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Paolo Risso
Un apostolo del nostro secolo

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Il contemplativo

La Chiesa, in quegli anni tra l'Ottocento e il Novecento, indicò gli errori e li chiamò con il loro nome di ribellione a Dio. Nel medesimo tempo proclamò con forza la Verità della fede, rivolgendosi a ogni uomo, a ogni problema.

            Papa Pio IX, nell'enciclica Quanta cura e nel Sillabo ad essa unito (1864) aveva condannato l'errore che sta alla base della cultura e della mentalità moderna: la ragione come unica fonte di verità, la libertà come assoluto, indicando nella divina Rivelazione la luce per tutti i tempi.

            Leone XIII aveva raccolto la sfida del mondo e con l'enciclica Aeterni Patris (1879) proponeva la sintesi dell'umano e del divino, di ragione e di fede, di libertà e obbedienza, operata da S. Tommaso d'Aquino, come la via maestra per trovare la Verità di cui l'uomo ha bisogno. Sulla stessa scia, il Pontefice, con la Rerum Novarum (1891), segnava la strada per risolvere la «questione sociale » dei più poveri e costruire una società nuova, frutto di verità e di solidarietà in Cristo.

            All'aprirsi del nuovo secolo, Leone XIII con l'enciclica «Tametsi futura» (1900) , così invitava i credenti e tutti gli uomini: «Si ritorni dove non si sarebbe mai dovuto allontanarsi, a Gesù Cristo che è la Via, la Verità e la Vita»,


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perché solo in Lui l'umanità del presente e del futuro avrebbe trovato «la soluzione di tutti i problemi».

            Uomini e donne, nella Chiesa, laici e sacerdoti, risposero alla chiamata con entusiasmo e dedizione, testimoniando quanto può la fede per costruire l'uomo a immagine di Dio e una società libera, solidale e fraterna animata dallo Spirito del Vangelo. 2

Padre Giocondo è uno di questi testimoni di Cristo tra il XIX e il XX secolo: davanti alla cultura liberale e laicista, alla mentalità mondana e agnostica, davanti alla ribellione a Dio di uomini e di un'età, vediamo imporsi la sua figura luminosa.

            Fin dalla fanciullezza egli afferma il primato assoluto di Dio e la vita come dono d'amore a Lui. A chi gli chiedeva, poco più che bambino, se amasse di più il papà o la mamma, aveva risposto: «Prima di tutto amo Gesù che fu messo in croce, poi i genitori». 3 In obbedienza a Dio che lo chiamava, in contrasto alla mentalità corrente, il giovane scelse con orgoglio e con gioia prima la via del seminario per diventare prete diocesano, e poi la via più ardua del sacerdozio domenicano.

            Da quel giorno, fino alla morte, offrì la vita sacerdotale e religiosa come «olocausto d'amore» per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime. Fin dall'inizio colse il cuore del sacerdozio: l'essere una cosa sola con Cristo crocifisso, essere ostia con Gesù-Ostia. Non cercò esclusivamente i grandi progetti di apostolato, ma si preoccupò di unirsi all'offerta che Gesù Sacerdote e Vittima fa di se stesso al Padre, per l'espiazione del peccato e per la salvezza dell'umanità. 4

Appena ordinato sacerdote scriveva: «Procurare di riempirsi dello Spirito di Gesù Cristo, che è spirito di

 


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mortificazione e di umiliazione. Per ottenere questo, bisogna pensare spesso alla Passione di Gesù, avere davanti i suoi santissimi esempi».5

Per realizzare questo, era entrato nell'Ordine domenicano in cui gli era consentito di essere l'uomo tutto di Dio. Era la risposta più adeguata alle problematiche del suo tempo. Come Tommaso d'Aquino, riteneva l'Ordine Domenicano la forma più alta di vita religiosa nella sua stupenda sintesi di contemplazione di azione: contemplata aliis tradere, comunicare ai fratelli Cristo-Verità contemplata. 6

Nei suoi scritti parlò spesso di S. Domenico e dell'Ordine dei Predicatori:

«Quanto S. Domenico amava il suo Dio! Il suo cuore era sempre rapito in Lui. La sua mente risplendeva al pensiero di Lui e la sua volontà non voleva che Lui. E da questo amore così alto, nobile e divino, vedeva le anime e le amava con un impeto che lo rendeva capace di tutti i sacrifici e di tutte le immolazioni pur di illuminarle con la sua parola e di attirarle a Dio».7

Questo ritratto di S. Domenico è in qualche modo il ritratto di padre Giocondo. Anche lui, come S. Domenico, amava la contemplazione. Anche lui, come Tommaso, sapeva che la ragione non può mai essere legge assoluta all'uomo, che anzi trova la sua pienezza nella fede in Cristo, che la libertà autentica è capacità di scegliere il bene e di farlo, sorretta dalla grazia di Dio. 8

Contemplativo nella pace del convento, sarà ancora contemplativo nella sua basilica dei SS. Giovanni e Paolo e

 


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per le vie di Venezia e del mondo, quando dovrà dedicarsi alla soluzione di tanti problemi. In ogni momento Dio e il suo Figlio Gesù Cristo sono sempre per lui l'unico Amore.

            Lo cercava nello studio prima dell'alba. Colloquiava a lungo con Lui nella Messa e nell'adorazione presso il Tabernacolo. A Lui solo offriva la sua esistenza operosa.

 




2 Ibid.



3 P. LORGNA, Un'anima domenicana, cit., p. 179.



4

Cfr. G. CAVALCOLI , Padre Lorgna: sacerdozio, eucaristia e vita, in «Sacra Doctrina», Novembre-dicembre 1988, pp. 696-739.



5 D. MARCALINI, Il Servo di Dio, padre Giocondo Lorgna, cit., p. 36.



6 S. TOMMASO , La Somma Teologica, Vol. XXII: Carismi e stati di perfezione (II .II , qq. 171-189), Ed. Studio Domenicano, Bologna 1986, pp. 456-472.



7 P. GIOCONDO PIO LORGNA O.P ., Elevazioni per ogni giorno dell'anno, Congregazione della B. Imelda, Venezia 1964, p. 224.



8 Cfr. G. CAVALCOLI, op. cit., p. 717.






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