Errico Malatesta
Rivoluzione e lotta quotidiana

1. Il periodo della maturazione ideologica

3. LA LEZIONE DEI FATTI

b. Andiamo fra il popolo

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b. Andiamo fra il popolo11

 

Confessiamolo subito: gli anarchici non si sono mostrati all’altezza della situazione.

Se si toglie il moto di Carrara che ha dato prova sì del loro coraggio e della loro devozione alla causa, ma anche dell’insufficienza della loro organizzazione, appena si sarebbe parlato degli anarchici in tanto commuoversi di popolo in Sicilia ed in altre parti d’Italia.

Dopo aver tanto gridato di rivoluzione, la rivoluzione arriva, e noi siamo stati disorientati e siam restati presso che inerti.

Può essere doloroso il confessarlo, ma il tacerlo e nasconderlo sarebbe tradire la causa, e continuare negli errori che ci han condotti a questo punto.

È tempo di ravvederci!

La causa principale, secondo noi, di questa nostra decadenza è l’isolamento in cui quasi dappertutto siamo caduti.

Per un complesso di cause, che ora sarebbe troppo lungo esaminare, gli anarchici, dopo la dissoluzione dell’Internazionale, perdettero il contatto delle masse e si andavano man mano riducendo in piccoli gruppi, occupati solo a discutere eternamente e, purtroppo a dilaniarsi tra loro, o tutt’al più a fare un po’ di guerra ai socialisti legalitari.

Contro questo stato di cose si è tentato più volte di reagire con più o meno successo. Ma quando si credeva di poter infine ricominciare un lavoro serio ed a larga base, ecco che venner fuori alcuni compagni i quali, per una malintesa intransigenza, elevarono l’isolamento a principio, e secondati dall’indolenza e dalla timidezza di tanti, che trovavano in quella “teoria” una comoda scusa per non far nulla e non correre nessun rischio, riuscirono a ricacciarci nell’impotenza.

Per opera di quei compagni, molti dei quali ci compiacciamo di riconoscerlo, sono pur animati dalle migliori intenzioni, il lavoro di propaganda e di organizzazione è diventato una cosa impossibile.

Volete entrare in un’associazione operaia? Maledizione! Non giova per il verbo anarchico: ogni buon anarchico se ne deve tener lontano come dalla peste.

Volete fondare un’associazione dei lavoratori per abituarli a lottare solidariamente contro i padroni? Tradimento! un buon anarchico non deve associarsi che con anarchici convinti, vale a dire deve star sempre cogli stessi compagni, e se vuol fondare associazioni, non può che dar nomi diversi a un gruppo, composto sempre dalla stessa gente.

Cercate di organizzare e sostenere scioperi? Mistificazioni, palliativi!

Tentate manifestazioni ed agitazioni popolari? Pagliacciate!

Insomma tutto quello che è permesso di fare per la propaganda si è qualche conferenza, dove il pubblico non viene se non è attirato dalle doti eccezionali di un oratore, qualche stampato, che è letto sempre dallo stesso circolo di gente; e la propaganda da uomo a uomo, se sapete trovar chi vi ascolti. E con questo un gran vociare di rivoluzione: ‑ rivoluzione che, predicata così, diventa come il paradiso dei cattolici, una promessa di di venire, che vi addormenta in un’inerzia beata fino a che ci credete e vi lascia scettici ed egoisti, quando la fede vi sfugge.

Ed intanto intorno a noi il popolo si agita e segue altre correnti; ed i socialisti legalitari ci vincon la mano ed hanno spesso successi, anche in quei paesi dove come in Italia, il socialismo è stato per la prima volta bandito e popolarizzato da noi, e dove noi vantiamo non ingloriose tradizioni di lotte e di sacrifici sostenuti con costanza e fierezza.

Questa è una tattica micidiale che equivale al suicidio. La rivoluzione non si fa in quattro gatti. Degl’individui e dei gruppi isolati possono fare un po’ di propaganda; dei colpi audaci, delle bombe e simili cose, se fatte con retto criterio (il che purtroppo non è sempre q caso) possono attirare l’attenzione pubblica sui mali dei lavoratori e sulle nostre idee, possono sbarazzarci di qualche ostacolo potente; ma la rivoluzione non si fa che quando il popolo scende in piazza. E se noi vogliamo farla bisogna che attirammo a noi la folla, quanto più folla è possibile.

Ed è anche, questa tattica dell’isolamento, contraria ai nostri principi ed allo scopo che ci proponiamo.

La rivoluzione, come noi la vogliamo, deve essere il cominciamento della partecipazione attiva, diretta, vera delle masse, cioè di tutti, alla organizzazione ed alla gerenza della vita sociale. Se per impossibile, la rivoluzione potesse essere fatta da noi soli, non sarebbe la rivoluzione anarchica poichè allora saremmo i padroni noi ed il popolo, disorganizzato e quindi impotente ed incosciente, spetterebbe gli ordini nostri, Ed allora tutta l’anarchia si ridurrebbe ad una vana dichiarazione di principi mentre in pratica sarebbe sempre una piccola frazione che si servirebbe delle forze cieche della massa incosciente e sommessa per imporre le proprie idee: ‑ e questo è l’essenza stessa dell’autorità.

Figuriamoci che domani con un colpo di mano potessimo, da noi soli, senza il concorso delle masse, sconfiggere il governo e restare padroni della situazione. Le masse che non avrebbero preso parte alla lotta e non avrebbero sperimentata la potenza delle loro forze, applaudirebbero ai vincitori e resterebbero inerti ad attendere che noi dessimo loro tutto il benessere che loro promettiamo.

Che cosa faremmo noi? O assumere di fatto se non di diritto, la dittatura, il che vorrebbe dire riconoscere l’inattuabilità delle nostre idee antigovernative e dichiararsi sconfitti in quanto anarchici o fare “per viltade il gran rifiuto”; ritirarci protestando il nostro sacro orrore del nostro comando, e lasciare che il comando lo prendano i nostri avversari.

Fu così che avvenne per ragioni del resto alquanto diverse agli anarchici spagnoli nei moti del 1873. Per un concorso di circostanze, si trovarono padroni della situazione in varie città, come per es. in S. Lucas de Barrameda e Cordova: il popolo non faceva nulla da ed aspettava che qualcuno comandasse il da farsi; gli anarchici non vollero prendere il comando perchè ciò era contrario ai loro principi... ed allora subentrò la reazione repubblicana prima, monarchica poi, che ristabilì il vecchio regime coll’aggravante delle persecuzioni, arresti e massacri in massa.

Andiamo tra il popolo: questa è l’unica via di salvezza. Ma non vi andiamo con la boria burbanzosa di persone che pretendono possedere il verbo infallibile e disprezzano dall’alto della loro pretesa infallibilità chi non divide le loro idee. Andiamoci per affratellarci coi lavoratori, per lottare con loro, per sacrificarsi per loro. Per avere il diritto, per avere la possibilità di reclamare dal popolo lo slancio e lo spirito di sacrifico necessario nelle grandi giornate di battaglia decisiva, bisogna aver dato al popolo prova di , bisogna esserci mostrati primi per coraggio e per abnegazione nelle sue piccole lotte quotidiane. Entriamo in tutte le associazioni di lavoratori, fondiamone più che possiamo, provochiamo federazioni sempre più vaste, sosteniamo ed organizziamo scioperi, propaghiamo dappertutto con tutti i mezzi, lo spirito di cooperazione e di solidarietà tra i lavoratori.

E guardiamoci dal disgustarci perchè spesso i lavoratori non comprendono o non accettano tutti i nostri ideali e stanno attaccati a vecchie forme ed a vecchi pregiudizi.

Noi non possiamo e non vogliamo aspettare, per far la rivoluzione, che le masse siano diventate socialisteanarchiche con piena coscienza. Noi sappiamo che finchè dura l’attuale ordinamento economico politico della società, l’immensa maggioranza del popolo è condannata all’ignoranza ed all’abbrutimento e non è capace che di ribellioni più o meno cieche. Bisogna distruggere quest’ordinamento, facendo la rivoluzione come si può, colle forze che troviamo nella vita reale.

A maggior ragione noi non possiamo aspettare per organizzare i lavoratori ch’essi siano prima diventati anarchici. Come farebbero a diventarlo se lasciati soli, col sentimento d’impotenza che viene loro dall’isolamento?

Come anarchici noi dobbiamo organizzarci tra noi, tra gente perfettamente convinta e concorde: ed intorno a noi dobbiamo organizzare, in associazioni larghe, aperte, quanti più lavoratori è possibile, accettandoli quali essi sono e sforzandoci di farli progredire il più che si può.

Come lavoratori noi dobbiamo essere sempre e dappertutto coi nostri compagni di fatica e di miseria.

Ricordiamoci che il popolo di Parigi incominciò a domandare pane al re fra applausi e lacrime di tenerezza, e due anni dopo, avendone, come era naturale, ricevuto piombo invece di pane lo aveva già decapitato. E ieri ancora il popolo di Sicilia è stato sul punto di fare la rivoluzione pur plaudendo al re ed a tutta la sua famiglia.

Quegli anarchici che hanno combattuto e ridicolizzato il movimento dei “fasci”, perchè essi non erano organizzati come vorremmo noi, perchè spesso si intitolavano da “Maria Immacolataperchè avevano nelle loro sale il busto di Carlo Marx piuttosto che quello di Bakunin, ecc. han dimostrato di non avere senso spirito rivoluzionario.

Noi non siamo teneri, oh! no, per coloro che corrompono tutto col veleno parlamentare, che tutto riducono a questione di candidature e che (in buona o in mala fede, non importa) vorrebbero fare del popolo un gregge votante. Ma non è fare il giuoco di questi aspiranti deputati, e, peggio ancora, non è fare il giuoco della borghesia e del governo il predicare il disgregamento ed il lasciare in mano loro tutte le forze organizzate del proletariato?

Ravvediamoci. Il momento è solenne. Noi siam giunti ad uno di quei momenti critici della storia umana, che decidono di tutto un nuovo periodo. Da noi, che abbiamo scritto sulla nostra bandiera le parole redentrici ed inseparabili di socialismo e di anarchia, dipendono il successo e indirizzo del prossima rivoluzione.

 





11 “L’Art.248”, Ancona, 4 febbraio 1894.



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