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4. Le idee ed i fatti 5. IL GOVERNO RIVOLUZIONARIO E LA DITTATURA DEL PROLETARIATO c. La ricetta dei comunisti |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Al contrario degli anarchici vi sono molti rivoluzionari i quali non hanno fiducia nell’istinto costruttivo nelle masse, credono di avere essi la ricetta infallibile per assicurare la felicità universale, temono la possibile reazione, temono forse più la concorrenza di altri partiti ed altre scuole di riformatori sociali, e vogliono perciò impossessarsi del potere e sostituire al governo “democratico” di oggi un governo dittatoriale.
Dittatura dunque: ma chi sarebbero i dittatori? Naturalmente, pensano essi, i capi del loro partito. Dicono ancora per abitudine contratta o per desiderio cosciente di evitare le spiegazioni chiare, “dittatura del proletariato” ma questa è una burletta oramai sfatata.
Ecco come si spiega Lenin, o chi per lui (vedi "Avanti!" del 20 luglio 1920):
“La dittatura significa l’abbattimento della borghesia per opera di un’avanguardia rivoluzionaria (questa è la rivoluzione e non già la dittatura), in contrasto con la concezione che sia anzitutto necessario ottenere una maggioranza nelle elezioni. Per mezzo della dittatura si ottiene la maggioranza non già per mezzo della maggioranza la dittatura”. (E sta bene; ma se è una minoranza che, impossessatasi del potere, deve poi conquistare la maggioranza è una menzogna il parlare di dittatura del proletariato. Il proletariato è evidentemente la maggioranza).
“La dittatura significa l’impiego della violenza e del terrore” (Per opera di chi e contro chi? Poichè si suppone la maggioranza ostile e non può trattarsi, nel concetto dittatoriale di folla scatenata che prende nelle sue mani la cosa pubblica, evidentemente la violenza ed il terrore dovranno essere praticati contro tutti coloro che non si piegano ai voleri dei dittatori per mezzo di sgherani al servizio di essi dittatori).
“La libertà di stampa e di riunione equivarrebbe ad autorizzare la borghesia ad avvelenare l’opinione pubblica.” (Dunque dopo l’avvento della dittatura “del proletariato” che dovrebbe essere la totalità dei lavoratori, vi sarà ancora una borghesia che invece di lavorare avrà i mezzi di avvelenare “l’opinione pubblica” ed una opinione pubblica da avvelenare estranea a quei proletari che dovrebbero costituire la dittatura? Vi saranno dei censori onnipotenti che giudicheranno di quello che si può o non si può stampare e dei questori a cui bisognerà domandare il permesso per tenere un comizio. Inutile dire quale sarebbe la libertà lasciata a chi non è ligio ai dominatori del momento).
“Soltanto dopo la espropriazione degli espropriatori, dopo la vittoria, il proletariato attirerà a sè le masse della popolazione che prima seguiva la borghesia”. (Ma ancora una volta che cosa è questo proletariato che non è la massa che lavora? Proletariato non significa dunque chi non ha proprietà ma chi ha certe date idee ed appartiene ad un dato partito?).
Lasciamo dunque questa falsa espressione di dittatura del proletariato atta a produrre tanti equivoci e discutiamo della dittatura quale essa è veramente, cioè il governo assoluto di uno o più individui i quali, appoggiandosi su di un partito o su di un esercito, s’impadroniscono della forza sociale ed impongono “colla violenza e col terrore” la loro volontà.
Quale sarà questa volontà dipende dalla specie di persone che all’atto pratico riusciranno ad impossessarsi del potere. Nel caso nostro si suppone che sarà la volontà dei comunisti e quindi una volontà ispirata al desiderio del bene di tutti.
È già una cosa molto dubbia, poichè generalmente gli uomini meglio dotati delle qualità necessarie per arraffare il potere non sono i più sinceri ed i più devoti alla causa pubblica; e se si predica alle masse la necessità di sottomettersi ad un nuovo governo non si fa che spianare la via agli intriganti ed agli ambiziosi.
Ma supponiamo pure che i nuovi governanti, i dittatori che dovrebbero realizzare gli scopi della rivoluzione siano dei veri comunisti, pieni di zelo, convinti che dall’opera loro, dall’energia loro dipenda la felicità del genere umano. Sarebbero degli uomini sul tipo dei Torquemada e dei Robespierre che, a fine di bene, in nome della salute privata o pubblica, soffocherebbero ogni voce discorde, distruggerebbero ogni alito di vita libera e spontanea: e poi, impotenti a risolvere i problemi pratici da loro sottratti alla competenza degli interessati, dovrebbero per amore e per forza lasciare il posto ai restauratori del passato.
La grande giustificazione della dittatura sarebbe l’incapacità delle masse e la necessità di difendere la rivoluzione dai tentativi reazionari.
Se davvero le masse fossero armento bruto incapace di vivere senza il bastone del pastore, se non vi fosse già una minoranza sufficientemente numerosa e cosciente capace di trascinare le masse colla predicazione e coll’esempio, allora comprenderemmo meglio i riformisti, i quali temono la sollevazione popolare e s’illudono di potere poco a poco, a forza di piccole riforme,che sono poi piccoli rammendi, minare lo Stato borghese e preparare le vie al socialismo; comprenderemmo meglio gli educazionisti che non valutando abbastanza l’influenza dell’ambiente sperano di poter cambiare la società cambiando prima tutti gli individui; non potremmo comprendere affatto i partigiani della dittatura, che vogliono educare ed elevare le masse “colla violenza e col terrore” e dovrebbero elevare a primi fattori di educazione i gendarmi ed i censori.
In realtà nessuno potrebbe istituire la dittatura rivoluzionaria se prima il popolo non avesse fatta la rivoluzione, mostrando così a fatti la sua capacità di farla; ed allora la dittatura non farebbe che sovrapporsi alla rivoluzione, sviarla, soffocarla ed ucciderla.
In una rivoluzione politica in cui si mira solo a buttar giù il governo lasciando in piedi tutta l’organizzazione sociale esistente, può una dittatura impossessarsi del potere, mettere i suoi uomini al posto dei funzionari scacciati ed organizzare dall’alto il nuovo regime. Ma in una rivoluzione sociale, dove sono rovesciate tutte le basi della convivenza sociale, dove la produzione indispensabile deve essere ripresa subito per conto e vantaggio dei lavoratori, dove la distribuzione deve essere immediatamente regolata secondo giustizia, la dittatura non potrebbe far nulla, O il popolo provvederebbe da sè nei diversi comuni e nelle diverse industrie, o la rivoluzione sarebbe fallita.
Forse in fondo i partigiani della dittatura (e già alcuni lo dicono apertamente) non desiderano subito che una rivoluzione politica, vale a dire che vorrebbero senz’altro impossessarsi del potere e poi gradualmente trasformare la società per mezzo di leggi e di decreti. In tal caso essi avrebbero probabilmente la sorpresa di vedere al potere ben altri che loro stessi; e in tutti i casi dovrebbero prima d’ogni altra cosa pensare a organizzare la forza armata (i poliziotti) necessaria ad imporre il rispetto delle loro leggi. Intanto la borghesia che sarebbe restata sostanzialmente la detentrice della ricchezza, superato il momento critico dell’ira popolare, preparerebbe la reazione, riempirebbe la polizia di propri agenti, sfrutterebbe il disagio e la disillusione di coloro che si aspettavano l’immediata realizzazione del paradiso terrestre… e ripiglierebbe il potere o attirando a sè i dittatori, o sostituendoli con uomini suoi.
Quella paura della reazione, addotta a giustificazione del regime dittatoriale dipende appunto dal fatto che si pretende fare la rivoluzione lasciando sussistere ancora una classe privilegiata in condizione di poter riprendere il potere.
Se invece s’incomincia con l’espropriazione completa, allora borghesi non ve ne sarà più; e tutte le forze vive del proletariato, tutte le capacità esistenti saranno impiegate nell’opera di ricostruzione sociale.
Del resto, in un paese come l’Italia (per applicare il già detto al paese in cui svolgiamo la nostra attività), in un paese come l’Italia, dove le masse sono pervase da istinti libertari e ribelli, dove gli anarchici rappresentano una forza considerevole, più che per le loro organizzazioni, per l’influenza che possono esercitare, un tentativo di dittatura non potrebbe essere fatto senza scatenare la guerra civile tra lavoratori e lavoratori e non potrebbe trionfare se non per mezzo della più feroce tirannia.
Non v’è che una via possibile di salvezza: la Libertà.