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Federigo Tozzi
Ricordi di un impiegato

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2 marzo, mezzodì

Il disaccordo per la fidanzata, lasciato tra me e la mia famiglia mi sconcerta. Che, forse, è necessario ch’io doventi cattivo; per non rinunciare al rispetto del mio animo? Sarei, forse, per accostarmi a quella cattiveria che dicono indispensabile imparare? Io, fin qui, credo di poterne fare a meno; per sempre. È così difficile, dunque, essere buoni? Quando mi riesce, tutte le cose sembrano belle. Nessuno capisce come io amo Attilia. Vicino a lei, un’estasi meravigliosa prende la mia volontà e i miei sensi. Il tempo non esiste più, ma soltanto uno spazio infinito. Quando ella mi parla, le stringo le mani; per ringraziarla.

Sono tre ore che viaggio, e ho sempre pensato a lei; e mi sembra che ella sia sempre fuori del vagone, correndo come il treno; per non lasciarmi.

Vi sono dolcezze che fanno male quanto il dolore. E so che questa primavera io sono come un importuno, che non riesce a

dire quattro parole. Sono imbarazzato, e ho paura perfino del mio riso.

Talvolta dormendo mi tornano sensazioni della realtà che mi fanno stupire. Ma la realtà sentita nel sogno ha il sapore che le dà in quel momento la mia anima. Io la mesuro con la mia consueta abitudine; e, forse, non è che un vago abbozzo che vive dentro di me.

Ora, in vece, sento il sapore della morte che verrà senza sapere come; proprio per la stessa ragione che ho cominciato a vivere.




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