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Paolo Risso Un apostolo del nostro secolo IntraText CT - Lettura del testo |
Crescevano i ragazzi di padre Giocondo e si avvicinavano alle nozze. Il parroco preparava i fidanzati al matrimonio con le sue istruzioni colme di bontà e di sapienza. Il giorno delle nozze li affidava alla protezione della Madonna. Seguiva gli sposi che si stabilivano in parrocchia, con la sua guida paterna: dovevano sentire Gesù vivo in mezzo a loro, come gli sposi a Cana di Galilea. 8
Ma giungeva l'ora del dolore per i suoi parrocchiani: la malattia e la morte. In quell'ora suprema, Padre Giocondo si faceva ancora più vicino affinché non mancasse a nessuno Gesù.
Impegnò alcuni confratelli nella visita agli ammalati, nell'assistenza ai moribondi con gli ultimi Sacramenti. Lui
stesso accorreva, lasciando qualsiasi impegno, presso i suoi «figli» vicino al giudizio di Dio.
Alle suore ammalate chiedeva di pregare e di offrire le loro sofferenze per la conversione dei lontani da Dio. Spesso andava a visitare i suoi ammalati: si fermava presso il loro letto, li ascoltava, li incoraggiava, li invitava alla confidenza e all'abbandono in Dio, li spingeva a offrire tutto con Gesù Crocifisso.
Per mesi interi si portava a visitare i malati gravi. Passava notti intere presso il loro capezzale. Prediligeva i più lontani da Dio, i massoni, quelli che cacciavano via il prete, i peccatori più incalliti. Per questo estremo atto di carità, ricorreva a tutti i mezzi. Mandava le suore più intrepide ad affrontare le situazioni più difficili. Capitava il miracolo:
la suora inviata, dopo alcuni incontri, si recava da lui a dirgli: «Ora l'ammalato l'aspetta».9
E con Padre Giocondo giungeva Gesù Salvatore.
Quando venne la guerra volle essere presente come angelo consolatore presso feriti e morenti negli ospedali militari, come quando il 28 gennaio 1918 aerei nemici compirono un massacro a Mestre: egli accorse sollecito a portare Gesù. 10
Il dolore e la morte vennero anche a visitare la famiglia d'origine di padre Giocondo. Nel novembre 1912, ai SS Giovanni e Paolo correva insistente la voce che il parroco stava per essere eletto vescovo. Il 15 novembre gli giunse un telegramma. I confratelli pensavano che gli fosse arrivata la nomina, ma egli impallidì: era morto, a Popetto di Tresana, il suo papà.
Partì immediatamente. Giunto a casa, consolò la mamma e suffragò subito con la Messa l'anima del Defunto. Partecipò ai funerali con i suoi fratelli, don Bentivoglio, padre Pietro, Luigi, i suoi familiari. Cercò di dimostrarsi sereno e forte. Ma anche la mamma era gravemente ammalata;
Padre Giocondo chiese perciò una benedizione per lei al Papa Pio X che gli rispose subito con un telegramma.
Venne il parroco di Tresana a portare all'inferma gli ultimi Sacramenti. Il Padre gli disse: «Fra poco avremo due santi di più in Paradiso». Il 20 novembre la mamma morì. In quei giorni fu ospite del parroco, 11 il quale in seguito testimonierà: «Passava gran parte della notte dinanzi al Tabernacolo. Mi convinsi che era un'anima, che sotto i veli di un'esteriorità senza alcuna posa, sempre sereno e uguale, celava tante opere sante, una vita di fervente pastore ».
Tornato a Venezia scrisse una lettera circolare ai suoi parrocchiani: «Miei carissimi figli, nello spazio di soli cinque giorni il mio cuore ha ricevuto due ferite, così profonde che difficilmente si potranno rimarginare... Non ho più babbo, non ho più mamma... e voi, lo sento, mi sarete non solo figli, ma e babbo e mamma. Il mio cuore, come la vita, ormai è tutto vostro».12
Trascorsi alcuni anni, annotò: «Noi amiamo la mamma nostra sia che abbiamo la fortuna di averla vicina, sia la frutta di cui il Padre si privava alla mensa!» (testimonianza del 22 ottobre 1929).
che la piangiamo nel sepolcro. Il chiostro non è la tomba degli affetti simili a quello della nostra mamma». Ma - religioso e sacerdote tutto di Dio - seppe innalzarsi all'offerta di se stesso, del dolore e della morte, come era solito insegnare ai suoi malati, alle persone che soffrivano: «Il Signore - continuava - ha posto in noi l'amore naturale e soprannaturale verso la mamma e perciò guardando solo alla sua scomparsa, io piango... Eppure io devo rassegnarmi e dire il mio fiat. Come avverrà questo? Riguardando alla morte della mamma non in sé, ma rispetto al Divino Volere che tutto dispone per il nostro meglio, per la divina gloria... Quanto più mi abbandono al Divino Volere, tanto più sarò rassegnato e anche nella durissima prova sentirò aleggiare nel mio cuore la calma e una gioia santa ».13
Con il sì pieno alla volontà di Dio e il servizio ai fratelli, il sacerdozio di padre Giocondo donava la gioia e la vita che non muore.
(1-5); AL V 186 (1-7); AL V 460.
maggio 1929: «Per ammalati che sapevo lontani da Dio e fra essi una decina di noti massoni... chiamai il padre Giocondo e non uno è morto senza sacramenti. Da uno, conosciutissimo, per due volte non fu fatto entrare, la terza poté entrare e lo convertì».
Dell'impegno di padre Lorgna nell'assistere malati e morenti, devono essere ricordati in particolare tre fatti: la biografia da lui scritta della giovane Ines Mandricardo, allieva «al Pianto», da lui assistita durante la sua mortale malattia, come si rileva dal Diario AL III 13, dal 4 settembre 1911 al 17 marzo 1912; le note del Diario sulle ricorrenti crisi del confratello e superiore padre Domenico Pezzella; la testimonianza di una suora dell'Ospedaletto sulla fama che padre Lorgna godeva tra i malati della casa di ricovero: «... Abbiamo notato modi singolari di bontà nel trattare con i vecchi, ammalati, poveri e deficienti e per questi aveva attrattive speciali. Oh! Quante volte nel tempo in cui padre Lorgna era parroco, i nostri vecchietti tornavano al Ricovero festanti per aver ricevuto in dono