CAPITOLO NONO
La città dei morti ad Andropoli. - Dissoluzione dei cadaveri. - Cremazione.
- I siderofili e le imbalsamazioni. - Le sepolture. - Il Panteon.
Paolo e Maria nel
loro soggiorno in Andropoli vollero fare una visita anche alla città dei morti.
È situata in una
valle ridente distante tre chilometri da Andropoli e vi si giunge per un'ampia
via tutta fiancheggiata da altissimi cipressi. Fra quelli alberi secolari si
vedono aiuole di fiori, e le rose si arrampicano sui cipressi, facendo loro
ghirlande fiorite.
Dove i cipressi
finiscono si apre una vasta piazza, e nel mezzo si innalza un tempio, copiato
dall'antico Partenone. Dinnanzi alla porta principale una statua colossale di
marmo, un angelo colle ali spiegate, come se volesse spiccare il volo verso il
Cielo. Ha in una mano una fiaccola, che arde di giorno e di notte, e l'altra
mano è appoggiata sopra un'àncora di bronzo. Nel piedistallo che sorregge la
statua è incisa questa parola: Sperate.
Entrati nel tempio
si sentirono come compresi da un sacro terrore. Il silenzio più solenne regnava
in quell'immensa sala poco illuminata da finestroni dai vetri azzurri, che
facevano piovere sugli uomini e sulle cose una luce singolare; malinconica, ma
non triste.
Era la casa dei
morti.
Nell'anno 3000 è
permesso ogni metodo di distruzione e di conservazione dei cadaveri umani,
purchè non sia nocivo alla salute. Ognuno morendo esprime il desiderio di
essere sepolto, cremato, disciolto, imbalsamato, e nel grande cimitero di
Andropoli si possono vedere tutte le bizzarrie dell'umano ingegno a proposito
dei morti.
Quando la morte sia
improvvisa o il defunto non abbia espresso alcun desiderio sul modo con cui
debba esser trattato il suo cadavere, provvedono per lui i più vicini parenti,
e in mancanza di questi, lo Stato.
Il metodo più usato
è la dissoluzione del cadavere nell'acido nitrico. Il corpo umano vien ridotto
ad una soluzione di nitrati di piccolo volume e che è conservato dai parenti in
speciali bocce di cristallo. Le bocce, abbandonate dai parenti morti anch'essi,
sono conservate nella Necropoli.
Alcuni lasciano per
testamento che la soluzione del loro corpo sia saturata colla creta, e ridotta
così a concime sia sepolta al piede di qualche albero prediletto del loro orto
o del loro giardino. Molti però preferiscono la cremazione, e i nostri
viaggiatori visitarono il forno crematorio.
È semplicissimo. Il cadavere è messo nudo in una
specie di urna di platino, che ha la forma del corpo umano. Quando l'urna è
chiusa, alle due estremità, che corrispondono al capo e ai piedi del morto, si
applicano due fili, e una corrente di altissimo calore arroventa l'urna in
modo, che in soli cinque o sei minuti è ridotta in cenere. Raffreddata l'urna
se ne raccolgono le ceneri, che si consegnano alla famiglia o si serbano nella
casa dei morti secondo il desiderio espresso dal defunto nel proprio testamento.
Alcuni vogliono,
che, secondo l'antico uso degli Indù, le loro ceneri siano gettate in un fiume
o nel mare.
Altri invece
esprimono il desiderio, che esse siano deposte nelle aiuole del giardino,
dell'orto o del campo per fecondare la terra.
Per quelli che non
hanno espresso altro desiderio che quello di essere cremati, senza dir altro;
le ceneri vengono deposte in piccole urne di porcellana, e col nome del defunto
e la data della morte si serbano nella necropoli.
Dal forno crematorio
i nostri viaggiatori passarono al Laboratorio necroforo dei Siderofili,
Così si chiamano
quegli uomini singolari, che adottando un'idea messa fuori da un chimico
francese molti secoli prima, vogliono che dal loro cadavere si estragga tutto
il ferro che contiene, e con esso si conii poi una medaglietta che porta inciso
il loro nome coll'indicazione della patria e la data della morte. In questo
modo i superstiti possono serbare un ricordo eterno dei loro cari estinti,
portando appesa al collo o alla catena dell'orologio o altrove, il ferro che
circolava nel loro sangue e faceva parte di tutti i loro tessuti.
Paolo e Maria
poterono coi loro occhi assistere a tutte le complicate operazioni, colle quali
si estrae da un corpo umano il ferro che contiene e se ne fabbrica poi una
medaglietta. Il lavoro è difficile e dispendioso, e perciò questo metodo di
distruzione dei cadaveri umani è adottato solo dalle persone molto ricche, ed è
quindi aristocratico.
Uno dei chimici del
singolare laboratorio spiegava ai visitatori i processi, coi quali un uomo è
convertito in una medaglietta, non più grande di un antico centesimo, e li
divertiva, narrando loro alcuni curiosi aneddoti.
Egli conosceva in
Andropoli una signora molto vecchia, e che nella sua lunga vita tutta dedicata
ad una larga galanteria aveva avuto molti amanti, dai quali esigeva sempre che fossero siderofili. Il caso volle,
che molti di questi amanti morissero in giovane età, per cui essa possiede una
ventina di medagliette, colle quali si è fatta fare un monile molto singolare.
Ogni medaglietta è unita all'altra con un anello d'oro e un brillante, ed essa
ha in quel gioiello raccolta tutta quanta la storia della sua vita. Mi dicono,
che questa buona donna, come facevano gli antichi cristiani coi loro rosarii,
passa delle ore intiere tenendo in mano il suo rosario d'amore, e passando da
una medaglietta all'altra, e baciandole una dopo l'altra, ricorda i poveri
morti che l'hanno amata.
Il nostro chimico
narrò pure, come la siderofilia fiorisse specialmente nei secoli XXVII e
XXVIII, epoca in cui si può dire, che fosse l'unico metodo di distruzione dei
cadaveri usato dalle persone ricche. E noi abbiamo qui nel nostro tempio un
vero Museo di medagliette, che furon trovate smarrite o che lo Stato raccolse
per la scomparsa delle famiglie a cui appartenevano.
Oggi la siderofilia
è usata assai poco, perchè nell'anno 2858 si scoperse, che un chimico di quel
tempo, che si era dato alla specialità di cavare il ferro dai cadaveri umani
per farne poi le medagliette necrofore, si faceva pagare profumatamente
l'operazione chimica, ma per risparmiarsi il lungo travaglio, invece di
ricavare il ferro dal corpo del morto, prendeva un chiodo, un pezzo di ferro
qualunque, e con esso coniava la sua medaglietta. Quel furbo aveva davvero
inventato un'industria molto lucrosa, dacchè convertiva un pezzetto di ferro
del valore di forse un soldo, in una medaglia che gli era pagata fin
cinquecento lire.
Egli arricchì
immensamente, ma dopo di lui, per molti anni il pubblico dei morti ebbe
grandissima diffidenza, e le medagliette di ferro umano, cadute in ridicolo,
ebbero il loro tramonto.
Non è che da alcuni
anni, che una società di siderofili si è costituita in Andropoli, e qui hanno
fondato un laboratorio, che presenta tutte le garanzie possibili, e dove per
turno assistono alle nostre operazioni alcuni consiglieri di questa Società.
L'ingegnere
siderofilo, prima di congedarsi dai suoi visitatori, mostrò loro un laboratorio
speciale, dove si stavano facendo degli studi per assecondare il desiderio di
un ricco milionario, il quale vorrebbe che dopo la sua morte non solo venisse
estratto il ferro dal suo cadavere, ma ad uno ad uno si isolassero tutti gli
elementi; e così l'ossigeno, l'idrogeno, il carbonio, l'azoto, lo solfo, il
fosforo, ecc.
Questo signore, che
è un inglese, ha messo a nostra disposizione pei nostri studi più di un
milione, e da sè stesso ha disegnato un monumento tutto in pietra dura e che
rassomiglia ad un'antica farmacia, e dove dovrebbero essere collocati tutti i
corpi elementari, che hanno costituito il suo corpo.
Nessun'altra
iscrizione dovrebbe leggersi in questo monumento fuori di questa:
Corpi elementari
che formavano il corpo di N. N.
Salutato
l'ingegnere, Paolo e Maria passarono nella Sezione degli Imbalsamatori, dove si
preparano i cadaveri di coloro, che vogliono resistere al tempo anche dopo la
morte, conservando integri i loro corpi.
La visita fu lunga e
molto curiosa, dacchè gli imbalsamatori nel loro testamento non si
accontentavano di dire, che volevano che il loro corpo fosse preservato dalla
putrefazione; ma dicevano anche come volessero essere imbalsamati. E nell'anno
3000 i metodi di conservazione dei cadaveri sono molti e svariatissimi.
I corpi imbalsamati
sono poi ritirati dalle famiglie o conservati nella necropoli a seconda del
desiderio espresso dal defunto o dai suoi parenti.
I nostri
viaggiatori, percorrendo il lungo Museo degli imbalsamati, poterono coi loro
occhi vedere tutto quel popolo di morti superbi, che avevano voluto
sopravvivere a sè stessi.
Alcuni pochi erano
imbalsamati come gli antichi egiziani, tutti chiusi nelle loro bende
incatramate e chiusi in sarcofaghi di legno intarsiato e dipinto.
Altri erano semplicemente disseccati in un forno, dopo essere
stati imbevuti di sublimato corrosivo. Facevano ribrezzo, sembrando grandi stoccafissi.
Più in là chiusi in
grandi vetrine si vedono cadaveri pietrificati, rigidi e duri come la pietra,
che paiono statue modellate da un pessimo scultore.
Meno orribili sono
altri imbalsamati col processo più perfetto, che si conosca nell'anno 3000.
Sono vestiti dei loro abiti e serbano la loro fisonomia e il loro colorito; ma
i loro occhi di vetro e immobili paiono guardar sempre
fissi in un luogo. Si può ammirar l'arte, con cui sono stati preparati, ma
fanno terrore e sembrano protestare
contro chi ha voluto in uno strano connubio associare la vita alla morte.
Maria guardava tutte
quelle mummie con un evidente ribrezzo e non potè far a meno che di dire al suo
Paolo:
- Paolo mio, se
muoio prima di te, io desidero che tu non mi faccia nè disciogliere nell'acido
nitrico, nè cremare, nè molto meno imbalsamare. Fammi seppellire nella terra
molle e odorosa, senza cassa alcuna, ond'io, anche morta, possa sentirmi
circondata e abbracciata dalla nostra eterna madre, dal cui grembo siamo
usciti. Io voglio disciogliermi in essa e nutrire col mio sangue e i miei
visceri i fiori, che tu pianterai sulla mia fossa. Me lo prometti, non è vero,
Paolo mio?
- Sì, te lo
prometto, - rispose Paolo colla voce interrotta dal singhiozzo, - ma sarai tu
quella che mi adagerai nella terra molle e odorosa, perchè io ho parecchi anni
più di te e prima di te devo fare il lungo viaggio; il viaggio senza ritorno.
- Ma non parliamo di
cose tristi.
- E come non
parlarne, qui, dove non siamo circondati che da morti, che ci ridestano
l'eterno pensiero del mondo al di là, di cui tutta la nostra civiltà non ha
saputo svelarci il segreto? Ma andiamo all'ultima tappa del nostro triste
pellegrinaggio. Andiamo a visitare il cimitero.
E i nostri
viaggiatori rientrarono nel tempio, e avendolo attraversato, per una porticina
si trovarono in un vasto giardino, tutto quanto popolato di arbusti sempre verdi e di fiori. Nel mezzo si innalza una
colonna gigantesca di bronzo, che porta sulla cima una fiamma sempre ardente.
Nello zoccolo della
colonna sta scritta anche là la bella parola: Sperate.
Dalla colonna
partono come tanti raggi cento piccoli sentieri, che finiscono alla periferia
del campo dei morti, e da ambo i lati del sentiero sono poste le tombe.
Ogni tomba è un piccolo
giardino in miniatura e in mezzo ad esse si innalza un cippo di marmo nero, in
cui non si legge che il nome del morto e la data della nascita e della morte.
Null'altro.
- Vedi, Maria, qui
non vi ha distinzione alcuna tra ricchi e poveri, tra genii e volgo. Chi può
pagare il cippo, se lo fa da sè, e ai poveri provvede lo Stato. È assolutamente
proibito di scrivere sulla tomba alcuna parola di elogio, nè di innalzare
statue o mausolei sontuosi. Una volta, molti secoli or sono, le disuguaglianze
e le vanità umane parlavano ad alta voce anche nei cimiteri, e chi li visitava,
doveva credere che tutti quei morti erano stati in vita uomini di genio; eroi
del cuore o del pensiero. E chi aveva dettate quelle epigrafi aveva spesso
tormentato il povero morto, quando era in vita; lo aveva offeso, calunniato,
fors'anche gli aveva affrettata la morte.
Maria disse allora a
Paolo:
- Ho sempre trovato giusta questa eguaglianza di tutti
gli uomini nel cimitero, ma mi pare che si dovrebbe fare un'eccezione per gli
uomini di genio o per quelli, che colla carità o coll'eroismo hanno resi grandi
servizi all'umanità.
- E tu hai ragione,
ma questi uomini grandi hanno la loro apoteosi in un Panteon, che è un po' più
in là di questa necropoli e che noi visiteremo. Qui giacciono i loro corpi, là
troveremo raccolte le memorie delle loro opere.
- Permettimi, Paolo,
un'altra osservazione. Mi è sempre
parso, che nella nostra civiltà lo Stato prenda una parte eccessiva, invadente
quasi. E perchè i superstiti non possono innalzare ai loro cari perduti una
statua, un monumento, se vogliono, anche un mausoleo? Il nostro tempo si
distingue soprattutto per il trionfo dell'individualismo e mi pare che qui,
dove si dovrebbe lasciare all'affetto e al dolore tutti i loro santi diritti,
lo Stato si intromette con troppa tirannia.
- Ma no, Maria mia,
lo Stato non è invasore. Qui dirige e comanda, perchè le necropoli sono
monumenti pubblici, ma ognuno nella propria casa, nel proprio giardino, nel
proprio paese è padrone di innalzare ad un caro morto, anche un tempio, se lo
vuole. - Ma andiamo nel Panteon: là non troveremo più cadaveri, ma dei morti
che son più vivi di quando erano di questo mondo.
Un viale tutto
fiancheggiato di alberi giganteschi li condusse ad una vera città, dacchè ogni
regione del globo vi ha i proprii templi innalzati alla memoria dei grandi
uomini. E ogni tempio ha l'architettura caratteristica del paese, a cui quei
genii appartenevano. Ne ha la China: ne hanno il Giappone, l'India,
l'Australia, l'America, l'Africa e l'Europa.
In ogni tempio si
innalzano infiniti monumenti di bellissimo stile, dove non sono deposte le ossa
dei genii scomparsi, ma dove si trova come in compendio tutta la loro vita.
In tutti si trova o
il busto o la statua, che riproduce i lineamenti del grande estinto e poi, come
in una chiesetta chiusa, si vedono alle pareti tutti i ritratti di lui nelle
diverse età della vita.
Un albero
genealogico della famiglia segna la sua discendenza e poi, se autore di libri,
in una libreria son poste tutte le sue opere, colle diverse edizioni, e le sue
biografie.
Spesso si vedono
anche gli oggetti che gli sono stati più cari, il suo cane o il suo gatto
imbalsamati, i fiori che prediligeva, il suo bastone, la poltrona in cui sedeva
e tanti altri oggetti.
Se il morto era un artista,
si vedono le riproduzioni in fotografia dei suoi quadri, delle sue statue,
degli edifizi che aveva innalzati.
Se era un meccanico
o un ingegnere si trovano nel monumento, che gli è stato innalzato, i disegni
delle macchine inventate, delle strade, dei ponti che aveva costruiti.
In una parola ogni
monumento è una biografia parlante dell'uomo grande, a cui era stato innalzato.
- Tu vedi, Maria,
che per aver soppressi i mausolei vanitosi nel cimitero, i grandi uomini non
sono meno onorati da noi di quello che lo furono dai nostri antichi padri, i
quali, lasciando ai superstiti la cura di ricordare i loro morti, misuravano
col denaro e non col merito l'altezza della statua e il lusso dei marmi; per
cui spesso un uomo volgarissimo aveva in quei cimiteri uno splendido mausoleo,
mentre un genio non era ricordato che da una modestissima lapide.
Paolo, come facevano
tutti i visitatori di quel Panteon, entrando nei diversi monumenti, si levava
il cappello, facendo una genuflessione dinanzi all'effigie del grand'uomo.
- Questi sono i
nostri santi, e che tengon luogo degli antichi, spesso fabbricati per industrie
simoniache da preti furbi ed ignoranti o che non avevano avuto altro merito che
quello di aver digiunato o di aver contraddette le più sacre leggi della
natura; quelle che ci comandano di amare e di riaccendere nei nostri figli la
fiaccola della vita.
Commossi, ma non
rattristati, i nostri due compagni passeggiarono lungamente nel Panteon di
Andropoli, richiamando alla memoria le grandi azioni e le grandi opere di quei
grandi.
Maria, commossa
profondamente dalla lunga passeggiata, fece un'ultima domanda al suo Paolo:
- Dimmi, Paolo, qui
non trovo più l'uguaglianza, che ho veduta nel campo dei morti. Qui trovo
monumenti piccini, mezzani, grandissimi, e chi è giudice e esecutore di queste
grandi disuguaglianze?
- Gli uomini grandi,
mia cara, son tutti degni di gloria; ma son molto disuguali fra di loro.
Abbiamo i genii, che colla luce del loro pensiero innalzano un faro che
illumina tutto il pianeta; che colle loro opere segnano un'era nuova nella
storia dell'umanità. E ne abbiam altri, che col loro talento e il lavoro
indefesso perfezionano le scoperte dei primi; nè è cosa giusta, che essi
abbiano gloria eguale agli altri. È il concorso dei più, è il voto dei membri
della grande Accademia di Andropoli, che decide quale sia il monumento, che
deve essere innalzato alla memoria del grande scomparso. E il giudizio non è
pronunziato che dopo una lunga e profonda discussione.
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