Errico Malatesta
Rivoluzione e lotta quotidiana

5. Alla ricerca dell’anarchismo: problemi da approfondire

1. IL GRADUALISMO ANARCHICO

b. anarchia e anarchismo

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b. anarchia e anarchismo66

 

Il mio ultimo articolo sull’argomento ha attirato l’attenzione di parecchi compagni e mi ha procurato osservazioni e domande numerose.

Forse non fui abbastanza chiaro; forse anche disturbai le abitudini mentali di alcuni che più di tormentarsi il cervello amano adagiarsi sulle formule tradizionali e sono infastiditi da tutto ciò che li costringe a pensare.

In ogni modo io cercherò di spiegarmi meglio, contento se coloro a cui quello che dico sembra alquanto eretico vorranno intervenire nella discussione e concorrere a determinare un programma pratico di azione, che possa servirci di guida nei prossimi rivolgimenti sociali.

I nostri propagandisti si sono finora occupati principalmente della critica della società attuale e della dimostrazione della desiderabilità e della possibilità di un nuovo ordinamento sociale fondato sul libero accordo, in cui tutti potessero trovare, nella fratellanza e nella solidarietà e colla più completa libertà, le condizioni per il massimo sviluppo materiale, morale ed intellettuale. Essi cercavano anzitutto d’infiammare gli animi colla concezione di quello stato di perfezione individuale e sociale che altri chiama utopia e noi chiamiamo ideale, e compivano opera buona e necessaria, perchè stabilivano la mèta verso la quale debbono tendere i nostri sforzi; ma erano (eravamo) deficienti e presso che incuranti nella ricerca delle vie e dei mezzi che a quella mèta possono condurci. Ci occupammo molto della necessità di distruggere radicalmente le cattive istituzioni sociali, ma non prestammo sufficiente attenzione a quello che bisognava fare, o lasciar fare, di positivo, nell’atto e nell’immediato indomani della distruzione perchè la vita degl’individui e della società potesse continuare nel miglior modo possibile, pensando, o agendo come se pensassimo, che le cose si sarebbero accomodate da loro stesse, per legge naturale, senza il cosciente intervento della volontà per indirizzare gli sforzi verso lo scopo prefisso. Ed a questo si deve probabilmente l’insuccesso relativo dell’opera nostra.

È tempo oramai di guardare il problema della trasformazione sociale in tutta la sua vasta complessità e cercare di approfondire il lato pratico della questione. La rivoluzione potrebbe avvenire domani, e noi dobbiamo metterci in grado di agire nel suo seno colla più grande efficacia possibile.

Poichè in questo transitorio momento la trionfante reazione c’impedisce di fare molto per allargare la propaganda in mezzo alle masse, utilizziamo il tempo per approfondire e chiarificare le nostre idee sul da farsi, intanto che cerchiamo di affrettare coi voti e coll’opera il momento di agire e di attuare.

Io mettevo a base delle mie osservazioni due principi.

Primo: L’anarchia non si fa per forza. Il comunismo anarchico, applicato in tutta la sua ampiezza e portante tutti i suoi benefici effetti, non è possibile se non quando grandi masse di popolo, che abbracciano tutti gli elementi necessari ad attuare una civiltà superiore alla presente, lo comprendano e lo vogliano. Si possono concepire dei gruppi selezionati, i cui membri vivano tra di loro e con gruppi consimili in rapporti di volontaria e libera comunanza, e sarà bene che ve ne siano e dovrà essere compito nostro il costituirne, per la sperimentazione e per l’esempio; ma questi gruppi non saranno ancora la società comunista anarchica e saranno piuttosto casi di devozione e di sacrificio in favore della causa, fino a quando non saranno riusciti a conglobare tutta o gran parte della popolazione. Non si tratterà dunque, l’indomani della rivoluzione violenta, se rivoluzione violenta deve essere, di attuare il comunismo anarchico, ma di avviarsi verso il comunismo anarchico.

Secondo: la conversione delle masse all’anarchia ed al comunismo – e nemmeno al più blando dei socialismi – non è possibile fino a che durano le attuali condizioni politiche ed economiche. E siccome queste condizioni, che mantengono i lavoratori in schiavitù, per il beneficio dei privilegiati, sono mantenute e perpetuate per mezzo della forza brutale, è necessario cambiarle violentemente per l’opera dell’azione rivoluzionaria di minoranze coscienti. Dunque, se è ammesso il principio che l’anarchia non si fa per forza, senza la volontà cosciente delle masse, la rivoluzione non può essere fatta per attuare direttamente ed immediatamente l’anarchia, ma piuttosto per creare le condizioni che rendano possibile una rapida evoluzione verso l’anarchia.

È stata spesso ripetuta la frase: “La rivoluzione sarà anarchica o non sarà”. L’affermazione può sembrare molto “rivoluzionaria”, molto “anarchica”; ma in realtà è una sciocchezza quando non è un mezzo peggiore dello stesso riformismo per paralizzare le buone volontà ed indurre la gente a star tranquilla, a sopportare in pace il presente, aspettando il paradiso futuro.

Evidentemente, “la rivoluzione anarchica” o sarà anarchica o non sarà. Ma non vi sono state rivoluzioni nel mondo, quando non ancora si concepiva la possibilità in una società anarchica? E non ve ne saranno più fino a quando le masse non saranno convertite all’anarchismo? E poichè non riusciamo a convertire all’anarchismo le masse abbrutite dalle condizioni in cui vivono, dobbiamo rinunziare ad ogni rivoluzione ed acconciarci a vivere in regime monarchico-borghese?

La verità è che la rivoluzione sarà quello che potrà essere, ed è nostro compito affrettarla il più possibile e sforzarci perchè essa sia il più radicale possibile.

Ma intendiamoci bene.

La rivoluzione non sarà anarchica, se come è purtroppo il caso, le masse non saranno anarchiche. Ma noi siamo anarchici, dobbiamo restare anarchici ed agire come anarchici, prima, durante e dopo della rivoluzione.

Senza gli anarchici, senza l’opera degli anarchici, se gli anarchici aderissero ad una qualsiasi forma di governo e ad una qualsiasi costituzione cosiddetta di transazione, la prossima rivoluzione invece di segnare un progresso della libertà e della giustizia ed un avviamento verso la liberazione integrale dell’umanità, darebbe luogo a nuove forme di oppressione e di sfruttamento forse peggiori delle attuali, o nella migliore ipotesi non produrrebbe che un miglioramento superficiale, in gran parte illusorio e completamente sproporzionato allo sforzo, ai sacrifici, ai dolori di una rivoluzione, quale quella che si annunzia per un avvenire più o meno prossimo.

Nostro compito dopo aver concorso ad abbattere il regime attuale è quello di impedire, o cercare d’impedire, che si costituisca un nuovo governo; o non riuscendovi, lottare almeno perchè il nuovo governo non sia unico, non accentri nelle sue mani tutto il potere sociale, resti debole e vacillante, non riesca a disporre di sufficiente forza militare e finanziaria, e sia riconosciuto ed ubbidito il meno possibile. In tutti i casi, noi anarchici non dobbiamo mai parteciparvi, mai riconoscerlo e restare in lotta contro di esso come siamo in lotta contro il governo attuale.

Noi dobbiamo restare in mezzo alle masse, spingerle all’azione diretta, alla presa di possesso degli strumenti di produzione ed all’organizzazione del lavoro e della distribuzione dei prodotti, all’occupazione degli ambienti abitabili, all’esecuzione dei servizi pubblici senza aspettare deliberazioni od ordini di autorità superiori – e a quest’opera noi dobbiamo concorrere con tutte le nostre forze, e per questo cercare fin da ora acquistare quante più cognizioni c’è possibile.

Ma se dobbiamo essere intransigenti nell’opposizione contro tutti gli organi di compressione e di repressione contro tutto ciò che tende ad ostacolare colla forza la volontà popolare e la libertà delle minoranze, noi dobbiamo ben guardarci dal distruggere quelle cose e disorganizzare quei servizi utili non possiamo sostituire in modo migliore.

Noi dobbiamo ricordarci che la violenza, necessaria purtroppo per resistere alla violenza, non serve per edificare niente di buono: che essa è la nemica naturale della libertà, la genitrice della tirannia e che perciò deve essere contenuta nei limiti della più stretta necessità.

La rivoluzione serve, è necessaria, per abbattere la violenza dei governi e dei privilegiati; ma la costituzione di una società di liberi non può essere che l’effetto della libera evoluzione. Ed alla libertà dell’evoluzione, continuamente minacciata fino a che esisterà negli uomini sete di dominio e di privilegi, gli anarchici debbono vegliare.

 





66 Titolo originale Ancora sulla rivoluzione in pratica, in "Umanità Nova", 14 ottobre 1922.



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