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Le iniziative culturali italiane negli anni ’30 per Malta e per le comunità maltesi all’estero
Il governo nazionalista maltese, formatosi a seguito della vittoria elettorale del giugno 1932, entrò subito in rotta di collisione con il governo di Londra a causa delle iniziative a favore dell’insegnamento dell’italiano nelle scuole elementari prese dal Ministro della Pubblica Istruzione Enrico Mizzi.
La nuova Costituzione maltese, promulgata il 2 maggio 1932, limitava l’insegnamento dell’italiano alla scuola secondaria ed all’università, eliminandolo nella scuola elementare, dove era stato fin’allora impartito in base alla Costituzione del 1921.
Per aggirare tale divieto, Mizzi aveva disposto che l’italiano fosse insegnato nelle elementari in orario extrascolastico come materia facoltativa ed aveva previsto compensi straordinari per gli insegnanti cui era affidato questo insegnamento e premi di incoraggiamento per gli alunni.
Il governo britannico si oppose, asserendo che il bilancio non poteva consentire tali spese e che l’insegnamento dell’italiano nelle elementari, anche se facoltativo, violava la Costituzione e rappresentava una minaccia per l’uso dell’inglese.
A seguito di tali contrasti il governo nazionalista presieduto da Ugo Mifsud fu costretto a dimettersi il 2 novembre 1933, il Parlamento maltese fu sciolto e, sospesa la Costituzione, il governatore assunse pieni poteri, sia legislativi che esecutivi, prendendo misure avverse all’uso dell’italiano, che colpivano non soltanto le iniziative dei nazionalisti maltesi, ma anche quelle scolastiche e culturali del governo italiano a Malta.
Ancor prima del verificarsi di tali eventi, il 21 settembre 1933 il governatore aveva emesso un’ordinanza, che subordinava lo svolgimento di attività culturali straniere al permesso del governatore; la disposizione era chiaramente rivolta, pur nella sua genericità, all’Italia, l’unico Paese a svolgere tali attività in Malta.
Alle scuole italiane si era di recente aggiunto l’Istituto di Cultura, inaugurato il 14 febbraio 1932 con una conferenza di Ugo Ojetti, preceduta dall’intervento del console generale Silenzi, che aveva affermato: “Se nel mondo vi fossero più Istituti di Cultura e meno officine per fabbricare armi e munizioni…allora certo sarebbe assai più facile parlare di una pace universale e allora solo i problemi dell’unione dei popoli non troverebbero tante difficoltà alla loro soluzione. E’ in questo spirito di pace e per il conseguimento di quelle alte idealità di concordia e di fratellanza, di cui l’Italia è stata sempre pioniera nel mondo, che il Governo Fascista, con la fede e l’energia che gli vengono dalla rinnovata coscienza del suo popolo, crea oggi all’estero questi Istituti che devono spandere la luce della nostra Cultura come tanti fari luminosi”.1
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L’apertura a Malta dell’Istituto Italiano di Cultura era stata prevista in un programma di iniziative culturali e sociali che il console Silenzi aveva concordato con il prof. Umberto Biscottini già alla fine dell’anno 1930.
Programma che il console aveva illustrato nel rapporto al MAE del 18 dicembre 1930: l’Istituto figurava al primo punto e si ricordava che già con il rapporto del 14 agosto dello stesso anno ne era stata sollecitata l’apertura per “salvare quel poco di italianità che rimane ancora in quest’isola”.
Nel rapporto del 18 dicembre si proponeva anche di istituire una confraternita per tenere riunita la comunità italiana con il vincolo religioso. La messa domenicale, alla presenza del console, avrebbe costituito “una funzione prettamente nazionale” e la confraternita avrebbe potuto garantire anche l’assistenza medica, previo il pagamento di un piccolo contributo mensile.
Era prevista pure l’istituzione di un patronato scolastico femminile e di una bottega d’arte, per vendere prodotti artigianali italiani.2
In precedenza, nell’estate del 1930, si era avviata la costituzione di una libreria italiana.
Il 5 agosto il console aveva proposto al MAE di affidarla ad un giovane siracusano, Attilio Milazzo, che già vendeva a domicilio libri italiani. Si chiedeva l’anticipo delle spese di affitto per i locali, un contributo per l’arredamento e la concessione del deposito in fido di libri delle principali case editrici italiane, oltre che di quotidiani e periodici.
Per evitare il sospetto di fini politici, sarebbe dovuto apparire che i finanziamenti provenivano dalla “Dante Alighieri”.3
La proposta era accettata dalla Direzione generale Italiani all’Estero 4 e già nel successivo dicembre il console comunicava di aver trovato per la libreria locali adatti, accanto al palazzo del Governatore, per un fitto annuo di 110 sterline, più una buonuscita di 500 sterline per l’inquilino occupante i locali, signor Tonna.5
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Si congratulava del successo dell’iniziativa Biscottini con Silenzi il 9 gennaio 1931, annunciando che però per l’Istituto di Cultura non erano previsti stanziamenti nel bilancio.6
Le difficoltà finanziarie erano però rapidamente superate grazie all’interessamento del prof. Biscottini, cui il console esprimeva il suo compiacimento il 14 marzo 1931 per le buone speranze dategli e gli comunicava pure di avere costituito un’associazione degli ex allievi della scuola italiana: analoga iniziativa era allo studio per le ex allieve.7
Le speranze per l’Istituto si concretavano rapidamente; già il 28 marzo infatti Biscottini scriveva al console di cercare i locali.8
Questa crescita della presenza culturale italiana suscitava le preoccupazioni delle autorità britanniche: difatti, con un implacabile stillicidio, all’ordinanza del governatore Campbell del 21 settembre 1933 erano seguite altre disposizioni. Il 30 novembre 1933 venivano modificati i programmi dei concorsi ed impieghi governativi e la conoscenza dell’italiano era limitata o addirittura soppressa; nel successivo dicembre venivano rimossi gli avvisi in italiano negli uffici postali e governativi ed erano richiamati dall’Italia gli insegnanti che stavano seguendo cosi di perfezionamento in italiano. Il 26 dicembre 1933, in applicazione dell’ordinanza del 21 settembre, il governatore rilasciava le prescritte autorizzazioni alle istituzioni italiane presenti a Malta, con le seguenti condizioni restrittive:
a) erano esclusi dal Fascio, dalle organizzazioni giovanili, dal dopolavoro i cittadini britannici, compresi quelli nati a Malta da genitori italiani;
b) gli alunni dell’Istituto Umberto I non potevano essere più di 330;
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c) era disposta la chiusura dell’Istituto San Francesco di Casal Paula e della scuola materna Montessori a Palazzo Spinola, alla fine dell’anno scolastico in corso;
d) era fatto divieto di esser soci dell’Istituto di Cultura ai cittadini britannici, anche se nati a Malta da genitori italiani (questi erano considerati cittadini britannici fino alla maggiore età, quando potevano optare per la cittadinanza italiana); a costoro era concesso, in numero limitato, di partecipare una volta al mese alle manifestazioni dell’Istituto, in qualità di invitati (quest’ultima clausola sarà modificata con la nuova autorizzazione del 21 luglio 1934, che aboliva il limite mensile posto agli inviti).
Nel corso del 1934 continuarono a fioccare i provvedimenti contro l’italiano:
a) nel gennaio fu rimossa la segnaletica stradale in italiano;
b) nel maggio si riservava ai sudditi britannici la partecipazione ad un concorso per controllore della società acqua ed elettricità;
c) analoga disposizione era adottata nel giugno per un concorso a scrivano di 3° classe;
d) il 21 agosto venivano pubblicate le lettere patenti che abolivano di fatto l’uso dell’italiano nei tribunali, nella legislazione e nell’amministrazione;
e) l’8 settembre si faceva divieto agli studenti universitari di tenere in italiano la commemorazione della fine dell’assedio del 1565.9
Le difficoltà in cui si dibatteva l’Istituto Italiano di Cultura erano illustrate dal console Silenzi nel suo rapporto al MAE del 20 marzo 1934 10, in cui dichiarava che l’Istituto era chiuso da circa tre mesi, cioè dalla concessione della licenza del 26 dicembre 1933, in base alla quale avrebbe dovuto funzionare solo per gli italiani. Si era preferito chiudere per non deludere i maltesi e non dare agli inglesi la possibilità di affermare che era possibile svolgere attività culturali anche limitandole ai soli italiani. Per mascherare la situazione aveva disposto di riordinare la biblioteca; ma, nel protrarsi della situazione, aveva alla fine dovuto spiegare che c’erano trattative in corso tra i due governi. Si augurava una rapida soluzione del problema.
Ma tanto rapida non fu: la chiusura dell’Istituto si protrasse fin dopo la pausa estiva, fino a quando cioè, con la nuova licenza rilasciata dal governatore il 21 luglio 1934, fu in qualche misura ammessa la frequenza dei cittadini britannici. In base alle nuove disposizioni la frequenza della biblioteca e dei normali corsi continuava ad essere riservata ai cittadini italiani; gli altri potevano essere invitati ai concerti ed alle conferenze su argomenti non politici, ma senza che il governatore potesse limitare il numero degli inviti. L’infrazione di queste norme avrebbe comportato il ritiro della licenza e quindi la chiusura dell’Istituto.
Alla definitiva cessazione delle attività dell’Istituto Italiano di Cultura, imposta dalle autorità britanniche, si arrivò poi il 4 luglio 1936.
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Questi provvedimenti suscitarono proteste anche da parte britannica. Il 12 luglio 1934 difatti, il deputato laburista Morgan Jones, ex ministro della P.I., attaccava ai Comuni il ministro delle Colonie, Cunliffe Lister, che replicava asserendo di esser stato costretto a preparare queste misure perché il governo nazionalista maltese stava per sopprimere l’uso dell’inglese e del maltese. Enrico Mizzi, in qualità di ex ministro dell’Istruzione, non mancò di intervenire: una sua lettera fu pubblicata sul “Sunday Referee” il 5 agosto 1934 per smentire il ministro delle Colonie, sfidato a dimostrare in tribunale la verità delle sue asserzioni ed inviò pure una lettera di ringraziamento per il suo intervento a Morgan Jones.
Da parte italiana si continuava pure a seguire gli avvenimenti maltesi. Il 25 luglio 1933 Mussolini aveva incontrato l’ambasciatore Graham per trattare argomenti di vasta portata, come la ratifica del patto a quattro fra Italia, Germania, Francia ed Inghilterra e le garanzie all’Austria per evitarne l’annessione alla Germania. Graham aveva approfittato di questa occasione per richiamare l’attenzione sulle preoccupazioni britanniche per Malta, “in conseguenza dell’attività delle Associazioni irredentistiche italiane che spendono “molto denaro”. Aveva enfatizzato il problema, oggetto di esame in un’apposita seduta del governo britannico, in quanto era considerato un “pericolo per l’impero inglese”. Attribuiva alle istituzioni culturali e scolastiche italiane a Malta, che coinvolgevano numerosi cittadini britannici, la responsabilità di aver generato l’irredentismo.
L’ambasciatore non aveva nulla da eccepire se i 600 cittadini italiani residenti a Malta indossavano la camicia nera e frequentavano le scuole italiane; ma il governo britannico non poteva tollerare che sudditi britannici partecipassero ad attività considerate pericolose per l’impero. Presentava quindi una serie di richieste, condensate in un documento, allegato al resoconto del MAE di questo incontro. Si chiedeva la fine dell’attività del circolo culturale italiano; un limite per le iscrizioni alla scuola Umberto I, che non avrebbero dovuto superare quelle effettuate nel 1932; inoltre, gli studenti maltesi non dovevano rappresentare più del 50% degli iscritti ed il 25% degli insegnanti doveva esser formato da cittadini britannici; si chiedeva anche la chiusura della scuola di Casal Paola; non dovevano essere aperte nuove scuole o istituzioni culturali ed i cittadini britannici dovevano essere esclusi dalle organizzazioni fasciste.
Mussolini rispose che trovava esagerati i timori inglesi, che l’Italia era estranea alle lotte dei nazionalisti maltesi, causate dalla politica di Strickland, capo del partito costituzionale e deciso avversario dei nazionalisti e dell’uso dell’italiano; lotte che sarebbero cessate col ripristino dello studio dell’italiano nelle scuole elementari.
Graham non disarmò: riconosceva che la politica di Strickland era stata un errore, ma il governo di Londra per ragioni di prestigio non poteva fare marcia indietro; ricordava pure che l’italiano continuava ad essere insegnato nelle scuole secondarie. Ed infine chiedeva una sollecita risposta, possibilmente prima del suo rientro in Inghilterra, fissato per i primi di agosto.
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Mussolini, per tranquillizzare l’ambasciatore che gli era apparso molto allarmato, lo congedò con la promessa di seguire egli stesso di persona la questione maltese.11
Ma ciò non bastò a Graham, che di lì a pochi giorni, il 31 luglio 1933, tornò alla carica presso il sottosegretario agli Esteri Suvich per sollecitare una risposta e per confermare i timori britannici dovuti all’irredentismo maltese, che era incoraggiato “dalla propaganda italiana che spende molti denari”.
Il sottosegretario riprese gli stessi argomenti di Mussolini: se pure esisteva un irredentismo, cosa di cui dubitava, era un fenomeno esclusivamente maltese, sorto per la “deplorata attività di lord Strickland”.
L’agitazione sarebbe cessata se si fosse ripreso l’insegnamento dell’italiano nelle elementari.
L’ambasciatore si dimostrò molto possibilista al riguardo, dicendosi convinto che “il Governo inglese terminerà col concedere in un secondo tempo l’opzione fra l’inglese e l’italiano, solo che per ragioni di prestigio non poteva cedere subito su questo punto”.
Controbattè Suvich che era difficile per il governo italiano escludere i maltesi dalle sue attività culturali e scolastiche, suscitando così una reazione alquanto dura dell’ambasciatore: avrebbe potuto escluderli il Governo inglese, ma si era preferito “con spirito di vera amicizia” chiedere al Governo italiano “di adottare i temperamenti di cui al suo appunto al Capo del Governo”: era il documento dato a Mussolini nel precedente incontro del 25 luglio.12
Dato che tardava la risposta italiana alle richieste avanzate da Graham, il governo di Londra troncò gli indugi e si ebbe pertanto l’ordinanza emanata dal governatore Campbell il 21 settembre 1933, cui fecero seguito le disposizioni del 26 dicembre, che, ricalcando le richieste dell’ambasciatore, limitavano le iniziative culturali e scolastiche italiane.
Per un rispetto della forma, l’incaricato d’affari britannico a Roma, Murray, (partito Graham, non era ancora arrivato il nuovo ambasciatore Drummond) preannunziava il 19 settembre a Mussolini e Suvich l’imminente ordinanza di Campbell e le limitazioni che sarebbero state poste alle attività italiane a Malta.13
Inutilmente Mussolini diede disposizione a Grandi di intervenire presso il Foreign Office, da cui diceva di attendersi “uno spirito di accomodamento corrispondente al tono generale delle relazioni fra i due paesi”.14
Anche il governatore di Malta usò al console Silenzi la cortesia di anticipargli il 10 ottobre 1933 i provvedimenti che intendeva adottare per le istituzioni culturali italiane a Malta, sempre sulla falsariga delle richieste fatte da Graham, poi disposti il 26 dicembre.15
E sorgeva la difficoltà del divieto di iscrizione al Fascio ed alle organizzazioni giovanili per coloro che, nati a Malta da genitori italiani, avevano la duplice nazionalità italiana e britannica; di questo particolare caso non si era prima fatto cenno nei colloqui romani di Graham nel luglio 1933. Tale divieto non era stato comunicato neanche nell’incontro del 10 ottobre tra Silenzi ed il governatore, che l’aveva poi fatto conoscere al console inviandogli un “riassunto” del loro incontro.
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Silenzi chiese subito spiegazioni al luogotenente governatore, che rispose che in caso di doppia nazionalità era considerata prevalente la britannica. Tale principio sarebbe stato adottato anche per le iscrizioni alla scuola Umberto I (i cittadini britannici non avrebbero potuto superare la quota del 50%).
Alle proteste di Silenzi, che chiedeva il riesame di questa clausola, che avrebbe portato alla chiusura della scuola, dove gli alunni nati in Italia erano solo 10, e delle organizzazioni giovanili, che non contavano più di 70 aderenti nati in Italia, il luogotenente governatore rispose di presentare un esposto che il governatore avrebbe esaminato.16
Nel frattempo arrivava a Roma il nuovo ambasciatore britannico, sir Eric Drummond, che il 3 novembre, ancora prima di aver presentato al re le sue credenziali, incontrava il sottosegretario Suvich.
Non senza qualche imbarazzo per dover iniziare la sua missione affrontando un argomento spinoso come Malta (e chiedeva alla personale cortesia del suo interlocutore di voler comprendere quanto delicata fosse la sua posizione), l’ambasciatore dichiarava ancora una volta che il suo Governo non poteva “tollerare dei movimenti di carattere sedizioso” nella sua
più importante fortezza nel Mediterraneo. Affrontava quindi il problema dei minorenni con doppia nazionalità, sollevato dal console Silenzi. Per una legge di carattere generale, ogni persona nata in territorio britannico era da considerarsi cittadino inglese e per una norma di diritto, pur essa di carattere generale, coloro che avevano una doppia cittadinanza dovevano uniformarsi alle leggi del paese ospitante.
Precisava poi che la chiusura della scuola di Casal Paola doveva avvenire all’inizio dell’anno scolastico successivo, completandosi così quello in corso, il 1933-34, e che non poteva essere accettata la proposta italiana di trasformarla in una scuola di arti e mestieri.
Si dichiarava invece d’accordo per lo svolgimento di corsi serali, purché destinati ad allievi non più in età scolastica. Accettato ormai da parte italiana il principio che potessero essere soci dell’Istituto di Cultura solo cittadini italiani, la partecipazione di cittadini britannici in qualità di invitati poteva essere facilmente regolata, ad esempio comunicando in anticipo alle autorità britanniche il programma dell’Istituto. Restava infine immutata l’opposizione alla partecipazione di cittadini britannici alle organizzazioni fasciste. Principio che Suvich riteneva comprensibile ed accettabile, pur facendo le sue riserve sul complesso delle condizioni britanniche.
Il sottosegretario faceva presente, una volta di più, che non esisteva un irredentismo maltese, ma che l’Italia non poteva restare insensibile alle esigenze culturali dei maltesi e che era opportuno non esacerbare la situazione.
Ne conveniva Drummond, che a titolo personale e confidenziale riconosceva che Strickland aveva creato “i peggiori guai” dovunque fosse stato: ma il governo inglese doveva salvaguardare il proprio prestigio e non poteva fare ulteriori concessioni: le proposte avanzate da parte britannica dovevano considerarsi il massimo possibile e costituivano una prova di buona volontà.17
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In un successivo pro-memoria, inviato il 23 novembre a Suvich dal Direttore Generale degli Affari Politici, Buti, si faceva il punto della situazione e si chiariva che la richiesta di chiudere la scuola Casal Paola era dovuta alla preoccupazione dell’ammiragliato che essa potesse essere un centro di spionaggio sul vicino Arsenale e di propaganda politica destinata agli arsenalotti.
Un’ulteriore preoccupazione nasceva dagli aiuti morali e finanziari dati dall’Italia ai nazionalisti maltesi: “al nostro incaricato d’affari a Londra è stato più volte ripetuto al Foreign Office che l’Italia “spende a Malta troppi denari”.
Buti tracciava poi il quadro delle istituzioni italiane esistenti nell’isola, confermava che era inevitabile la chiusura della scuola a Casal Paola, suggerendo di trasformarla, se possibile, in ospedale; osservava che, facendo passare il principio del mantenimento delle iscrizioni alla scuola Umberto I entro il numero delle presenze nel 1932, si superava il problema dei ragazzi con doppia cittadinanza; precisava che queste presenze ammontavano a 350 alunni (di cui 55 nella scuola materna); suggeriva inoltre di chiedere alle autorità britanniche di consentire che gli studenti delle scuole italiane potessero far parte delle organizzazioni giovanili. Concludeva osservando che queste richieste erano per l’Italia il minimo accettabile per il momento, nell’attesa di un clima di maggior serenità, giovandosi del sostegno di inglesi amici. 18
Drummond, ricevuto l’accreditamento ufficiale presso il Quirinale, incontrò Mussolini il 27 novembre. L’inizio del colloquio non fu facile: il Duce esordì deplorando che l’Inghilterra avesse seguito una politica errata a Malta; incoraggiando l’uso del maltese a discapito dell’italiano aveva creato un problema prima inesistente in Italia. Esprimeva la convinzione che l’Inghilterra avrebbe corretto questo errore ed osservava, temperando così la sua critica, che “d’altra parte non si può domandare sempre che gli errori fatti vengano riparati subito. Ci sono determinate esigenze di cui ci rendiamo conto”. L’Italia comunque, concludeva Mussolini, non poteva restare insensibile alle richieste culturali dei maltesi.
All’osservazione di Drummond che l’italiano continuava comunque ad esser studiato nelle scuole secondarie, Mussolini replicava che il numero di questi studenti era però molto limitato. Il sottosegretario Suvich, che partecipava all’incontro, interveniva per chiedere mutamenti sostanziali della politica britannica per Malta e l’ambasciatore, con fredda cortesia diplomatica, esprimeva il timore che ciò non sarebbe stato possibile.19
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Un terzo incontro, limitato a Suvich e Drummond, ci fu il 9 dicembre 1933. Inizialmente furono affrontati argomenti di grande rilievo, come le richieste tedesche in materia di armamenti e la riforma della Società delle Nazioni. Passati poi al caso Malta, l’ambasciatore britannico ribadiva il diniego a creare un altro istituto al posto delle scuola di Casal Paola ed a consentire la presenza di cittadini britannici nelle organizzazioni giovanili italiane.
Alla richiesta italiana di fissare il tetto di 350 iscrizioni alla “Umberto I”, pari a quelle avute nel 1932, Drummond replicava che alle autorità britanniche risultava che erano soltanto 330, che costituiva quindi il numero massimo consentito. Confermava che non c’erano invece difficoltà per la frequenza dell’Istituto di Cultura da parte di cittadini britannici, come invitati, lasciando alle autorità locali il compito di precisare i dettagli.
Sulla base di queste proposte preannunciava il rilascio della licenza, avvenuto poi il 26 dicembre. Infine, pur riconoscendo alla stampa italiana il diritto di critica, chiedeva che si astenesse però dal diffondere notizie gravi ed infondate, come quella che gli Inglesi avrebbero diffusa a Malta la lebbra.
Breve la replica di Suvich: faceva le sue riserve sulle proposte britanniche; osservava che le polemiche di stampa dipendevano dal malumore suscitati dalle misure contro la lingua italiana, riteneva che le cose si sarebbero potute meglio accomodare se non fossero state presenti a Malta due persone “deleterie” come Strickland ed il vice-governatore Luke.
Drummond faceva però osservare che da ultimo Strickland si era mantenuto tranquillo e che non credeva che Luke fosse prevenuto ostilmente contro l’Italia e la cultura italiana.20
L’anno 1933 si chiudeva il 31 dicembre con un appunto del Direttore generale degli Affari Politici, Buti, per Suvich. Buti segnalava il telegramma in data 27 del console a Malta che comunicava il rilascio delle licenze da parte del Governatore, conformi a quanto anticipato da Drummond, salvo che per la frequenza dell’Istituto di Cultura da parte dei cittadini britannici, il cui numero come invitati sarebbe stato fissato dal Governatore stesso, ammettendoli una sola volta al mese.
Questa limitazione, non prevista da Drummond, equivaleva alla chiusura dell’Istituto; occorreva quindi riaprire il discorso e, per quel che riguardava le organizzazioni giovanili, Buti suggeriva di trasformarle in associazioni sportive, cui avrebbero potuto aderire tutti gli alunni delle scuole italiane.
Bisognava poi accertare mediante un’indagine congiunta anglo-italiana, quale fosse stato realmente il numero degli iscritti alla scuole Umberto I nell’anno 1932.21
L’ambasciatore a Londra, Grandi, si attivava quindi ed il 13 febbraio comunicava a Mussolini l’esito dei suoi colloqui al Foreign Office. Era stata accettata la proposta di un’associazione sportiva per gli alunni delle scuole italiane, a patto che non avesse alcun fine politico; si osservava che il numero massimo di 330 iscritti alla “Umberto I” rappresentava un compromesso fra la richiesta italiana di 350 iscritti e l’originaria proposta di Drummond che li limitava a 310. Non risultava al Foreign Office che il governatore di Malta avesse il potere di
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stabilire lui quanti cittadini britannici potessero esser invitati una volta al mese a partecipare ad una manifestazione dell’Istituto di Cultura. L’unica condizione prevista era che gli invitati britannici dovevano essere tanti quanti i soci italiani; era invece confermata la limitazione del numero delle conferenze e dei concerti.
Grandi contestò che Drummond avesse proposto il numero di 310 iscritti, poi portati a 330, per la Umberto I: si era detto soltanto che non dovevano esserci più iscrizioni di quelle registrate nel 1932. Trovava poi macchinoso il sistema di controllo delle attività dell’Istituto di Cultura, che sarebbe stato fonte di continui incidenti.22
Il potere del governatore di stabilire il numero degli invitati britannici alle iniziative dell’Istituto Italiano di cultura fu poi abolito, a seguito di queste rimostranze italiane.
Con le licenze rilasciate dal Governatore nel dicembre 1933 si realizzò un equilibrio politico molto precario, anche a causa delle voci diffuse dal “Malta Chronicle”, organo di Strickland, circa le intenzioni britanniche di abolire l’insegnamento dell’italiano anche nelle scuole secondarie (sarebbe rimasto come materia facoltativa solo all’Università) e di restringerne ancor di più l’uso nei tribunali e nell’amministrazione.
A causa di queste voci Mussolini telegrafò a Grandi il 1° luglio 1934 perché controllasse quale fondamento esse avessero e perché facesse presente al governo inglese “le inevitabili gravi ripercussioni che provvedimenti del genere avrebbero nell’opinione pubblica italiana”.23
L’incaricato d’affari a Londra, Vitetti, rispondeva il 20 luglio a Mussolini riferendo le assicurazioni del Foreign Office sulla inesistenza dell’intenzione di abolire l’italiano nelle scuole secondarie. Per quanto riguardava l’uso dell’italiano nei tribunali c’era soltanto il proposito di rendere più spedita la procedura giudiziaria; da ciò era forse nata la voce di un progetto per abolire l’italiano nei tribunali. Vitetti aveva allora obiettato che ulteriori restrizioni dell’uso dell’italiano non avrebbero certo giovato a snellire le procedure giudiziarie: al contrario, essendo l’italiano la tradizionale lingua di cultura a Malta, un suo uso ristretto avrebbe complicato le procedure. Da ultimo, era stato assicurato che il governatore di Malta aveva già avuto disposizioni per abolire la clausola che gli attribuiva la facoltà di stabilire il numero degli invitati britannici ammessi a frequentare una volta al mese l’Istituto di Cultura.24
Ma ciò non poteva bastare per eliminare il malumore di Mussolini per le vicende maltesi, chiaramente espresso in un suo appunto da Riccione per Suvich, in data 3 settembre 1934.
Fra le varie istruzioni impartite al sottosegretario figurava la seguente:
“ b) Per quanto concerne il patto orientale, disinteresse più marcato, anche davanti a eventuali sollecitazioni inglesi. Bisogna far comprendere al governo inglese che Malta sta divenendo qualche cosa di più della solita nuvoletta nel cielo della “tradizionale” etc. etc.25
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Il seguito del discorso, troncato da quel brusco ed ironico “etc. etc.” è facilmente intuibile: Mussolini voleva riferirsi alla “tradizionale” amicizia anglo-italiana, continuamente citata nei documenti diplomatici.
Ma l’attenzione del governo fascista non si limitava alla popolazione dell’arcipelago maltese: era difatti oggetto di un notevole interesse anche la consistente diaspora maltese, disseminata su tutte le sponde del Mediterraneo, essendo sempre stata Malta terra di emigrazione per l’insufficienza del suo territorio in confronto al continuo incremento demografico.
Particolare importanza rivestiva la numerosa comunità maltese in Egitto, che manteneva buoni rapporti con la locale rappresentanza diplomatica italiana.
Il ministro plenipotenziario Roberto Cantalupo, responsabile della legazione italiana al Cairo, inviava al MAE il 6 aprile 1932, allegato ad un suo telespresso, due numeri del locale “Giornale d’Oriente” in data 2 e 6 aprile, su cui erano apparse lettere di maltesi che difendevano l’uso dell’italiano a Malta, in polemica con l’articolo di un altro maltese, Vella, pubblicato sull’ “Egyptian Mail”, in cui i fautori dell’italiano erano stati definiti rinnegati. Cantalupo non aveva ostacolato la spontanea iniziativa di queste lettere filo-italiane; considerato anche che in Egitto, specialmente nella zona del Canale, “noi ci battiamo, puntando anche sui maltesi, per l’affermazione della nostra lingua”. L’importanza della comunità maltese, difatti, era notevole, e non soltanto per il dato numerico. Il ministro aveva comunque dato istruzioni di non superare “il tono della campagna condotta dai giornali italiani della Penisola”.26
A breve distanza di tempo, il 12 aprile, il ministro Cantalupo inviava al MAE un altro telespresso per segnalare che il “Giornale d’Oriente” proseguiva la sua campagna favorevole all’italiano e che il direttore G. Galassi gli aveva scritto il 6 aprile per far presente l’importanza del suo giornale e per chiedere di stabilire a Malta un ufficio di corrispondenza che potesse fornirgli notizie sull’isola, onde evitare di affidarsi a quelle molto tendenziose dell’agenzia Reuters. Chiedeva se il Ministero potesse pagare il corrispondente da Malta. Comunicava inoltre che il capo della comunità maltese di Alessandria, Ph. Bianchi, che pure aveva dato 2000 lire egiziane per le scuole inglesi, si era messo a disposizione della legazione d’Italia. Cantalupo ricordava ancora l’importanza della colonia maltese in Egitto, che contava
30.000 persone, venendo ad essere la terza, dopo quella greca e quella italiana. A seguito di tale richiesta di istituire a Malta un ufficio di corrispondenza del “Giornale d’Oriente” , l’ufficio stampa del MAE trasmetteva al console Silenzi la lettera del ministro Cantalupo e chiedeva se l’ex vice-console Mazzone che già era il corrispondente dell’agenzia “Stefani” a Malta, fosse disposto ad assumersi questo nuovo incarico a titolo gratuito; il MAE si sarebbe addossato le spese postali e telegrafiche.27
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Ma la cosa morì lì ed il “Giornale d’Oriente” dovette continuare ad affidarsi ai dispacci della “Reuters”.
I diplomatici britannici in Egitto non restavano però inerti: il console a Porto Said, Parr, secondo quanto comunicato dal console d’Italia, celebrava il 10 settembre 1933 con particolare solennità la ricorrenza della festa nazionale maltese, invitando a parteciparvi l’ammiraglio Fisher, appositamente venuto da Alessandria.
E se per Enrico IV Parigi valeva bene una messa, lo stesso dovevano pensare a proposito della comunità maltese di Porto Said il console e l’ammiraglio britannici, che, per quanto protestanti, parteciparono entrambi alla messa cattolica celebrata per la prima volta sia per la festa nazionale maltese che per “l’Imperial Day”, al fine di ingraziarsi i cattolici maltesi.
Per conquistarsi ancor più le simpatie dei nazionalisti maltesi, Parr aveva fatto nominare Jo Caruana, presidente della locale comunità maltese, vice console onorario di Gran Bretagna a Porto Said. La conseguenza era stata che Caruana, prima acceso animatore del movimento nazionalista maltese, aveva raffreddato il suo impegno, pur non rinnegandolo totalmente.
“Così l’autorità britannica accosta i nazionalisti per tentare di tenerli in mano”, commentava il console italiano a Porto Said.28
L’interesse per le condizioni dei maltesi in Egitto da parte delle autorità britanniche si manifestava ancora nel 1936.
In un suo rapporto al MAE il console Casertano segnalava un articolo del “Times of Malta” dedicato alle scuole in Egitto: i ragazzi maltesi frequentavano gli istituti greci, francesi e soprattutto italiani. Per modificare questa situazione il governo di Malta aveva deciso di stanziare fondi per scuole destinate alle comunità maltesi all’estero.29
Da parte italiana si mirava a rinsaldare i vincoli tra il governo nazionalista maltese filo-italiano e le comunità degli emigrati dall’isola. In tal senso scriveva al console Silenzi il Direttore generale per gli italiani all’estero, Parini, che ricordava il vivo successo riscosso presso quelle comunità in Algeria ed in Egitto dai predicatori maltesi durante la precedente quaresima. Riteneva utile la visita di qualche ministro nazionalista agli emigrati, dopo il favore con cui era stato accolto alcuni anni prima a Tunisi il leader del partito Ugo Mifsud, in occasione di una tournée della filarmonica della Valletta. Era quindi opportuno suggerire a Mizzi, ministro dell’Istruzione, un’analoga iniziativa, per la quale si prometteva anche un sostegno finanziario.30
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Secondo un appunto della Direzione generale Italiani all’estero, datato 22 giugno 1933, Mizzi si dimostrò subito disponibile a recarsi presso le comunità maltesi del Nord-Africa, come suggeritogli dal console Silenzi.
Lo stesso Mizzi faceva presente al console l’opportunità di dare istruzioni alle rappresentanze diplomatiche italiane in Egitto, Tunisia ed Algeria, perché prestassero assistenza, agendo con molta prudenza, agli emigrati maltesi, completamente trascurati dai consoli britannici.
Raccomandazione che la Direzione generale Italiani all’estero aveva già dato alle legazioni del Cairo e di Tangeri ed ai consolati di Algeri, Rabat, Tunisi. Si era fatto presente con nota del 12 aprile 1933 l’interesse italiano per Malta, dove si erano ravvivate la coscienza di una comunanza culturale con l’Italia e la simpatia per essa. Occorreva quindi stabilire tra le comunità italiane e quelle maltesi “relazioni basate sulla reciproca comprensione e, di conseguenza, sulla reciproca simpatia.”
Si chiedevano notizie sulle relazioni tra italiani e maltesi e si consigliava di attirare i ragazzi maltesi nelle scuole italiane, offrendo loro l’esenzione dalle tasse scolastiche e tutti i vantaggi assicurati ai ragazzi italiani, compresa la refezione. Andavano pure largamente distribuiti tra i maltesi gli inviti per tutte le manifestazioni italiane, culturali e patriottiche.31
Ma le relazioni tra italiani e maltesi nel Nord-Africa non erano tutte rose e fiori. Nella stessa Tripolitania, possedimento italiano, dovevano esserci difficoltà, a giudicare da un rapporto del console britannico a Tripoli, che il console Silenzi trasmetteva da Malta al MAE, allegato al suo dispaccio del 9 novembre 1933. Silenzi segnalava che il console britannico era venuto a Malta per riferire sulle condizioni di vita dei maltesi in Libia, definite miserevoli: doveva trattarsi, secondo il console italiano, di una manovra per riservare analoghe condizioni alle comunità italiane nelle colonie inglesi. Per confutare le asserzioni del console britannico, Silenzi consigliava di procurarsi dichiarazioni favorevoli all’Italia da parte di qualche componente della comunità maltese di Tripoli, verso cui le autorità coloniali italiane avrebbero dovuto compiere qualche atto di benevolenza. 32
Nel rapporto del console britannico, di cui in qualche modo Silenzi era venuto in possesso, si leggeva fra l’altro: “Tutti i maltesi sono qui attaccati fanaticamente alla loro dipendenza britannica. La generazione più giovane, educata completamente nelle scuole italiane, per mancanza di ogni altra scuola, sembra parimenti contraria a prendere la nazionalità italiana. Soltanto una cinquantina di persone, io credo, ha cambiato la propria nazionalità dopo l’occupazione italiana. Una soluzione del problema mediante l’assimilazione locale di questa minoranza maltese, sembra quindi fuori questione” (“All the Maltese are here fanatically attacked to their British connection. The younger generation, educated entirely in Italian schools, for want of any other, seem equally opposed to adopting the Italian nazionality. Only, I believe some fifty individuals have changed their national status since Italian occupation. A solution of the problem by the local absorption of this Maltese minority, seems therefore to be out of the question”).
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La reazione a queste affermazioni da parte di Italo Balbo, governatore della Tripolitania, fu violenta. Nel suo telegramma al Ministro delle Colonie, De Bono, da quest’ultimo trasmesso il 6 dicembre 1933 al MAE, arrivava a definire il diplomatico britannico autore del rapporto “persona dedita alcolismo e di scarsa capacità intellettuale”. Nella nota di trasmissione del telegramma di Balbo, De Bono ammetteva il disagio sociale dei maltesi, ma lo attribuiva alla crisi generale successiva alla guerra mondiale. Inoltre, essi avevano perduto la loro tradizionale funzione di intermediari commerciali con la popolazione libica, obbligata ormai a parlare in italiano. Condivideva il giudizio di Balbo che i maltesi erano trattati come tutti gli altri stranieri e, considerata poi la politica degli inglesi nelle loro colonie, riteneva inutile soffermarsi sulla costrizione fatta ai maltesi perché prendessero la cittadinanza italiana, sulle scuole con l’insegnamento esclusivamente in italiano, su espressioni del tipo “la Libia agli Italiani”. Comunque, De Bono affermava di aver richiamato l’attenzione del governatore della Tripolitania sulle misure favorevoli ai maltesi consigliate dal console Silenzi.33
Al telegramma Balbo faceva seguire un dettagliato rapporto per De Bono, contestando anzitutto i dati sulla consistenza numerica della comunità maltese in Libia, che non contava 5000 persone, bensì 1899. Molto più numerosi erano gli ebrei, in continuo aumento dopo l’occupazione italiana: 15.600. Smentiva pure che si fosse formata tra maltesi e libici una solidarietà antitaliana: si trattava solo di una affinità etnica, linguistica, di costumi. Erano le stesse ragioni per cui i siciliani, data la loro storica vicinanza, solidarizzavano con i maltesi più degli italiani delle altre ragioni. Né le espropriazioni fatte ai maltesi costituivano dei soprusi: essi erano soggetti alle stesse leggi vigenti per gli altri stranieri. Fruivano dell’assistenza medica ambulatoriale come gli altri; per gli stranieri i ricoveri ospedalieri erano a carico dei rispettivi consolati, tranne che per i francesi, per la reciprocità assicurata agli italiani in Tunisia. Analoghe a quelle delle altre comunità erano le condizioni economiche dei maltesi, fra i quali si contavano anche milionari, come Abele Salines, ormai defunto, che era stato comproprietario del teatro Miramare e del cinema Alhambra e che aveva pure avuto la tessera onoraria del P.N.F.
Balbo si dichiarava contrario a provvedimenti speciali a favore del maltesi (“un tale atteggiamento potrebbe essere interpretato come un’azione di governo diretta a richiamare sotto la nostra bandiera sudditi britannici”); si poteva soltanto estendere ad essi l’assistenza ospedaliera, su base di reciprocità, come per i francesi.
Trovava infine difficile e controproducente pubblicare sui giornali lettere di maltesi filo-italiani: sarebbe stato chiaro a tutti che si trattava di un’operazione pilotata dal governo italiano, dato il carattere ufficioso, se non ufficiale, della stampa.34
De Bono trasmetteva questo rapporto al MAE il 23 febbraio 1934, dichiarandosi d’accordo con Balbo sulle misure suggerite, anche se manifestava qualche perplessità sull’estensione del ricovero ospedaliero gratuito ai maltesi ed ai cittadini britannici in generale.
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Il ministro infine esprimeva sul console britannico un giudizio negativo, anche se non espresso con i termini virulenti adoperati da Balbo: non era forse in malafede, mancava però dell’obiettività richiesta ad un diplomatico. Lasciava al MAE la decisione se chiederne l’allontanamento al Foreign Office, o quanto meno far pervenire “l’eco del nostro disappunto”.35
Si doveva collegare a questo problema dei maltesi di Libia il viaggio a Tripoli intrapreso il 12 maggio 1934 da Harry Luke, luogotenente governatore di Malta, segnalato dal console Silenzi al MAE ed al governatore Balbo, poiché riteneva non trattarsi di una semplice gita turistica. Al ritorno da Tripoli, Luke si rivolgeva stranamente proprio a quel padre Carta, che con i suoi provvedimenti disciplinari contro padre Micallef aveva scatenato la tempesta politica che aveva squassato Malta, per chiedergli di inviare a Tripoli un frate minore conventuale maltese come cappellano degli emigrati dall’isola. Padre Carta rispondeva di non poter accogliere la richiesta, in quanto la nomina del cappellano era competenza del vescovo di Tripoli; inoltre, i francescani di Tripoli appartenevano ad un altro ordine.36
La difficoltà in alcuni casi dei rapporti tra le autorità italiane della Libia ed i maltesi colà emigrati trovava conferma nella espulsione comminata all’inizio del 1936 a 25 maltesi, fra cui padre Diego Galdes. Il console italiano a Malta, Ferrante, segnalava al MAE il grande risalto che la stampa maltese legata a Strickland aveva dato al provvedimento. Il console aveva provveduto a chiarire che l’allontanamento di quel religioso non era stato disposto dalle autorità italiane, ma da quelle ecclesiastiche, perché padre Galdes era andato al di là dei compiti del suo ministero. Traducendo dal linguaggio diplomatico, si può intendere che il frate si fosse politicizzato in senso certamente non filo-italiano.37
Occorre tener presente che all’inizio del 1936 era molto forte la tensione nei rapporti fra Italia ed Inghilterra, a causa della guerra d’Etiopia, che aveva dato luogo all’espulsione di molti italiani da Malta: l’espulsione dei maltesi, cittadini britannici, da Tripoli costituiva una evidente ritorsione.
Il tentativo più ambizioso ed organicamente impostato da parte del MAE per un’attività di propaganda presso gli emigrati maltesi fu rappresentato dal censimento di queste comunità, avviato nel periodo estivo-autunnale del 1934.
L’ufficio di corrispondenza del Gabinetto, diretto da Romanelli, per avere l’elenco dei maltesi residenti si rivolgeva il 3 agosto 1934 alla legazione del Cairo, e poi il 26 settembre ai consolati generali di Alessandria d’Egitto e del Cairo, ai consolati di Porto Said e di Tangeri.
Lo scopo del censimento era quello di inviar gratuitamente ai maltesi così individuati il giornale nazionalista “Malta”, come il capo gabinetto Aloisi chiariva il 26 gennaio 1935 al console generale a Rabat, Italo Zappoli, invitandolo a pagare gli abbonamenti “nella forma che riterrà più conveniente perché non risulti traccia del mittente”.
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Analoghe lettere, in pari data, erano inviate da Aloisi ai consoli di Corfù, di Alessandria d’Egitto, del Cairo, di Porto Said.
La trasmissione dei dati fu abbastanza sollecita. Ad esempio, al telegramma del 26 settembre 1934 il console ad Alessandria d’Egitto, Franco Fontana, rispondeva già il 6 ottobre ed il console al Cairo, Loffredo Morganti, il 12 ottobre 1934. Seguiva il 2 novembre il console a Porto Said, Mario Conti, che trasmetteva anche l’elenco dei maltesi residenti a Suez.
Si attivava anche il sempre solerte Umberto Biscottini, che trasmetteva il 7 gennaio 1935 al Gabinetto un elenco di 47 maltesi residenti in varie località per inviare loro il “Malta”: in una annotazione del Gabinetto, apposta su questo elenco, si legge che i 47 abbonamenti sarebbero costati circa 4.500 lire.
Nonostante la sollecitudine nell’inviare gli elenchi degli emigrati maltesi, i risultati furono piuttosto modesti.
Il console al Cairo scriveva al MAE l’8 febbraio 1935 che i maltesi colà residenti erano per lo più “imperialisti stricklandiani”, di cui c’era poco da fidarsi. Elementi favorevoli all’Italia ed al partito nazionalista maltese potevano trovarsi fra gli operai, mentre gli altri pensavano “ai loro affari e a null’altro”. Comunicava comunque qualche altro nome cui inviare il “Malta”, facendo però presente che poteva risultare compromettente per i destinatari.
Faceva seguito il 19 febbraio il console ad Alessandria d’Egitto: anche i maltesi italofili temevano di compromettersi di fronte agli inglesi, accettando l’invio del “Malta”; consigliava quindi di desistere.
Negli stessi giorni, il 9 febbraio 1935, il console a Corfù, Mario Zanotti Bianco, rispondeva che il “Malta” poteva essere inviato solo a 3 persone, ma che, dato il pericolo di indiscrezioni, non era opportuno che fosse quel consolato a pagare gli abbonamenti.
Lo stesso argomento adoperava l’8 marzo il console a Rabat, Italo Zappoli: esisteva una censura postale ed era quindi pericoloso che fosse il consolato a pagare gli abbonamenti.
Ed infine il console a Porto Said dichiarava l’8 maggio 1935 esser poco sicuro per il consolato in un piccolo centro pagare gli abbonamenti, poiché la cosa si sarebbe facilmente risaputa. Osservava ancora: “D’altra parte gli elementi maltesi ai quali il giornale dovrebbe per tale tramite pervenire, non sono così schiettamente orientati verso di noi da tener celata la cosa negli ambienti inglesi”.
Comunque, nonostante tali difficoltà, il console, da buon funzionario, restava a disposizione per ulteriori istruzioni.
Di fronte a tali deludenti risposte, il Ministero affidava il 29 marzo 1935 al console a Malta, Silenzi, il compito di inviare il giornale nazionalista a 41 oriundi maltesi residenti all’estero e quello di pagare i relativi abbonamenti “nel modo che riterrà più cauto ed opportuno”. Il Ministero avrebbe provveduto a rimborsarlo.
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In attuazione di queste disposizioni, Silenzi il 26 aprile chiedeva il rimborso dei 41 abbonamenti, per un totale di 3.580,75 lire, pari a 65 sterline e 12 scellini (32 scellini ad abbonamento), precisando: “Non mi è stato possibile ottenere dal Direttore del giornale una ricevuta per tale versamento, dato il suo grande timore di essere in qualche modo compromesso”.38
In concorrenza con l’attività italiana per influenzare gli emigrati maltesi, si svolgeva quella britannica, non limitata alla Libia, dove nel maggio 1934 si era recato il luogotenente governatore Harry Luke.
Lo stesso Luke, qualche anno dopo, nel gennaio 1937, si recava a Corfù per esaminare la situazione dei maltesi lì residenti e la presunta propaganda straniera ( deve intendersi italiana) presso di loro.39
Nel corso di questa visita, i maltesi di Corfù avevano manifestato a Luke il loro malcontento per la situazione economica e per la particolare tassazione cui la Grecia li sottoponeva, in quanto stranieri.
Chiedevano che fosse aperta una scuola per i maltesi. Subito zittiti un maltese che aveva portato come un esempio l’assistenza assicurata alla comunità italiana ed un altro che aveva invocato il ritorno del dominio britannico nelle isole ionie.
Luke aveva promesso aiuti finanziari, ma non aveva assunto alcun impegno per le tasse stabilite dalla Grecia.40
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Un più felice esito di questi poco fruttuosi tentativi indirizzati agli emigrati maltesi ebbero le iniziative per creare in Italia strutture culturali destinate ad occuparsi di Malta.
Fin dal 1929 Benvenuto Cellini, studioso delle tradizioni linguistiche e culturali italiane a Malta, aveva fondato e diretto, come iniziativa privata, l’Archivio storico maltese. Altro centro di aggregazione per quanti si occupavano di Malta e delle sue vicende fu costituito da “Il Giornale di Politica e di Letteratura”, di cui era direttore il professore Umberto Biscottini, che fu distaccato presso la Direzione generale Italiani all’estero del MAE, con l’incarico di seguire i problemi maltesi.
Il gruppo riunito nella redazione del “Giornale di Politica e Letteratura” contava oltre al Direttore Biscottini, numerosi altri elementi interessati a Malta: Giuseppe Biscottini, fratello di Umberto, Roberto Paribeni, Ettore Rossi, Carmelo Di Felice, Benvenuto Cellini, direttore dell’Archivio storico maltese, Annibale Carena, il maltese Annibale Scicluna-Sorge (un assiduo collaboratore del “Giornale” era anche Enrico Mizzi).
Nel 1933 questo gruppo avvertì l’esigenza di “dar vita ad un organismo scientifico che studiasse la storia di Malta e giungere così alla documentata dimostrazione della sua piena italianità”, come scriveva anni dopo, nel 1940, Giuseppe Biscottini.
Quando Biscottini pubblicò quest’articolo si era già in pieno clima bellico; l’autore pertanto proseguiva con tono acceso che occorreva salvare il patrimonio culturale di Malta, “soprattutto quello archivistico, che gli inglesi nella loro follia snazionalizzatrice andavano distruggendo sistematicamente; dare vita ad un movimento culturale che interessasse i regnicoli alle sorti di questa terra italiana oppressa dallo straniero”. Ed ancora: costituire una R. Deputazione di storia patria dedicata a Malta significava che “il problema dell’italianità di questa terra era sentito nel Regno non solo da una minoranza intellettuale, ma anche dalle autorità responsabili”.41
Con linguaggio più moderato lo stesso Biscottini aveva scritto nel 1934 che si imponeva un riordino generale delle Deputazioni di storia patria, poiché nel sud d’Italia esisteva soltanto la Società napoletana di storia patria (organismo dalle tradizioni illustri, ma non accademico) e la Deputazione di Palermo non riusciva a coordinare la miriade di associazioni esistenti in Sicilia.
Questa insufficienza organizzativa faceva sì che Malta restasse del tutto ignorata: “ed il torto era palese” –concludeva Giuseppe Biscottini –“ a chiunque avesse sol per un istante pensato che la storia dell’isola è sempre stata storia d’Italia”. 42
La Deputazione per la storia di Malta iniziò la sua attività come associazione di fatto con la particolarità di agire a cavallo di due diversi ordinamenti giuridici, quello dello Stato italiano e quello del Sovrano Militare Ordine di Malta, il cui Gran Maestro era di diritto Presidente onorario della Deputazione.
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Non tardò comunque il riconoscimento ufficiale: il Regio Decreto n. 1184 del 21 giugno 1934 approvava lo statuto della Deputazione, che fu eretta in ente Morale. Il R.D. del 20 giugno 1935, n. 1176, disponeva il riordino delle Deputazioni di Storia Patria come organi periferici della Giunta Centrale per gli studi storici e quindi organi indiretti dello Stato. La Deputazione per la Storia di Malta veniva inquadrata in tale struttura ed era suddivisa in due classi di deputati: 7 “residenti” (cittadini italiani) e 7 “non residenti” (di altra cittadinanza; furono tutti cittadini maltesi). Si faceva una ulteriore distinzione fra deputati effettivi e deputati onorari. Il Presidente onorario restava sempre il Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, che nominava uno dei due vice-presidenti e dava la sua approvazione per la nomina dei deputati “non residenti”. Il Presidente effettivo e l’altro vice-presidente erano nominati con decreto reale su proposta del Ministro dell’Educazione nazionale. Il 20 ottobre 1935 fu nominato un consiglio di presidenza provvisorio (poi confermato), costituito da Francesco Ercole, presidente43, da Umberto Biscottini e dal maltese Alberto Hamilton Stilon, vice presidenti, da Cesare Fassari, amministratore.
Fra i compiti della R. Deputazione di Storia per Malta rientrava quello di studiare la storia dell’Ordine dei Cavalieri, in collaborazione con la R. Deputazione per la storia di Rodi; l’art.
40 del R.D. del 20 giugno 1935 stabiliva che entrambe queste Deputazioni erano rette da norme particolari.
Nella riunione del 20 ottobre 1935 il Consiglio di Presidenza nominò i deputati residenti, in base all’art. 7 dello Statuto che gli attribuiva tale facoltà.
Il corpo accademico così costituito provvedeva ad integrare gli organismi della Deputazione nominando i deputati non residenti (spettava poi al Gran Maestro dell’Ordine confermare tale nomina con la sua approvazione).
Nella stessa riunione del 20 ottobre 1935 erano approvate queste iniziative:
1) appoggio alla proposta della R. Università di Catania per la pubblicazione delle fonti per la storia del diritto in Malta;
2) bando di due concorsi per una monografia “divulgativa ma scientificamente documentata” sulle tradizioni culturali maltesi: un concorso era riservato ai cittadini britannici, per un’opera in inglese, con un premio di 500 sterline, l’altro era destinato ai cittadini maltesi, per un’opera in italiano, con un premio di 10.000 lire;
3) concorso per premiare le 4 migliori tesi di laurea di cittadini italiani, anche non regnicoli, iscritti al GUF, discusse nell’anno accademico 1935-36 e dedicate ad un argomento storico (evo antico, medievale, moderno, contemporaneo) relativo a Malta. Premio di lire 2.000 per ogni tesi di laurea.
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Alla Deputazione fu presto assegnata nel 1936 una sede prestigiosa nello storico palazzo Antici Mattei, sito in via Michelangelo Caetani a Roma, dove trovarono pure sede nel 1939 l’Istituto storico italiano per l’Età moderna e contemporanea e l’annessa biblioteca di Storia moderna e contemporanea.
In un primo momento si era pensato di assegnare alla R. Deputazione i locali lasciati liberi dall’Università “La Sapienza” in corso Rinascimento, che andarono invece all’Archivio di Stato. 44
Pur avendo in comune molti collaboratori e molte finalità, si riteneva opportuno che la R. Deputazione ed “ Il Giornale di Politica e di Letteratura” avessero sedi distinte.45
Organo della R. Deputazione divenne l’Archivio storico maltese; ne assunse la direzione lo stesso Ercole, mentre Benvenuto Cellini, che l’aveva fondato e fino ad allora diretto, diveniva uno dei deputati residenti della stessa Deputazione.
Il 1° fascicolo della nuova serie (si partiva dall’anno ottavo, conservandosi la numerazione degli anni a partire dal 1929, per affermare la continuità ideale dell’attività) portava la data del 28 ottobre 1935 e Francesco Ercole vi pubblicava l’articolo introduttivo “Per la storia di
Malta”, ricordandone i legami storici con l’Italia, pur se riconosceva all’isola una particolare fisionomia, derivante da “particolari condizioni geografiche” e dal “corso di vicende secolari:” sfumature di giudizio che trovavano conferma in quelle di due autori francesi citati dallo stesso Ercole: “l’Italie est en quelque sorte, leur métropole intellectuelle” (L’Italia è, in qualche modo, la loro metropoli intellettuale” –René Pinon 1912); “ce n’est pas l’Italie bien que la note dominante tende visiblement vers le goût italien” (“non è l’Italia, sebbene la nota dominante tenda verso il gusto italiano” - 89 -
I concorsi per monografie sulla storia di Malta non si svolsero, mentre invece giungeva a compimento un’altra iniziativa, fra le prime prese dalla R. Deputazione: la costituzione di una biblioteca,46 specializzata sulla storia e cultura di Malta. Accantonata l’idea di prelevare dalle biblioteche italiane tutte le pubblicazioni sull’argomento per concentrarle in questa costituenda biblioteca, si preferì ricorrere all’acquisto: si arrivò così a mettere insieme circa 2000 volumi, acquistati in parte sul mercato antiquario.
La campagna acquisti si svolse in gran parte a Malta, affidata alla rappresentanza consolare. Il console Ferrante telegrafava il 7 febbraio 1936 al MAE di aver acquistati per 70 sterline, pari a 4.382 lire, una biblioteca privata destinata alla Deputazione per la storia di Malta ed Umberto Biscottini scriveva il 21 marzo dello stesso anno a Ferrante ringraziandolo per l’invio del 16° pacco di libri e chiedendogli di acquistare ancora libri, stampe, documenti relativi a Malta.47
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Per costituire la biblioteca si pensava di provvedere oltre che con fondi del MAE anche con contributi da richiedere al Ministero dell’Educazione Nazionale, che avrebbe dovuto stanziare a tal fine almeno 10.000 lire.48
Per finanziare le diverse attività della Deputazione occorrevano notevoli fondi. Ancor prima che la Deputazione iniziasse ad operare si richiedevano borse di studio e collaborazioni retribuite. A tal fine era disposto uno stanziamento di 30.000 lire da ripartire tra la Deputazione ed “Il Giornale di Politica e Letteratura”, per attribuire agli studenti maltesi in Italia borse di studio e collaborazioni retribuite, oltre ad altre 5.000 lire per “assegni di incoraggiamento” destinati a Società maltesi letterarie e musicali, da corrispondere tramite la Deputazione. 49
Sulle finalità che la Deputazione ed “Il Giornale di Politica e Letteratura” dovevano proporsi si pronunciavano i nazionalisti maltesi in un loro memoriale presentato tra la fine del 1934 e l’inizio del 1935, già citato 50, al MAE, che ad esso si ispirò largamente per i suoi appunti destinati a Mussolini il 12 e 15 gennaio 1935.51
Si proponeva di ripartire così i compiti fra le due organizzazioni:
a) “La R. Deputazione di Storia di Malta…a giudizio dei nazionalisti deve iniziare a concretare tutte le imprese di carattere scientifico ed altamente culturale”;
b) “ Il Giornale di Politica e di Letteratura”…. “sempre più deve diventare il circolo dei nazionalisti maltesi a Roma. Il “Giornale”, a giudizio dei nazionalisti, può essere l’organo che, meglio di ogni altro all’occorrenza, può gettarsi allo sbaraglio e concentrare in sé la coordinazione di tutte le iniziative più spiccatamente irredentiste”.
Il Giornale aveva stretti legami con i nazionalisti maltesi: il commendatore Hamilton Stilon, oltre ad essere uno dei due vice-presidenti della Deputazione, assumeva sempre più le funzioni di rappresentante a Roma di Enrico Mizzi ed aveva contatti quotidiani con la redazione, di cui un suo nipote era il segretario, svolgendo pure le funzioni di corrispondente da Roma per il “Malta”.52
Il console d’Italia a Malta, Raffaele Casertano, in una lettera del 6 novembre 1936 proponeva invece per la Deputazione compiti e finalità più schiettamente politici.
Trovava pericolosa la tendenza ad appoggiarsi sempre più apertamente al consolato dei nazionalisti maltesi, che riteneva troppo verbosi: “I nazionalisti parlino e lavorino in silenzio”. La Deputazione a suo giudizio poteva essere un ottimo strumento di azione politica e culturale, ma occorreva agire con prudenza perché non apparisse un organo del MAE, di cui Umberto Biscottini, uno dei due vice-presidenti della Deputazione e direttore de “Il Giornale di Politica e Letteratura”, era conosciuto a Malta essere la “longa manus”. Il console proponeva che la Deputazione, oltre che con i nazionalisti, collaborasse anche con altri gruppi politici che si venivano costituendo a Malta e sintetizzava così il suo giudizio: “Non da me, ma dalla Deputazione devono essere alimentati il nazionalismo, l’irredentismo e la lingua presso i maltesi”.
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Lo stesso Casertano scriveva poi ad Umberto Biscottini il 19 novembre per segnalargli l’arrivo a Roma dell’animatore dell’Azione Cattolica a Malta, mons. Pantalleresco, con il quale la Deputazione avrebbe potuto collaborare proficuamente.53
La cerimonia di inaugurazione della sede della Deputazione nel palazzo Antici-Mattei si svolse il 30 novembre 1936 sotto la presidenza del Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, principe Ludovico Chigi-Albani. Il discorso inaugurale fu tenuto da Francesco Ercole, che affermò che l’italianità di Malta non era “l’opera di noi piccoli uomini viventi nell’attimo che fugge”, ma era invece “il prodotto di secoli di storia”. Malta, aggiungeva, sarebbe rimasta italiana quale che fosse la politica linguistica inglese; si augurava però, data l’importanza degli amichevoli rapporti anglo-italiani, che l’isola non fosse “fomite di dissenso tra due grandi Nazioni desiderose di procedere insieme, ma veicolo di cordiale collaborazione tra esse per la pace nel mondo”.
Anche Enrico Mizzi partecipò alla cerimonia e, smorzando i suoi toni abitualmente accesi, affermato il carattere apolitico della Deputazione, auspicò che l’Inghilterra fornisse all’Italia una tangibile prova di amicizia “col ridare alla lingua italiana il posto che le spetta a Malta per diritti imprescrittibili di razza e di storia” e recò ai presenti “il saluto e l’augurio dei Maltesi non immemori della madre gloriosa”.54
Si avvertiva però l’esigenza di creare un altro organismo, che agisse parallelamente, ma in modo distinto, alla Deputazione: il Circolo Culturale Maltese.
Il primo documento che ne fa parola è un appunto segreto del Gabinetto del MAE per il ministro Ciano del 3 ottobre 1936, cioè ancor prima dell’inaugurazione delle sede della Deputazione a Palazzo Antici-Mattei.
Il circolo doveva costituire “un centro di raccolta per gli isolani dimoranti nell’Urbe e per quelli di passaggio”. Si affermava che esso poteva fornire un’occasione di incontro per i maltesi colti e di accesso al “miglior materiale disponibile per la loro storia”.
Sarebbe pure stata un’utile e riservata fonte di informazione su Malta e avrebbe forse permesso “di individuare per la nostra azione di carattere irredentista qualche nuovo ed utile elemento personale”, aggiungendo: “…il più grave ostacolo a paralizzare la difesa dell’italianità in Malta è appunto la mancanza e l’insufficienza degli uomini”.
Per non urtare la suscettibilità inglese si doveva far figurare che la costituzione del circolo era stata “spontanea”: in futuro, qualsiasi evoluzione avessero avuti i rapporti anglo-italiani, il circolo sarebbe stato utile; per la sua attività erano sufficienti i fondi già stanziati per Malta.
Giunse rapida l’approvazione superiore, come può desumersi dall’annotazione a matita apposta sul primo foglio: “Approvato dal Duce e da S.E. il Ministro il 4.10.36 – A.” (probabilmente Anfuso, capo-gabinetto di Ciano).55
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Questa nuova organizzazione denominata anche “Circolo degli amici della Storia di Malta”, fu inaugurata pochi giorni dopo la Deputazione, il 6 dicembre 1936, con un breve discorso di Enrico Mizzi, in risposta al saluto rivoltagli dallo studente Giovanni Cremona. Presidente del Circolo era il pittore Giorgio Preca, che aveva come collaboratori gli studenti Cremona, Ganado, Borg Pisani e Laferla. Il Circolo occupava 3 ambienti sovrastanti la Deputazione (due adibiti a sala lettura ed uno a sala gioco), disponeva di circa 150 pubblicazioni fra giornali e riviste italiane e maltesi, anche di carattere universitario e medico (la maggior parte dei soci era formata da studenti universitari di medicina).
Furono organizzate visite guidate ai monumenti di Roma, fra cui la Villa dell’Ordine dei Cavalieri di Malta sull’Aventino, e gite a Tivoli e Grottaferrata. Per Carnevale si organizzarono feste danzanti e, passando dal profano al sacro, in preparazione alla Pasqua, tenne delle prediche il gesuita prof. Ansuini, che svolse “il suo ministero con squisita sensibilità politica”.
Visto il successo che aveva riportato, gli fu chiesto di tenere altre conferenze.
Secondo l’autore dell’appunto al MAE da cui si sono ricavate queste notizie, i giovani frequentatori del Circolo erano molto soddisfatti da queste attività, come era dimostrato dalla loro assidua frequenza e dalla richiesta di assistenza culturale.56
Ma non tutti i frequentatori del Circolo avevano di che dichiararsi soddisfatti.
Il 10 gennaio 1938, difatti, Achille Starace, segretario del P.N. F., scriveva a Galeazzo Ciano, ministro degli Affari Esteri, per segnalargli la lettera di protesta che alcuni studenti musulmani avevano inviato il 4 gennaio al Centro stranieri della Federazione dell’Urbe.
Gli studenti lamentavano che nello spettacolo di marionette “Rodomonte alla corte di Carlo Magno”, messo in scena il 2 gennaio presso il Circolo maltese dal teatro “I mille fantocci” dei fratelli Greco, fosse esaltata la fede cristiana e vilipesa la musulmana.
Nella 3° parte dello spettacolo, intitolata “Ras Tafari…che botte”, con battute che pretendevano essere spiritose si offendeva la religione musulmana e lo stesso Maometto, presentato come un personaggio da farsa. Gli studenti (tra egiziani e siriani erano una decina, più un indiano) erano disposti a scusare i fratelli Greco per la loro ignoranza, ma si dicevano meravigliati del fatto che personalità come il Gran Maestro dell’Ordine di Malta, S.E. Ercole ed Enrico Mizzi, tutti presenti, avessero potuto tollerare e forse autorizzare quella recita.
Chiedevano infine che non si verificassero ancora episodi analoghi, offensivi “per chi fiducioso nell’amicizia fascista” era venuto a studiare in Italia, e prospettavano il rischio di una pubblicità negativa per l’Italia, se fossero venuti a conoscenza dell’episodio i corrispondenti di giornali di Paesi islamici.
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Già il 19 gennaio Ciano rispondeva sollecitamente a Starace dichiarando che l’incidente poteva considerarsi chiuso, poiché gli studenti si erano dichiarati soddisfatti per la pronta risposta alle loro lamentele da parte delle autorità fasciste.
Mussolini si apprestava a sfoderare in Libia la “spada dell’Islam” e quindi l’episodio, per quanto modesto, doveva aver causato nelle alte sfere del regime un certo disagio, spingendole a correre ai ripari.
Ciononostante, la soddisfazione degli studenti per la “pronta rispondenza nelle autorità del Regime”, affermata da Ciano nella risposta a Starace, non era forse del tutto motivata, a giudicare dalla lettera che il 2 marzo 1938 Umberto Biscottini inviava al “Caro Duca” (probabilmente si trattava del duca di Melito, componente il gabinetto di Ciano).
Biscottini allegava alla sua un’altra lettera “di uno dei firmatari del famoso indirizzo musulmano”. Si trattava della lettera indirizzata il 18 febbraio 1938 al Direttore dell’Istituto Interuniversitario Italiano dallo studente siriano Mahmud Giabal, che diceva di essere andato alla festa dei maltesi per invito di un altro studente musulmano. Istigato da questo compagno aveva lasciata la sala e poi firmata una protesta, non sapeva bene da chi formulata ed a chi diretta. Faceva presente di essere sposato e con prole, di frequentare il 3° anno di pittura presso la R. Accademia di Belle Arti. Temeva per “la leggerezza commessa per aver firmato quel foglio di protesta” di “pregiudicarsi la borsa di studio per il prossimo ed ultimo anno”, si dichiarava apolitico: era venuto “in Italia, culla dell’arte, colla sola intenzione di studiarvi.” Concludeva pregando di accordargli comprensione e “di accettare le sue più profonde scuse”.57
A parte l’attribuzione della fede musulmana ai cristiano-copti abissini, colpisce la rancorosa suscettibilità del Biscottini, che con quella definizione “famoso indirizzo musulmano” irrideva al povero studente siriano, costretto ad umiliarsi per non perdere la sua borsa di studio.
In realtà Umberto Biscottini, essendo Ercole assorbito da molti altri impegni, restava il principale animatore e promotore delle iniziative per Malta, arbitro pressoché unico di molte situazioni.
Di ciò sembrava rendersi conto Hamilton Stilon, che nel promemoria dei nazionalisti maltesi per Mussolini, da lui consegnato tra la fine del 1934 e l’inizio del 1935, indicava sì Biscottini e “Il Giornale di Politica e Letteratura” come referenti privilegiati, ma suggeriva anche che gli fosse affiancato il funzionario del MAE che gestiva i fondi segreti destinati a finanziare il Giornale.
La proposta suscitava perplessità nel Ministero, presso cui Biscottini era distaccato: affiancargli un altro funzionario delle stesso MAE poteva essere compromettente per il governo italiano di fronte a quello britannico.
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Sull’appunto del Gabinetto che riferisce sulla proposta di Stilon c’è annotata in margine a matita l’osservazione: “Malta, prudenza per Biscottini. Occorre che tutto sia fatto senza che il Ministero si scopra”. Segue la sigla “J”. (probabilmente sta per Jacomoni). Avallo ulteriore e supremo era stato dato dalla “M” (cioè Mussolini, all’epoca ministro degli esteri). 58
In un altro appunto del Gabinetto del MAE, in data 19 novembre 1936, erano chiaramente indicate le ragioni per cui si riteneva opportuno affiancare a Biscottini altri elementi per far da tramite con i maltesi: informazioni unilaterali, mancanza di controllo nelle attività. Si proponeva quindi di assicurare una direzione collegiale mettendo accanto a Biscottini l’on. Giglioli ed il maltese dr. Annibale Scicluna –Sorge. Proposta accolta, poiché è annotato a matita: “Sì del Ministro De Peppo”.59
Sollevata dai compito più propriamente politici, cui avrebbe dovuto provvedere il “Circolo degli Amici della Storia di Malta”, la Deputazione poteva dedicarsi a quelli scientifici, meglio rispondenti alle finalità con cui era sorta.
Un importante impegno fu il progetto di uno “Schedario Centrale di bibliografia Maltese” , con caratteristiche simili al repertorio bibliografico dell’Istituto di Studi romani. Si sarebbe così ovviato ai limiti della biblioteca della Deputazione, poiché lo Schedario avrebbe informato sulla reperibilità delle opere indicate.
Era prevista una spesa di 100.000 lire, da dividersi in più esercizi finanziari: per il 1° anno, il 1938, si richiedevano 25.000 lire.60
Venne pure avviata, a partire dal 1937, una ricerca per i fondi archivistici.
In tale ottica fu organizzato nell’estate del 1939 un convegno, cui parteciparono rappresentanti dei maggiori archivi italiani. Ma ormai incombeva lo spettro della 2° guerra mondiale e non si andò oltre la costituzione di un “Comitato per lo Studio delle Fonti Archivistiche della Storia di Malta”.
Fu pure avviata un’attività editoriale nel campo storico e letterario, che si limitò a pubblicare pochi titoli, 61 e, in collaborazione con “Il Giornale di Politica e di Letteratura” si diede vita alle “Edizioni Maltesi”, destinate ad opere di carattere divulgativo.62
Un’attività notevole fu l’assegnazione di borse di studio a studenti maltesi, non sempre assegnate in base al merito, finendo per prevalere le ragioni politiche. In un appunto del gabinetto del MAE per Mussolini erano proposti i nominativi cui assegnare le borse, che andavano da un minimo di 500 lire ad un massimo di 5.000. Questo maggiore importo era da attribuire al giovane Edgardo Mercieca, figlio di sir Arthur, il presidente della Corte d’Appello
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di Malta, di cui si ricordavano le benemerenze verso l’Italia e la sentenza assolutoria di Enrico Mizzi nel gennaio 1934.
In qualità di magistrato egli era inamovibile e non era possibile farlo oggetto di rappresaglie, che avrebbero destato troppo scalpore. Le autorità inglesi, secondo questo appunto, si erano quindi accanite contro il figlio, impedendogli di ottenere un impiego, che il giovane sperava di trovare in Italia. Senza usare mezzi termini l’autore dell’appunto affermava: “La borsa di studio concessagli è una forma larvata per permettere al giovane Mercieca di vivere qualche tempo in Italia prima di poter trovare una sistemazione”.63
La Deputazione finanziava associazioni culturali maltesi e forniva pure opere alla Biblioteca Reale della Valletta. Restò comunque sempre piuttosto labile ed incerta la distinzione tra l’attività, che si voleva scientifica, della Deputazione e quella apertamente propagandistica del “Circolo degli Amici della Storia di Malta”. Ma qualsiasi remora o infingimento venne meno con la creazione nel 1940 di un terzo organismo: il “Comitato di Azione maltese”.
Scriveva Giuseppe Biscottini nel suo articolo del 1940 già citato64 che l’attività scientifica e divulgativa della Deputazione era già di per sé patriottica “per la perfetta aderenza degli interessi italiani con la ricerca del vero”, ma nel 1940 passava “l’attività della Deputazione dal piano di pace a quello di guerra”. E pertanto, a cura della Deputazione si compivano gesti altamente simbolici come lo scoprimento il 7 giugno 1940 di una lapide affissa nel cortile del palazzo Antici-Mattei a ricordo dei caduti maltesi nelle agitazioni del giugno 1919; si inaugurava al Pincio un busto di Fortunato Mizzi (con imprecisione Biscottini faceva il nome del figlio Enrico). E sempre nel giugno 1940 l’assemblea generale della Deputazione affermava di considerarsi: “mobilitata agli ordini del Re Imperatore e del Duce, per vincere la guerra contro le democrazie plutocratiche”. Si lasciavano liberi i soci di cittadinanza non italiana (cioè i maltesi) di non seguire questa nuova linea della Deputazione, che dal 7 giugno 1940 aveva “posto interamente la sua organizzazione a disposizione del Comitato d’Azione Maltese, sicché non vi era più distinzione alcuna tra questi due organismi, “cui si univa” sempre all’avanguardia “Il Giornale di Politica e Letteratura”. 65
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In quanto Presidente onorario della Deputazione, il Gran Maestro dell’Ordine di Malta non poteva dare disposizioni per le iniziative da prendere: ma conservando la sua carica, seppur silenziosamente avallava questo nuovo corso delle attività della Deputazione, assumendosene quindi la piena corresponsabilità.
Ma ciò non doveva rappresentare un problema per il principe Chigi-Albani, che in più occasioni aveva già dimostrato una disponibilità completa nei confronti del governo fascista.
In un appunto segreto del Gabinetto MAE per Ciano si faceva presente che il console a Malta con suo rapporto riservato 5395 del 16 novembre 1937 aveva dato notizia del tentativo britannico di costituire un’associazione dei Cavalieri dell’Ordine residenti nell’isola allo scopo di attirare anche i cavalieri maltesi nell’ordine dei cavalieri della “lingua inglese”, cioè della sezione inglese dell’ordine grazie alle pressioni dei confratelli britannici. Si faceva quindi presente al Ministro l’opportunità che il Gran Maestro rifiutasse o almeno rinviasse “sine die” il suo assenso per costituire detta associazione e favorisse piuttosto il passaggio dei cavalieri maltesi “in gremio religionis” (cioè presso la sede centrale dell’Ordine), al fine di evitare la scelta tra “lingua inglese” e “lingua italiana”.
Il Ministro si dichiarava d’accordo, come provato dall’annotazione a matita sul documento: “Visto da S.E. che dispone sia dato seguito alla cosa prendendo contatto con il G.M. 23-11-1937”.66
Il contatto fu preso sollecitamente: un successivo appunto del 27 novembre informava il Ministro che il Gran Maestro aveva risposto di aver già respinto due volte la richiesta di costituire l’Associazione dei Cavalieri residenti a Malta, prevedendo che essa non avrebbe funzionato a causa delle divisioni esistenti. Il Gran Maestro si era pure detto lieto di aver anticipato le intenzioni di Ciano, “assicurando che nell’esercizio del suo Magistero egli non dimenticherà mai i suoi doveri di italiano”. 67
Come ulteriore prova di ossequiosa disponibilità, di lì a qualche giorno, il 3 dicembre 1937 il Gran Maestro informava direttamente Ciano di aver dato disposizioni nel senso desiderato al Balì presidente della “lingua inglese”. A sua volta Ciano lo ringraziava sollecitamente della comunicazione, l’8 dicembre. 68
A distanza di poco più di un anno si verificò un altro significativo episodio.
Dopo la fine del dominio del Cavalieri su Malta, nessun Gran Maestro aveva visitato l’isola: tradizione che si sarebbe interrotta se il principe Chigi Albani, al ritorno da Tripoli, fosse sbarcato a Malta durante lo scalo della nave.
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Preoccupato da tale eventualità, il console a Malta, Canino, il 30 aprile 1939 telegrafava al MAE sottolineando l’urgenza di chiedere al Gran Maestro di non sbarcare durante la sosta a Malta, poiché sarebbe stata sfruttata politicamente la sua accettazione di un invito, anche se privato, da parte del Governatore. 69
Al grido d’allarme del console rispondeva il capo-gabinetto del Governatore di Tripoli, dove il principe Chigi –Albani si trovava, con il telegramma inviato il 1° maggio al MAE ed a Canino. A nome del Gran Maestro il capo-gabinetto comunicava che da tempo la legazione britannica presso la Santa Sede aveva fatto pervenire l’invito per un ricevimento ufficiale in suo onore durante la sosta a Malta di ritorno da Tripoli. Il principe Chigi-Albani aveva rifiutato, dicendo che avrebbe potuto accettare solo un invito privato in casa del Governatore. Era comunque espressa la più completa ed incondizionata disponibilità del Gran Maestro ad accettare qualsiasi disposizione gli fosse pervenuta da Roma.
Era detto nel telegramma da Tripoli: “Se anche accettazione tale invito contrastasse nostra politica, Gran Maestro, come italiano, sarebbe lietissimo assecondare direttive Governo Fascista, astenendosi, se necessario, anche dallo scendere a terra.
Comunque, qualora dovesse sbarcare a Malta, recherebbesi per prima cosa al Consolato italiano, a rendere visita al nostro Rappresentante”.70
Ma il ministero non diede grande importanza ai timori del console e difatti il 2 maggio telegrafò in questi termini al Governatore di Tripoli ed al console a Malta: “Potete far sapere al Principe Chigi che sua eventuale accettazione ricevimento privato da parte Governatore Malta non presenta per noi particolare interesse”.71
Il giorno successivo, 3 maggio 1939, il Gran Maestro sbarcò a Malta, dove esisteva una grande attesa per la sua visita. Il console spiegava così le ragioni di questa attesa: “In verità il popolo maltese, anche nei suoi strati più modesti e più umili, sente la sua ragione d’essere “nazione” dall’Ordine Giovannita; perché… se tra i maltesi più imbevuti della cultura italiana l’attaccamento all’Italia fascista sta diventando sempre più chiaramente passione irredentista, nella massa la tradizione nazionale non può riallacciarsi se non ai due secoli giovanniti…”.
Il Gran Maestro, continuava il console, era stato accolto “con un calore commovente”. Tanto entusiasmo era dovuto anche alla sorpresa suscitata dal suo arrivo, in quanto “era assoluta negli ambienti migliori dell’isola e specialmente nelle schiere nazionaliste” la convinzione che il principe Chigi-Albani non avrebbe rotto la tradizione secolare dei Gran Maestri di non tornare a Malta dopo la fine del loro dominio.
Per giustificare il suo allarmismo, contraddetto dal Ministero che non aveva invece avuto alcuna difficoltà a consentire la visita del Gran Maestro, Canino aggiungeva di averla sconsigliata perché aveva temuto non solo l’eventualità di uno sfruttamento politico da parte inglese, ma anche che “nella loro esuberanza gli elementi nazionalisti potessero andare oltre il segno nelle manifestazioni di omaggio, provocando nuove e più rigorose reazioni britanniche”. Ma il principe Chigi con il suo tatto aveva sopito “queste legittime apprensioni”.72
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Ulteriori particolari sulla visita del Gran Maestro il console li aggiungeva nel suo successivo rapporto al MAE dell’11 maggio 1939. Segnalava anzitutto il malumore espresso dal “Times of Malta” del 9 maggio per gli onori tributati al Gran Maestro. Dava poi notizia di un contrattempo che aveva vanificato il proposito del principe Chigi –Albani di recarsi anzitutto presso il Consolato d’Italia. La nave “Città di Palermo” era arrivata da Tripoli a Malta con più di un’ora di anticipo sul previsto. Ad attendere sul molo si trovavano pertanto solo i rappresentati del Governatore, presso il quale il Gran Maestro fu subito accompagnato. I rappresentanti maltesi, arrivati per l’orario previsto, le 14,30, non poterono quindi salutare subito il principe, che incontrarono solo al suo ritorno dalla casa del Governatore.73
L’ “esuberanza” dei nazionalisti, temuta dal console, si manifestò nell’articolo “Il saluto di Malta al “suo glorioso Ordine”, pubblicato sul “Malta” del 3 maggio.
Si esaltava il governo dei Cavalieri che aveva rispettato le tradizioni maltesi, e si concludeva “perciò i maltesi incessantemente reclamano la restituzione del loro vecchio Comune con le migliorie volute dall’Assemblea nazionale ed imposte dal progresso dei tempi; perciò si vuole la reintegrazione della lingua italiana, che l’Ordine rispettava come lingua nazionale dei maltesi, perciò il popolo vuole il controllo pieno ed efficace delle finanze e delle risorse economiche dell’isola”.
A queste polemiche rivendicazioni rispondeva il 5 maggio il “Times of Malta” con l’articolo “The Order of Malta”, in cui si ricordava anzitutto che oltre al Sovrano Militare Ordine di Malta, di cui era Gran Maestro il principe Chigi-Albani, esisteva anche l’altro Ordine dei “Cavalieri di Malta”, detto anche dei “Cavalieri di San Giovanni”, presente in Inghilterra e negli Stati Uniti.
La nostalgia per il governo dei cavalieri, espressa da Mizzi nel suo articolo del 3 maggio, era giudicata un codardo espediente per attentare all’autorità dell’attuale legittimo sovrano di Malta, il re d’Inghilterra.
Di rincalzo a questo articolo, lo stesso numero del “Times of Malta” pubblicava una lettera al direttore intitolata “Under the Knights” (“Sotto i Cavalieri”) e firmata “True Maltese” (“Maltese autentico”). L’autore polemizzava con il “Malta”, definito “The local Italian paper” (“il locale giornale italiano”) per i giudizi espressi sul governo dei Cavalieri.
I maltesi, si diceva nella lettera, erano fieri della loro gloriosa storia del XVI secolo, ma non potevano dimenticare che il governo dei Cavalieri era degenerato nell’ultimo periodo, divenendo corrotto e dispotico. A sostegno di questa affermazione si ricordava che un maltese, anche se nobile, doveva sempre cedere il passo ad un cavaliere dell’Ordine, scendendo dal marciapiede quando ne incontrava uno; ed il vescovo di Malta poteva accedere alla Cattedrale solo da una porta secondaria.
Non si esauriva così la polemica del “Times of Malta”, che ancora il 9 maggio pubblicava un’altra lettera al direttore “Echo of prince Chigi’s visit” (“Eco della visita del principe Chigi”), firmata stavolta con lo pseudonimo “Anglo-Maltese”. Rimproverava ad Enrico Mizzi di non aver rispettato la volontà del Gran Maestro di dare alla sua visita un carattere strettamente privato.
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Durante la visita ai monumenti della Cattedrale che ricordavano il governo dei Cavalieri, Mizzi aveva accostato il Gran Maestro, suscitandone così la stizzita reazione.
Il giornale rimproverava ancora ai nazionalisti di aver convocato con una circolare i propri seguaci per ossequiare il Gran Maestro. Da ultimo si rimproverava a Sir Arthur Mercieca di aver parlato a nome di tutti i maltesi, senza aver ricevuto alcun mandato in tal senso.
La lettera si concludeva con questa perentoria affermazione: “E’ essenziale che i tentativi di presentare falsamente il pensiero, la mentalità, l’aspirazione della nazione maltese siano scoraggiati e fermati”.74
Furente la reazione di Mizzi, fin dal titolo del suo articolo sul “Malta” del 10 maggio: “La visita del Gran Maestro di Malta e le menzogne della stampa stricklandiana”.
Era falsa la notizia della convocazione dei nazionalisti a mezzo di una circolare: tutti erano convenuti spontaneamente per rendere onore al Gran Maestro. Era falso che il Gran Maestro fosse stato disturbato dalle manifestazioni di ossequio dei Maltesi: anzi ne era stato lieto; e si ricordava polemicamente che il Gran Maestro aveva accettato solo un invito privato del Governatore: si fosse trattato di un invito ufficiale, non sarebbe neanche sbarcato.
Ed ancora era falso che il Gran Maestro avesse respinto seccamente Mizzi durante il loro fortuito incontro in Cattedrale. Anzi si era dimostrato molto gentile con lui, dandogli appuntamento per le 18.30 a bordo della nave, il cui arrivo anticipato aveva sconvolto tutto il programma degli incontri.
Polemiche aspre, queste tra i nazionalisti maltesi ed i seguaci di Strickland. Ma a volte lo erano altrettanto le polemiche insorte fra coloro che avrebbero dovuto stare dalla stessa parte della barricata, poiché sembravano perseguire le stesse finalità.
Fu il caso appunto della feroce polemica che oppose Leonardo Viviani, autore di una voluminosa “Storia di Malta”, al gruppo riunito intorno alla R. Deputazione per la Storia di Malta ed al “Giornale di Politica e di Letteratura”.
In realtà, Viviani doveva essere un singolare personaggio.
E’ menzionato per la prima volta nelle carte del Ministero degli Esteri in un rapporto del console a Malta del 20 dicembre 1934. Il console si dimostrava sfavorevolmente impressionato, perché Viviani sembrava raccontare varie panzane. Aveva fra l’altro promesso a Mizzi di raccomandarlo per fargli avere una sovvenzione, lasciando a tal fine una lettera in consolato: il che era falso. Sdegnosamente Mizzi, che a detta del console aveva sempre rifiutato qualsiasi aiuto economico, aveva risposto a Viviani di riprendersi quella lettera. 75
Le ambizioni di Viviani andavano molto lontano: progettava la creazione di un movimento “Amici di Malta” che nei mesi successivi avrebbe proposto personalmente a Mussolini. Era
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forse da riferirsi a Viviani la diffidenza dei nazionalisti maltesi, espressa nel memoriale presentato da Stilon a Mussolini tra la fine del 1934 e l’inizio del 1935, in cui si raccomandava, fra l’altro, di non pensare a nuove organizzazioni, ma di potenziare piuttosto quelle già esistenti (la R. Deputazione per la Storia di Malta, “Il Giornale di Politica e di Letteratura”), note ed apprezzate a Malta “per disinteresse, per fede, per serietà e per fidatezza”). 76
Ma Viviani non era tipo da lasciarsi scoraggiare tanto facilmente.
Il 9 agosto 1935 scriveva ad un funzionario del Gabinetto del MAE, Alessandrini, per proporre la formazione del movimento degli “Amici di Malta”, da lui progettato. Allegava una bozza di statuto per precisarne strutture e finalità.
L’art. 1 stabiliva che fosse Roma la sede centrale, con sezioni, sottosezioni e nuclei in ogni provincia italiana. Quasi fosse già una realtà una così capillare ed imponente organizzazione, si trattava da pari a pari con l’Impero Britannico: l’art. 4 prevedeva la possibilità di collaborare con esso, purché volesse favorire l’amicizia con il Movimento e riconoscere l’italianità di Malta. Ed ancora, presupposto necessario per essere accettato nel movimento era il possesso della tessera del P.N.F. Si precisava infine che “condizione per essere socio a Malta è di essere devoto all’italianità dell’isola, amare la nuova Italia fascista ed il suo Duce”.77
L’intraprendenza del personaggio si spingeva oltre. Forte di una presentazione di Marinetti e di Orano, Viviani era ricevuto da Mussolini nel settembre 1935 e gli consegnava un appunto per la costituzione del movimento ed un altro appunto sulle candidature preferibili per la successione a mons. Caruana quale arcivescovo di Malta.
Viviani otteneva anche gratifiche economiche: aveva già avuto un premio di 10.000 lire dall’Accademia d’Italia per la sua ”Storia di Malta” e, dopo l’incontro con il Duce, gli veniva assegnato un contributo di 5.000 lire per un viaggio a Malta, poi rinviato a causa della situazio
Ormai incontenibile, il nostro assumeva la veste di consigliere di Enrico Mizzi, al quale faceva pervenire da Roma, con la valigia diplomatica, lettere contenenti “consigli e direttive politiche non chieste”, che il destinatario trovava “assurde”. Inoltre le lettere, se scoperte, potevano risultare compromettenti per Mizzi, che, infastidito chiese a Viviani di non inviargli altre lettere: se avesse avuto qualcosa da dirgli, poteva comunicarlo al MAE, che, se lo avesse ritenuto opportuno, avrebbe provveduto ad informarlo.79
Ma la stella di Viviani volgeva ormai al tramonto. L’addetto stampa del Gabinetto, Romanelli, segnalava alla Segreteria particolare del Ministro il 29 novembre 1935 la stroncatura della “Storia di Malta” di Viviani, apparsa sull’Archivio storico di Malta a cura di Franco Borlandi (nuova serie, anno VII, fascicolo 1, 28 ottobre 1935).
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Viviani era accusato di plagio, per cui concludeva Romanelli: “conviene soprassedere a qualsiasi incoraggiamento sino a che egli non abbia dato prova di una maggiore serietà scientifica”. Un successivo appunto del Gabinetto per Mussolini precisava che il plagio consisteva nell’aver ricopiato intere pagine, senza citare la fonte, dell’opera di Annibale Scicluna-Sorge “Malta – visione storica, sintesi politica” (Giunti editore – Livorno 1932). Riprendendo la dura critica dell’Archivio storico di Malta, l’appunto affermava: “l’opera del Viviani è piena di errori…essa rappresenta una montagna di carta inutilizzabile ed inutile se non dannosa ai buoni studi”.80
Caduto ormai definitivamente in disgrazia, Viviani doveva ancora subire un’altra umiliazione. A seguito del rapporto del console del 26 settembre 1935, che denunciava lo studioso per i consigli non richiesti dati a Mizzi, il MAE si era rivolto addirittura alla polizia per metterlo a tacere. La prefettura di Perugia, dove Viviani risiedeva, lo aveva pertanto diffidato di “non più corrispondere con personalità maltesi” e cessare quella attività propagandistica che da tempo “aveva iniziato a proposito della questione di Malta”
Era quanto comunicato al console Ferrante il 2 marzo 1936 dal MAE, che chiedeva pure di esser messo a conoscenza dell’eventuale trasgressione di tale divieto da parte di Viviani.
Con un sogghigno di compiacimento, il 21 marzo Umberto Biscottini informava lo stesso console di aver definitivamente eliminato Viviani e che anzi era dovuto intervenire in sua difesa, poiché la polizia, interpretando la richiesta del MAE “con criterio estensivo, lo aveva niente meno che diffidato dallo svolgere attività culturale di ogni genere”.81
E così ingloriosamente veniva a concludersi la breve stagione fortunata di Leonardo Viviani.
ACS – PCM: Archivio Centrale Stato - Presidenza Consiglio Ministri
ASDE: Archivio Storico Diplomatico Esteri
D.D.I. : Documenti Diplomatici Italiani
DIE: Direzione Italiani all’Estero
Infatti, in un telespresso della Direzione Italiani all’Estero del MAE, in data 19 novembre 1931, il direttore Parini comunicava al Gabinetto della Presidenza del Consiglio dei Ministri e per conoscenza al Gabinetto del Ministero delle Corporazioni l’imminente apertura a Malta dell’Istituto di Cultura, il cui scopo doveva essere “quello di coordinare nell’isola la valorizzazione di tutte le iniziative italiane e quindi anche di quelle economiche”.
Il console generale a Malta – proseguiva il telespresso – aveva pertanto proposto che all’Istituto fosse assegnato un funzionario dell’Istituto Internazionale dell’esportazione, per coordinare e promuovere l’attività commerciale italiana, facendo presente che il deprezzamento della sterlina “faciliterebbe grandemente lo sviluppo delle nostre iniziative commerciali, mentre d’altra parte una maggiore penetrazione economica favorirebbe una più stretta colleganza dei legami morali e culturali che l’isola ha già con l’Italia”.
Il capo-gabinetto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Beer, si rivolgeva il 30 novembre al Ministero delle Corporazioni per chiederne il parere “prima di sottoporre tale proposta alla determinazione di S.E. il Capo del governo”.
(ACS –PCM 1931-33; fascicolo 5-1-3447. Telespresso 828408/938 della D.I.E. – Ufficio III (scuole) del MAE, a firma del direttore generale Parini, inviato al Gabinetto della Presidenza del Consiglio dei Ministri e p.c. al Gabinetto del Ministero delle Corporazioni - 19 novembre 1931 – Anno X. Minuta di lettera, priva di
classificazione, del Capo di Gabinetto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Beer, al Ministero delle Corporazioni - 30 novembre 1931).
La “determinazione” del Capo del governo non dovette essere però positiva, risultando forse troppo smaccatamente mercantilista l’idea di fare dell’Istituto di Cultura una succursale della Camera di Commercio.
Dal resoconto dell’inaugurazione dell’Istituto, pubblicato su “Malta letteraria”, risulta difatti che la direzione era stata affidata al prof. Dr. Ettore De Zuani, definito “mutilato di guerra e bellissima figura di letterato”.
Un altro espediente fu quello di far venire da Malta in Italia le madri italiane in procinto di partorire, per evitare che, nascendo a Malta, i loro figli acquistassero pure la cittadinanza britannica: lo steso Casertano si rivolgeva difatti al MAE per avere i moduli da distribuire alle partorienti (Ibidem, telegramma 180 del 1° ottobre 1936).
maggio 1933, in quanto spillata con un appunto della stessa Direzione in data 4 maggio 1933.
Telegrammi “riservati personali” non classificati del MAE - Gabinetto ai consolati generali di Alessandria d’Egitto e del Cairo, ai consolati di Porto Said e di Tangeri – 26 settembre 1934.
Lettera segreta del capo di Gabinetto Aloisi al console generale a Corfù (prot. 1021), al console generale al Cairo (prot. 1022), al console a Porto Said (1023), al console generale di Alessandria d’Egitto (prot. 1025) – 26 gennaio 1935.
Telespresso non classificato del console generale al Cairo al MAE – 12 ottobre 1934.
Telespresso 3511/383 del console a Porto Said al MAE – 2 novembre 1934.
Lettera non classificata di Umberto Biscottini al MAE - Gabinetto – 7 gennaio 1935. Lettera segreta 978/152 del console generale al Cairo al MAE – Gabinetto 8 febbraio 1935.
Lettera segreta 1444/223 del console generale ad Alessandria d’Egitto al MAE – Gabinetto – 19 febbraio 1935. Lettera segreta 346/60 del console generale a Corfù al MAE – Gabinetto - 9 febbraio 1935.
Telespresso segreto 997/239 del console generale a Rabat al MAE – Gabinetto - 8 marzo 1935.
Rapporto segreto 1897/211 del console a Porto Said al MAE – 8 maggio 1935.
Lettera segreta 2796 del MAE - Gabinetto (a firma Romanelli – Fasano) al console a Malta, 29 marzo 1935. Telespresso segreto 634/79 del console a Malta al MAE – Gabinetto – 26 aprile 1935.
Aderì alla Repubblica di Salò e morì a Gardone Riviera il 18 maggio 1945.
Ibidem, busta 15, fascicolo 3, sub. 2 “Riservate generali”. Lettera non classificata di Umberto Biscottini al console Ferrante, 21 marzo 1936.
Lettera non classificata di Ciano a Starace – 19 gennaio 1938.
Lettera non classificata di Umberto Biscottini a “Caro Duca” – 2 marzo 1938 – con allegata la lettera di Mahmud Giabal al Direttore dell’Istituto Interuniversitario Italiano – 18 febbraio 1938.