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“Che fare?” è la domanda che con più o meno forza tormenta sempre l’animo di tutti gli uomini lottanti per un ideale e che risorge imperiosa nei momenti di crisi, quando un insuccesso, una disillusione spinge al riesame della tattica seguita, alla critica degli errori eventuali, ed alla ricerca di mezzi più efficaci. E ben fa il compagno Outcast a rimettere la questione sul tappeto ed invitare i compagni a riflettere ed a decidere sul da farsi.
La situazione oggi è per noi difficile ed in certe regioni addirittura disastrosa. Ma insomma chi era anarchico resta anarchico, e, se da una parte siamo indeboliti dalle molteplici sconfitte, abbiamo guadagnato dall’altra una preziosa esperienza, che aumenterà in seguito la nostra efficienza, se poco poco sappiamo farne tesoro. Le defezioni, del resto rare, che si sono prodotte nel campo nostro in fondo ci giovano perchè ci hanno sbarazzato di elementi deboli ed infidi.
Che fare dunque?
Non m’intratterrò dell’agitazione fatta all’estero contro la reazione italiana. Certamente tutto ciò che serve a far conoscere al proletariato mondiale le vere condizioni d’Italia e le infamie inaudite che sono state commesse e continuano a commettersi dagli scherani della borghesia per soffocare e distruggere ogni movimento emancipatore, non può che giovare. Già leggiamo di un comizio internazionale di protesta contro il fascismo che ha avuto luogo a New York il 18 corrente – siam sicuri che i nostri amici e quanti han senso di libertà e di giustizia faranno tutto quello che possono in America, Inghilterra, Francia, Spagna, ecc.
Ma a noi interessa soprattutto quello che si deve fare qui in Italia, perchè siamo noi che dobbiamo farlo, e perchè, se è bene tener conto di tutte le forze ausiliarie, è essenziale però non contare troppo sugli altri e cercare la salute in noi stessi, nell’opera nostra.
Noi in questi ultimi anni ci siamo accostati per un’azione pratica ai diversi partiti d’avanguardia e ne siamo usciti sempre male. Dobbiamo per questo isolarci, rifuggire dai contatti impuri, e non muoverci o tentare di muoverci se non quando potremo farlo con le sole nostre forze ed in nome del nostro programma integrale?
Io non lo credo.
Poichè la rivoluzione non possiamo farla da soli, cioè poichè non possiamo colle nostre sole forze attirare e spingere all’azione le grandi masse necessarie alla vittoria, e poichè anche aspettando un tempo illimitato le masse non potranno diventare anarchiche prima che la rivoluzione sia incominciata, e noi resteremo necessariamente una minoranza relativamente piccola fino al giorno in cui potremo cimentare le nostre idee nella pratica rivoluzionaria, negare il nostro concorso agli altri ed aspettare per agire di essere in grado di farlo da soli, sarebbe in pratica, e malgrado le parole grosse ed i propositi radicali, un fare opera addormentatrice ed impedire che s’incominci colla scusa di volere con un salto arrivare di botto alla fine.
So bene – se non lo sapessi da lungo tempo lo avrei appreso recentemente – che salvo individui e gruppi che mordono il freno della disciplina dei partiti autoritari e vi restano colla speranza che i loro capi un qualche giorno si decideranno ad ordinare l’azione generale noi, gli anarchici, siamo i soli a volere la rivoluzione davvero, ed a volerla il più presto possibile Ma so anche che le circostanze sono spesso più forti della volontà degli individui e che una volta o l’altra, se i nostri cugini dei vari lati non vorranno morire ignominiosamente come partiti e fare omaggio alla monarchia di tutte le loro idee e di tutte le loro tradizioni, di tutti i loro sentimenti migliori, dovranno decidersi a rischiare la lotta finale. Oggi potrebbero anche esservi spinti dalla necessità di difendere la loro libertà, i loro beni, la loro vita.
Noi dovremmo quindi essere sempre disposti a secondare chi vuole agire, anche se questo implica il rischio di essere poi lasciati soli e traditi.
Ma nel dare agli altri il nostro concorso, o meglio nel cercare sempre di utilizzare le forze degli altri e profittare di tutte le possibilità di azione, noi dobbiamo restare sempre noi stessi, e metterci in grado di far sentire la nostra influenza e contare almeno in proporzione delle nostre forze reali.
E per questo importa intendersi, collegarsi, organizzarsi nel modo più efficace possibile.
Altri, per fini che non vogliamo qualificare continui pure a svisare e calunniare i nostri scopi. Tutti i compagni che vogliono fare davvero, giudicheranno che cosa convenga loro di fare.
In questo momento, come in tutti i periodi di depressione e di stasi, siamo afflitti da una recrudescenza di bizantinismo; e v’è chi si diverte a discutere se siamo un partito o un movimento, se bisogna unirsi in unioni o federazioni e mille altre simili sciocchezze; forse sentiremo dire un’altra volta che “i gruppi non debbono avere nè segretario nè cassiere, ma debbono incaricare un compagno di custodire il denaro”. I bizantini son capaci di tutto; ma gli uomini fattivi lascino cuocere nel loro brodo quelli in buona fede e soprattutto quelli in cattiva fede, e pensino a fare.
Ciascuno faccia quello che gli pare, con chi gli pare, ma faccia.
Nessun uomo di buona fede e di buon senso negherà che per agire con efficacia bisogna intendersi, unirsi, organizzarsi.
Oggi la reazione tende a soffocare ogni movimento pubblico, e naturalmente il movimento tende a “nascondersi sotto terra”, come dicevano i russi.
Ritorniamo alla necessità dell’organizzazione segreta, e sia.
Ma l’organizzazione segreta non può esser tutto e non può comprendere tutti.
Noi abbiamo bisogno di mantenere e di accrescere il nostro contatto colle masse, abbiamo bisogno di cercare nuovi proseliti facendo la più ampia propaganda possibile, abbiamo bisogno di serbare nel movimento tutti quegli elementi che non sono adatti per un’organizzazione segreta e quelli che per essere troppo conosciuti rischierebbero di comprometterla. Non bisogna dimenticare che i membri più utili per un’organizzazione segreta sono quelli di cui gli avversari non sanno le idee, e che possono lavorare senza essere sospettati.
Non bisogna dunque, secondo me, disfare nulla di quello che esiste. Bisogna aggiungervi dell’altro: e quest’altro sia fatto in modo che risponda ai bisogni del momento. Non si aspetti l’iniziativa degli altri: che ciascuno prenda le iniziative che crede nella sua località, nel suo ambiente, e cerchi poi, colle dovute precauzioni, di collegare la propria alle altrui iniziative per arrivare a quell’intesa generale che è necessaria per un’azione che valga. Siamo, è vero, in un momento di depressione. Ma oggi la storia cammina veloce: apprestiamoci per i prossimi avvenimenti.