Errico Malatesta
Rivoluzione e lotta quotidiana

3. Gli anarchici e il movimento operaio

3. IL SINDACATO COME MEZZO DI LOTTA E DI EDUCAZIONE RIVOLUZIONARIA E COME NUCLEO FUTURO DI RIORGANIZZAZIONE SOCIALE

a. L'organizzazione sindacale oggi e domani

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3. IL SINDACATO COME MEZZO DI LOTTA E DI EDUCAZIONE RIVOLUZIONARIA E COME NUCLEO FUTURO DI RIORGANIZZAZIONE SOCIALE

 

a. L'organizzazione sindacale oggi e domani37

 

...Noi abbiamo sempre compreso la grande importanza del movimento operaio e la necessità per gli anarchici di esserne parte attiva e propulsiva. E spesso è stato per l’iniziativa di compagni nostri che si sono costituiti aggruppamenti operai più vivi e più progressivi.

Abbiamo sempre pensato che il sindacato è, oggi, un mezzo perchè i lavoratori incomincino a comprendere la loro posizione di schiavi, a desiderare l’emancipazione e ad abituarsi alla solidarietà con tutti gli oppressi nella lotta contro gli oppressori – e domani servirà come primo nucleo necessario alla continuità della vita sociale ed alla riorganizzazione della produzione senza padroni e parassiti.

Ma abbiamo sempre discusso, e spesso dissentito, sui modi come l’azione anarchica doveva esplicarsi nei rapporti coll’organizzazione dei lavoratori.

Bisognava entrare nei sindacati, o restarne fuori, pur prendendo parte a tutte le agitazioni e cercare di dar loro il carattere più radicale possibile e mostrarsi primi nell’azione e nei pericoli?

E soprattutto, se dentro dei sindacati, bisognava o no assumere cariche direttive e quindi prestarsi a quelle transazioni, quei compromessi, quegli accomodamenti, a quei rapporti con le autorità e coi padroni, a cui debbono adattarsi, per volere degli stessi lavoratori e per il loro interesse immediato, nelle lotte quotidiane quando non si tratta di fare la rivoluzione, ma di ottenere dei miglioramenti o difendere quelli già conseguiti?

Nei due anni che seguirono la pace e fino alla vigilia del trionfo della reazione per opera del fascismo noi ci trovammo in una singolare situazione.

La rivoluzione sembrava imminente, e vi erano infatti tutte le condizioni materiali e spirituali perchè essa fosse possibile e necessaria.

Ma noi anarchici mancavamo di gran lunga delle forze occorrenti per fare la rivoluzione con metodi e uomini esclusivamente nostri: avevamo bisogno delle masse, e le masse erano bensì disposte all’azione, ma non erano anarchiche. D’altronde una rivoluzione fatta senza il concorso delle masse, anche se fosse stata possibile, non avrebbe potuto metter capo che ad una nuova dominazione, la quale anche se esercitata da anarchici sarebbe sempre stata la negazione dell’anarchismo, avrebbe corrotto i dominatori e sarebbe finita colla restaurazione dell’ordine statale e capitalistico.

Ritrarsi dalla lotta, astenersi perchè non potevamo fare proprio come avremmo voluto, sarebbe stato un rinunziare ad ogni possibilità presente o futura, ad ogni speranza di sviluppare il movimento nella direzione da noi desiderata - e rinunziarvi non solo per quella volta, ma per sempre, poichè non si avranno mai masse anarchiche prima che la società sia trasformata economicamente e politicamente, e la stessa situazione si ripresenterà tutte le volte che le circostanze renderanno possibile un tentativo rivoluzionario.

Occorrerà dunque a qualunque costo acquistare la fiducia delle masse, mettersi in posizione di poterle spingere in piazza e per questo appariva utile conquistare nelle organizzazione operaie cariche direttive. Tutti i pericoli d’addomesticamento e di corruzione passavano in secondo luogo, e d’altronde si supponeva che non avrebbero avuto il tempo di realizzarsi. Quindi si venne alla conclusione di lasciare a ciascuno la libertà di regolarsi secondo le circostanze e come meglio credeva, a condizione di non dimenticare mai di essere anarchico e di farsi sempre guidare dall’interesse superiore della causa anarchica.

Ma ora, dopo le ultime esperienze, e vista la situazione attuale che non ammette connubi transitori e domanda un ritorno rigoroso ai principi per trovarsi meglio preparati e più profondamente convinti nelle prossime evenienze, mi pare che convenga ritornare sulla questione e vedere se sia il caso di modificare la tattica su questo punto importantissimo della nostra attività.

Spero che il Congresso vorrà esaminare la questione coll’attenzione che merita. Secondo me, bisogna entrare nei sindacati, perchè standone fuori se ne appare nemici, la nostra critica è guardata con sospetto e nei momenti di agitazione saremmo considerati come intrusi e male accetto sarebbe il nostro concorso.

Parlo, s’intende, dei veri sindacati composti di lavoratori liberamente associati per difendere i loro interessi contro i padroni e contro il governo; e non già dei sindacati fascisti, spesso reclutati a suon di bastonate e colla minaccia della fame, i quali sono un’arma di governo ed un tentativo per meglio sottomettere i lavoratori alle esigenze padronali. Bisogna entrare nei sindacati ed esercitarvi opera di propulsione, per dare loro un carattere sempre più libertario e vigilare e criticare e combattere le possibili debolezze e defezioni dei dirigenti.

Ed in quanto a sollecitare ed accettare noi stessi il posto di dirigenti credo che in linea generale ed in tempi calmi è meglio evitarlo. Però credo che il danno ed il pericolo non stia tanto nel fatto di occupare un posto direttivo – cosa che in certe circostanze può essere utile ed anche necessaria – ma nel perpetuarsi in quel posto. Bisognerebbe, secondo me, che il personale dirigente si rinnovasse il più spesso possibile, sia per abilitare un più gran numero di lavoratori alle funzioni amministrative, sia per impedire che il lavoro d’organizzazione diventi un mestiere ed induca quelli che lo compiono a portare nelle lotte operaie la preoccupazione di non perdere l’impiego. E tutto questo non solo nell’interesse attuale della lotta e dell’educazione dei lavoratori, ma anche e maggiormente in vista dello svolgimento della rivoluzione dopo che la rivoluzione sarà iniziata.

A giusta ragione gli anarchici si oppongono al comunismo autoritario, il quale suppone un governo, che, volendo dirigere tutta la vita sociale e mettere l’organizzazione della produzione e la distribuzione delle ricchezze sotto gli ordini di funzionari suoi, non può non produrre la più esosa tirannia e la paralizzazione di tutte le forze vive della società.

Ma questa espropriazione e questa distribuzione non possono, in pratica, essere fatte tumultuariamente, dalla massa anche se sindacata, senza produrre uno sperpero esiziale di ricchezze ed il sacrificio dei più deboli per opera dei più forti e brutali; e anche meno si potrebbero in massa stabilire gli accordi fra le diverse località e gli scambi fra le diverse corporazioni di produttori. Bisognerebbe dunque provvedere per mezzo di deliberazioni prese in assemblee popolari ed eseguite da gruppi ed individui o spontaneamente offertisi o regolarmente delegati.

Ora, se v’è un ristretto numero d’individui che per lunga abitudine sono considerati capi dei sindacati, se vi sono segretari permanenti ed organizzatori ufficiali, saranno essi che automaticamente si troveranno. incaricati di organizzare la rivoluzione, ed essi avranno tendenza a considerare come intrusi ed irresponsabili quelli che vorranno prendere delle iniziative indipendenti da loro, e vorranno imporre, sia pure colle migliori intenzioni la loro volontàmagari con la forza.

Ed allora il regime sindacalista diventerebbe presto la stessa menzogna e la stessa tirannia che è diventata la cosiddetta dittatura del proletariato.

Il rimedio a questo pericolo e la condizione perchè la rivoluzione riesca veramente emancipatrice stanno nel formare un gran numero d’individui capaci di iniziativa e di opere pratiche, nell’abituare le masse a non abbandonare la causa di tutti nelle mani di qualcuno e a delegare, quando delegazione è necessaria, solo per incarichi determinati e per tempo limitato. Ed a creare una siffatta situazione ed un siffatto spirito è mezzo efficacissimo il sindacato se organizzato e vissuto con metodi veramente libertari.

 





37 Titolo originale La condotta degli anarchici nel movimento operaio (Rapporto al Congresso Anarchico Internazionale di Parigi del 1923) In "Fede", Roma, 30 settembre 1923.



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