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Paolo Risso Un apostolo del nostro secolo IntraText CT - Lettura del testo |
«Sarò Domenicano»
All'inizio dell'ottobre 1888, Giocondo rientrò in Seminario a Parma. Iniziava il primo anno di filosofia. Lo studio della filosofia segnò «un salto di qualità» nella sua vita. Era il pensiero di S. Tommaso d'Aquino rientrato nell'insegnamento, nelle scuole cattoliche e nei Seminari, a pieno titolo, dopo l'enciclica «Aeterni Patris» (1879) di Papa Leone XIII. 1
Il giovane si sentì confermato nei desideri che gli erano nati in cuore da qualche tempo. Non gli bastava più la consacrazione a Dio come prete diocesano. Cercava un «qualcosa di più», una via più perfetta. L'attraeva l'ordine di S. Domenico.
L'incontro con S. Tommaso d'Aquino si fece più intenso quando compì una ricerca biografica sull'Angelico Dottore per prepararsi a parlare di lui in occasione della sua festa, il 7 marzo 1889.
Tutto lo spinse a verificare la sua vocazione. Intensificò la sua preghiera e si rivolse alla Madonna. Chiese consiglio a chi poteva illuminarlo. Nella sua anima ci fu un travaglio intenso: dove lo voleva Iddio? Doveva continuare gli studi in Seminario fino alla meta oppure Dio davvero lo chiamava sulle orme di S. Domenico? Nel suo cuore cominciava la «battaglia».
Nell'aprile 1889, Giocondo si ammalò. Il medico gli ordinò di tornare a Torrile per rimettersi in salute. Soffriva, pensando al Seminario, alle lezioni che perdeva. Soffrivano lo zio, don Luigi, i genitori. Nella canonica di Torrile incontrò il P. Angelo da Sassalbo, cappuccino, venuto a predicare in parrocchia. Giocondo gli aprì il cuore e dal frate ebbe luce per conoscere i segni dell'autentica vocazione religiosa.
Si rimise in salute e, rientrato in Seminario, nonostante la lunga assenza, al termine dell'anno scolastico, i risultati furono ancora una volta soddisfacenti. Giocondo era un giovane intelligente, aperto: anche nei giorni della malattia non si era chiuso in se stesso, si era impegnato per quanto poteva nello studio, aveva continuato a essere più attento che mai alla vita che si svolgeva attorno a lui.
In Seminario parlò del suo problema al Rettore don Ferrari. Nel suo cuore, in fondo, aveva già deciso: «Sarò domenicano. Dio mi vuole là». Lo disse al Rettore e alla sua guida spirituale. Don Ferrari non si stupì: «Lo sapevo ».
Tuttavia gli dispiaceva che un giovane come lui - che poteva diventare un parroco esemplare - lasciasse il Seminario.
Quindi incaricò il comune amico mons. Mercati di pregarlo a restare. Mons. Mercati, a nome del Rettore,
parlò a Giocondo, il quale gli rispose: «Non posso, devo e voglio obbedire a Dio!». 2
Il Rettore, vero padre e maestro, chiamò nuovamente il suo seminarista, volle conoscere in profondità il suo animo e alla fine lo guidò «a iniziare una forma di vita più perfetta nell'Ordine dei Predicatori».3
I progetti dello zio don Luigi e dei genitori erano sconvolti. Certamente avrebbero sofferto a sapere la nuova decisione del ragazzo. Anche Giocondo soffriva. Don Ferrari si prestò, con il suo grande cuore, a spianargli la strada.
Avvertì lo zio don Luigi della «novità» che stava per accadere. Lo zio parroco avvertì i genitori: «Fate il sacrificio di un dono più totale di vostro figlio al Signore. È Lui che ve lo chiede. Dio vi darà forza e pace». Furono, subito, piuttosto addolorati. Ma dissero, ancora una volta, il loro «sì».
Il 2 luglio 1889, don Ferrari parlò della vocazione religiosa di Giocondo al P. Tommaso Bonora, superiore provinciale dei domenicani di «Lombardia», che si trovava nella sua sede a Bologna. P. Bonora fissò un incontro con Giocondo presso il convento di Fontanellato. 4