CAPITOLO OTTAVO
Gita ad Igeia. - La statua innalzata ai medici più illustri
dell'antichità. - L'anticamera dei malati. - Le sezioni dell'Igeia. - La visita
ad un tubercoloso fatta da un pneumologo.
- La moneta di cartoncino dell'anno 3000. - Dipartimento degli Igei. - La
visita ai bambini neonati. - Soppressione di un bambino. - Una madre, pietosa e
crudele in una volta sola.
Paolo svegliò Maria,
che dormiva ancora, stanca di una lunghissima passeggiata fatta il giorno
innanzi, dicendole:
- Abbi pazienza e
alzati subito, perchè il Direttore dell'Igeia mi ha dato appuntamento per
questa mattina, onde vedere il grande Istituto della salute, dove si curano i
malati o i feriti, che hanno bisogno di una cura urgente. -
Maria non si fece
pregare due volte e in mezz'ora era vestita e pronta alla gita combinata.
Con una breve
passeggiata salirono sopra un colle posto nella più amena e ridente posizione
di Andropoli e dove si innalza gigantesco e maestoso il grande edificio
d'Igeia. Tutt'all'intorno alberi sempre
verdi di conifere del Giappone e della China, che fanno un'ombra fresca e
spandono tutto all'intorno un simpatico aroma di resina. Sotto quelle piante si
vedono molte panche di legno, dove siedono i convalescenti.
Entrati per la porta
principale si trovarono in un ampio cortile, tutto popolato di statue di marmo
e di bronzo, che si innalzano fra aiuole profumate di fiori.
Nel centro
campeggiano tre statue, quelle dei tre grandi fondatori della medicina antica.
- Vedi, Maria,
questo è Ippocrate, medico greco, che visse quattro secoli prima del Cristo e
che fu per molti anni il padre dell'antica medicina. Egli ci ha lasciata la più
vasta enciclopedia di scienza medica, che mai sia stata scritta da un solo
uomo. Nei suoi libri si trovano verità, che son vere anche oggi.
Quest'altro è
Avicenna, medico arabo, a cui fu innalzata questa statua, non per la
farraginosa compilazione polifarmaca di mille ricette, ma perchè scrisse, che la
medicina è l'arte di conservare la salute; profetizzando così ciò che
sarebbe l'arte medica molti secoli dopo di lui.
Quest'altro è
Galeno, medico greco anch'egli, ma che esercitò l'arte sua a Roma. Egli ha
messo la prima pietra all'anatomia umana, desumendola da quella della scimmia,
non essendo ai suoi tempi lecito il taglio del cadavere dell'uomo. Oltre a
questa sua gloria egli fece fare passi giganteschi alla medicina e alla
chirurgia.
Tutt'all'intorno, tu
vedi più di una cinquantina di altre statue, innalzate tutte per trasmettere ai
posteri la memoria di medici illustri; nè io starò a indicarteli tutti, perchè
dovrei farti la storia di tutta l'arte medica, nei suoi molteplici rami. Voglio
soltanto che ci fermiamo dinanzi ai più grandi fra essi.
Questo è Jenner, che
colla scoperta del pus vaccinico e della vaccinazione, preparò quella del
Pasteur, che visse e morì in Francia nella seconda metà del secolo XIX, e che
estese la vaccinazione al carbonchio, alla idrofobia, aprendo una nuova êra
all'arte curativa. E come tu vedi, la sua statua fu messa con molta ragione accanto
a quella dello Jenner.
Subito dopo la
statua del Pasteur, tu vedi quella del Lister, che colla sua cura antisettica
salvò milioni di vittime, rendendo possibili le più audaci operazioni
chirurgiche, e innocue quasi tutte.
Quest'altra statua è
innalzata al dottor Micali, medico italiano, che nel secolo XXV, perfezionando
la luce Röntgen riuscì a render trasparente tutto quanto il corpo umano,
permettendo così di vedere ad occhio nudo il cervello, i polmoni, il cuore;
tutti quanti i visceri e perfino il midollo delle ossa.
Dopo questa scoperta
furono inutili il plessimetro, lo stetoscopio e tutti gli altri strumenti
ingegnosi, coi quali dal secolo XIX al XXV si cercava di conoscere le
alterazioni profonde dei nostri organi interni.
Questa altra statua,
che in ordine di tempo è la ultima innalzata ai medici illustri, è quella del
dottor Yang-Feu, medico chinese, che trovò modo di sopprimere il dolore fisico
e di calmare anche tutti i dolori morali, appena essi compaiono. È con un
ordegno piccolissimo e che ognuno può tenere nella sua tasca e che si chiama algofobo.
Ha due punte smussate, come chi dicesse due poli. Uno di essi si applica al
vertice del capo, l'altro nel mezzo della colonna vertebrale; per essi si fa
passare una corrente, che narcotizza tutte quante le cellule sensibili e il
dolore cessa all'istante.
Un tempo anche la semplice carie di un dente, una semplice indigestione, perfino il parto il più
normale di questo mondo erano sorgenti di terribili dolori, che facevano
maledire la vita. Oggi se non si guariscono tutte le malattie, si è soppresso
però il dolore, che le accompagnava quasi tutte e che era di diverse forme;
l'una più tormentosa dell'altra.
Una volta il morire
di morte naturale era rarissima eccezione e se ne contava un caso fortunato
forse sopra mille, e tutti quanti gli uomini morivano per malattia. Oggi invece
la regola generale è di morire di vecchiaia e senza dolore, perchè, come
vedrai, si sopprimono fin dalla nascita tutti gli organismi mal fatti, e la
malattia, che si scopre dal suo primo apparire, si può quasi sempre guarire e soffocare nei suoi primordii. Non
muoiono di malattia che quelli che non hanno potuto a tempo consultare il
medico, o che per ferite o cadute gravi presentano tali lesioni traumatiche,
che non permettono più la vita. -
Mentre Paolo cercava
di informare la sua dolce compagna degli infiniti progressi fatti dalla
medicina nel corso dei secoli, apparve loro innanzi il Direttore, che, avendoli
veduti dalle finestre del suo studio, era sceso frettoloso per incontrarli.
Dopo aver dato loro
il benvenuto, li accompagnò attraverso le sale d'aspetto, dove siedono i malati
o quelli che si credono tali, aspettando la visita.
Maria sentì il
bisogno di dirigere subito questa domanda al Direttore dell'Igeia:
- Ma tutta questa
gente deve essere ben poco malata, se colle sue gambe vien qui a consultare i
medici dello stabilimento.
- Cara signora, un
tempo non si chiamava il medico, che quando il male era già tanto avanzato, da
obbligare il paziente a letto e in modo anche da rendere quasi sempre difficile ed anche impossibile la guarigione.
Ora invece si sa,
che quasi nessuna malattia ci cade addosso come un fulmine, ma si prepara con
disturbi quasi impercettibili e che sfuggono ai cattivi osservatori.
È per questo, che in
tutte le scuole si insegna a tutti ad osservare attentamente il proprio
organismo e l'andamento delle funzioni. E appena uno si accorge di avere il più
piccolo dolore o il più piccolo disturbo, accorre qui o in un'altra Igeia per
far osservare i proprii visceri e soffocare così fin nella culla il menomo
male, che lo minacciasse.
Una volta si figuri,
gentile signora, che un solo uomo curava tutte quante le malattie. Il medico
era allora chirurgo, ostetrico, oculista; ma nel secolo XIX la scienza nostra era
già così progredita, che i medici dovettero specializzarsi e si ebbero
chirurghi, oculisti, medici dell'orecchio, del petto, del ventricolo, ecc.,
ecc.
Questa suddivisione
del lavoro medico andò sempre più
allargandosi, finchè oggi per ogni viscere abbiamo uno specialista, tante e
tante sono le alterazioni che può subire ogni organo e tanti sono i mezzi per
ricondurlo all'andamento normale delle sue funzioni. Si figuri, che per il solo
cervello abbiamo almeno una ventina di specialisti, che curano le malattie
delle cellule motrici e delle pensanti, che studiano le malattie del pensiero,
della volontà e così via; così come abbiam osteopati per le affezioni
delle ossa, ematopati per le malattie del sangue, epatopati per
quelle del fegato, nefropati per quelle del rene, gastropati per
quelle del ventricolo, e così di seguito.
Abbiamo poi la più
alta gerarchia fra i medici, quella degli Igei, che studiano gli
organismi sani, per spiare prima dello sviluppo della malattia la disposizione
ad ammalare; e sono essi che visitano i neonati per verificare se sono atti
alla vita. Anche fra essi si è formata una sottospecialità, che è quella dei Psicoigei,
che come vedremo fra poco, constatano nel neonato le future attitudini al
delitto, onde sopprimere i delinquenti, prima ch'essi possano recar danno alla
società in cui son nati.
Ma ecco qui, che un
medico astante passa in rivista i clienti giunti questa mattina, per indicare
loro a quale sezione dell'Igeia devono dirigersi per essere visitati -
Un giovane chiamava
i clienti per il numero, che era stato loro consegnato alla porta, e dopo aver
domandato loro di che soffrissero, indicava loro se dovessero consultare il gastropato,
l'epatopato o l'ematopato.
Era una visita molto
sommaria e l'indicazione poteva anche essere sbagliata, ma lo specialista
l'avrebbe poi corretta, quando avesse visitato il cliente colla luce
perfezionata del Röntgen.
Quest'operazione
distributiva dei malati si faceva col massimo ordine, senza dispute e senza
confusione e in meno di mezz'ora tutta la sala rimase vuota, perchè ognuno
aveva avuto l'indicazione, che doveva guidarlo all'uno o all'altro dipartimento
dell'Igeia.
- Ed ora che abbiamo
veduto la sala d'aspetto, - disse il Direttore, - andiamo a visitare uno dei
tanti compartimenti, nei quali gli specialisti osservano i malati e prescrivono
loro il metodo di cura. Se non dispiace loro, andremo nella sezione dei pneumopati,
cioè di quelli che soffrono degli organi respiratorii. -
Entrarono infatti in
questa sezione, dove molti malati d'ambo i sessi aspettavano di essere
visitati.
Un giovane gracile,
pallido e sottile stava per l'appunto aspettando la chiama.
Il pneumologo
lo invitò a svestirsi e quando fu del tutto nudo, lo pregò di mettersi in piedi
in una specie di nicchia e allora a un tratto scomparve la luce che rischiarava
la camera e tutto rimase nel buio. Subito dopo però il medico diresse un fascio
di luce su quell'uomo nudo, che divenne trasparente come se fosse di vetro.
Si vedeva il cuore
batter frettoloso e irregolare, si vedevano i polmoni dilatarsi e contrarsi
ritmicamente, si vedevano tutti i visceri del ventre, come se quell'uomo fosse
stato aperto dal coltello anatomico; si poteva scorgere perfino il midollo nel
profondo delle ossa.
Il pneumologo lo
guardò lungamente con un doppio cannocchiale, facendo mettere il malato di
fronte, poi di fianco, poi col dorso rivolto a lui e poi:
- Consolatevi, che
il vostro male è sul principio ed è guaribile in poco tempo. Voi siete
minacciato da una tubercolosi, ma sarà vinta con un buon regime respiratorio e
alimentare. Vestitevi ed io scriverò ciò che dovete fare. -
Il medico andò a un
tavolino e scrisse queste prescrizioni:
Recarsi subito
sull'Everest, alla stazione di Darley, posta all'altezza di 2000 metri,
prendervi alloggio e rimanervi per un anno intero: poi in seguito per parecchi
anni ritornarvi soltanto nei mesi dell'inverno. Dieta lattea e carnea. Per gli
altri particolari l'ammalato seguirà i consigli del medico direttore della
Stazione di Darley.
L'ammalato, che veniva
da un villaggio lontano e molto all'infuori della corrente della nuova civiltà,
domandò al medico pneumologo:
- Non dovrò prendere
nessuna medicina? -
Il medico si mise a
ridere e poi:
- Chè nel vostro
villaggio avete ancora dei farmacisti? Qui ad Andropoli e in tutte le grandi
città planetarie le farmacie non esistono più da forse un secolo. Le pillole,
le pozioni, i cerotti sono avanzi della medicina antica. Oggi si curano tutte
le malattie col cambiamento di clima, col regime alimentare, e coll'applicazione
razionale del calore, della luce e dell'elettricità. I farmacisti furono per
molti secoli i continuatori dei maghi, che curavano le malattie cogli
esorcismi, e coi versetti del Corano o colla preghiera rivolta a Dio, alla
Beata Vergine e ai suoi santi. E le ricette erano come lettere indirizzate a
persone, di cui si ignora il domicilio. Qualche volta per caso incontravano chi
doveva riceverle, ma il più delle volte pillole, polveri e decotti, dopo una
corsa più o meno rapida attraverso il tubo gastroenterico, andavano a finire
nel cesso, senza aver incontrato il viscere a cui erano indirizzate e che
avrebbero dovuto curare e guarire. Ogni medico aveva la sua ricetta e ogni
scuola cambiava metodo di cura. È in quell'epoca, che un grande poeta francese,
che fu anche per poco tempo Presidente della Repubblica di Francia, fece la più
amara, ma la più vera critica della medicina del suo tempo, dicendola: une
intention de guèrir; ma anche per parecchi secoli dopo il Lamartine quella
definizione fu la fotografia fedele dell'arte di curare i malati. -
Il pneumologo passò
a visitare gli altri malati, e i nostri viaggiatori colla loro guida escirono
da quel riparto per recarsi a quello in cui si visitavano i neonati.
Paolo e Maria
avevano osservato che quel malato di petto, che aveva subito la visita davanti
ad essi, ringraziando il medico, gli aveva messo in mano un piccolo cartoncino.
Era il pagamento
della sua visita.
Nell'anno 3000 da
gran tempo non circolava più il denaro e la moneta corrente è costituita da
tanti cartoncini piccolissimi, e tutti della stessa grandezza, che portano un
timbro, quello del ministro delle finanze, e dove in una linea lasciata in
bianco, ognuno scrive il proprio nome e la somma che vuole.
Il colore del
cartoncino indica le somme che si possono scrivere su di esso, essendovi venti
serie, contraddistinte ciascuna da un diverso colore:
Da una lira a cento
- cartoncino bianco.
Da 100 a 500 -
cartoncino bigio.
Da 500 a 1000 -
cartoncino azzurro chiaro.
Da 1000 a 2000 -
cartoncino azzurro oscuro.
Da 2000 a 5000 -
cartoncino verde glauco.
Da 5000 a 10000 -
cartoncino verde smeraldo.
Da 10 a 20000 -
cartoncino giallo pallido.
Da 20 a 50000 -
cartoncino arancione.
Da 50000 a 100000 -
cartoncino violetto chiaro.
Da 100 a 200000 -
cartoncino violetto oscuro.
Da 200 a 300000 -
cartoncino mezzo bianco e mezzo nero.
Da 300 a 500000 -
cartoncino roseo.
Da 500 a 600000 -
cartoncino roseo oscuro.
Da 600 a 700000 -
cartoncino mezzo giallo e mezzo verde.
Da 700 a 800000 -
cartoncino mezzo azzurro e mezzo rosso.
Da 800 a 900000 -
cartoncino mezzo verde e mezzo rosso.
Da 900000 a un
milione - cartoncino mezzo bruno e mezzo rosso.
Da 1 a 2 milioni -
cartoncino mezzo bianco e mezzo verde.
Da 2 a 3 milioni -
cartoncino argenteo.
Da 3 a 10 milioni - cartoncino
aureo.
Il valore di queste
monete è dato però non dalla firma di chi lo spende, ma da quella dell'ottimato,
che si legge in basso a destra del cartoncino.
Gli ottimati
sono i cittadini più onesti, più ricchi e più stimati del paese, ai quali il Consiglio
Superiore di Governo ha dato dopo lunga discussione e ponderato esame quel
titolo onorifico. Così come vi sono cartoline di diverso valore, così ogni
ottimato, secondo la fortuna ch'egli possiede, può firmare una diversa
categoria di cartoncini.
Come è naturale gli
ottimati più ricchi possono firmare anche i cartoncini argentei e aurei, e ve
n'ha alcuni, di fama così universale, che la loro firma vale in tutto quanto il
pianeta. I più modesti di fortuna, conosciuti soltanto nel loro villaggio o nella
loro città, non sono autorizzati che a firmare i cartoncini di somme più
esigue.
Gli ottimati per
dare a quei pezzetti di carta il valore desiderato non hanno bisogno di altre
firme oltre la propria, e si può dire, che batton moneta in casa propria.
Quando si vuol
comperare un oggetto si da al venditore un cartoncino, che corrisponde al suo
valore, scrivendovi le cifre intermedie fra quelle che vi sono iscritte, e
quando col lungo uso questa moneta di carta è troppo sudicia e troppo
sdruscita, si porta alla Cassa centrale dello Stato, dove è cambiata. Unico
inconveniente di questa moneta è la sua combustibilità, ma in caso d'incendio
chi può presentarsi alla Cassa centrale, raccomandato da quattro ottimati, come
onesto, giura sul proprio onore di aver perduto una data somma, e questa gli è
puntualmente e subito rimborsata. Se quella sventura colpisce un ottimato,
basta la sua parola per dar fede alla propria dichiarazione.
Ed ecco come si è
incoraggiati nell'anno 3000 ad essere onesti, sinceri, ad essere perfetti
galantuomini; dacchè l'onestà dà credito e il credito procura la ricchezza.
È inutile dire che
due volte all'anno in ogni città e in ogni provincia i consiglieri della
finanza si riuniscono per fissare le norme della circolazione, la quale è sempre regolata dalla ricchezza del paese e dalla
capacità finanziaria dei singoli ottimati, che firmano i cartoncini.
Questa moneta comoda
a maneggiarsi e garantita dalla perfetta onestà di chi la firma, corre collo
stesso valore in tutti i paesi del mondo, ed ha semplificato
d'assai il corso del commercio e l'andamento di tutti gli affari.
Il cartoncino, con
cui il povero tubercoloso aveva pagato il medico pneumologo, era bianco e vi
era scritta la cifra di L. 50; onorario comune in quel tempo di una semplice visita medica. I poveri sono visitati
gratuitamente o per essi sono pagati dai ricchi.
I nostri viaggiatori
percorsero rapidamente le corsie, dove erano curati gli infermi, a cui occorre
una pronta e urgente medicazione o che devono subire operazioni chirurgiche
difficili o impossibili nelle abitazioni private.
Le chiamo corsie,
per adoperare una vecchia parola e perchè le camere dei malati erano poste le
une dopo le altre e in due file separate da un ampio corridoio, ma ciascun
malato ha la propria camera, bastantemente ampia e dove opportuni ventilatori
rinnovano l'aria, di giorno e di notte, mantenendovi sempre
la temperatura dovuta, secondo la stagione e la natura del male.
Inutile dire che
pareti e pavimento sono di porcellana azzurrina, onde non offendere la vista, e
vengono lavate ogni giorno onde impedire qualunque infezione.
- Prima di passare
alla sezione degli Igei, - disse il Direttore, - daremo un'occhiata al
dipartimento, in cui si curano le malattie traumatiche, cioè le ferite, le
bruciature, le fratture e tutte le lesioni prodotte da accidenti meccanici o da
violenze esteriori. Pur troppo la civiltà, per quanto avanzata, non può
difenderci da queste disgrazie e la chirurgia deve curarle, come la medicina fa
delle malattie che si sviluppano spontaneamente. -
Entrati nella
sezione dei traumi, un chirurgo stava appunto medicando una grave ferita in un
braccio, con grave perdita di sostanza.
- Ecco qui, miei
signori, un caso molto interessante. Un tempo questa ferita, anche colla cura
antisettica più perfetta, avrebbe lasciato una gran deformità con assoluta
impotenza dell'arto ferito. Invece oggi sappiamo produrre artificialmente dei
protoplasmi, che appena preparati si applicano dove manca una porzione di pelle
o di muscolo. Si fa in questo modo un vero innesto di sostanza germinativa, che
messa in contatto dei tessuti vivi, prolifica e riproduce il muscolo che manca;
e così il braccio è restituito allo stato normale e riprende le sue funzioni.
La parte difficile di quest'operazione consiste nel mettere la quantità precisa
di protoplasma che si richiede, e che non deve essere nè scarsa nè eccessiva;
ma la pratica del chirurgo riesce a raggiungere lo scopo desiderato. -
Paolo e Maria videro
altri casi di fratture, di lussazioni, che erano medicati senza dolore e colla
massima facilità.
- Ed ora, - disse il
Direttore, - andiamo a visitare la sezione degli Igei. -
Maria, che aveva
udito parlare della soppressione dei bambini inabili alla vita, ma che non ne
sapeva altro, era alquanto turbata e incerta, se dovesse entrare in quel
dipartimento, ma Paolo le disse:
- Noi dobbiamo e
vogliamo vedere ogni cosa. Andiamo. -
Entrarono in una
vasta sala, dove si sentiva un confuso guaito di cento bambini, che piangevano
fra le braccia delle loro mamme o di altre donne. Era una scena molto triste,
perchè il pianto di tante creature innocenti era reso ancora più tristo dalla
fisonomia angosciosa di quelle donne, che aspettavano dal medico la sentenza di
vita o di morte dei loro figliuolini.
- Ecco qui, - disse
il Direttore, - tutti questi bambini non hanno più di tre giorni di vita e le
loro mamme possono accompagnarli, dacchè ora il parto non è più una malattia,
che un tempo obbligava le partorienti a stare a letto per più d'un mese.
I progressi
dell'igiene hanno reso il parto una funzione naturale, che si compie senza
dolore e senza lasciare alcuna triste conseguenza. La donna oggi partorisce
come qualunque altro animale e poche ore dopo il parto si alza dal letto per
accudire alle proprie faccende e qui, come vedete, quasi tutti i bambini sono
condotti dalle loro stesse madri, meno alcune poche, molto sensibili e timorose
di lasciare qui per sempre il frutto
delle loro viscere, e che li affidano a qualche loro stretta parente. -
In quel momento fu
chiamato il bambino del numero 17.
- Avanti il 17. -
Una mammina giovane,
robusta e bella si alzò da sedere col proprio bambino in braccio. Si vedeva nel
suo volto, che nessuna trepidazione la tormentava e che era troppo sicura di
ritornare a casa colla sua creaturina.
L'Igeo prese il
bambino, che era già quasi svestito e lo mise nudo affatto sopra una specie di
trespolo. Immediatamente un fascio di luce lo innondò, rendendolo trasparente,
come se fosse di vetro e il medico, dopo averlo mutato di posizione,
guardandolo con un cannocchiale, disse ad alta voce:
- Numero 17:
Bambino sano, robusto, atto alla vita. -
E poi si ritirò,
mentre un altro medico, un Psicoigeo, lasciando il bambino sullo stesso
trespolo, diresse una luce più penetrante sul suo cranio, guardandolo
lungamente con un altro cannocchiale, che ingrandiva centinaia di volte le
cellule cerebrali.
L'esame durò una
buona mezz'ora, poi il medico disse:
- Cervello
normale, nessuna tendenza a delinquere. -
I due verdetti dei
due medici furono ripetuti per iscritto da un segretario, poi firmati dall'Igeo
e dal Psicoigeo e consegnati alla madre, che lieta e orgogliosa se ne partì,
ringraziando i dottori e gettando intorno a sè nel circolo affollato dalle
mamme uno sguardo di trionfatrice e di donna felice.
Essa aveva dato al
mondo un cittadino sano, robusto e incapace al delitto.
- Numero 18!
-
E un nuovo bambino
fu sottoposto allo stesso duplice esame del numero 17, riportando questi due
verdetti:
- Bambino sano,
ma non robusto. Atto a vivere, ma bisognoso di un'alimentazione tonica e
ricostituente.
Cervello normale.
Carattere timido e pauroso. Educazione virile e spartana. -
Il numero 19 era un
bambino bellissimo e robusto, ed esso riportò questa doppia sentenza:
Bambino sano,
robusto, atto alla vita.
Cervello normale;
ma con una ipertrofia del centro genitale. Disposto alla lussuria. Dirigere
l'educazione ad indebolire questa tendenza. -
Maria sperava che le
visite avrebbero avuto tutte un analogo risultato, per cui non avrebbe
assistito alla distruzione di nessuna creatura, ma ecco che il numero 20, un
bambino gracilissimo e che per di più era nato di otto mesi, sottoposto
all'esame dell'Igeo fece aggrottare le sopracciglia al medico, il quale con un
campanello chiamò a sè altri due medici consulenti, che stavano in una camera
vicina, pronti ad esser chiamati, e l'un dopo l'altro rifecero l'esame del
povero bambino, crollando anch'essi il capo con aria compunta e dolorosa.
I tre medici si
accordarono in questo giudizio:
Bambino
gracilissimo, tubercoloso, inetto alla vita.
Quando la madre ebbe
udito questa lugubre sentenza, si mise a singhiozzare, chiedendo ai medici:
- Non potrebbe una
cura opportuna dare al mio bambino una buona salute?
- No, - risposero
tre voci ad un tempo.
E allora l'Igeo, che
per il primo aveva visitato il bambino, rivolto alla madre:
- E dunque? -
La madre raddoppiò i
singhiozzi, e restituendo il figliuolo ai medici, con voce appena sensibile
rispose:
- Sì. -
Quell'E dunque
voleva dire:
Permettete dunque
che il vostro bambino sia soppresso?
E infatti, un
inserviente prese il bambino, aprì un usciuolo nero, posto nella parete della
sala e ve lo mise, chiudendo la porticina. Fece scattare una molla, si udì un
gemito accompagnato da un piccolo scoppio. Il bambino innondato da una vampa di
aria calda a 2000 gradi era scomparso e di lui non rimaneva che un pizzico di
ceneri.
La madre, appena
aveva pronunziato il suo disperato sì era scomparsa dalla sala, e l'Igeo,
triste in volto ma calmo, aveva chiamato:
- Numero 21!
-
Maria piangeva e
voleva ad ogni costo lasciare quella sala d'orrore, ma Paolo, che pur sapendo
come si sopprimessero i bambini inabili alla vita, non aveva mai voluto
assistere a quella crudele insieme e pietosa operazione, era affascinato da
quella scena terribile, per cui disse:
- Maria, ancora uno,
uno soltanto e poi ce n'andremo. -
Maria gli prese una
mano e se la pose al cuore, ne più la lasciò, tenendola stretta stretta, come
per attingere coraggio. Non sapeva mai dire di no al suo Paolo e rimase.
Il bambino numero 21
era più gracile ancora di quello che lo aveva preceduto, e per di più era
livido e chiazzato di macchie rosse nel volto.
L'Igeo dopo un
brevissimo esame, sentenziò:
- Bambino con
grave vizio di cuore, inabile alla vita. -
La madre non piangeva,
ma più pallida della morte, esclamò:
- No, dottor mio,
non può essere, il parto fu lungo e difficile; è per questo che il mio bambino
è livido. Guarirà, guarirà di certo. Non ho che lui. Non ne posso aver altri;
mio marito è morto.
Il dottore era
costernato, ma:
- No, no, cara
donna, questo bambino potrà vivere qualche anno, ma sempre
soffrendo e la sua morte sarà dolorosa, straziante. Non abbiamo modo di guarire
i vizi di cuore congeniti.
E poi:
- E dunque? -
La mamma aveva
ripreso il suo figliuolo, e se lo stringeva al seno, come se avesse voluto
farlo guarire coi suoi baci ardenti, col suo amore caldissimo. Ma non
rispondeva.
- E dunque? -
riprese il medico.- Voi sapete, che la soppressione non può farsi senza il
consenso della madre o senza quello del padre, in caso di morte della madre.
Pensate che le vostra pietà sarebbe crudele, perchè consacrereste la vostra
creatura a patimenti inauditi, feroci e che potrebbero durare molti anni. Il
vostro bambino non ha la coscienza di esistere e la sua soppressione non è nè
dolorosa nè lunga. Un minuto lo ridurrà in fumo e in un pizzico di cenere, che
potrete conservare. Siete ancora giovane, potrete rimaritarvi ed avere altri
figliuoli. Pensate bene a ciò che state per dire. -
Ma la mamma non
rispondeva e da un mutismo di pietra era passata ad un pianto dirotto
framezzato da crudeli singhiozzi.
Maria, che teneva sempre la mano di Paolo sul suo cuore, piangeva
anch'essa e insisteva collo sguardo per partire.
- E dunque, e
dunque? - ripetè per la terza volta l'Igeo con un leggero accento di
impazienza.
Fu veduta allora la
mamma alzare il capo come in atto di sfida e di disperazione in una volta sola,
poi:
- E dunque, e
dunque? - Dunque no!!
E come se fuggisse
da un inseguitore, uscì dalla sala col suo bambino stretto fra le sue braccia.
L'Igeo guardò Paolo
e Maria e poi:
- Povera donna!
Povera donna! Quante volte essa si pentirà di quel no. Essa si crede una buona
madre e invece non è che una madre crudele. La soppressione dei bambini
consacrati ai patimenti e a una morte immatura è vera pietà.
***
Maria e Paolo
profondamente commossi non vollero veder altro e lasciarono l'Igeia col bisogno
urgente di essere all'aperto, di cercare il cielo azzurro e le piante verdi e
ritemprarsi nell'ammirazione della natura, che però più crudele e più pietosa
degli Igei, sopprime ogni giorno migliaia e migliaia di creature, solo perchè
son nate male!
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