Errico Malatesta
Rivoluzione e lotta quotidiana

4. Le idee ed i fatti

6. L’ALLUVIONE FASCISTA

f. Dopo un’eventuale trionfo insurrezionale

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f. Dopo un’eventuale trionfo insurrezionale62

 

Io non parlerò del modo come può essere combattuta ed abbattuta la tirannia che oggi opprime il popolo italiano. Qui noi ci proponiamo di fare semplicemente opera di chiarificazione delle idee e di preparazione morale in vista di un avvenire, prossimo o lontano, perchè non ci è possibile far altro. E del resto, quando credessimo giunto il momento di una più fattiva azione… ne parleremmo anche meno.

Mi occuperò dunque solo, e ipoteticamente, dell’indomani di una insurrezione trionfante e dei metodi di violenza che alcuni vorrebbero adoperare per “fare giustizia” ed altri credono necessari per difendere la Rivoluzione contro le insidie dei nemici.

Mettiamo da parte “la giustizia”, concetto che è servito sempre di pretesto a tutte le oppressioni, a tutte le ingiustizie e che spesso non significa altro che vendetta. L’odio ed il desiderio di vendetta sono sentimenti irrefrenabili che l’oppressione naturalmente risveglia ed alimenta; ma se essi possono rappresentare una forza utile a scuotere il giogo, sono poi una forza negativa quando si tratta di sostituire all’oppressione non un’oppressione novella, ma la libertà e la fratellanza fra gli uomini. E perciò noi dobbiamo sforzarci di suscitare quei sentimenti superiori che attingono l’energia nel fervido amore del bene, pur guardandoci dallo spezzare l’impeto, fatto di fattori buoni e cattivi, necessario a vincere. Lasciamo che la massa agisca come la passione la spinge, se per meglio indirizzarla occorresse metterle un freno che si tradurrebbe in una nuova tirannia – ma ricordiamoci sempre che noi anarchici non possiamo essere dei vendicatori, dei “giustizieri”. Noi vogliamo essere dei liberatori e dobbiamo agire come tali per mezzo della predicazione e dell’esempio.

Occupiamoci della questione più importante, che è poi la sola cosa seria messa innanzi, in quest’argomento, dai miei critici: la difesa della rivoluzione.

Vi sono ancora molti che sono affascinati dall’idea del “terrore”. Ad essi sembra che ghigliottina, fucilazioni, massacri, deportazioni, galera (“forca e galera” mi diceva recentemente un comunista dei più noti) siano armi potenti ed indispensabili della rivoluzione, e trovano che se tante rivoluzioni sono state sconfitte e non han dato il risultato che se ne aspettava è stato a causa della bontà, della “debolezza” dei rivoluzionari, che non hanno perseguitato, represso, ammazzato abbastanza.

È un pregiudizio corrente in certi ambienti rivoluzionari, che ha origine dalla rettorica e dalle falsificazioni storiche degli apologisti della Grande Rivoluzione francese e che è stato rinvigorito in questi ultimi anni dalla propaganda dei bolscevichi. Ma la verità è proprio l’opposto; il terrore è sempre stato strumento di tirannia. In Francia servì alla bieca tirannia di Robespierre e spianò la via a Napoleone ed alla susseguente reazione. In Russia han perseguitato ed ucciso anarchici e socialisti, han massacrato operai e contadini ribelli, ed han stroncato insomma lo slancio di una rivoluzione che poteva davvero aprire alla civiltà un’era novella.

Coloro che credono nella efficacia rivoluzionaria, liberatrice della repressione e della ferocia hanno la stessa mentalità arretrata dei giuristi i quali credono che si possa evitare il delitto e moralizzare il mondo per mezzo di pene severe.

Il terrore, come la guerra, risveglia i sentimenti atavici belluini ancora mai coperti da una vernice di civiltà, e porta ai primi posti gli elementi peggiori che sono nella popolazione. E piuttosto che servire a difendere la rivoluzione serve a discreditarla, a renderla odiosa alle masse e, dopo un periodo di lotte feroci, mette capo necessariamente a quello che oggi chiamerebberonormalizzazione”, cioè alla legalizzazione e perpetuazione della tirannia. Vinca una parte o l’altra, si arriva sempre alla costituzione di un governo forte, il quale assicura agli uni la pace a spese della libertà ed agli altri il dominio senza troppi pericoli.

So bene che gli anarchici terroristi (quei pochi che vi sono) respingono ogni terrore organizzato, fatto per ordine di un governo da agenti prezzolatì, e vorrebbero che fosse la massa che direttamente mettesse a morte i suoi nemici. Ma questo non farebbe che peggiorare la situazione. Il terrore può piacere ai fanatici, ma conviene soprattutto ai veri malvagi avidi di denaro e di sangue. E non bisogna idealizzare la massa e figurarsela tutta composta di uomini semplici, che possono bensì commettere degli eccessi, ma sono sempre animati da buone intenzioni. I birri ed i fascisti servono i borghesi, ma escono dal seno della massa!

Il fascismo ha accolto molti delinquenti e così ha, fino ad un certo punto, purificato preventivamente l’ambiente in cui si svolgerà la rivoluzione; ma non bisogna credere che tutti i Dumini e tutti i Cesarino Rossi siano fascisti. Vi sono di quelli che per una ragione qualsiasi non hanno voluto o non han potuto diventare fascisti; ma sono disposti a fare in nome della “rivoluzione” quello che i fascisti fanno in nome della “patria”. E d’altronde, come gli scherani di tutti i regimi sono stati sempre pronti a mettersi al servizio dei nuovi regimi e diventarne i più zelanti strumenti, così i fascisti di oggi si affretteranno domani a dichiararsi anarchici, o comunisti o quel che si voglia, pur di continuare a fare i prepotenti e sfogare i loro istinti malvagi E se non potranno nei loro paesi perchè conosciuti e compromessi, andranno a fare i rivoluzionari altrove e cercheranno di emergere mostrandosi più violenti, più “energici” degli altri e trattando da moderati, da codini, da “pompieri” da contro-rivoluzionari quelli che la rivoluzione concepiscono come una grande opera di bontà e di amore.

Certamente la rivoluzione va difesa e sviluppata con logica inesorabile; ma non si deve e non si può difenderla con mezzi che contraddicono ai suoi fini.

Il grande mezzo di difesa della rivoluzione resta sempre quello di togliere ai borghesi i mezzi economici del dominio, di armare tutti (fino a quando non si possa indurre tutti a gettare le armi come giocattoli inutili e pericolosi) e di interessare alla vittoria tutta la grande massa della popolazione.

Se per vincere si dovesse elevare la forca nelle piazze, io preferirei perdere.

 





62 In "Pensiero e Volontà", 1 ottobre 1924.



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