Errico Malatesta
Rivoluzione e lotta quotidiana

5. Alla ricerca dell’anarchismo: problemi da approfondire

1. IL GRADUALISMO ANARCHICO

a. La rivoluzione in pratica

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5. Alla ricerca dell’anarchismo: problemi da approfondire

 

1. IL GRADUALISMO ANARCHICO

 

a. La rivoluzione in pratica65

 

Noi vogliamo fare la rivoluzione al più presto possibile, profittando di tutte le occasioni che si possono presentare. Meno un piccolo numero di “educazionisti”, i quali credono nella possibilità di elevare le masse alle idealità anarchiche prima che siano cambiate le condizioni materiali e morali in cui esse vivono e quindi rimettono la rivoluzione a quando tutti saranno capaci di vivere anarchicamente, gli anarchici sono tutti d’accordo in questo desiderio di rovesciare al più presto possibile i regimi vigenti: anzi spesso sono essi soli quelli che mostrano una reale volontà di farlo.

Del resto, rivoluzioni ne sono avvenute, ne avvengono e ne avverranno indipendentemente dalla volontà e dall’azione degli anarchici; e poichè gli anarchici non sono che una piccolissima minoranza della popolazione e l’anarchia non è cosa che si possa fare per forza, per imposizione violenta di alcuni, è chiaro che le rivoluzioni passate e quelle prossime future non sono state e non potranno essere rivoluzioni anarchiche.

In Italia due anni or sono la rivoluzione stava per scoppiare e noi facemmo tutto quello che potemmo per farla scoppiare, e trattammo da traditori del proletariato i socialisti ed i confederali che, in occasione dei moti contro il caro-vita, degli scioperi del Piemonte, della sommossa di Ancona, dell’occupazione delle fabbriche, arrestarono lo slancio delle masse e salvarono il traballante regime monarchico.

Che cosa avremmo fatto se la rivoluzione fosse scoppiata davvero?

Che cosa faremo nella rivoluzione che scoppierà domani?

Che cosa han fatto, che cosa avrebbero potuto e dovuto fare i nostri compagni nelle recenti rivoluzioni avvenute in Russia, in Baviera, in Ungheria ed altrove?

Noi non possiamo far l’anarchia, o almeno l’anarchia estesa a tutta una popolazione ed a tutti i rapporti sociali perchè finora nessuna popolazione è anarchica, e non possiamo accettare un altro regime senza rinunziare alle nostre aspirazioni e perdere ogni ragion di essere in quanto anarchici. E allora che cosa possiamo e dobbiamo fare?

Questo era il problema messo in discussione a Bienne, e questo è il problema che maggiormente interessa nel momento attuale, così gravido di possibilità, quando ci potremmo trovare improvvisamente di fronte a tali che c’impongano di agire subito e senza esitazione o di sparire dal campo della lotta dopo di aver facilitata la vittoria agli altri.

Non si trattava di dipingere una rivoluzione quale noi la vorremmo, una vera rivoluzione anarchica quale sarebbe possibile se tutti, o almeno la grande maggioranza degli uomini abitanti un dato territorio fossero anarchici. Si trattava invece di cercare quello che di meglio si potrebbe fare in favore della causa anarchica in un rivolgimento sociale quale può avvenire nella realtà presente.

I partiti autoritari hanno un programma determinato e vogliono imporlo colla forza; perciò aspirano ad impossessarsi del potere, non importa se con mezzi legali od illegali, e quindi trasformare la società a modo loro, mediante una nuova legislazione. E da questo dipende il fatto che essi, rivoluzionari a parole e spesso anche nelle intenzioni, esitano poi a fare la rivoluzione quando le occasioni si presentano; essi non sono sicuri della acquiescenza sia pure passiva, della maggioranza, non hanno forza militare sufficiente per far eseguire i loro ordini su tutto il territorio, mancano di uomini devoti competenti in tutte le infinite branche dell’attività sociale… e sono quindi indotti a rinviare sempre l’azione a più tardi, fino a quando la sommossa popolare non li spinga quasi riluttanti al governo, dove poi vorrebbero restare indefinitivamente, e perciò cercano di frenare, sviare, arrestare la rivoluzione che li ha innalzati.

Noi al contrario abbiamo bensì un ideale per il quale combattiamo, che vorremmo veder realizzato, ma non crediamo che un ideale di libertà, di giustizia, di amore possa realizzarsi per mezzo della violenza governativa. Noi non vogliamo andare al potere e non vogliamo che nessuno vi vada. Se non possiamo impedire, per mancanza di forza, che governi esistano e si costituiscano, noi ci sforziamo e ci sforzeremo perchè questi governi restino o diventino più deboli che sia possibile, e perciò siamo sempre pronti ad agire quando si tratta di abbattere o di indebolire un governo, senza troppo (dico troppo e non punto) preoccuparci di quello che verrà dopo.

Per noi la violenza non serve e non può servire che a respingere la violenza e quando invece è adoperata per raggiungere dei fini positivi, o fallisce completamente, o riesce a stabilire l’oppressione e lo sfruttamento degli uni sugli altri.

La costituzione di una società di liberi, ed il suo progressivo miglioramento non può essere che il risultato della libera evoluzione; ed il nostro compito di anarchici è appunto quello di difendere, di assicurare la libertà dell’evoluzione.

Abbattere, o concorrere ad abbattere il potere politico, qualunque esso sia, con tutta la sequela di forze repressive che lo sostengono; impedire, o cercare d’impedire che si costituiscano nuovi governi e nuove forze repressive, e in tutti i casi non riconoscere mai alcun governo e restare sempre in lotta contro di esso e reclamare, e pretendere potendo anche colla forza, il diritto di organizzarci e vivere come ci pare ed esperimentare le forme sociali che ci sembrano migliori, sempre, s’intende, che non ledano l’eguale libertà degli altri: ecco la nostra missione.

Fuori di questa lotta contro l’imposizione governativa che genera e rende possibile lo sfruttamento capitalistico; quando avessimo spinto ed aiutato la massa del popolo ad impossessarsi della ricchezza esistente e specialmente dei mezzi di produzione, quando fossimo arrivati al punto che nessuno possa imporre agli altri con la violenza la propria volontà e nessuno possa colla forza sottrarre agli altri il prodotto del loro lavoro, noi non potremmo più che agire mediante la propaganda e l’esempio.

Distruggere le istituzioni i meccanismi, le organizzazioni sociali esistenti? Certamente, se si tratta d’istituzioni repressive, ma esse in fondo non sono che piccola cosa nella complessità della vita sociale. Polizia, esercito, carcere, magistratura, cose potenti per il male, non esercitano che una funzione parassitaria. Sono altre le istituzioni e le organizzazioni che, bene o male, riescono ad assicurare la vita all’umanità; e queste istituzioni non si possono utilmente distruggere se non sostituendole con qualche cosa di meglio.

Lo scambio delle materie prime e dei prodotti, la distribuzione delle sostanze alimentari, le ferrovie, le poste e tutti i servizi pubblici esercitati dallo Stato o dai privati, sono stati organizzati in modo da servire interessi monopolistici e capitalistici, ma rispondono ad interessi reali della popolazione. Non possiamo disorganizzarli (e del resto non ce lo permetterebbe la popolazione interessata) se non riorganizzandoli in modo migliore. E questo non si può fare in un giorno; , allo stato delle cose, noi abbiamo le capacità necessarie a farlo. Felicissimi dunque se, aspettando che possano farlo gli anarchici, lo facciano altri, magari con criteri diversi dai nostri.

La vita sociale non ammette interruzioni, e la gente vuol vivere il giorno della rivoluzione, il giorno dopo, e sempre.

Guai a noi, guai all’avvenire delle nostre idee, se noi dovessimo assumere la responsabilità di una distruzione insensata che compromettesse la continuità della vita!

Discutendo di queste materie fu sollevata a Bienne la questione del danaro questione grave quanto altre mai.

D’abitudine nel campo nostro si risolve semplicisticamente la questione dicendo che il danaro si deve abolire. E sta bene, se si tratta di una società anarchica, o di una ipotetica rivoluzione da fare di qui a cento anni, sempre nell’ipotesi che le masse possano diventare anarchiche e comuniste prima che una rivoluzione abbia cambiate radicalmente le condizioni in cui vivono.

Ma oggi la questione è ben altrimenti complicata.

Il danaro è mezzo potente di sfruttamento e di oppressione; ma è anche il solo mezzo (fuori della più tirannica dittatura, o del più idillico accordo) escogitato finora dall’intelligenza umana per regolare automaticamente la produzione e la distribuzione.

Per ora, forse più che preoccuparsi dell’abolizione del denaro, bisognerebbe cercare un modo perchè il denaro rappresenti davvero lo sforzo utile fatto da chi lo possiede.

Ma veniamo alla pratica immediata, che è la questione che veramente si discuteva a Bienne.

Figuriamoci che domani avvenga una insurrezione vittoriosa. Anarchia o non anarchia, bisogna che la popolazione continui a mangiare ed a soddisfare a tutti i bisogni primordiali. Bisogna che le grandi città siano approvvigionate più o meno come d’abitudine.

Se i contadini e i carrettieri, ecc., si rifiutano di fornire i generi che sono nelle loro mani ed i loro servizi gratuitamente, senza riceverne il danaro che essi sono abituati a considerare ricchezza reale, che cosa si fa?

Obbligarli colla forza? allora non solo addio anarchia, ma addio ogni qualsiasi rivolgimento per il meglio. La Russia insegni.

Dunque?

Ma, rispondono generalmente i compagni, i contadini comprenderanno i vantaggi del comunismo o almeno della permuta diretta tra merce e merce.

Sta benissimo; ma non certo in un giorno, e la gente non può restare senza mangiare nemmeno un giorno.

Io non ho inteso proporre delle soluzioni.

Intendo piuttosto richiamare l’attenzione dei compagni sopra problemi gravissimi, di fronte ai quali ci troveremo nella realtà di domani.

 





65 In "Umanità Nova", 7 ottobre 1922. L’articolo è parte della relazione delle discussioni del Convegno Internazionale Anarchico di Bienne (Svizzera) tenuto in occasione del cinquantenario del congresso antiautoritario di Saint-Imier del settembre 1872.



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