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Federigo Tozzi
Ricordi di un impiegato

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5 marzo

Passo i giorni in una angoscia, che non ha rimedio. Sono irritabilissimo anche. Non imparo bene quel che devo fare. Anch’io prendo la colazione con il pane e il maiale salato; bevendo, poi, un bicchiere di vino rosso al buffet della stazione. Ma non partecipo mai ai giuochi chiassosi dei miei colleghi; e non chiacchiero.

Talvolta, coloro che vengono per le spedizioni, domandano al bigliettaio:

— Quello è l’impiegato nuovo?

— Si.

Mi guardano con un’aria di compatimento burlesco e dicono:

— Com’è buffo!

Il collega, per difendermi da un’ostilità che mi ferisce, risponde:

— Ma è buono!

Credo che questa parola faccia nel loro cuore lo stesso effetto che nel mio; ma, invece, non ci credono; e se ne vanno senza mai finire di riguardarmi. Se c’è Drago fuori dell’atrio, tornano perfino in due o in tre; insieme con lui. E stanno li a parlare di me, sottovoce. E l’ultima occhiata è sempre cattiva. Perché mi giudicano così male? Io guardo il naso tenero e rosso di Drago.

Ma sono riescito a scrivere una lettera lunga ad Attilia. Essi non sanno che io amo e che non sarebbero capaci di farmi lasciare da lei. Tutti i dispetti e tutte le insolenze mi possono fare, ma questa no! I suoi occhi, buoni e sereni, non si cambierebbero mai.




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