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5. Alla ricerca dell’anarchismo: problemi da approfondire 3. I PROBLEMI DELLA RICOSTRUZIONE e. Il pericolo dell'interruzione rivoluzionaria |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
e. Il pericolo dell'interruzione rivoluzionaria75
A proposito della recensione ch’io feci nel numero 9 di “Pensiero e Volontà” del libro di Galleani La fine dell’anarchismo? il compagno Benigno Bianchi mi scrive:
“Credo che non ti rincrescerà se ti scrivo per richiamare la tua attenzione su un tuo periodo che potrebbe provocare malintesi incresciosi. Intendo parlare del secondo capoverso delle parole del Galleani riportate nel tuo articolo.
“In detto passo il Galleani dice della necessità di sgombrare ai nepoti il terreno dai pregiudizi, dai privilegi, dalle chiese, dalle galere, dalle caserme, dai lupanari, ecc. È perciò necessario distruggere e non costruire.
“Tu rispondi candidamente che sarebbe ridicolo, e mortale se si facesse davvero, il voler distruggere tutti i forni malsani, tutti i mulini anti-economici, tutte le culture arretrate rimettendo ai posteri la cura di cercare ed applicare metodi migliori per coltivare il grano, per fare la farina e cuocere il pane.
“O buon Errico, il cuocere il pane, in un modo o nell’altro è indispensabile, come è necessario coltivare il grano e macinarlo ed il voler distruggere questi mezzi come altri consimili, più che l’essere ridicolo è vera pazzia!
“Quindi queste cose si rinnoveranno, si trasformeranno si perfezioneranno; ma non vorrai mica rinnovare e perfezionare le galere, le chiese, le caserme, i lupanari e nemmeno i monopoli ed i privilegi di cui parlava il Galleani.
“A me pare che il paragone non regga e conseguentemente cade tutto l’ordito dell’articolo critico in parola. La serietà della Rivista e l’autorità della tua parola mal sopportano questi stiracchiamenti polemici”.
Naturalmente le osservazioni del compagno Bianchi non mi rincrescono punto. Al contrario, io la ringrazio di avermi fornito l’occasione di ritornare sopra una questione ch’io considero di vitale importanza per lo sviluppo e la riuscita del nostro movimento.
Lasciamo da parte Galleani. Se l’ho male interpretato egli può dirlo meglio di chiunque altro, ed io sono sempre pronto a fare ammenda. Discutiamo l’argomento in sè.
L’esempio del pane da me citato pare al Bianchi uno stiracchiamento polemico: a me invece sembra calzante. Io ho l’abitudine (non so se è un pregio o un difetto) di cercare sempre esempi elementari, semplici, direi anche grossolani, perchè essi scartano tutti gli artifici retorici e mettono a nudo il nocciolo delle questioni.
I mezzi per fare il pane sono indispensabili, quindi, dice il Bianchi, sarebbe pazzia pensare alla loro distruzione anzichè al loro perfezionamento. Ma il pane non è la sola cosa indispensabile – io dico anzi che sarebbe molto difficile trovare una qualsiasi istituzione attuale, anche fra le peggiori, anche le galere, i lupanari, le caserme, i privilegi, i monopoli, che non risponda direttamente o indirettamente ad un bisogno sociale e che sia possibile distruggere realmente e permanentemente se non si sostituisce con qualche cosa che soddisfi meglio il bisogno che l’ha generata.
Non mi domandate, diceva un compagno, che cosa sostituiremo al colera: questo è un male, ed il male bisogna distruggerlo e non sostituirlo. È vero, ma il guaio è che il colera perdura e ritorna se non si sostituiscono condizioni igieniche migliori a quelle che permettono il sorgere ed il propagarsi dell’infezione.
Il pane è una cosa necessaria, siamo d’accordo. Ma la questione del pane è più complessa di quello che può sembrare a chi vive in un piccolo centro agricolo e magari produce egli stesso il grano necessario alla sua famiglia. Fornire il pane a tutti e un problema che abbraccia tutta quanta l’organizzazione sociale; il modo di possedere e di lavorare la terra, i mezzi di scambio, i trasporti, l’importazione del grano se quello che si produce nel paese è insufficiente, la distribuzione tra i vari centri abitati e poscia tra i singoli consumatori; vale a dire implica le soluzioni da dare alle questioni della proprietà, del valore, della moneta, del commercio, ecc. Oggi la produzione e la distribuzione del pane si fa in modo che i lavoratori restano sfruttati ed umiliati, i consumatori restano derubati, e a spese dei produttori e dei consumatori prospera tutto un esercito di parassiti. Noi vogliamo invece che il pane si produca e si distribuisca per il maggior bene di tutti, senza sciupio di forze e di materiale, senza oppressione di alcuno, senza parassitismi, con giustizia e con bontà; e dobbiamo cercare il modo di realizzare la nostra aspirazione o quanto più è possibile, in un dato momento, di quella nostra aspirazione i nipoti faranno certamente meglio di noi; ma noi dobbiamo fare come sappiamo e possiamo – e farlo subito, il giorno stesso della crisi, poichè, se per l’interruzione del servizio ferroviario, o le manovre dei padroni mugnai e fornai, o l’occultamento del prodotti, i grandi centri venissero a mancare di pane (e altre cose di prima necessità) la rivoluzione sarebbe perduta e trionferebbe la reazione sotto forma di restaurazione, e sotto forma di dittatura.
Distruggiamo i monopoli, d’accordo. Ma i monopoli, quando non siano quelli dei bottoncini da camicia o del rossetto per le labbra di certe signorine, i grossi monopoli (acqua, elettricità, carbone, trasporti di terra e di mare, ecc.) rispondono sempre ad un servizio pubblico necessario; e non si distruggono quei monopoli, o se ne produce il sollecito ritorno, se nell’atto stesso che si mandano via i monopolisti non si continua il servizio e, possibilmente, in modo migliore di quello che avveniva sotto di loro.
Bisogna abolire le galere, questi tetri luoghi di pena e di corruzione dove, mentre i detenuti gemono, i guardiani si fanno il cuore duro e diventano peggiori dei guardati: d’accordo. Ma quando si scopre un satiro che stupra e strazia dei corpicini di povere bimbe bisogna pur provvedere a metterlo in stato di non poter nuocere, se non si vuole ch’egli faccia altre vittime e finisca poi coll’essere linciato dalla folla. Ci penseranno i futuri? No, dobbiamo pensarci noi, perchè questi fatti avvengono oggi Nel futuro, speriamo, i progressi della scienza ed il mutato ambiente sociale avranno rese impossibili quelle mostruosità.
Distruggere i lupanari, questa turpe vergogna umana, vergogna più per chi ne sta fuori che per le disgraziate che vi stanno dentro: certamente. Ma il lupanare si riformerà subito, pubblico o clandestino, sempre che vi saranno donne che non trovano lavoro adatto e vita conveniente. Quindi necessità di un’organizzazione del lavoro in cui vi sia posto per tutti, e un’organizzazione del consumo in modo che tutti possano soddisfare i loro bisogni.
Abolire il gendarme, quest’uomo che protegge con la forza tutti i privilegi ed è il simbolo vivente dello Stato: d’accordissimo. Ma per potere abolirlo permanentemente e non vederlo ricomparire sotto altro nome ed altra uniforme, occorre saper vivere senza di esso, cioè senza violenza, senza sopraffazioni senza ingiustizie, senza privilegi.
Abolire l’ignoranza: d’accordo. Ma evidentemente bisogna prima istruire ed educare, e prima ancora creare condizioni sociali, che permettano a tutti di profittare dell’educazione e dell’istruzione.
“Lasciare ai nepoti una terra senza privilegi, senza chiese, senza tribunali, senza lupanari, senza caserme, senza ignoranza, senza stolide paure”. Sì, questo è il nostro sogno e per realizzare questo sogno noi combattiamo. Ma questo significa lasciar loro una nuova organizzazione sociale, nuove e migliori condizioni morali e materiali. Non si può sgomberare il terreno e lasciarlo nudo, se su di esso debbono vivere degli uomini: non si può distruggere il male senza sostituirvi il bene, o almeno qualche cosa che sia meno male.
Non si tratta d’imporre niente ai nepoti. È da sperare, ripeto, ch’essi faranno meglio di noi; ma noi dobbiamo fare oggi quel che sappiamo e possiamo, per vivere noi, e per lasciare ai nepoti qualche cosa di più che belle parole e vaporose aspirazioni.
È uno stato d’animo che, malgrado molta propaganda in contrario, persiste ancora in parecchi compagni e che, secondo me, sarebbe urgente cambiare.
La convinzione, che è anche la mia, della necessità di una rivoluzione per eliminare le forze materiali che stanno a difendere il privilegio e ad impedire ogni reale progresso sociale, ha fatto sì che molti han dato importanza esclusiva al fatto insurrezionale senza pensare a quello che bisogna fare perchè una insurrezione non resti uno sterile atto di violenza a cui poi verrebbe a rispondere un altro atto di violenza reazionaria. Per questi compagni tutte le questioni pratiche, le questioni di organizzazione, il modo di provvedere al pane quotidiano sono oggi questioni oziose: sono cose, essi dicono che si risolveranno da sè, o le risolveranno i posteri.
Ricordo il 1920, quando ero incaricato della direzione di "Umanità Nova". Era l’epoca in cui i socialisti cercavano d’impedire la rivoluzione, e purtroppo vi riuscirono, dicendo che, in caso di movimento insurrezionale, le comunicazioni coll’estero sarebbero interrotte e che saremmo morti tutti di fame per mancanza di grano: vi fu perfino chi disse che la rivoluzione non si poteva fare perchè in Italia non si produce caucciù! Io, preoccupato della questione essenziale dell’alimentazione e convinto che la deficienza di grano si poteva compensare utilizzando tutte le terre disponibili per la cultura di piante e semi nutritivi a rapido sviluppo, pregai il nostro compagno dottor Giovanni Rossi, agronomo provetto, di scrivere una serie di articoli con nozioni pratiche di agricoltura dirette appunto allo scopo che avevamo in vista. Il Rossi gentilmente lo fece. Era cosa evidentemente utilissima ma era cosa pratica e perciò non piacque a tutti. Vi fu un compagno, irritato perchè io gli avevo rifiutato l’inserzione non so più se di una poesia o di una novella, il quale mi disse bruscamente: “Già, tu preferisci che in "Umanità Nova" si parli di aratri, di fagioli, di cavoli e simili sciocchezze!”
Ed un altro compagno, che la pretendeva allora a superanarchico, tirava incoscientemente la conseguenza logica di quello stato d’animo. Messo colle spalle al muro in una discussione, come quella che facciamo adesso mi rispose: “Ma queste sono cose che non mi riguardano. A provvedere il pane ed il resto ci debbono pensare i dirigenti”.
E la conclusione è proprio questa: o alla riorganizzazione sociale ci pensiamo tutti, ci pensano i lavoratori da loro stessi e ci pensano subito, mano mano che vanno distruggendo il vecchio, e si avrà una società più umana, più giusta, più aperta ai progressi futuri; o ci penseranno “i dirigenti” e avremo un nuovo governo, che farà quello che han fatto sempre i governi, cioè farà pagare alla massa gli scarsi e cattivi servizi che rende, togliendole la libertà e lasciandola sfruttare da parassiti e privilegiati di tutte le specie.