Errico Malatesta
Rivoluzione e lotta quotidiana

3. Gli anarchici e il movimento operaio

3. IL SINDACATO COME MEZZO DI LOTTA E DI EDUCAZIONE RIVOLUZIONARIA E COME NUCLEO FUTURO DI RIORGANIZZAZIONE SOCIALE

b. L’unità sindacale

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b. L’unità sindacale38

 

Si sente oggi da molti il bisogno di arrivare all’“Unità sindacale”, vale a dire di fondere insieme in un solo grande organismo le varie organizzazioni operaie che, pur avendo comune lo scopo della difesa e dell’attacco contro lo sfruttamento capitalistico, sono state finora divise ed in lotta tra di loro a causa di differenze nei fini ultimi che si propongono e nei mezzi di lotta preferiti, e spesso, purtroppo, per ambizioni di capi e rivalità di reclutamento. E già qualche risultato pratico sulla via dell’unione è stato raggiunto, come è la fusione dell’Unione Italiana del Lavoro e di qualche organizzazione bianca del Cremonese e del Bergamasco colla Confederazione Generale del Lavoro.

Io, anche se dovessi su questo punto trovarmi in disaccordo con qualche compagno particolarmente affezionato ad una speciale organizzazione benemerita del proletariato italiano e più affine alle idee ed ai metodi anarchici, mi auguro che il movimento fusionista continui e progredisca fino ad abbracciare tutti quei lavoratori che in un grado qualunque ed in un qualsiasi modo sentono l’ingiustizia di cui sono vittime nell’attuale società, che vogliono lottare contro i padroni per il miglioramento e per l’emancipazione e che, comprendendo l’impotenza in cui si trova il lavoratore isolato, cercano nella solidarietà coi loro compagni di classe la forza di cui hanno bisogno. E vorrei che i nostri compagni accettassero e magari si facessero antesignani di questa tendenza, che rappresenta poi l’intimo desiderio di quel gran numero di lavoratori che si sentono fratelli con tutti quelli che lavorano e soffrono con loro e non comprendono le ragioni di certe divisioni e spesso, a causa di quelle divisioni, si appartano sfiduciati e disgustati – non già, s’intende, perchè gli anarchici indulgano ai metodi dei dirigenti della Confederazione generale, ma perchè cerchino di far trionfare colla propaganda e coll’esempio i metodi che credono migliori e soprattutto fraternizzino colle masse organizzate nella Confederazione e facciano in modo, per quel che da loro dipende, che tutti i lavoratori siano uniti e solidali nella lotta Contro i padroni.

È certo che la divisione della parte eletta del proletariato tra diverse organizzazioni rivali ed ostili fa sciupare in lotte intestine quelle forze che dovrebbero tutte impiegate nell’educazione e nella lotta contro il nemico comune, come è certo che quella divisione fu una delle cause precipue per cui il proletariato fu sconfitto e sottoposto ad un rincrudimento di oppressione, proprio quando sembrava che fosse alla vigilia della vittoria. Quindi è urgente che tutti coloro che vogliono sinceramente e senza mire personali l’elevazione dei lavoratori e l’umana emancipazione, facciano il possibile per giungere alla desiderata unione. E naturalmente noi saremmo fieri se i compagni nostri, gli anarchici, si distinguessero per il loro zelo in quest’opera salutare.

Senonchè i partiti politici, i quali del resto sono stati spesso gli originatori ed i primi animatori del movimento sindacale, vollero servirsi delle associazioni operaie come campo di reclutamento e come strumenti pei loro fini speciali di rivoluzione o di conservazione sociale. Quindi le divisioni tra la classe operaia organizzata in vari raggruppamenti sotto l’ispirazione dei vari partiti. Quindi il proposito di coloro che vogliono l’unità proletaria di sottrarre i sindacati alla tutela dei partiti politici.

Però in questo affermato proposito di sottrarsi all’influenza dei partiti politici, di “escludere la politica dai sindacati” si nasconde un equivoco ed una menzogna.

Se per politica s’intende ciò che riguarda l’organizzazione dei rapporti umani e più specialmente i rapporti liberi o coatti tra cittadini e l’esistenza o meno un “governo” che assommi in i pubblici poteri e si serva della forza sociale per imporre la propria volontà e difendere gl’interessi di stesso e della classe da cui emana, è evidente che essa politica entra in tutte le manifestazioni della vita sociale, e che un’organizzazione operaia non può essere realmente indipendente dai partiti se non diventando essa stessa un partito.

Infatti, oggi stesso che tanto si parla di unità, vediamo che la Confederazione generale, mentre si dichiara autonoma da tutti i partiti politici, tende a diventare essa stessa “partito del lavoro”, cioè un partito politico con i suoi scopi ed i suoi metodi particolari, che nel suo caso sarebbero metodi principalmente parlamentari. Come del resto, a parte le questioni di parole, fu in realtà sempre un partito l’Unione Sindacale Italiana, come partiti o appendici, “masse di manovra” di partiti sono l’Unione Italiana del Lavoro e le Organizzazioni bianche

È vano dunque sperare, e per me sarebbe male il desiderare, che la politica sia esclusa dai sindacati, poichè ogni questione economica di qualche importanza diventa automaticamente una questione politica ed è sul terreno politico, cioè colla lotta tra governati e governanti che si dovrà risolvere in definitiva la questione dell’emancipazione dei lavoratori e della libertà umana.

Ed è naturale, è chiaro, che debba essere così.

Quindi necessariamente le organizzazioni operaie debbono proporsi una linea di condotta di fronte all’azione attuale o potenziale dei governi...

Ora, come fare a mantenere l’unità quando vi sono quelli che vogliono servirsi della forza dell’associazione per andare al governo, e quelli che credono che ogni governo è necessariamente oppressore e nefasto e quindi vogliono avviare quella stessa associazione alla lotta contro ogni istituzione autoritaria presente o futura? Come tenere insieme socialdemocratici, “comunisti” di Stato e anarchici?

Ecco il problema. Problema che si può eludere in certi momenti, in occasione di una lotta concreta che riunisce tutti, o almeno una grande massa, in un interesse ed un desiderio comuni, ma che risorge sempre e non è facile risolvere fino a che esistono condizioni di violenza e diversità di opinione sul modo di resistere alla violenza.

Ma allora, quale è la via di uscita di queste difficoltà, e quale è la condotta che in questa questione dovrebbero tenere gli anarchici?

Per me il rimedio sarebbe: intesa generale e solidarietà nelle lotte puramente economiche; autonomia completa degli individui e dei vari raggruppamenti nelle lotte politiche.

Ma è possibile vedere a tempo dove la lotta economica diventa lotta politica? E vi sono lotte economiche importanti che l’intervento del governo non renda politiche fin dall’inizio?

In ogni modo noi anarchici dovremmo portare la nostra attività in tutte le organizzazioni per predicarvi l’unione fra tutti i lavoratori, la tolleranza reciproca, l’autonomia dei vari aggruppamenti, il decentramento la libertà d’iniziativa, nel quadro comune della solidarietà contro i padroni.

E non far gran caso se la mania di accentramento e di autoritarismo degli uni, e l’insofferenza degli altri ad ogni anche ragionevole disciplina mena a nuovi frazionamenti. Poichè, se l’organizzazione dei lavoratori è una necessità primordiale per le lotte di oggi e per le realizzazioni di domani, non ha grande importanza l’esistenza e la durata di questa o di quella determinata organizzazione. L’essenziale è che si sviluppi nei singoli lo spirito d’organizzazione il senso della solidarietà, la convinzione della necessità cooperazione fraterna per combattere l’oppressione e realizzare una società in cui tutti possano godere di una vita veramente umana.





38 In "Pensiero e Volontà", 16 febbraio-16 marzo 1925.



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