Errico Malatesta
Rivoluzione e lotta quotidiana

4. Le idee ed i fatti

4. UN’ORGANIZZAZIONE ED UN PROGRAMMA

d. Lo spontaneismo e l'organizzazione

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d. Lo spontaneismo e l'organizzazione51

 

I compagni del periodico anarchico L'Adunata dei Refrattari, di Newark, negli Stati Uniti, hanno nel dicembre passato ripubblicato in volume la serie di brillanti articoli con cui Luigi Galleani rispondeva, circa 20 anni or sono, a F.S. Merlino, il quale aveva affermato, in un’intervista con Cesare Sobrero, che l’anarchismo era morto, o moribondo. Ed hanno fatto opera buona, poichè sarebbe stato un peccato davvero che quel lavoro fosse andato dimenticato e perduto.

In sostanza è una esposizione chiara, serena, eloquente del comunismo anarchico, secondo la concezione kropotkiniana: concezione, che io personalmente trovo troppo ottimista, troppo facilona, troppo fidente nelle armonie naturali, ma che non resta meno per questo il contributo più grande che sia stato dato finora alla propagazione dell’anarchismo.

Non starò ad esporre le tesi sostenute dal Galleani, perchè sono in generale le stesse idee che noi tutti abbiamo sempre professate e propagate ed anche perchè si tratta di un lavoro tanto sostanzioso e conciso che mal si presta ai riassunti ed agli estratti, ed è così bene scritto che a toccarlo si rischia di sciuparlo.

Noterò soltanto un punto di dissenso apparente ed uno di dissenso reale.

Il dissenso apparente sta nella questione dell’organizzazione – non dell’organizzazione operaia intorno alla quale io sono, come sanno i lettori di questa rivista, quasi completamente d’accordo col Galleani – ma dell’organizzazione propria degli anarchici come partito, come insieme di uomini che vogliono la stessa cosa e che hanno interesse ad unire e coordinare i loro sforzi. Galleani fa una critica severa quanto giusta di una supposta organizzazione autoritaria, che è una cosa completamente diversa da quella che gli anarchici organizzatori predicano e, quando possono, praticano. Ma è una questione di parola. Se invece di dire organizzazione si dicesse associazione, intesa, unione o altra parola simile, Galleani sarebbe certamente il primo a riconoscere che gli sforzi isolati e discordanti sono impotenti a raggiungere lo scopo. Infatti egli aveva creato in America, intorno a Cronaca Sovversiva, tutt’una accolta di consensi e di cooperazioni che, se mai, aveva proprio il difetto autoritario di dipendere troppo dall’impulso di una sola persona.

Il punto di dissenso reale è un altro, ed è grave perchè può influenzare tutta l’azione pratica degli anarchici oggi e, più ancora, nei giorni di crisi storiche.

Galleani dice:

“Noi non possiamo offrire della città libera e felice che qualche magnifico profilo disegnato dalla speranza, dalla fantasia e da qualche logica e positiva induzione, piuttosto che da una realtà matematica e sicura. Non possiamo d’altronde, senza arbitrio e senza ridicolo, erigerne l’architettura severa e completa. La più ideale delle costruzioni potrebbe parere meschina, forse anche grottesca ai nostri nepoti che la casa dovrebbero abitare, e la casa sapranno farsi da adeguata ai loro bisogni, rispondere al loro gusto, degna dell’era più progredita e delle superiori civiltà in cui saranno chiamati a vivere”.

E sta benissimo Ma poi aggiunge:

“Il nostro compito è più modesto ed anche più perentorio: dobbiamo lasciare ad essi (ai nipoti) il terreno sgombro dalle fosche ruine, dalle turpi galere, dai privilegi esosi, dai monopoli rapaci, dagli eunuchi rispetti umani, dai convenzionalismi bugiardi, da pregiudizi avvelenati tra cui ci aggiriamo povere ombre in pena; dobbiamo lasciare ad essi sgombra la terra dalle chiese, dalle caserme, dai tribunali, dai lupanari e soprattutto dall’ignoranza e dalla paura che li custodiscono assai più fedelmente che non le sanzioni del codice e i gendarmi”.

Qui appare l’idea, purtroppo assai sparsa in mezzo ai nostri compagni, che compito degli anarchici sia semplicemente quello di demolire, lasciando ai posteri l’opera di ricostruzione. Ed è idea nefasta.

La vita sociale, come la vita individuale, non ammette interruzione. Sarebbe, per esempio, ridicolo, e mortale se si facesse davvero, il volere distruggere tutti i forni malsani, tutti i mulini antieconomici, tutte le culture arretrate rimettendo ai posteri la cura di cercare ed applicare metodi migliori per coltivare il grano, far la farina e cuocere il pane. E così per la maggior parte delle istituzioni sociali, che compiono male qualche funzione necessaria, ma la compiono; e non possono esser distrutte se non sostituendole con qualche cosa di meglio.

Non si tratta di prescrivere la linea da seguire ai posteri, i quali profitteranno degli sforzi e delle esperienze nostre e faranno, c’è da sperarlo, molto meglio di quello che sapremmo far noi. Si tratta di quello che dobbiamo e dovremo far noi, se non vogliamo lasciare il monopolio dell’azione pratica ad altri, che indirizzerebbero il movimento verso orizzonti opposti ai nostri. Quindi necessità di studi e di preparazione per poter realizzare il più possibile delle nostre idee a mano a mano che si opera la demolizione.

Questo, almeno, per chi pensa, come me, che l’anarchia sia una cosa da fare, e non semplicemente da sognare.

 





51 Titolo originale La fine dell'anarchismo di Luigi Galleani, In "Pensiero e Volontà", 1 giugno 1926.



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