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Federigo Tozzi Ricordi di un impiegato IntraText CT - Lettura del testo |
5 aprile
Dall’ufficio vedo la montagna lucchese, che verdeggia tra case, ponti e strade.
Quando entro nell’osteria, la signora, Marianna allatta la sua bambina. Il marito sta con le mani appoggiate al marmo del tavolino, dove tengono i fiaschi e le forme del cacio.
Il bambino più grande, con il moccio al naso, spezza, un piatto; ne busca e lo mettono a piangere fuori dell’uscio. La signora Marianna ha dovuto lasciare in terra la sua bambina, per servire me.
Mentre si riabbottona il vestito, mi chiede:
— Che cosa mangia?
— Che cosa c’è?
Non se ne ricorda subito, e sbaglia; ma poi ci azzecca:
— Le paste nel sugo.
— Si spicci.
Ella sorride e dice:
— Ha sempre fretta!
Intanto divento nervosissimo, quantunque il gestore mi chieda:
— Vuole bevere l’acqua?
— Si: non mi sento bene.
— Beva il vino, Dio...!
E mi empie il bicchiere. È rosso più del solito; e, dopo avermi guardato a lungo, mi domanda:
— Perché non vuole stare a Pontedera?
Dal tono della voce, capisco che non si è punto affezionato a me; perciò non rispondo; ed ascolto gli osti, che cominciano un litigio. La signora Marianna dice:
— Perché non tieni un poco la bambina in collo? Io ho da cuocere questa carne.
— Tienila tu; io ho sudato fino ad ora, a contare i mattoni.
Ella piange; ed egli si incollerisce di più, dicendo a noi:
— È la miseria nostra. Quando non avevamo bisogno di stare qui, ci volevamo più bene.
Ella si cheta; ma il gestore mi cozza il gomito, e mi dice:
— Io gli taglierei la gola con questo coltello.
I boccioli di rosa sono come punte di matite rosse; ma non le adopro. E il vento non si sa quel che vuol fare e da che parte viene.
Aspetto una buona notizia di Attilia; e questi brividi freddi sono più voluttuosi dei raggi del sole.