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Federigo Tozzi Ricordi di un impiegato IntraText CT - Lettura del testo |
6 aprile
La malattia di Attilia m’impensierisce; e le scrivo con una apprensione che non mi lascia più pace. Se potessi avere un giorno di permesso e andare a Firenze!
Mentre rosicchio il pezzetto di pane della colazione, entra un ispettore seguito dal gestore: si fa silenzio all’improvviso. L’ispettore dà un’occhiata troppo indifferente ai miei registri, e si siede ad un altro tavolino per trovare un errore di calcolo, per cui da tre mesi sono in movimento cinque o sei alti personaggi dell’Amministrazione.
È pallido e sembra sofferente. Il gestore lo guarda; poi, chiede il permesso di andarsene. Allora entra un altro ispettore con la faccia tutta torta da grinze enormi, con la bocca tirata da una parte e gli occhi a punta sotto gli occhiali cerchiati d’oro.
Il silenzio aumenta. Ma l’ispettore non guarda nessuno; parla sorridendo con il suo collega, che gli dimostra una deferenza molto palese. Poi, chiede:
— C’è l’impiegato che deve dare gli schiarimenti?
Un applicato, ch’era rimasto all’uscio, risponde più disinvolto che può:
— Sono io.
E le contestazioni cominciano.
Suona il mezzodì; ed essi ciarlano ancora, moltiplicano e sommano. Ma il conto non va bene lo stesso. L’ispettore, che è entrato per primo, sospira parecchie volte; e il secondo è più che mai arcigno. L’impiegato impallidisce, ma sostiene con vivacità di non essere colpevole. Quelli non gli credono; e, alla fine, si alzano. La conversazione tra noi impiegati riattacca immediatamente.