CAPITOLO SETTIMO
Il Palazzo della Scuola. - La prima scuola. - La scuola media. - La
scuola degli alti studi. - Lezione sull'influenza della passione sulla logica
del pensiero.
Dirimpetto al
Ginnasio s'innalza severo e grande un gigantesco edifizio, composto di tre
palazzi riuniti da una galleria comune e da giardini.
Sul vestibolo di
architettura greca si leggono queste parole:
Volere è potere,
ma a patto di sapere.
Maria lesse questo
motto con sorpresa e con ammirazione e volta a Paolo gli disse:
- Oh quanta sapienza
in queste poche parole! Mi pare che in esse è riposta tutta la scienza della
vita. Esse possono servire di pietra fondamentale all'arte di esser felici e a
tutta la pedagogia. E chi le avrà pensate?
- Credo che le
avranno pensate tutti quanti gli uomini di buon senso, dacchè il germe di tutte
le grandi verità è riposto in ogni cervello ben organizzato; ma chi le
pronunziò per la prima volta fu un cittadino di Firenze, che visse verso la
fine del secolo XIX; che fu deputato, sindaco della sua città ed anche ministro.
Si chiamava Ubaldino Peruzzi, e fu arguto, attivo, pieno di attico sale e di
buon senso. E a provarlo basterebbero queste sante parole, che oggi vediamo
scolpite in caratteri d'oro sul Palazzo della Scuola. -
Al Palazzo della
Scuola si sale per una larga scalinata, alla cui sommità proprio nel mezzo si
vede una statua colossale, che rappresenta la Scienza.
Quella statua è fusa
in elettro, metallo fatto d'una lega d'argento, di palladio e di
alluminio, che vince in bianchezza la neve e in splendore supera tutti i
metalli più sfolgoranti conosciuti nell'antichità. Quando il sole la illumina,
brilla di tanta luce, che appena si può guardarla e nella notte splende ancor
più, illuminata sempre dalla luce
elettrica.
La statua ha due
grandi occhi fatti di diamante, che col sole e colla luce elettrica paiono due
stelle. Guarda verso il cielo sorridendo, come se spiasse il lontano orizzonte,
e col braccio destro rivolto in alto tiene una fiaccola, che coll'artifizio di
diverse luci, dei colori dell'iride, sparge tutto all'intorno come tanti raggi
sfolgoranti.
Il Palazzo della
Scuola è in una piazza posta ad una certa altura, per cui quella statua veduta
nella notte da ogni punto della città sembra
un faro.
E infatti è il faro
di Andropoli, è la luce della scienza, che dalla capitale del nostro pianeta sembra illuminare tutto il mondo.
E non fu forse la
scienza, quella che guidò gli uomini alla ricerca del vero e del buono?
E non fu forse la
scienza, che trasformò il selvaggio irsuto e feroce, preda delle belve e degli
uragani, nell'uomo bello e potente, che guida il fulmine, trafora i continenti,
e che lo ha fatto padrone assoluto del suo pianeta e gli fa sperare nell'anno
3000 di far sentire la sua voce ai suoi colleghi planetarii?
Paolo e Maria,
entrati nel vestibolo del palazzo, seppero che i tre edifizii dei quali è
composto sono dedicati alle tre grandi branche dell'insegnamento:
La prima scuola.
La scuola media.
Gli alti studii.
Vollero visitare la
prima scuola accompagnati da uno dei maestri, che si offerse loro come guida.
Percorsero
rapidamente le ampie sale ben ventilate, innondate di luce e di aria pura e
dove siedono gli scolaretti; uno separato dall'altro e seduti in comoda sedia
col rispettivo scrittoio.
I maestri circolano
fra banco e banco, badando al compito assegnato, dando consigli e ammonizioni
secondo il caso.
In una delle scuole
gli scolari stanno scrivendo. Non è la scrittura antica durata fino al secolo
XXI, nella quale vocali e consonanti dovevano esser tutte quante rappresentate
da una lettera; ma era una stenografia, in cui le vocali eran tutte ommesse o
indicate da segni semplicissimi; per
cui la scrittura era dieci volte più celere dell'antica.
Il maestro, che
serviva di guida ai nostri viaggiatori, disse loro che in quelle scuole
elementari giungono i ragazzi dopo i sei anni e che quasi tutti hanno già
imparato nelle loro famiglie il leggere e lo scrivere.
- Qui noi insegniamo
praticamente la morale, l'aritmetica, un po' di storia, l'arte di esprimere i
proprii pensieri nella lingua cosmica, gli elementi di fisica, di chimica e di
scienze naturali, che possono riuscire più indispensabili alla pratica della
vita. Nessun insegnamento religioso, perchè ogni famiglia ha la propria
religione, e i genitori, secondo le loro idee, istruiscono i figliuoli in
quella religione che hanno adottato.
In questa prima
scuola ragazzi e ragazze studiano insieme e i maestri son maschi e femmine
senza distinzione e i genitori però hanno diritto di scegliere un maestro o una
maestra a loro piacimento.
L'istruzione
elementare non dura che tre anni. Gli scolari pagano quasi tutti
l'insegnamento, che è loro conferito. Non è che ai poverissimi che provvede lo
Stato. Le lezioni non durano che tre ore al giorno, con due giorni di vacanza
per settimana. -
Dalla prima scuola
passarono i nostri pellegrini alla Scuola media, che corrisponde alla Scuola
secondaria del mondo antico.
Vi si insegna tutto
ciò che serve alla coltura generale e l'insegnamento è diviso in due grandi
branche.
Gli studii
scientifici.
Gli studii letterarii.
Nessuna lingua
antica: si studiano soltanto gli scrittori della lingua cosmica e nell'analisi
critica delle loro opere si cerca di educare il sentimento del bello.
La storia e la
geografia si insegnano a tutti e formano lo scheletro dell'insegnamento.
La filosofia è
scomunicata da un pezzo, perfino nel nome, ed è stata sostituita dalla
psicologia e dall'antropologia.
Negli studii
scientifici è data una parte maggiore all'insegnamento delle scienze naturali,
delle matematiche elementari, della meccanica, della fisica e della chimica.
Laboratorii e
officine sono annessi ad ogni insegnamento e gli scolari, che devono avere
almeno dodici anni di età, completano il corso dei loro studii in quattro anni.
Finito il corso, un
esame molto rigoroso dà la patente di coltura generale e di questa si
accontentano tutti coloro, che non volendo esercitare alcuna professione
speciale, non hanno altra aspirazione che quella di essere uomini colti, di
amministrare i proprii beni e di perfezionarsi poi da sè, seguendo liberamente
le lezioni dei corsi superiori.
La Scuola media
dà una patente letteraria e una patente scientifica.
La prima è
necessaria per chi voglia darsi alla professione di giudice o di scrittore, la
seconda per chi voglia divenire ingegnere (di qualunque delle tante branche
dell'ingegneria) o medico.
La Scuola degli
alti studii ha corsi distinti per i professionisti e per la scienza pura e
corrisponde all'Università degli antichi. Non c'è obbligo di iscrizione per
nessun scolaro e l'esame finale non è necessario che per coloro che desiderano
un diploma professionale.
Anche qui uomini e
donne siedono sugli stessi banchi e dalla cattedra dettano lezione anche
parecchie donne.
Per esser professore
nella prima scuola o nella media si deve avere una patente, che non si concede
che dopo un esame lungo e molto severo.
Per dettare lezioni
nell'Alta scuola non si esige alcun esame, ma si devono presentare opere
stampate.
Le cattedre sono
infinite di numero, perchè ognuno, che siasi dedicato a una ricerca speciale,
può aprire un corso sull'argomento prediletto, purchè ne abbia fatto dimanda al
Consiglio superiore delle Scuole, composto di tre soli individui, che
rappresentano le tre branche dell'insegnamento.
Paolo e Maria ebbero
voglia di assistere ad una delle tante lezioni, che si facevano in quel giorno,
e entrati a caso in una sala, videro annunziato l'argomento, che tratterebbe il
professore in quel giorno.
L'annunzio diceva:
Storia degli
errori umani. Influenza delle passioni sulla logica del pensiero.
La lezione non durò
che un'ora e diede ai nostri viaggiatori un grandissimo diletto.
L'oratore era molto
dotto, aveva la parola facile, abbondante, e colla sua arguzia talvolta mordace
rendeva piacevole anche la più arida dottrina e la storia documentata degli errori
umani.
Tutto il corso di
quell'anno e del successivo doveva essere dedicato alla storia degli errori
umani; ma in quel giorno il professore dedicava la sua eloquenza all'esame
dell'antica avvocatura e degli errori, nei quali era trascinata un tempo la
ragione umana dai periti scientifici, che i tribunali assegnavano alla difesa o
all'accusa dei delinquenti.
"Vi fu un tempo
(diceva egli) di lontanissima barbarie, in cui a forza di voler rischiarare i
problemi della colpa, a furia di voler portare troppa luce nei giudizii onde la
verità ne uscisse limpida e chiara, si abbagliavano talmente gli occhi dei
giudici, da portarli alle sentenze più assurde.
"I giudici, che
avrebbero dovuto essere soli competenti, avevano di contro un pugno di uomini
trovati per strada, medici o ingegneri o commercianti, che non avevano mai
studiato neppure l'alfabeto della scienza giuridica e che pure in ultimo
dovevano sentenziare, assolvere o condannare.
"E i poveri
giurati, innocenti nella loro ignoranza, paurosi della loro immeritata
responsabilità, si volgevano ai periti tecnici, agli uomini di scienza, che
avrebbero dovuto illuminarli, e la luce sovrapposta alla luce produceva invece
tenebre sempre più dense.
"I periti della
difesa dicevano:
"Non vi è
veleno nelle viscere della vittima.
"E i periti
dell'accusa dicevano invece:
"Vi è veleno.
"E i poveri
giurati davanti a così sfacciate contraddizioni, abbagliati e confusi dal cozzo
dell'eloquenza avvocatesca, dalle liriche invettive dei giudici, sballottati fra
la scienza che negava da sè stessa la propria efficacia colle flagranti
contraddizioni e perduti nel labirinto dei sofismi, dei paradossi, della
dialettica, che cadevano sulle loro spalle come tanti proiettili in un dì di
battaglia, finivano per abbandonarsi alla suggestione del sentimento; il più
infido dei giudici nel campo della giustizia, e sentenziavano col cuore, invece
che colla ragione.
"E in ultima
analisi, non era la scienza giuridica, non la scienza dei periti che dava il
supremo giudizio, ma era l'egoismo o la compassione.
"Il primo
diceva ai giurati:
"Quell'uomo ha
rubato: lasciato libero, potrà rubare ancora e mettere le sue mani anche nelle
tue tasche.
"Dunque in
prigione, alla galera.
"Quella donna,
bella e giovane ha peccato in amore. Quanto volentieri avrei diviso il peccato
con lei!
"Poveretta! Le
sia data la libertà.
"E quando
invece la compassione compariva o scuoteva le fibre sensibili dei giurati, era
assolto il colpevole, quando la compassione per lui era più forte che per la
vittima. Era invece condannato, quando gli avvocati eran riusciti, a far
sentire più forte la compassione per la vittima.
"Come vedete, -
diceva il professore, - era un problema di affinità elettiva, era una lotta del
sentimento colla ragione e la povera giustizia andava sommersa troppo spesso in
queste lotte molto disuguali.
"Ecco che cosa
era la giustizia dieci secoli or sono. Ma non vogliamo essere troppo superbi
noi altri uomini del secolo XXXI, perchè anche noi non sappiamo sempre disgiungere e separare nettamente il cuore
dal pensiero, nei nostri giudizii."
La lezione, spesso
interrotta da risate di approvazione, fu fragorosamente applaudita al suo fine
e i nostri, viaggiatori lasciarono il Palazzo della Scuola, molto contenti
della loro visita.
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