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3. Gli anarchici e il movimento operaio 2. NECESSITÀ E PROBLEMI DEL MOVIMENTO OPERAIO c. L'illusione dello sciopero generale |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
c. L'illusione dello sciopero generale36
Lo “sciopero generale” è certamente un’arma potente di lotta nelle mani del proletariato ed è, o può essere, un modo ed un’occasione per determinare una radicale rivoluzione sociale.
Eppure io mi domando se l’idea dello sciopero generale ha fatto più male che bene alla causa della rivoluzione!
In realtà io credo che nel passato il male abbia superato il bene; e che oggi potrebbe essere il contrario, cioè potrebbe lo sciopero generale essere veramente un mezzo efficace di trasformazione sociale solo se fosse inteso e praticato in modo diverso da quello che usavano i vecchi sciopero-generalisti.
Nei primi tempi del movimento socialista, e specialmente in Italia ai tempi della prima Internazionale, quando era fresca ancora la memoria delle lotte mazziniane ed erano vivi in gran parte gli uomini che avevano combattuto per “l’Italia”, nelle file garibaldine e che si trovavano disillusi ed indignati per lo scempio che monarchici e capitalisti facevano dell’Italia vera, si comprendeva chiaramente che il regime sostenuto dalle baionette non poteva essere abbattuto se non convertendo in difensori del popolo una parte dei soldati e vincendo in lotta armata le forze di polizia e quella parte di soldati restata fedele alla disciplina.
E perciò si cospirava, cioè si faceva propaganda attiva tra i soldati, si cercava di armarsi, si preparavano piani di azione militare.
I risultati, a dir vero, erano meschini, perchè si era in pochi, perchè gli scopi sociali per i quali si voleva fare la rivoluzione erano misconosciuti e respinti dalla generalità, perchè insomma “i tempi non erano maturi”.
Ma la volontà della preparazione insurrezionale vi era e trovava poco a poco il mezzo di realizzarsi, la propaganda incominciava ad estendersi e portare i suoi frutti; “i tempi maturavano”, in parte per opera diretta dei rivoluzionari e più per l’evoluzione economica che acuiva il conflitto, e sviluppava la coscienza del conflitto, tra lavoratori e padroni, e che i rivoluzionari mettevano a profitto.
Le speranze della rivoluzione sociale crescevano, e sembrava certo che, tra lotte, persecuzioni, tentativi più o meno “inconsulti” e sfortunati, soste e riprese di attività febbrile, si arriverebbe, in un tempo non troppo lontano, a determinare lo scoppio finale e vittorioso, che doveva abbattere il regime politico ed economico vigente ed aprire le vie ad una più libera evoluzione verso nuove forme di convivenza sociale, basate sulla libertà di tutti, la giustizia per tutti, la fratellanza e la solidarietà fra tutti.
Ma poi, a frenare l’impulso volontaristico della gioventù socialista (allora si chiamavano socialisti anche gli anarchici) venne il marxismo coi suoi dogmi e col suo fatalismo. E disgraziatamente con le sue apparenze scientifiche (si era in piena ubriacatura scientificista) il marxismo illuse, attrasse e sviò anche la più parte degli anarchici.
I marxisti incominciarono a dire che ‘‘la rivoluzione viene, ma non si fa”, che il socialismo verrebbe necessariamente per il “fatale andare” delle cose, e che il fattore politico (che è poi la forza, la violenza messa a servizio degl’interessi economici) non ha importanza e che il fatto economico determina tutta quanta la vita sociale. E così la preparazione insurrezionale fu trascurata e praticamente abbandonata.
Di passaggio noterò che quei marxisti che disprezzavano tanto la lotta politica, quando essa era lotta tendenzialmente insurrezionale, decisero poi che la politica era il mezzo principale e quasi esclusivo per far trionfare il socialismo non appena intravidero la possibilità di andare al parlamento e di dare alla lotta politica il significato restrittivo di lotta elettorale; e si sforzarono con questo di spegnere nelle masse ogni entusiasmo per l’azione insurrezionale.
In questo stato di cose ed in questa disposizione generale degli spiriti fu lanciata l’idea dello sciopero generale, che fu accolta entusiasticamente da quelli che non avevano fiducia nell’azione parlamentare e vedevano aperta una nuova e promettente via all’azione popolare.
Il guaio però fu che i più videro nello sciopero generale non un mezzo per trascinare le masse all’insurrezione, cioè all’abbattimento violento del potere politico ed alla presa di possesso della terra, degli strumenti di produzione e di tutta la ricchezza sociale, ma vi videro un sostituto dell’insurrezione, un modo per “affamare la borghesia” e farla capitolare senza colpo ferire.
E poichè è fatale che il comico ed il grottesco si mescolino sempre anche nelle cose più serie vi furono di quelli che cercavano delle erbe e delle “pillole” capaci di sostenere indefinitamente il corpo umano senza mangiare per indicarle ai lavoratori e metterli in grado di aspettare, in un pacifico digiuno, che i borghesi venissero a chiedere scusa e perdono.
Ecco perchè ritengo che l’idea dello sciopero generale ha fatto danno alla rivoluzione. Ora spero e credo che l’illusione di far capitolare la borghesia per fame sia completamente sparita e se un poco ne era restata i fascisti si sono incaricati di dissiparla.
Lo sciopero generale di protesta, o per appoggiare delle rivendicazioni economiche o politiche, compatibili col regime, se fatto in momento propizio, quando governo e padroni trovano opportuno cedere subito per paura di peggio, può giovare. Ma bisogna non dimenticare che bisogna mangiare tutti i giorni e che, se la resistenza si prolunga solo per parecchi giorni, bisogna o piegarsi ignominiosamente al giogo padronale, o insorgere... anche se il governo o le forze irregolari della borghesia non prendono l’iniziativa della violenza.
Dal che si deduce che uno sciopero generale sia in vista di una soluzione definitiva, sia per scopi transitori, deve essere fatto con la disposizione, e la preparazione, di risolvere la questione colla forza.