Pietro Ardizzone
Studi maltesi
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Prefazione di Gaetano Arfè

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Prefazione di Gaetano Arfè

All'inizio della prima legislatura del Parlamento europeo eletto a suffragio universale diretto, presentai con l'appoggio di un gruppo di colleghi di varia nazionalità la proposta di una carta dei diritti delle minoranze etniche e linguistiche dell'Europa comunitaria.

A interessarmi per la prima volta al problema era stata la comunità occitana delle valli del Cuneese, più pressante e documentata fu la richiesta che mi venne dagli Sloveni cittadini d'Italia nel corso della campagna elettorale europea del 1979.

L'eco della mia proposta scavalcò subito, non so come, i confini degli Stati. I primi a mobilitarsi furono i bretoni e i gaelici, ma via via in ogni paese si formarono gruppi di pressione che sostennero l'iniziativa parlamentare e fortemente concorsero a farla arrivare in porto. Il dibattito nella commissione fu lungo e serrato e ricostruirlo presenterebbe più motivi di interesse per gli studiosi della materia. Ci fu chi sostenne che le lingue e le culture minoritarie - minorizzate, preferiva definirle i bretoni - erano relitti del passato che la storia nel suo corso si era occupata di emarginare o di liquidare e che ora potevano interessare solo gli archeologi e i glottologi; ci fu chi ritenne - un deputato ebreo francese con tragiche vicende alle spalle - che il riconoscimento formale della esistenza di etnìe minoritarie all'interno di una nazione poteva sortire, ove fossero imprevedibilmente mutate le condizioni politiche, effetti opposti a quelli auspicati, esponendole, una volta identificate a discriminazioni e a persecuzioni. Le resistenze furono tuttavia superate e mi piace ricordare che a indirizzare il voto del partito popolare europeo e a consentire così la formazione di una assai larga maggioranza fu Monsignor Otto d' Asburgo, erede mancato del trono di quell' antico impero multietnico per questo definito prigione dei popoli. In Italia la presenza più attiva fu quella degli sloveni e degli alto-atesini, ma a tenere il coordinamento tra i vari gruppi e a promuovere, a operazione conclusa, la costituzione, anche in Italia, di una

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organizzazione che desse loro una rappresentanza unitaria nei confronti della Commissione europea fu Piero Ardizzone. Le qualità che ebbi allora modo di apprezzare in lui furono la sua capacità di inquadrare il problema e i problemi delle minoranze nella loro dimensione storica, la padronanza dei diversi e complessi termini della questione, l'impegno appassionato in quella che egli considerava a una battaglia civile rivolta ad affermare nei fatti principii nei quali credeva. Non mi sono perciò stupito quando l'ho saputo alle prese con una ricerca sulla questione linguistica quale si è presentata e si presenta, intricata e intrigante, nell' isola di Malta. Non c'è oasi linguistica che non si presenti con proprie particolari e irripetibili caratteristiche determinate dalle vicende storiche, non ce n'è una nella quale il problema della lingua non si presenti collegato alla stessa problematica dottrinale, scientifica, politica e istituzionale. Nascono di qui i difficili criteri di metodo ai quali in questo campo diventa d'obbligo attenersi e che Ardizzone magistralmente adopera. Il suo lavoro si presenta, infatti, innanzi tutto come con una puntualissima ricostruzione della vicenda storica dell' isola a partire dal crollo del regime del Cavalieri nel 1798, quando Napoleone, in rotta verso l'Egitto, vi sbarca le sue truppe per instaurarvi una repubblica destinata a vita breve e ingloriosa. Il ricordo che ne resta non è quello dei sacri "principii dell'89", ma delle rapine sistematiche delle truppe francesi. A subentrarvi saranno gl' inglesi, tra ricorrenti contrasti con la popolazione locale, che però non assumeranno mai il carattere di aspri conflitti e non daranno mai esca a movimenti di carattere irredentistico. La nascita del regno d'Italia non mancherà di avere ripercussioni nell'isola, ma a prevalervi sono quelle ispirate a sensi di solidarietà col regime pontificio, naturali in una società

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fortemente cattolica. Il dominio inglese si concluderà senza traumi quando Malta vedrà riconosciuta la propria piena indipendenza.

La lunga vicenda non conoscerà mai momenti drammatici e non avrà episodi epici, ma resta assai complicata, intricata e intrigante e di grande interesse anche per i suoi riflessi di ordine internazionale. La narrazione che Ardizzone ne fa non è soltanto fondata su ricerche archivistiche e bibliografiche di prima mano, ma si presenta - cosa non frequente nei nostri tempi che vedono un crescente raffinarsi della tecniche e delle tecnologie della ricerca e un crescente impoverirsi della capacità, e forse anche della volontà, di interessare il lettore - scorrevole e gradevole, dotata, senza ostentate pedanterie, di tutti i necessari richiami che consentono la piena comprensione di tutti i termini della questione, colorita anche da aneddoti gustosi organicamente inseriti nel testo e illuminanti del contesto storico europeo nel quale la vicenda si svolge.

Il problema che è oggetto del suo studio, quello linguistico, ne risulta interamente rifuso nella storia in tutti i suoi aspetti, quelli della civiltà, della società, della cultura, della politica.

Il lungo dominio dei cavalieri di Malta, tra i quali prevalgono i francesi presenti con tre idiomi diversi, segna l'era nella quale l'isola è postazione avanzata dell'Europa cattolica nel Mediterraneo, non crea per questo aspetto problemi e non lascia vistose tracce. L'indagine linguistica condotta da Ardizzone conferma irrefutabilmente un dato storico: è un dominio che non ha radici nella società, che si regge sulla forte connotazione cattolica della popolazione. Le lingue più diffuse restano il maltese, di indubbia origine africana, e l'italiano che distingue i ceti colti.

L'occupazione inglese, di un paese, cioè, che gode di una ineguagliata esperienza di politica coloniale, modifica radicalmente i termini del problema: a partire da questa fase la questione linguistica s'intreccia strettamente a

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quella politica. Il governo di Londra non soffre di furori giacobini, la tolleranza, prima di essere un principio è un metodo che risulta di regola efficace, ma il posto della lingua inglese nella vita politica e amministrativa di Malta non può essere affidato al caso. Il dibattito che si accende, che non si estingue, che si ripercuote anche nelle discussioni e nelle controversie di ordine scientifico intorno alle origini, alla diffusione della lingua maltese, è di straordinario interesse - mi limito a ricordare tra gli elementi addotti i raffronti tra le varie redazioni, diversificate nel tempo della voce Malta nella Encilopedia britannica - i provvedimenti che via via si prendono in materia di istruzione e di regolamentazione linguistica nei rapporti ufficiali, gl'interventi del clero cattolico, su altro piano, la politica del governo inglese, l'interesse, sempre cauto, del mondo politico e culturale italiano, le ricorrenti interferenze francesi fanno del problema linguistico maltese uno dei criteri più efficaci e certamente il più originale di interpretazione della storia dell'arcipelago.

lo non sono uno specialista in materia, ma le molte letture che ho fatte in relazione alla mia iniziativa parlamentare, le preziose "lezioni private" impartitemi allora dagli amici Tullio De Mauro, Armand Kéravel, patriarca dell'autonomismo bretone, Riccardo Petrella e Alessandro Pizzorusso mi consentono di esprimere sul lavoro di Ardizzone un giudizio che non credo influenzato dall'antico rapporto di collaborazione e dalla lunga amicizia. Il suo libro è, a mio avviso, metodologicamente esemplare: è una storia senza lacune della lingua e delle lingue di Malta, ricostruita in tutte le sue vicende fino a diventare, organicamente collocata in un quadro internazionale, una storia completa e compiuta dell'isola fino alla conquista della sua indipendenza. E' da augurarsi che altri studiosi la prendano a modello e che egli stesso si cimenti in nuove prove in un campo dove lavori come questo ancora non abbondano.


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