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Paolo Risso Un apostolo del nostro secolo IntraText CT - Lettura del testo |
«Ecco, io vengo»
Nel maggio 1927 Padre Giocondo aveva avvertito per la prima volta disturbi allo stomaco. Il male si fece più intenso durante l'estate. Seguì un periodo di riposo a Recoaro (Vicenza). Di qui scriveva alle sue suore: «La cura va bene e spero che produrrà effetti consolanti, però, o mie figlie, più ancora che della vita lunga, preoccupiamoci della vita santa: questa solo ha valore dinanzi a Dio».1
L'inizio del 1928 lo trovò ancora operoso. Ma diversi disturbi lo travagliavano. In gennaio dichiarava al Provinciale di non godere più buona salute. Svolgendo il suo ministero aveva incontrato negli altri ogni sorta di dolore. Sapeva compatire e consolare. Invitava a offrire con Gesù Crocifisso. Ora toccava a lui. Si affidò alle cure di due medici dell'ospedale civile di Venezia. Continuò a lavorare senza fermarsi. Eppure sentiva che qualcosa di ineluttabile gli stava accadendo. Medici e superiori decisero di farlo ricoverare alla clinica delle Suore Domenicane Infermiere di via Villa della Regina a Torino.
Il 22 maggio 1928 partì. Un viaggio in treno, da solo, in seconda classe. Dalla stazione di Torino si recò a piedi
in clinica. Iniziarono i consulti, le cure. Il Padre continuò a pensare a tutte le sue opere. Il 25 maggio, a S. Pietro di Cadore, le Imeldine aprivano l'ultima casa, lui vivente.
Mandò loro una cartolina postale con la sua benedizione.
«Gesù accetti il comune sacrificio e lo fecondi di vera santità e di grande apostolato di bene. Benedico tutte insieme ai cari bambini».2
Scrisse a Rina Zecchini per le Ancelle Missionarie... Notò un certo miglioramento. I primi giorni li trascorse in giardino, davanti alla statua dell'Immacolata di Lourdes, celebrando la Messa al mattino, pregando a lungo con il Rosario.
Ma i medici diagnosticarono un tumore maligno al ventre: inoperabile. Avvertirono il fratello padre Pietro Lorgna e due domenicani di Torino, il padre Ceslao Pera e il padre Costanzo Beretta, i quali pensarono di rivelare al padre Giocondo il suo vero male. 3
Seguì un imbarazzante silenzio per qualche istante. Poi il Padre rispose baciando il Crocifisso: era il suo «sì» alla volontà di Dio. Chiese di essere aiutato a essere fedele fino all'ultimo. Mandò una lettera alla Madre Boscolo, e a tutte le comunità imeldine, chiedendo preghiere. 4
Al tramonto di quella giornata scrisse il suo atto di accettazione della morte: «Sia fatta, o Gesù, la tua santissima volontà! Accetto la morte e quella morte che tu vuoi, come Tu l'accettasti dal Padre tuo... Io voglio la tua gloria che è pure quella del Padre... O Gesù, Tu volesti la salvezza delle anime... il trionfo della tua Chiesa e benedicesti in modo particolare i tuoi apostoli. E io pure voglio tutto questo».5
L'indomani giunse il fratello padre Pietro: grazie a lui continuò, scrivendo, telefonando, a interessarsi di tutti. Il 3 giugno celebrò per l'ultima volta la S. Messa unendo le sue sofferenze e la morte ormai vicina all'offerta di Gesù. Il 7 giugno, festa del Corpus Domini, non potendo parlare, come era solito, alle sue suore Imeldine e alle Ancelle Missionarie, dettò per loro un telegramma:
«Corpus Domini 1928 trasformi maggiormente figliole angeli viventi comunicanti vita eucaristica salvezza anime, trionfo Gesù. Benedicendovi, vogliovi forti serene sempre.