Errico Malatesta
Rivoluzione e lotta quotidiana

1. Il periodo della maturazione ideologica

3. LA LEZIONE DEI FATTI

a. La tattica rivoluzionaria

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3. LA LEZIONE DEI FATTI

 

a. La tattica rivoluzionaria10

 

Noi dobbiamo mescolarci più ch’è possibile alla vita popolare: incoraggiare e spingere tutti i movimenti che contengono un germe di rivolta materiale o morale e abituano il popolo a fare i suoi interessi da e a non fidare che nelle proprie forze; ma senza perdere mai di vista che la rivoluzione per l’espropriazione e la messa in comune della proprietà e la demolizione del potere sono la sola salute del proletariato e dell’umanità e che per conseguenza ogni cosa è buona o cattiva a seconda che essa avvicini o allontani, faciliti o renda più difficile tale rivoluzione.

Applichiamo ciò alla questione degli scioperi. Noi siamo caduti a tal proposto, com’è un po’ la nostra abitudine, da una esagerazione in un’altra.

Tempo addietro, convinto che lo sciopero è impotente, non solo per emancipare, ma anche per migliorare in modo permanente la sorte dei lavoratori, noi trascuravamo troppo il lato morale della questione e, meno che in qualche regione, abbiamo lasciato questo mezzo potente di propaganda e di agitazione quasi totalmente ai socialisti autoritari e agli addormentatori.

Cessata quell’indifferenza in seguito ai grandi scioperi di questi ultimi tempi e specialmente dopo lo sciopero del porto di Londra che fece pensare che se gli uomini che lo guidarono avessero avuta una chiara concezione rivoluzionaria e non ne avessero temuto le responsabilità, si sarebbe potuto condurre i lavoratori dei docks a marciare sui quartieri ricchi ed a fare la rivoluzione; si manifesta ora una tendenza all’eccesso opposto, cioè ad attendere tutto dagli scioperi e quasi a confondere lo sciopero con la rivoluzione.

Questa tendenza è molto pericolosa, poichè essa fa nascere delle speranze chimeriche e la cui pratica sarebbe, non dico certo altrettanto corruttrice, ma pure fallace e addormentatrice come lo stesso parlamentarismo.

Si predica lo sciopero generale e sta benissimo: ma si ha torto, secondo me, quando s’immagina e si dice che lo sciopero generale è la rivoluzione. Esso sarebbe solo un’occasione magnifica per fare la Rivoluzione, ma niente di più. Esso potrebbe trasformarsi in rivoluzione, ma solo se i rivoluzionari avessero abbastanza influenza, forza e spirito d’iniziativa per trascinare i lavoratori sulla via dell’ e dell’attacco armato, prima che lo snervamento della fame e lo sgomento del massacro o le concessioni dei padroni non vengano a demoralizzare gli scioperanti e a ridurli in quello stato d’animo, così facile a prodursi tra le masse, nel quale si vuole sottomettersi ad ogni costo, e si considera come un nemico, un pazzo o un agente provocatore chiunque spinge alla lotta ad oltranza.

Io considero del resto come irrealizzabile un vero sciopero generale nelle condizioni economiche e morali attuali del proletariato universale; e credo che la rivoluzione sarà fatta molto prima che un tale sciopero possa prodursi. Ma di grandi scioperi se ne producono già e con l’attività e dell’accordo si può provocarne di più grandi ancora; e potrebbe darsi che sia quella la forma con cui comincerà, almeno nei paesi industriali, la Rivoluzione sociale. Bisogna dunque star sul chi vive per profittare di tutte le occasioni che possono presentarsi.

Lo sciopero non deve più essere la guerra delle braccia incrociate.

I fucili e tutti gli ordigni per l’attacco e la difesa che la scienza mette a nostra disposizione, lungi dall’essere resi inutili dagli scioperi, restano sempre strumenti di liberazione, che negli scioperi trovano soltanto una buona occasione per essere utilmente adoperati

 





10 Titolo originale Questioni rivoluzionarie, in La Révolte, Parigi, 10 ottobre 1890. Si tratta di una lettera assai più ampia: la prima parte è riprodotta nel paragrafo successivo



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