Errico Malatesta
Rivoluzione e lotta quotidiana

4. Le idee ed i fatti

5. IL GOVERNO RIVOLUZIONARIO E LA DITTATURA DEL PROLETARIATO

d. Bolscevismo e anarchismo

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d. Bolscevismo e anarchismo56

 

Dopo circa due anni da quando fu scritto, il libro di Luigi Fabbri a proposito della rivoluzione russa conserva tutta la sua freschezza e resta il lavoro più completo e più organico che io conosca sull’argomento. Anzi gli avvenimenti posteriori che si sono svolti in Russia sono venuti a confermare il valore del libro dando un’ulteriore e più evidente conferma sperimentale alle deduzioni che il Fabbri cavava dai fatti allora conosciuti e dai principi generali sostenuti dagli anarchici.

Materia del libro è un caso particolare del vecchio eterno conflitto tra libertà e autorità che ha riempito di tutta la storia passata e travaglia più che mai il mondo contemporaneo, e dalle cui vicende dipende la sorte della rivoluzione in atto e di quelle che stanno per venire.

La rivoluzione russa si è svolta con lo stesso ritmo di tutte le rivoluzioni passate. Dopo un periodo ascendente verso una maggiore giustizia ed una maggiore libertà, che è durato fino a quando l’azione popolare attaccava ed abbatteva i poteri costituiti, è sopravvenuto, non appena un nuovo governo è riuscito a consolidarsi, il periodo della reazione, l’opera, a volte lenta e graduale, a volte rapida e violenta, del nuovo potere, intesa a distruggere quanto più è possibile delle conquiste della Rivoluzione e a stabilire un ordine che assicuri la permanenza al potere della nuova classe governante e difenda gli interessi dei nuovi privilegiati e di quelli tra i vecchi che sono riusciti a sopravvivere alla tormenta.

In Russia, grazie a circostanze eccezionali il popolo abbatté il regime zarista, costruì per libera e spontanea iniziativa i suoi sovieti (che furono comitati locali di operai e contadini, rappresentanti diretti dei lavoratori e sottoposti al controllo immediato degli interessati), espropriò gli industriali ed i grandi proprietari fondiari ed incominciò ad organizzare sulla base dell’uguaglianza e della libertà e con criteri di giustizia, sia pure relativa, la nuova vita sociale.

Così la Rivoluzione si andava sviluppando e, compiendo il più grandioso esperimento sociale che la storia ricordi si apprestava a dare al mondo l’esempio di un grande popolo che mette in opera per sforzo proprio tutte le sue facoltà, e raggiunge la sua emancipazione ed organizza la sua conformemente ai suoi bisogni, ai suoi istinti, alla sua volontà, senza la pressione di una forza esteriore che lo inceppi e lo costringa a servire gli interessi di una casta privilegiata.

Disgraziatamente però, tra gli uomini che maggiormente contribuirono a dare il colpo decisivo al vecchio regime, vi erano dei fanatici dottrinari, ferocemente autoritari perchè fermamente convinti di possedere “la verità” e di avere la missione di salvare il popolo il quale, secondo la loro opinione non poteva salvarsi se non per le vie indicate da loro. Costoro, profittando del prestigio che dava loro la parte presa nella rivoluzione e soprattutto della forza che veniva loro dalla propria organizzazione, riuscirono ad impossessarsi del potere, riducendo all’impotenza gli altri, ed in specie gli anarchici, che avevano contribuito alla rivoluzione quanto e più di loro, ma non potettero opporsi validamente alla loro usurpazione, perchè disgregati senza intese preventive, quasi senza alcuna organizzazione.

Da allora la rivoluzione era condannata.

Il nuovo potere, come è nella natura di tutti i governi, volle assorbire nelle sue mani tutta la vita del paese e sopprimere ogni iniziativa, ogni movimento che sorgesse dalle viscere popolari. Creò in sua difesa prima un corpo di pretoriani, poi un esercito regolare ed una potente polizia che uguagliò e superò in ferocia e mania liberticida quella stessa del regime zarista. Costituì un’innumere burocrazia; ridusse i sovieti a puri strumenti del potere centrale o li sciolse colla forza delle baionette; soppresse con la violenza, spesso sanguinaria ogni opposizione; volle imporre il programma sociale agli operai e ai contadini riluttanti, e così scoraggiò e paralizzò la produzione. Difese bensì con successo il territorio russo dagli attacchi della reazione europea, ma non riuscì con questo a salvare la rivoluzione poichè l’aveva strozzata esso stesso, pur cercando di difendere le apparenze formali. Ed ora si sforza di farsi riconoscere dai governi borghesi, di entrare con loro in rapporti cordiali, di ristabilire il sistema capitalistico… insomma di seppellire definitivamente la rivoluzione. Così tutte le speranze che la rivoluzione russa aveva suscitate nel proletariato mondiale saranno state tradite. La Russia non tornerà certo allo stato di prima, Poichè una grande rivoluzione non passa mai senza lasciar tracce profonde, senza scuotere ed innalzare l’animo popolare e senza creare delle nuove possibilità per l’avvenire. Ma i risultati ottenuti resteranno ben inferiori a quello che avrebbero potuto essere e si sperava che fossero, ed enormemente sproporzionati alle sofferenze patite ed al sangue versato.

Noi non vogliamo troppo approfondire la ricerca delle responsabilità. Certo molta colpa del disastro spetta alle direttive autoritarie che si dettero alla rivoluzione; molta colpa spetta anche alla singolare psicologia dei governanti bolscevichi, che pur sbagliando e riconoscendo e confessando i loro errori, restano sempre convinti lo stesso d’essere infallibili e vogliono sempre imporre con la forza le loro mutevoli e contraddittorie volontà. Ma è altrettanto, o più vero ancora, che quegli uomini si sono trovati alle prese con difficoltà inaudite e che forse molto di quello che a noi sembra errore e malvagità, fu l’effetto ineluttabile della necessità.

E perciò noi volentieri ci asterremmo dal dare un giudizio, lasciando che giudichi più tardi la storia serena ed imparziale, se è vero che una storia serena ed imparziale sia mai possibile. Ma v’è in Europa tutto un partito che è abbacinato dal mito russo e vorrebbe imporre alle prossime rivoluzioni gli stessi metodi bolscevichi che hanno uccisa la rivoluzione russa; ed è urgente quindi mettere in guardia le masse in generale, ed i rivoluzionari in specie, contro il pericolo dei tentativi dittatoriali dei partiti bolscevizzanti. E il Fabbri ha reso un segnalato servizio alla causa mostrando all’evidenza la contraddizione che v’è tra dittatura e rivoluzione.

L’argomento principe di cui si servono i difensori della dittatura che si continua a chiamare dittatura del proletariato, ma è poi in realtàormai tutti ne convengonodittatura dei capi di un partito sopra tutta quanta la popolazione, l’argomento principe, dico, è la necessità di difendere la rivoluzione contro i tentativi interni di restaurazione borghese e contro gli attacchi che verrebbero dai governi esteri, se il proletariato dei loro paesi non sapesse tenerli in rispetto facendo, o almeno minacciando di fare, esso stesso la rivoluzione appena l’esercito fosse impegnato in una guerra.

Non v’è dubbio che bisogna difendersi; ma dal sistema che si adopera nella difesa dipende in gran parte la sorte della rivoluzione. Che se per vivere si dovesse rinunziare alle ragioni ed agli scopi della vita, se per difendere la rivoluzione si dovesse rinunziare alle conquiste che sono lo scopo primo della rivoluzione, allora varrebbe meglio essere vinti onoratamente e salvare le ragioni dell’avvenire, anzichè vincere tradendo la propria causa.

La difesa interna bisogna assicurarla distruggendo radicalmente tutte le istituzioni borghesi e rendendo impossibile ogni ritorno al passato.

È vano il volere difendere il proletariato contro i borghesi mettendo questi in condizioni d’inferiorità politica. Fino a che vi sarà gente che ha e gente che non ha, quelli che hanno finiranno sempre col burlarsi delle leggi; anzi, appena svaniti i primi bollori popolari, sono essi che andranno al potere e faranno le leggi.

Vane le misure di polizia, che possono ben servire ad opprimere, ma non serviranno mai per liberare.

Vano, e peggio che vano micidiale, il cosiddetto terrore rivoluzionario. Certo è tanto grande l’odio, il giusto odio, che gli oppressi covano nell’animo loro, sono tante le infamie commesse dai governi e dai signori, sono tanti gli esempi, di ferocia che vengono dall’alto, tanto il disprezzo della vita e delle sofferenze umane che ostentano le classi dominanti, che non c’è da meravigliarsi se in un giorno di rivoluzione la vendetta popolare scoppia tremenda ed inesorabile. Noi non ce ne scandalizzeremmo e non cercheremmo di frenarla se non con la propaganda, poichè il volerla frenare altrimenti porterebbe alla reazione. Ma è certo, secondo noi, che il terrore è un pericolo e non già una garanzia di successo per la rivoluzione. Il terrore in generale colpisce i meno responsabili; mette in valore i peggior elementi, quelli stessi che avrebbero fatto i birri e i carnefici sotto il vecchio regime e sono felici di sfogare, in nome della rivoluzione, i loro cattivi istinti e soddisfare sordidi interessi.

E questo se si tratta del terrore popolare esercitato direttamente dalle masse contro i loro oppressori diretti. Chè se poi il terrore dovesse essere organizzato da un centro, fatto per ordine di governo per mezzo della polizia e dei tribunali cosiddetti rivoluzionari, allora esso sarebbe il mezzo più sicuro per uccidere la rivoluzione e sarebbe esercitato, più che a danno dei reazionari, contro gli amanti di libertà che resistessero agli ordini del nuovo governo ed offendessero gli interessi dei nuovi privilegiati.

Alla difesa, al trionfo della rivoluzione si provvede interessando tutti alla sua riuscita, rispettando la libertà di tutti e levando a chiunque non solo il diritto, ma la possibilità di sfruttare il lavoro altrui.

Non bisogna sottomettere i borghesi ai proletari, ma abolire borghesia e proletariato assicurando a ciascuno la possibilità di lavorare nel modo che vuole e mettendo tutti gli uomini validi nell’impossibilità di vivere senza lavorare.

Una rivoluzione sociale, che dopo aver vinto sta ancora in pericolo di essere sopraffatta dalla classe spossessata è una rivoluzione che si è arrestata a mezzo cammino; e per assicurarsi la vittoria non ha che da andare sempre più avanti sempre più in fondo.

Resta la questione della difesa contro il nemico di fuori.

Una rivoluzione che non vuol finire sotto i talloni di un soldato fortunato non può difendersi che per mezzo di milizie volontarie, facendo in modo che ogni passo fatto dagli stranieri sul territorio insorto li faccia cadere in un tranello, cercando di offrire tutti i vantaggi possibili ai soldati mandati per forza e trattando senza pietà gli ufficiali nemici che vengono volontariamente. Si deve organizzare il meglio possibile l’azione guerresca; ma è essenziale evitare che coloro i quali si specializzano nella lotta militare esercitino, in quanto militari, una qualsiasi azione sulla vita civile della popolazione.

Noi non neghiamo che dal punto di vista tecnico più un esercito è retto autoritariamente e più ha probabilità di vittoria, e che il concentramento di tutti i poteri nelle mani di uno solo – se capita che quest’uno sia un genio militarecostituirebbe un grande elemento di successo. Ma la questione tecnica non ha che una importanza secondaria – e se per rischiare una sconfitta da parte dello straniero si dovesse rischiare di uccidere noi stessi la rivoluzione, si servirebbe molto male la causa.

L’esempio della Russia serva a tutti.

Il farsi mettere il freno nella speranza di essere meglio guidati non può condurre che alla schiavitù. Tutti i rivoluzionari studino il libro di Fabbri. È necessario per esser bene preparati ad evitare gli errori in cui sono caduti i Russi.

 





56 Titolo originale A proposito del libro "Dittatura e Rivoluzione" di L. Fabbri, Ancona 1921, in "Libero Accordo", Roma 7 novembre 1923. L'art. è la prefazione dell'ed. spagnola del vol. di Fabbri, pubblicata a Buenos Aires nel 1923 ma fu scritto da Malatesta nel luglio 1922.



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