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Federigo Tozzi Ricordi di un impiegato IntraText CT - Lettura del testo |
17 marzo
Marcello Capri amoreggia con la figlia d’un ingegnere. Lei si mette a una finestra che risponde sul piazzale della stazione, e si può vederla anche dal nostro ufficio.
Credo che non abbia ancora sedici anni; bionda e rosea; ma grassa come una donna matura.
Hanno trovato il mezzo per scriversi di nascosto, e lei s’è innamorata da vero. E siccome le sue lettere sono sgrammaticate, il Capri storce sempre la bocca e gli viene da ridere. Mi domanda:
— Che mi consigli tu? Devo lasciarla? Dio mio, non sa né meno mettere una parola su la carta senza fare qualche sbaglio! Senti come è scritta questa frase!
Io, che prendo tutto sul serio, gli rispondo; perché non la lasci:
— Imparerà! Non va sempre a scuola?
— Fa la prima tecnica.
Anche il Capri è biondo e roseo; e dà un’occhiata agli spropositi e una alla finestra. Dopo aver lavorato un quarto d’ora, mi domanda:
— Mi scrivi tu una lettera per lei?
— Volentieri; purché tu mi ripassi le somme.
— Accetto.
Prendo un foglio di carta pulita, e fingo di riflettere.
Il Capri è contento e soddisfatto; ma, quando vede che non rifletto più, si raccomanda:
— Meglio che tu puoi.
Terminata la lettera, gliela consegno. Egli la legge e la ricopia subito; cambiando certe parole che non ha mai adoprato. A cena, come per compensarmi, ha voluto che il Brilli si riconciliasse con me; giurandogli che io non me la intendo con il vice gestore. Il Brilli non s’è convinto, ma per timore di esigere troppo da me, non s’è fatto pregare molto.
Da quando gli ho scritto la lettera, il Capri mi prende a braccetto; e cerca di farmi essere allegro. Alla fine, però, si perde d’animo; e, per non annoiarsi più con me, finge che abbia bisogno di lasciarmi. Allora, io mi sento proprio abbandonato da tutti.
Dianzi, quando il gestore s’è riconciliato, ho tentato di confidarmi con lui, parlandogli anche della mia famiglia, ma ho capito subito che non gli facevo piacere e che mi giudicava quasi male. Invece non vorrei confidarmi con il Capri perché ha due anni meno di me ed è d’animo troppo leggiero. Quando mi racconta che a Firenze era amico anche di qualche canzonettista, io mi stacco subito da lui e gli dico che mi parli d’altro.
Il Capri mi guarda ridendo, a qualche passo di distanza; poi, si avvicina un’altra volta; e ricomincia a parlare anche peggio di prima; divertendosi specialmente con le parole oscene.
Io gli chiedo:
— Perché tu sei così?
— E tu perché vuoi codesta castità?
— Mi sei antipatico.
— E tu a me. Anzi, non capisco perché non ti piacciano le canzonettiste e perché tu voglia subito fare all’amore sul serio! Già, non ci credo. Tu devi essere più astuto di quel che non pare. Hai fatto il prete prima d’impiegarti alle ferrovie?
Io mi metto a ridere; e il Capri mi dice:
— Perché, allora, non bestemmi anche tu? Senti quanto è bella questa parola che ti pare sporca! Provati a dirla: vedrai che ci pigli gusto anche tu. E perché non andiamo tutti e due dalla tua padrona di casa, per doventare suoi amanti anche noi?
Io m’allontano da lui; ma egli mi riprende a braccetto; e continua:
— Se tu non vuoi, significa che agli amici non vuoi bene. Se tu mi fossi amico, mi daresti retta.
Io, per tagliare corto, gli rispondo:
— Non mi piace: è troppo vecchia.
— Vecchia? Si vede che non te ne intendi. Se io fossi nel tuo posto, vorrei mangiare e dormire senza spendere nulla. Ci dovrebbe pensare lei! E perché, invece, vuoi prendere moglie?
Io non so come rispondergli, e giro la testa da un’altra parte. Se dovessi convincerlo da vero, non mi riescirebbe. È bene ch’egli non mi dica più una parola su questa cosa, perché così non farò una parte troppo da poco; una parte che mi spiace più di qualunque altra. Perché, dunque, ci sarebbe tra me e la
mia famiglia questa specie di lite silenziosa se io non amassi da vero Attilia?
La voce d’Attilia nasce dalla mia; ha toni di timidezza, perché, per udirla, mi metto zitto.
Parlando, m’intende dalla voce: lei sola m’intende.
Già è stata tutta mia soltanto perché le ho parlato.
In salotto non c’è nessuno. Ma le sedie e il canapé hanno tra loro una dolcezza tranquilla; ed io non ho potuto aprire la porta senza chiedere scusa e senza dire bongiorno.
C’è il canapé convinto d’avere un’onestà, che si deve vedere guardandolo.
E il silenzio della stanza è riempito dal canapé e dalle sedie.