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Anarchici, noi restiamo anarchici malgrado tutto e malgrado tutti.
Noi siamo stati vinti in quel periodo di lotta che si è chiuso colla “presa di Roma” dell’ottobre 1922. Ma non sarà una sconfitta, del resto prevedibile, che ci farà rinunziare alla lotta, nè alla speranza e certezza di vincere. Non vi rinunzieremo nemmeno per cento, mille sconfitte, poichè sappiamo che nei progressi umani è stato sempre a forza di perdere che s’è finito col vincere.
Invece, noi studieremo le ragioni che furono causa del nostro insuccesso per trovarci meglio preparati ad agire con risultati migliori quando circostanze nuove ci richiameranno all’azione pratica.
Quali furono i nostri errori? Quali le nostre deficienze? Quale la nostra parte di responsabilità nella sconfitta?
A parte le questioni tecniche di organizzazione e di preparazione, che non vanno trattate in questo luogo, gli anarchici, o almeno il più degli anarchici, han creduto le cose molto più facili di quello che realmente sono, e si sono beatamente cullati in una specie di provvidenzialismo, che ha fatto creder loro che bastano un ideale luminoso ed uno spirito eroico perchè poi tutto si accomodasse da sè. Han creduto nella “spontaneità delle masse”, nell’“ordine naturale” ed in altri miti creati dal desiderio ed anche da pigrizia intellettuale… e la “natura” è restata sorda e cieca come sempre, e le masse hanno ondeggiato da un polo all’altro secondo che le spingeva ora l’illusione di un facile paradiso, ora la speranza dì qualche meschino vantaggio materiale, ora lo scoraggiamento e la livida paura.
No! le cose non si accomodano da sè, e le masse, fino a che non saranno illuminate, sono materia bruta, buona, secondo che i coscienti ed i volenti le guidano, per ogni opera bella come per ogni mostruosità.
In fondo, resta sempre vero il proverbio che “il mondo è di chi se lo piglia”, cioè favorisce gli uni o gli altri, cammina avanti o indietro secondo gl’impulsi che riceve. Ma a volerselo pigliare si è in molti e per scopi vani e contrastanti. Bisogna quindi che si tenga conto di tutte le forze operanti per dirigerne la risultante il più possibile verso la propria meta.
Sapere quello che si vuole, misurare quello che si può, ed invece di perdersi nei sogni, preparare un programma pratico applicabile mano mano alle questioni che giornalmente si presentano e non già buono solo per quando l’anarchia sarà fatta. Ecco quello che occorre.
Santo è l’ideale; ma esso non si realizza da sè per “leggi storiche” o per interventi provvidenziali. C’è una via, o piuttosto ci sono delle vie per giungere all’ideale, e queste vie noi ci proponiamo specialmente di studiare.
I tempi sono tristi, e dalle parole che dicono alcuni nostri collaboratori in questo primo numero spira una certa aria di pessimismo. Ma non importa. Il pessimismo, quando non è vile adattamento, quando è coscienza delle difficoltà, serve a meglio temprare gli animi alla lotta.
La grandezza degli ostacoli sia la misura dello sforzo che tutti dobbiamo fare.