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3. Gli anarchici e il movimento operaio 2. NECESSITÀ E PROBLEMI DEL MOVIMENTO OPERAIO a. Gli anarchici nel movimento operaio |
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2. NECESSITÀ E PROBLEMI DEL MOVIMENTO OPERAIO
a. Gli anarchici nel movimento operaio33
Lasciando da parte i conservatori ed i borghesi di tutte le categorie i quali, se s’interessano alle associazioni operaie, è semplicemente nello scopo di far argine con l’inganno alla marea emancipatrice che sale e servirsi come mezzo di asservimento di un movimento che per sua natura dovrebbe essere movimento di liberazione, vi sono tra i riformatori sociali tre partiti (o scuole) principali, che si trovano, o dovrebbero trovarsi, più o meno d’accordo nelle piccole lotte quotidiane per la difesa degl’interessi operai in regime borghese, ma si dividono radicalmente in quanto agli scopi ultimi a cui vogliono condurre il movimento e quindi anche nel genere di propaganda che fanno nel suo seno e nei tipi di organizzazione che preferiscono. Essi sono i socialisti, i sindacalisti e gli anarchici, tutti e tre convinti che per emancipare i lavoratori ed instaurare un migliore ordine sociale, bisogna abbattere il sistema capitalistico, ma divisi sulla concezione della società futura e sulle vie per arrivarvi.
I socialisti, fra i quali comprendo anche la frazione che ora si intitola comunista, vogliono diventare governo, non importa ora se con mezzi legali o con la violenza. Essi credono possedere la ricetta per guarire tutti i mali e risolvere tutti i problemi sociali, e vogliono imporre quella loro ricetta in nome di una pretesa maggioranza legalmente constatata o con la dittatura usurpata da alcuni individui in nome del loro partito. Le masse debbono servire solamente per fornire i voti e le braccia necessarie per mandare al potere i capi del partito, e tutta la tattica è diretta allo scopo di sottomettere al partito le organizzazioni operaie. Perciò i dirigenti socialisti (e peggio se “comunisti”) delle organizzazioni si sottraggono il più possibile al controllo degli organizzati, soffocano ogni autonomia ed ogni spirito d’iniziativa e col pretesto della disciplina nelle azioni collettive educano gli operai all’ubbidienza passiva ai capi. In tal modo essi si foggiano l’arme per andare al potere e preparano le masse a piegarsi docilmente sotto la fèrula del governo di domani.
I sindacalisti hanno delle concezioni più libertarie Essi vogliono rendere inutile lo Stato, esautorarlo e distruggerlo mediante i sindacati che a poco a poco dovrebbero assorbire tutte le funzioni della vita sociale. Naturalmente per questo è necessario che i mezzi di produzione (terra, materie prime macchine, ecc.) fossero diventate proprietà collettiva dei sindacati, comunque federati tra loro.
Non è qui il luogo di discutere questo programma; ma è certo che per attuarlo bisognerebbe prima espropriare i detentori della ricchezza sociale, e siccome essi sono difesi dalla forza armata dello Stato, bisognera vincere questa forza. E perciò i sindacalisti quantunque in teoria amino dire che il sindacalismo basta a sè stesso, debbono poi nella pratica, o pensare ad impadronirsi dello Stato, col voto o con la violenza, e diventano socialisti, o pensare a distruggerlo e diventano anarchici.
Questa loro inconsistenza programmatica si rispecchia nella storia delle organizzazioni operaie a tendenza sindacalista: presto o tardi si presentano le circostanze in cui dal terreno puramente sindacale bisognò passare alla lotta politica propriamente detta, ed allora viene fuori la divergenza e l’incompatibilità tra i riformisti ed i rivoluzionari, i parlamentaristi e gli antiparlamentaristi, i socialisti e gli anarchici, che si trovavano riuniti sotto il mantello di una mentita neutralità sindacale. E allora cominciano le lotte intestine e le scissioni. Intanto, finchè l’equivoco dura, si fa in quelle organizzazioni opera d’azione diretta, si lascia libertà di propaganda alle correnti più avanzate e si abituano le masse ad una fierezza e ad una volontà di lotta che è ottimo tirocinio per preparare alla rivoluzione. Noi anarchici non possiamo identificarci con quelle come con nessun’altra organizzazione operaia, ma dobbiamo preferirne alle altre come il campo più adatto per estendere la nostra influenza, incoraggiarle, parteciparvi in tutti i modi non contraddittori con le idee nostre, senza per questo inibirci l’entrata in qualsiasi altra organizzazione dove crediamo poter fare opera utile di propaganda, di critica e di sprone. È quello che più o meno bene si è fatto finora; ora è tempo, io credo, di concordare un piano più organico per poter agire con maggiore efficacia sul movimento e meglio utilizzarlo ai nostri fini.
Le organizzazione operaie vivono in tali condizioni, subiscono necessità tali che la posizione degli anarchici che vi lavorano dentro diventa difficile, e certe volte incompatibile sempre che dalla predicazione teorica, dalla propaganda avveniristica bisogna passare alle misure pratiche richieste dalla lotta effettiva.
Fatte per difendere gli interessi attuali, immediati degli operai in regime di proprietà privata e di salariato, proponendosi di riunire il più gran numero possibile di lavoratori senza badare alle differenze di opinioni religiose e politiche o alla mancanza di una qualsiasi opinione determinata, dovendo attenuare gli effetti senza poter distruggere le cause della soggezione dei lavoratori, anche quando nel programma hanno scritto l’abolizione del salariato e l’emancipazione integrale, debbono nella pratica quotidiana accettare il fatto del dominio e del profitto capitalistico e limitarsi e rendere, mediante una continua resistenza, meno assoluto quel dominio ed assicurare al produttore una meno scarsa parte del prodotto. In esso anche il più deciso rivoluzionario deve subire il metodo riformista che è quello di conquistare poco a poco dei miglioramenti, che poi si perdono tutto d’un tratto quando le cause persistenti del male sociale, cioè il profitto e la concorrenza capitalistica, menano alle ricorrenti crisi di disoccupazione e di concorrenza per il pane tra gli stessi salariati. Poichè tutti i vantaggi del metodo rivoluzionario, buoni a mettere avanti per far comprendere la necessità della rivoluzione, non hanno efficacia positiva se non quando la rivoluzione si fa. E la rivoluzione non si può fare tutti i giorni!
Ma questo è il meno. L’inconveniente più grave sta nel fatto degli interessi contrastanti tra le diverse categorie di lavoratori e tra ciascuna categoria di produttori ed il pubblico dei consumatori.
Si suol dire che i proletari hanno un interesse comune nella lotta contro i padroni e quindi debbono essere tutti solidali tra di loro – ed è vero se si tratta dell’interesse di abolire il patronato ed instaurare una società in cui tutti lavorino per il maggior bene di ciascuno e di tutti. Ma non è punto vero nella società attuale dove l’industriale ed il proprietario di terre per far salire i prezzi ed assicurarsi un maggiore profitto e per poter inoltre mantenere bassi i salari, cercano di limitare la produzione e causano la penuria dei prodotti e mancanza di lavoro.
Così si stabilisce un antagonismo spesso involontario ed inconscio, ma naturale e fatale tra chi lavora e chi è disoccupato, tra chi ha un posto buono e sicuro e chi guadagna poco e sta sempre in pericolo di essere licenziato, tra chi sa il mestiere e chi vuole impararlo, tra il maschio che ha il monopolio della professione e la donna che si affaccia sul terreno della concorrenza economica, tra l’indigeno e l’immigrato, tra lo specialista che vorrebbe proibire agli altri la sua specialità e gli altri che non vogliono riconoscere il monopolio, e poi in generale tra categoria e categoria secondo che gl’interessi transitori o permanenti dell’una contrastano cogli interessi dell’altra. Alcune categorie si avvantaggiano della protezione doganale, altre ne soffrono; alcune desiderano certi interventi dall’autorità statali, certe leggi e certi regolamenti, mentre altre lottano in migliori condizioni se il governo non si mischia dei loro affari.
D’altra parte esiste un antagonismo permanente fra ciascuna categoria di lavoratori e gli altri lavoratori in quanto sono consumatori dei prodotti di quella. Ogni aumento di salario di una categoria si traduce in un aumento di prezzo dei suoi prodotti e causa danno al pubblico, fino a quando l’aumento dei salari di tutte le categorie ristabilisce l’equilibrio e rende illusorio il benefizio dell’aumento.
Così avviene che tante organizzazioni operaie, sorte per iniziativa di pochi generosi con largo spirito di solidarietà umana e fieri propositi di battaglia, si sono poi, a misura che son cresciute di numero e di potenza, moderate, corrotte e trasformate in corporazioni chiuse, preoccupate solo dell’interesse dei soci in opposizione ai non soci.
Aggiungiamo a tutto questo la burocrazia parassitaria che si sviluppa nel loro seno, i capi che s’installano alla dirigenza e manovrano come dei semplici politicanti per restarvi in permanenza, gli scopi politici antiproletari o antilibertari a cui spesso sono fatti servire, i contatti ripugnanti ma inevitabili colle autorità, e ci spiegheremo facilmente l’antipatia e l’ostilità, che certi compagni, ora credo ridotti a pochissimi, manifestano contro le organizzazioni operaie.
Ma è consigliabile, è utile, è possibile per gli anarchici restar fuori delle organizzazioni operaie, o parteciparvi solo passivamente, semplicemente in quanto sono operai che hanno bisogno di lavorare e non vogliono fare i crumiri?
A me sembra che sarebbe una sciocchezza, che ammonterebbe in pratica ad un tradimento della causa rivoluzionaria, o più generalmente, della causa del progresso e della emancipazione umana.
Il movimento operaio è ormai uno dei fattori principali della storia di oggi e di quella del prossimo domani, e disinteressarsene significherebbe mettersi fuori della vita reale, rinunziare ad esercitare un’azione sensibile sugli avvenimenti, lasciare che i socialisti, i comunisti, i clericali ed altri partiti di governo difendendo o affettando di difendere gl’interessi attuali degli operai, interessi piccoli e transitori ma pur necessari a chi vive oggi, acquistino la fiducia delle masse e se ne servano per arrivare al potere, con questo o con un altro regime, e mantenere il popolo nella schiavitù.
Le organizzazioni operaie per la resistenza contro i padroni sono il mezzo migliore, forse l’unico accessibile a tutti, per entrare in contatto permanente colle grandi masse, farvi la propaganda delle idee nostre, predisporle alla rivoluzione e spingerle o trascinarle in piazza per qualunque azione preparatoria o definitiva. In esse gli oppressi ancora docili e sommessi s’iniziano alla coscienza dei loro diritti e della forza che possono trovare nell’accordo coi compagni di oppressione: in esse comprendono che il padrone è il loro nemico, che il governo, già ladro ed oppressore per la natura sua, è sempre pronto a difendere i padroni, e si preparano spiritualmente al rovesciamento totale del vigente ordine sociale.
Fuori delle associazioni operaie noi possiamo fare la propaganda orale e scritta, organizzare gruppi di studio o d’azione, pagare di persona in tutte le occasioni, ma resteremmo sempre impotenti a dare un indirizzo nostro al corso degli eventi e dovremmo accodarci agli altri, offrirci agli altri, i quali sfrutterebbero il nostro lavoro ed i nostri sacrifici per fini non nostri, anzi contrari ai nostri.
D’altronde, a causa del nostro programma, noi siamo più che qualunque altro partito interessati ad un largo sviluppo del movimento operaio. Noi non vogliamo governare e vogliamo nel limite delle nostre forze impedire che altri governino, cioè che impongano con la forza i propri piani ed i propri sistemi di vita sociale. Noi vogliamo che la nuova società si sviluppi secondo il volere libero, cangiante, progrediente delle masse (di cui naturalmente siamo parte anche noi) e per farlo è utile, necessario che il giorno della rivoluzione vi sia un numero quanto più grande è possibile d’operai comunque organizzati, pronti a continuare la produzione, a stabilire le necessarie relazioni tra paese e paese e tra categoria e categoria, provvedere alla distribuzione ed a tutti i bisogni della vita, senza affidare a nessuno il potere di imporre con la forza delle “guardie rosse” i propri voleri ed i propri interessi.
Dunque a parer mio, gli anarchici dovrebbero penetrare in tutte le organizzazioni operaie, farvi propaganda acquistarvi influenza ed accettare in esse tutte le funzioni e tutte le responsabilità compatibili con la loro qualità di anarchici.
La cosa non è senza pericoli d’addomesticamento, di deviazione, di corruzione e molti dolorosi e vergognosi esempi si possono citare contro la mia tesi.
Ma come fare? Se si vuole agire bisogna correre i rischi dell’azione, che in questo caso sono rischi morali, e diminuirli colla prescrizione di una linea di condotta ben determinata e con un continuo mutuo controllo tra compagni.
Se vi sono dei compagni i quali considerano l’anarchia come un ideale di perfezione individuale e sociale che si realizzerà forse tra qualche migliaio d’anni, e credono che tutto quello che v’è da fare oggi sia il tenere la fiaccola accesa per il culto di pochi, essi hanno delle buone ragioni per tenersi lontani dai contatti impuri e dalle posizioni compromettenti.
Ma la grande maggioranza degli anarchici ed in specie quelli aderenti all’U.A.I.34 sono d’opinione se io non interpreto male il loro pensiero, che gl’individui non si perfezionerebbero e l’anarchia non si realizzerebbe nemmeno fra qualche migliaio d’anni, se prima non si creasse per mezzo della rivoluzione fatta dalle minoranze coscienti il necessario ambiente di libertà e di benessere. Per questo vogliamo fare la rivoluzione al più presto possibile, e per farla abbiamo bisogno di mettere a profitto tutte le forze utili e tutte le circostanze opportune cosi come la storia ce le fornisce.
Le organizzazione operaie non possono essere composte di soli anarchici e non è desiderabile che lo fossero, perchè allora sarebbero un inutile duplicato dei gruppi anarchici e mancherebbero al loro scopo specifico. Gli anarchici che vi lavorano dentro non possono sempre condursi da anarchici come non si può condursi da anarchici vivendo nella società attuale, ma vi possono costituire dei gruppi anarchici che esercitino un’azione di propulsione e di controllo e debbono condursi da anarchici quanto più è possibile.
Vi sono in Italia varie grandi organizzazioni operaie. Noi dobbiamo lavorare e lottare in tutte quante, perchè in tutte vi sono sfruttati che han bisogno di emanciparsi, in tutte si può far propaganda e dar l’esempio dell’energia e dello spirito di solidarietà. Dove è il caso, dobbiamo preferire quelle che più si avvicinano a noi, ma non dobbiamo abbandonare le altre al monopolio dei nostri avversari. E dobbiamo appoggiarci ed intenderci tra noi per il lavoro che facciamo nelle varie organizzazioni e per l’atteggiamento da prendere e per l’azione da svolgersi nelle varie occasioni.
Perciò io proporrei che tutti gli anarchici che si trovano in grado di esercitare dell’influenza nelle organizzazioni operaie stabiliscano tra di loro un’intesa permanente e si tengano in rapporti regolari per agire d’accordo.