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c. Organizzatori ed antiorganizzatori50
Noi conosciamo bene tutte le deficienze del giornale e, sempre pronti a lasciare il nostro posto a chi fosse giudicato dai compagni più adatto di noi, accettiamo intanto con piacere e gratitudine tutti i suggerimenti che ci pervengono, quantunque il più delle volte non possiamo utilizzarli, sia per incapacità nostra (noi non possiamo farci più intelligenti e migliori scrittori di quello che siamo), sia per le difficoltà tecniche e materiali fra le quali ci dibattiamo. E riceviamo con rispetto anche le critiche che ci sembrano ingiustificate; ma pretendiamo che non si calunnino le nostre intenzioni, non si travisino i fatti, non si alteri il nostro pensiero, non ci si faccia dire quello che non abbiamo detto e non si affetti di ignorare quello che diciamo continuamente.
Siccome nel movimento anarchico vi è una notevole frazione “individualista” o “antiorganizzatrice” o “antipartitista”, gli amici-nemici di Umanità Nova si affannano a dire che noi formiamo, o vorremmo formare, una specie di corporazione chiusa, intollerante, dogmatica; che vogliamo fare di Umanità Nova l’organo esclusivo dell’"Unione Anarchica Italiana" (la quale sarebbe poi, secondo gli stessi, un’organizzazione autoritaria, accentrata, con mire dittatoriali, ecc.); e che noi cestiniamo sistematicamente tutti gli scritti che non corrispondono alla “nostra” tendenza.
Ma qual è questa “nostra” tendenza?
Io che scrivo sono partigiano dell’organizzazione operaia e dell’organizzazione nel partito, vale a dire che, pigliando il nome “partito” nel senso vero d’insieme di tutti coloro che “parteggiano” e lottano per la stessa causa, io credo utile che gli anarchici si uniscano in una o più organizzazioni, transitorie o permanenti, locali o generali, secondo le circostanze e gli scopi immediati o definitivi che si vogliano raggiungere, per coordinare gli sforzi e fare quelle cose a cui non basterebbero le forze degl’individui isolati. E conseguentemente sono aderente all’Unione Anarchica Italiana, nonchè ad altri aggruppamenti che si propongono lavori speciali che non entrano nel compito generale dell’Unione.
Però nella redazione di Umanità Nova non tutti la pensano allo stesso modo, nè tutti aderiscono all’Unione Anarchica Italiana; e v’è anche chi si dichiara individualista ed antiorganizzatore. Ciononostante, troviamo modo di andare d’accordo, perchè pensiamo che si può servire la causa con metodi e mezzi differenti, purchè l’uno non cerchi di annientare gli sforzi dell’altro.
Per conto mio non vi è differenza sostanziale, differenza di principi tra “individualisti” e “comunisti anarchici”, tra “organizzatori” e “antiorganizzatori”; e si tratta più che altro di questioni di parole e di malintesi, inaspriti ed ingigantiti da questioni personali. Lasciando da parte oggi la questione dell’’individualismo” perchè ne ho trattato recentemente rispondendo ad “un compagno venuto dall’America”, vi è forse tra gli anarchici chi è contrario in massima ad ogni organizzazione operaia? Si può essere avversi a questo o a quel modo di organizzazione, e gli anarchici tutti non possono non criticare tutte le organizzazioni esistenti ed anche tutte quelle possibili nell’attuale ambiente sociale; si può combattere l’illusione sindacalista che le organizzazioni operaie bastano per sè sole a risolvere la questione sociale, e noi l’abbiamo combattuta più di ogni altro – ma non credo che vi siano degli anarchici i quali vorrebbero veder sparire ogni organizzazione operaia e ritornare i lavoratori alle condizioni di un secolo fa, quando essi non contavano nulla come lavoratori, e se si battevano lo facevano per conto ed al comando dei borghesi senza alcuna coscienza di classe e senza altre speranze di miglioramento che quella che basavano sulla bontà dei governi e dei padroni. Nè credo che vi sia qualcuno che vorrebbe veder ridotto il vasto movimento operaio, che travaglia il mondo, alla sola esistenza di sparuti gruppi rivoluzionari, che sarebbero impotenti a fare qualsiasi cosa importante se non potessero appoggiarsi a quella parte della massa che nelle associazioni ha acquistato una coscienza di classe. Se m’inganno, allora lo dicano, e discuteremo.
Ed in quanto all’organizzazione o alle organizzazioni nel senso del partito, vi è forse chi vorrebbe che gli anarchici restassero isolati gli uni dagli altri?
Certamente che no. Ed infatti meno qualche raro pensatore (possibile più che reale) il quale può isolarsi materialmente dai suoi contemporanei e cercare la necessaria cooperazione intellettuale dei suoi simili nella parola stampata, non v’è nessuno che possa fare le minima cosa senza associarsi, unirsi con altri. Anche i fatti più caratteristicamente individuali domandano l’intesa intima di parecchi! Non chiede tutta un’organizzazione la pubblicazione di un giornale? o una qualsiasi opera di propaganda e d’educazione alquanto importante? o la preparazione di una azione risolutiva?
Non potendo dir altro, gli avversari del “partito” si scagliano contro l’organizzazione “permanente”, senza pensare che un’organizzazione è fatta per durare fino a che dura la ragione per la quale è stata fatta; e che come vi sono dei fatti speciali da compiere in breve che richiedono un’intesa temporanea, così ve ne sono degli altri come quello della lotta per l’anarchia, che domandano un’intesa permanente, la quale cambia gradualmente nei suoi componenti, che poco a poco muoiono, o restano vittime, o si stancano e sono sostituiti dai giovani sopravvenuti, ma non ha nessuna ragione per prescrivere volontariamente un limite di tempo alla sua esistenza. O quando s’organizza la pubblicazione di un giornale, non si fa come se questo giornale dovesse viver sempre?
Oppure dicono che essi sono contro un “partito” autoritario, accentrato, che nega e soffoca l’iniziativa dei singoli. E chi dice il contrario? Non stiamo continuamente predicando alla gente che bisogna agire, senza aspettare ordini di capi? che la disciplina deve consistere nella fedeltà ai propri impegni e nell’obbligo morale di appoggiare i compagni nelle azioni che si approvano, e non già nel fare quello che uno non vuol fare, o peggio ancora nel non fare quello che uno crede buono ed utile di fare? E non diciamo continuamente che le risoluzioni di congressi e di comitati non obbligano che coloro che le accettano e fino a quando non hanno lealmente dichiarato di non accettarle più?
Ma un partito può degenerare e diventare autoritario. È vero… se non e composto di anarchici coscienti; e per questo noi (e come noi l’Unione Anarchica Italiana e qualunque altra organizzazione anarchica) non possiamo che fare la propaganda anarchica. Possono dire che noi non la facciamo continuamente nei nostri scritti, nelle nostre conferenze, nelle nostre conversazioni e lettere private?
Ma realmente, dato lo spirito degli anarchici, il pericolo non è quello che un “partito anarchico” diventi autoritario, ma piuttosto quello ch’esso non giunga a prendere consistenza e non renda quindi quella somma d’azione che gli anarchici potrebbero dare se solamente sapessero armonizzare e sommare il loro entusiasmo, il loro coraggio, il loro spirito di sacrificio. E questo è provato dalla storia di tutte le organizzazioni e tentativi di organizzazioni che gli anarchici han fatto in tutto il mondo da quando esiste un movimento anarchico…