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Paolo Risso Un apostolo del nostro secolo IntraText CT - Lettura del testo |
C'era, nel cuore di P. Giocondo, come nel cuore di S. Domenico, un grandissimo amore alla Chiesa. In ogni istante della sua vita, egli poteva dire: «Tutto per Te, Signore, per le anime e per la Chiesa».
Come Domenico, come Tommaso d'Aquino, come i Santi Domenicani che amava, era attirato da Cristo: lo cercava nello studio della sua Parola, nel Tabernacolo, davvero per lui «il cuore del suo cuore». Cristo lo mobilitava a spendersi non solo per la sua parrocchia, per il suo Ordine, ma per tutta la Chiesa.
Sembrava che nulla e nessuno lo potesse fermare.
Quando, all'inizio della guerra, nel maggio 1915, non pochi preti furono chiamati alle armi, padre Giocondo moltiplicò le sue energie per provvedere, di persona o chiedendo l'aiuto dei confratelli, alle parrocchie rimaste senza pastore: la messe delle anime, neppure in quell'ora dolorosa, non doveva restare senza operai.
Finita la guerra nel 1918, mentre i soldati tornavano dal fronte con l'anima sopraffatta dalla violenza e dall'amarezza, si impegnò a ricostruire in parrocchia le associazioni cattoliche per l'educazione cristiana della gioventù, a chiamare tutti alla Messa festiva e alla preghiera intorno al Tabernacolo. Ai preti che andavano da lui a confessarsi e o chiedere consiglio, ai giovani, in primo luogo ai seminaristi, che tornavano dalla guerra, dedicava tutte le sue attenzioni
per intessere di nuovo tra loro e Gesù un colloquio di confidenza e una rinnovata dedizione all'apostolato.
Gli studenti del Seminario di Venezia, nell'agosto 1919, lo sentirono, luminoso e ardente, predicare loro gli esercizi spirituali, presenti i professori e il Patriarca.
Negli anni della guerra, mentre infuriavano i bombardamenti sulla città, non aveva mai lasciato la sua parrocchia: il suo modello assoluto era Gesù, il buon Pastore che non abbandona mai le pecore del suo gregge, nell'ora del pericolo ( Gv 10, 11-16). Per suo amore, aveva allargato il cuore per farsi il consolatore di tutti i sofferenti: i soldati, i feriti e le loro famiglie.
Proprio in quel periodo, aveva celebrato gli anniversari della sua vita religiosa e sacerdotale: nel 1915 il 25° della sua prima professione; nel 1918 il 25° della sua professione solenne e dell'ordinazione sacerdotale. Furono momenti per rinnovare a Dio, che lo aveva voluto domenicano e sacerdote, la sua totale dedizione per ripartire ancora più ardente.
Un giorno del settembre 1910, mentre partecipava a Roma al Capitolo generale presieduto dal padre Cormier, era andato a celebrare la Messa a S. Sabina, dove S. Domenico aveva passato anni brevi e intensi di vita apostolica: lì aveva rinnovato il proposito che lo avrebbe animato in ogni istante della sua esistenza: «prendere a modello della mia vita il Santo Patriarca Domenico».
Davvero lo imitava, il santo Fondatore dell'Ordine. Voleva che rivivesse in lui, per rivelare agli altri, con stile più luminoso, Gesù, Sapienza e Amore. Così sentirono padre Giocondo coloro che lo avvicinarono.
Quando nel 1921/22 si celebrò il VII anniversario della morte di S. Domenico, prima partecipò a Roma alle grandiose celebrazioni organizzate dalla Curia generalizia per il Terz'Ordine e per le Confraternite del Rosario, e si recò,
pellegrino orante, ancora una volta, a S. Sabina, sulle orme del Padre, a prendere forza e ispirazione da lui. 33
A Venezia poi volle coinvolgere tutti i cittadini nelle celebrazioni centenarie, pubblicando un «Numero unico» in onore di S. Domenico e promuovendo, nell'ottobre 1922, una solenne predicazione «rosariana», cui seguirono l'inaugurazione della sua chiesa restaurata, la sua elevazione a Basilica e la definitiva approvazione delle Suore Domenicane della Beata Imelda, da lui fondate, con la vestizione delle prime dieci religiose. 34
Sulla scia di Domenico, padre Giocondo si rivelava straordinario, pieno di Dio, traboccante di Lui. Educato dalla Sapienza divina, faceva scaturire dalla contemplazione il suo molteplice apostolato, tutto dedito al rinnovamento dell'Ordine e della Chiesa.
Come canta il prefazio di S. Domenico.
ottobre 1922, intitolata «Venetae Reipublicae Moderatores», firmata dal Card. Pietro Gasparri. - Memorie Domenicane, 1922, pp. 601-603.