Felice Romani
Zaira

ATTO SECONDO

Scena dodicesima. Orosmane e Corasmino

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Scena dodicesima. Orosmane e Corasmino

 

Parte remota nei Giardini dell'Harem. In
lontano, e traverso le piante, sorgono i
Minareti di una Moschea. Orosmane, indi
Corasmino.

OROSMANE
È notte alfin... più dell'usato è cupa...
Cupa come il mio cor –  Oh! in qual piombai
D'orrore abisso! Oh! come mai discesi
Dalla grandezza mia! Qual malfattore
Io mi aggiro fra l'ombre, e ad ogni fronda,
Agitata dal vento,
La mia vittima aspetto, e il ferro io tento.
(Esce Corasmino).
Sei tu?

CORASMINO
Son'io. Lo schiavo
Riferì la risposta.

OROSMANE
Ed è?

CORASMINO
Zaira
All'invito si arrende.

OROSMANE
Oh traditrice!
Oh inaudita perfidia! E qual poss'io
Supplizio immaginar che corrisponda
Alla nequizia di quel core infido?

CORASMINO
Signor...

OROSMANE
T'acqueta... Un grido
Non odi tu?

CORASMINO
Tutto è silenzio; e, tranne
I celati custodi, ormai nel sonno
Tutto quanto l'Harèm giace sepolto

OROSMANE
Veglia il delitto, e il  congiurar ne ascolto.
Ah! Corasmin!

CORASMINO
Tu gemi?

OROSMANE
Il primo pianto io verso,
Pianto del cor... Com'io l'amai, l'ingrata!
Di qual tenero amor! Era al mio sguardo
Quanto di più leggiadro e di più santo
Amar ponno i Celesti; e il mio pensiero
Volava a lei rapito
Come a speranza di supremo bene...
Ed ora?... Oh mio dolor!...

CORASMINO
Taci... alcun viene.
(Si ritirano, e si tengono celati).


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