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Paolo Risso
Un apostolo del nostro secolo

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In Seminario

Il 4 novembre 1883, Giocondo Lorgna, 13 anni, accompagnato dallo zio, entrò in Seminario a Parma. Da alcuni anni, era Rettore del Seminario Don Andrea Ferrari, un giovane santo sacerdote che un giorno, non lontano, la Chiesa avrebbe eletto alla cattedra episcopale di Milano. 7

Don Ferrari era un educatore completo con il suo esempio e la sua azione: sapeva essere severo e umano, esigente e vigilante, comprensivo, socievole, soave nei modi e nelle parole. Sotto la sua guida, il Seminario visse una straordinaria fioritura: l'ambiente era forte, entusiasta, fervoroso.

Il Rettore accolse Giocondo tra i numerosi alunni. Dopo pochi giorni, capì che don Luigi di Torrile gli aveva portato un vero tesoro. Il ragazzo si rivelava studioso, fedele all'osservanza della «regola» del Seminario, assiduo alla Comunione eucaristica, ormai quotidiana, sempre più attirato dal Tabernacolo.

Certamente, don Ferrari guidava il ragazzo verso l'alto, ma Gesù stesso parlava al cuore di Giocondo e lo trasformava, poco per volta, a sua immagine. Nel corso del primo anno, già si dimostrò assai virtuoso per il suo impegno nello studio, per la sua intensa vita di preghiera e per la disciplina. Nel medesimo tempo, era sempre un ragazzo schietto, sereno, esemplare e servizievole con tutti, senza perdere la sua semplicità, pur distinguendosi. Docile verso il Rettore che venerava, sempre socievole con gli altri seminaristi.

Un giorno, don Ferrari ebbe a dire: «È un angelo, questo ragazzo, la benedizione del nostro Seminario!». «E il mio più umile alunno e per il suo esempio è già un grande

 


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maestro per i compagni».8 Giocondo diventò amico del suo Rettore. Il suo confessore era don Tescari. Grazie all'interessamento del ragazzo, i due «maestri» di spirito vennero a predicare nella parrocchia di Torrile: don Tescari nelle Quaresime del 1884 e 1885, don Ferrari nella commemorazione dei defunti del 1885 e nella Quaresima del 1886.

Proprio in quegli anni, il Rosario di Maria veniva sempre più diffondendosi tra il popolo cristiano, grazie alle encicliche rosariane del Papa Leone XIII. A un giornale massonico, che aveva insultato la Madonna, i cattolici risposero con grandi feste in onore della Vergine e con la preghiera mariana.

Per il 1885, Leone XIII volle un giubileo mariano e invitò i fedeli a dedicare il mese di ottobre alla preghiera del Rosario. Giocondo rispose all'invito del Papa con la sua anima ardente di quindicenne. Mentre si apriva all'adolescenza e forse, come ogni ragazzo, sperimentava qualche difficoltà, era proprio Maria che lo aiutava a essere limpido e forte, a non smarrire la meta luminosa del sacerdozio cui Dio lo chiamava.

Studio, Eucaristia, Rosario: i tre grandi amori di Giocondo seminarista. Egli vi cercava uno solo: Gesù Cristo.

Ogni anno, a giugno, superati sempre brillantemente gli esami, Giocondo tornava a Torrile e da si recava poi a Popetto per trascorrervi qualche settimana delle vacanze con i genitori e i fratelli. Un giorno, a casa sua, si infilò al dito l'anello della mamma e le domandò, aspettandosi chissà quale risposta: «Che cosa desideri che io diventi?». La mamma gli rispose: «Che ti guadagni il Paradiso, facendo del bene».

A Torrile, l'ambiente era però più ricco di possibilità.

Il ragazzo, crescendo, si faceva attento ai fatti della vita, della società, della Chiesa, del mondo. Tutto lo interessava

 


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e, alla luce del Vangelo, si formava una mentalità cristiana. Lo studio sarà sempre la sua passione, perché era consapevole che un prete ignorante non è certamente un buon prete.

In vacanza non dimenticava Gesù, l'Ospite del Tabernacolo e del suo cuore. Per suo amore, si era fatto amici i bambini e i ragazzi. Li andava a cercare per far loro catechismo e insegnava loro a pregare e a vivere. Li avvicinava al Tabernacolo. Diffondeva libri buoni tra loro. Presentava con entusiasmo la vocazione al sacerdozio, così da farsi ascoltare con attenzione da molti di loro. Alcuni, attratti da lui, entrarono in Seminario. 9

Cominciava a essere apostolo e lo zio lo «addestrava».

Gli affidava i bambini della prima Comunione, se lo portava con sé presso i malati quando recava loro il Santo Viatico. Giocondo poi tornava presso i malati, da solo, a confortarli, a pregare con loro, accolto con simpatia e rispetto.

Un malato gravissimo non voleva saperne di riconciliarsi con Dio. Il parroco non era riuscito a portarlo al pentimento. Andò Giocondo: che cosa disse al malato, solo Dio lo sa. Tornò a chiamare lo zio e il malato ricevette i Sacramenti, prima di morire. Giocondo commentava:

«La più grande soddisfazione della vita è fare la carità e salvare le anime».10

I poveri più amati da lui erano quei seminaristi in necessità che, per pagarsi la retta, chiedevano aiuti ai parroci e alle famiglie più ricche. Giocondo li accompagnava e stendeva la mano per loro. Un uomo gli disse: «Un prete in più o in meno, che importa?» e stava per chiudergli la porta in faccia. Lui ribatté sereno: «Non sa che un prete in più significa tante anime salvate? E un'anima val più di tutte le sue ricchezze!». 11

 




7 ANDREA FERRARI (1850-1921), nato a Lalatta (Parma), sacerdote e rettore del Seminario di Parma, Vescovo di Guastalla, poi di Como, infine, dal 1894 alla morte, Cardinale Arcivescovo di Milano, è stato beatificato da Papa Giovanni Paolo II il 10 maggio 1987.



8 G. LEPORATI, op. cit., p. 60.



9 Ibid., pp. 61-64 e p. 80.



10 Ibid., pp. 94-95.



11 Ibid., pp. 96-98.

 






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