanza albuminoide elastica e tenacissima, chiusi l'uno nell'altro e separati
da un liquido speciale. Uno stesso tubo può in questo modo e contemporaneamente
portare correnti di diversa natura e che daranno luce, calore o movimento.
L'attuale Direttore,
che è uno dei più profondi e celebri scienziati, sta ora studiando il modo di
trasmettere la forza senza bisogno di tubi conduttori (che poi non sono che una
copia dei nostri nervi) attraverso la corteccia della terra e spera di
riuscirvi; dacchè quando si tratta di trasmettere una forza unica, può da
quest'isola, per esempio illuminare
a un tratto tutta la catena dell'Imalaia, come se n'è fatto lo sperimento nel
mese scorso. -
Maria era
sbalordita, commossa, estatica alle parole del bravo ingegnere che li guidava e
non potè a meno di dirgli:
- Ma, crede lei, che
un giorno potremo produrre artificialmente anche il pensiero in protoplasmi
creati da noi?
- E perchè no? -
rispose il giovane entusiasta. - Anche il pensiero è una forza che si sprigiona
da cellule fatte di protoplasma, e quando noi potremo perfezionare il pandinamo
di Macstrong in modo da renderlo simile a quello, che costituisce la sostanza
grigia del nostro cervello, potremo farlo capace di pensiero, come oggi è
suscettibile di darci luce, calore e elettricità. I limiti del possibile per
nostra grande fortuna non sono segnati da nessuna legge e possiamo sperare di
spingerlo sempre più in là ad ogni
nuova generazione di uomini; ad ogni nostra scoperta, ad ogni nostra
invenzione. Ma andiamo a visitare l'ufficio di distribuzione delle forze, che è
come la nostra posta. -
E ufficio postale
era davvero, perchè un'infinità di fili vi convergevano.
Era una gran sala
ottagona, dove sedevano in altrettanti posti gli impiegati, che ricevevano i
dispacci e trasmettevano le forze richieste dai diversi punti del globo. Come
avviene nei nostri nervi, gli stessi fili che portavano dovunque la luce, il
calore e l'elettricità servivano ai corrispondenti per esprimere i loro
bisogni.
L'ingegnere
s'avvicinò ad uno degli uffici trasmissori e disse:
- Venite qua a
vedere. Ecco un dispaccio che giunge da Pechino:
Domani gran festa
in onore di Confucio. Abbisogniamo per tutta la notte luce intensa azzurra, che
si alterni con luce rossa.
- E noi manderemo
domani ciò che si domanda dalla China.
Passò poi a un altro
uffizio, quello che distribuiva la forza meccanica.
- Venite qui. Ecco
un dispaccio, che arriva in questo momento dal Davalagiri nell'Imalaia:
Nel tunnel, che si
sta scavando attraverso l'Imalaia, trovata una roccia quarzosa durissima,
abbisogniamo di una forza triplicata di perforazione.
- E noi ubbidiremo
subito alla domanda di forza richiesta.
Dopo essersi fermato
a diversi uffizi distributori, l'ingegnere condusse i nostri due viaggiatori
nel centro della sala, dove sopra un tavolo rotondo si vedeva una gigantesca
carta geografica, dove eran segnate in rosso tutte le regioni, colle quali
corrispondeva l'isola di Dinamo.
- Vedete, - diceva
l'ingegnere, - su questa carta ogni sera noi segniamo le richieste delle forze,
che ci si fanno dai diversi punti della nostra regione e l'intensità loro; così
come le sospensioni di invio, che occorrono.
Ogni giorno la carta
è rinnovata e a capo dell'anno si riuniscono in un volume tutte quante le
carte, che ci danno così il modo di segnare il nostro bilancio. Gli altri tre
centri planetarii compiono lo stesso lavoro e così, riunendosi ogni anno in
Andropoli i quattro volumi, abbiamo segnato con esattezza matematica il bilancio
complessivo della civiltà planetaria. -
Maria si azzardò a
dire:
- Della civiltà
meccanica, però.... non della morale.
L'ingegnere sorrise,
poi:
- Signora
gentilissima, io come ingegnere non posso occuparmi che del progresso
meccanico; ma creda pure che questo va quasi sempre
parallelo al progresso morale. Ad Andropoli però, se ella vi andrà, potrà
vedere come ogni anno si raccolgono anche le cifre, che segnano il progresso
morale dell'umanità.
***
I nostri
viaggiatori, passando di meraviglia in meraviglia, visitarono l'un dopo l'altro
tutti i laboratorii di Dinamo, e dopo aver ringraziato il gentile ingegnere,
che li aveva accompagnati, lasciarono l'isola più superbi di prima di essere
uomini.
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