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Malta e l’Italia dopo la seconda guerra mondiale. L’indipendenza e la definitiva affermazione del maltese come lingua della cultura e dell’amministrazione. La cooperazione italo-maltese | «» |
Malta e l’Italia dopo la seconda guerra mondiale. L’indipendenza e la definitiva affermazione del maltese come lingua della cultura e dell’amministrazione. La cooperazione italo-maltese
Borg Pisani non era stato l’unico maltese a partecipare alle operazioni di guerra italiane contro la Gran Bretagna, pur avendo conservato il passaporto inglese: altri, avessero restituito o no questo documento, si erano schierati dalla parte italiana.
Alla caccia di questi collaborazionisti si posero subito le autorità alleate di occupazione in Italia, ancor prima che la guerra finisse. Già il 29 marzo 1945, difatti, il comando della “Public Safety Subcommission – Security Division” richiedeva al MAE notizie circa i documenti sostitutivi dei passaporti rilasciati a cittadini britannici di origine maltese, in particolare a Mario Pirrone e Vincenzo Catalogna, già studenti in Italia. A tale richiesta il MAE rispondeva affermando che non si era trovato nulla su Pirrone e Catalogna: la documentazione, se mai era esistita, probabilmente era stata trasferita al Nord dopo l’8 settembre 1943.1
Non desisteva comunque dalle sue ricerche la Security Division, che il 10 settembre chiedeva di poter interrogare un funzionario del MAE, Luigi Silvestrelli, che si era occupato degli affari maltesi.
Per eludere tale richiesta il MAE rispondeva che proprio quella mattina Silvestrelli era partito in aereo per Washington, presso la cui ambasciata era stato destinato in qualità di primo segretario. Che si trattasse di una scappatoia sembra confermato dall’annotazione a matita
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apposta sulla minuta del memorandum del MAE per la Commissione Alleata: “Silvestrelli ne è stato informato verbalmente prima di partire da Del Balzo”.2
Il carteggio tra le autorità alleate ed il MAE continuava ancora. Un appunto del MAE in data 29 ottobre 1945 riportava che il maggiore britannico Gray della Security aveva chiesto notizie su 242 maltesi (di cui alcuni nati a Tripoli), che avevano consegnato i loro passaporti britannici al Comitato di Azione Maltese, che a sua volta li aveva consegnati a Silvestrelli. Ai maltesi erano stati dati in cambio documenti di identità italiani; al maggiore Gray risultava che una ventina di questi maltesi avevano riavuti i loro passaporti dallo stesso Silvestrelli. Il maggiore chiedeva:
1) l’elenco dei maltesi che avevano percepito il mensile di 1000 lire (precisato nell’appunto: “raramente corrisposto, restando in mano al Comitato di Azione Maltese – Biscottini”);
2) i passaporti dei maltesi che non ne avevano ottenuto la restituzione e che quindi dovevano trovarsi presso il MAE;
3) l’elenco dei maltesi che avevano richiesto e di quelli che avevano ottenuto la cittadinanza italiana; questi ultimi erano passibili della pena di morte, avendo preso in tempo di guerra la cittadinanza di un Paese nemico.
L’ufficiale britannico, per evitare le lungaggini burocratiche, aveva dato il suo numero telefonico al fine di avere una sollecita risposta.3
La richiesta non ebbe una risposta soddisfacente, tanto che essa fu successivamente avanzata attraverso i normali canali diplomatici. Il 10 dicembre 1945 l’Ambasciata britannica inviava al MAE una nota per avere notizie sulla consegna da parte di maltesi cittadini britannici dei loro passaporti alla Regia Deputazione per la Storia di Malta dall’inizio della guerra al settembre 1943.
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Questa consegna era stata approvata dal MAE ed avallata con le circolari emanate il 20 ottobre, il 1° novembre ed il 12 dicembre 1940 dal Ministero dell’Interno – Direzione generale P.S. – Divisione Affari Generali e Riservati, Sezione 3°. La nota britannica chiedeva pure notizie dettagliate sui maltesi che avevano assunta la cittadinanza italiana, citandone alcuni nomi: Carlo Mallia, Michele Said, Carmelo Ivo Leone Ganado. In particolare chiedeva quali Comuni avessero trasmesso al Ministero dell’Interno il giuramento di fedeltà che i neo-cittadini italiani dovevano prestare, come stabilito dal R.D. 949, art. 3, comma 3, del 2 agosto 1912.
Si chiedeva infine dove fossero stati custoditi i passaporti britannici consegnati ai maltesi e, con le consuete formule di cortesia diplomatica, si esprimeva il gradimento per una risposta il più possibile sollecita.4
La nota destò allarme nei funzionari del MAE; un appunto “urgente” della Direzione Italiani all’Estero per la Segreteria Generale del Ministero, in data 20 dicembre, informava sulla richiesta britannica di informazioni su maltesi figli di italiani residenti a Malta ( e perciò considerati cittadini britannici), che avevano prestato servizio nelle Forze Armate italiane. Alcuni di questi erano già stati incarcerati ed erano prevedibili provvedimenti molto gravi sia contro di loro, “sia, di riflesso, nei confronti del Governo Italiano”, di cui si sottolineava “l’obbligo di tutelare delle persone che, avendo prestato servizio militare”, erano da considerarsi cittadini italiani.
L’appunto faceva poi presente che secondo il Ministero della Guerra non era possibile trovare documenti al riguardo andati probabilmente distrutti per impedire che le autorità alleate ne venissero in possesso.
All’appunto della DIE era allegato un elenco di 30 nomi, consegnato “brevi manu” dalle autorità britanniche al Ministero della Guerra. Fra questi nominativi figuravano: Mario Barbaro di San Giorgio, che era stato ufficiale nell’Esercito italiano già durante la guerra del
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1915-18; Camillo Bonanno, ufficiale di carriera, che aveva fatto parte dei Servizi di informazione (SIM e SID); Vincenzo Cachia, ufficiale medico; padre Ignazio Cheteuti, cappellano militare; Oscar Coniglio, che col grado di tenente aveva prestato servizio nel SIM; Anthony Cortis, che si era offerto volontario come ufficiale dell’Esercito con un telegramma al Duce del 17 aprile 1941; Carlo Mallia, divenuto cittadino italiano e consigliere della Camera dei Fasci e delle Corporazioni; Tancredi Mercieca; Arturo Mifsud; Silvio Mizzi; Emanuele Mizzi; Annibale Scicluna Sorge, attivo collaboratore della Regia Deputazione per la Storia di Malta.
L’appunto della DIE consigliava un’azione diplomatica impostata sull’aspetto giuridico del conflitto di cittadinanza con gli aspetti politici che ne derivavano e faceva presente la gravità e l’urgenza del caso. 5
Seguì la risposta del MAE all’Ambasciata britannica. Si faceva riferimento al memorandum inviato il 15 aprile 1945 alla Commissione Alleata,6 confermando che negli archivi non si erano trovati documenti al riguardo, che dovevano esser andati distrutti o dispersi a causa degli avvenimenti bellici.7
Né erano disponibili documenti della Regia Deputazione per la Storia di Malta, disciolta nel 1943, i cui locali erano stati adibiti ad altro uso. L’archivio, trasportato al Nord, era andato pur esso disperso.8
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Si sarebbero comunque continuate le ricerche e per il momento si potevano trasmettere soltanto, in un appunto allegato alla nota, alcune notizie sul Comitato di Azione Maltese, sorto all’inizio della guerra e di cui promotore e segretario era stato un funzionario statale (si trattava evidentemente di Umberto Biscottini, di cui però si taceva il nome).
Era minimizzata l’importanza dell’attività del Comitato, asserendo che “con esso si voleva creare l’impressione di un movimento irredentista maltese: gli iscritti erano però nella quasi totalità cittadini italiani e le direttive delle sue attività furono impartite da sfere governative”. I britannici di origine maltese, sollecitati ad aderire per evitare le sanzioni previste contro i cittadini di Stati nemici, accettarono, ritenendo che così si sarebbero attenuati i bombardamenti su Malta; ma, salvo alcune eccezioni, non svolgevano alcuna attività e si limitavano a pagare le quote di iscrizione. Coloro che non avevano consegnato alla R. Deputazione per la Storia di Malta i passaporti britannici, furono internati: ma in molti casi furono in seguito liberati per l’intercessione di amici. I gruppi del Comitato furono costituiti nelle principali città, ma si erano limitati a riscuotere le quote dei soci ed ad organizzare sporadicamente qualche conferenza. Pochissimi si erano arruolati, costretti dalle necessità economiche, o perché obbligati a prestare servizio militare, se nati in Italia, o perché minacciati di rappresaglie, con l’accusa di fare il doppio giuoco, in caso si fossero rifiutati. Ma non furono mai impiegati in operazioni militari contro Malta, furono destinati alla difesa territoriale delle coste settentrionali in reparti della marina.9
Malgrado i tentativi del MAE per minimizzare l’importanza del Comitato di Azione Maltese e di sottrarne gli appartenenti alle ricerche britanniche, furono arrestati 17 maltesi con l’accusa di collaborazionismo per la loro adesione al Comitato di Azione Maltese e di essersi arruolati nelle Forze armate italiane, anche se si trattava di un medito militare, come Vincenzo Cachia, ovvero di un cappellano, come padre Ignazio Cheteuti.
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Altri avevano prestato servizio in reparti di linea, ma uno solo di essi, Ivan Leone Ganado, aveva effettivamente combattuto contro gli Inglesi in Libia. Ganado, in occasione del processo, dichiarò che non avrebbe però accettato in nessun caso di combattere contro altri maltesi, anche a costo di esser fucilato dagli italiani.
I processi furono celebrati fra il 1946 ed il 1947: le accuse contro gli imputati erano simili a quelle mosse contro Borg Pisani e la situazione di Ganado era anzi più grave, poiché aveva effettivamente preso parte a combattimenti contro le truppe inglesi: ma l’esito dei processi fu ben diverso da quello intentato contro Borg Pisani. La corte avrebbe dovuto essere la stessa che aveva condannato lo sfortunato studente maltese. Ma la difesa la ricusò, avanzando l’eccezione che quei giudici si erano già pronunciati su di un caso analogo. L’eccezione fu accolta (si dimostrava così il rispetto del garantismo verso gli imputati) e l’incarico passò al presidente Luigi Camilleri, coadiuvato dai giudici Anthony Montanari Gauci e Tancredi Gondr. Inoltre, fattore di notevole importanza, gli imputati furono giudicati anche da una giuria popolare, composta da 9 cittadini maltesi, mentre Borg Pisani era stato giudicato solo da magistrati togati.
Si arrivò ad una clamorosa assoluzione di massa: per 16 degli imputati con un verdetto unanime della giuria; per Ivan Leone Ganado, la cui posizione era più grave data la sua esplicita ammissione di aver combattuto contro gli Inglesi, con otto voti a favore ed uno contrario. Sembra inoltre, secondo la testimonianza di Herbert Ganado, citato da Lawrence Mizzi nel suo saggio “Per il sogno della sua vita: il sacrificio di Carmelo Borg Pisani, irredento maltese”. (Volpe editore, Roma 1981) che se Ganado non fosse stato assolto, i giudici stessi avrebbero avanzato domanda di grazia al Governatore.
Verdetto ben diverso quindi da quello che nel 1942 aveva portato sulla forca Carmelo Borg Pisani.
Lawrence Mizzi sostiene che la ragione di questo favorevole esito giudiziario sia da ricercarsi essenzialmente nel mutato clima storico, piuttosto che nella presenza della giuria popolare. Nel 1947 si era attenuato il rancore per i bombardamenti italiani, che nel 1942 erano in pieno svolgimento e dovettero quindi pesare molto più.
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In questo clima che, seppur lentamente, andava rasserenandosi si veniva pure delineando una graduale normalizzazione dei rapporti tra Italia e Malta.
Esistevano comunque ancora tracce dell’antico rancore: nel 1947, la celebrazione della festa nazionale dell’otto settembre univa il ricordo della fine dell’assedio turco a quello più recente della fine dell’assedio italiano nel 1943 e forniva lo spunto al domenicano padre Serafin M. Zarb di ricordare con vivo compiacimento i successi dell’artiglieria maltese, che aveva vittoriosamente contrastato sia le incursioni aeree italiane che l’attacco dei mezzi d’assalto della X Mas nel luglio 1941: in seguito, ricordava con orgoglio il domenicano, a Malta si erano viste navi italiane solo quando la flotta era venuta a consegnarsi dopo l’armistizio.
Il console d’Italia, Antonio Scaduto Mendola, aveva protestato con il segretario di Governo, ottenendo la poco soddisfacente risposta che padre Zarb non era un dipendente del Governo, che non poteva quindi intervenire. 10
Proprio in quei giorni, il 10 settembre 1943, veniva promulgata la nuova Costituzione di Malta, la cui redazione, per incarico dell’Assemblea Costituzionale, era stata affidata al prof. Joseph Hyzler ed la prof. Joseph De Giorgio: erano così smentite le voci di un rinvio, che avevano causato le proteste del partito laburista.
Costituzione, dichiarava il Governatore, elaborata tenendo in particolare conto le osser-vazioni dell’Assemblea nazionale, eletta con funzioni costituenti nel 1945. La Costituzione manteneva una diarchia tra il governo maltese, che doveva occuparsi dei problemi locali, ed il governo imperiale di Londra, rappresentato a Malta dal Governatore, cui spettavano i poteri relativi alla politica estera ed alla difesa.
Era prevista un’Assemblea legislativa di 40 membri, eletti con il sistema proporzionale per quattro anni; il Governatore aveva facoltà di sciogliere in anticipo l’Assemblea o di prorogarne la durata (art. 20-21).
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Dopo 10 anni sarebbe stata istituita una seconda Camera legislativa (art.25/2). Anche se approvata dal Governatore, una legge emanata dall’Assemblea poteva essere abrogata entro un anno dal governo di Londra.
Il Governatore designava gli 8 ministri componenti il Governo, scegliendoli tra i membri dell’Assemblea (art. 40) e con l’assistenza dei ministri nominava i giudici. Restava materia riservata al Governatore, oltre che la politica estera e la difesa (art. 23), anche la questione linguistica (art. 47). Le lingue ufficiali erano l’inglese ed il maltese (art. 46).
Il Governatore agiva con l’assistenza di un “Nominated Council”, formato da ufficiali ed alti funzionari (art. 11); organo di raccordo tra il governo maltese ed il Governatore era il “Privy Council” (art. 14), dai poteri non chiaramente definiti.
Promulgata la Costituzione, si svolsero le elezioni nei giorni 25-27 ottobre 1947. Si ebbe una percentuale non molto alta, il 67%, a causa della scarsa attenzione popolare, distratta dalle preoccupazioni per la crisi economica.
Per la prima volta a Malta ebbero diritto di voto anche le donne. I laburisti ottennero la maggioranza assoluta (24 seggi su 40). I nazionalisti ebbero 7 seggi e 4 andarono al partito democratico d’azione, nato da una scissione dei nazionalisti ed il cui leader era uno degli autori della Costituzione, il prof. Joseph Hyzler.
Completavano il panorama parlamentare una lista locale di Gozo con tre seggi ed una lista personale dell’on. Jones, sostenuta da operai, con due.
Primo ministro designato fu il dr. Paul Boffa, laburista di tendenze moderate, che assunse anche il dicastero della giustizia.
Il console italiano si affrettò a fare una visita di cortesia al neo-eletto premier, che lo accolse molto gentilmente, parlando in italiano ed informandosi sulla situazione politica dell’Italia. Si dichiarò pure disponibile a facilitare la missione del console, che ne ebbe una impressione
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positiva, come di persona seria e moderata, che non aveva voluto eccedere nel celebrare la vittoria laburista con un eccesso di trionfalismo, per non umiliare i nazionalisti. Subito dopo la sua elezione Boffa aveva pure inviato un telegramma al Papa per confermare la sua personale devozione e le promesse di fedeltà alla Chiesa, formulate nel corso della campagna elettorale.11
Questo devoto ossequio del capo del governo non era tuttavia sufficiente a rassicurare la Chiesa, che a Malta, come in molto altri Paesi europei, appariva ossessionata dal timore del comunismo, diffondendolo in larghi strati della società.
Significativo al riguardo il singolare episodio avvenuto in occasione della partenza di un gruppo di emigrati maltesi per l’Australia a bordo della nave jugoslava “Partisanka”. Per evitare ogni sospetto nel Paese di destinazione, i giornali si premurarono di chiedere al governo maltese di chiarire a quello australiano che i maltesi non avevano nulla da spartire con Tito.
Ed i marinai di un veliero italiano, il “Nora Ricci”, ebbero serie difficoltà per sbarcare, perché avevano dato copie del giornale comunista “L’Unità” ad alcuni maltesi che si erano spinti fin sottobordo per chiedere giornali italiani.12
Ogni occasione era buona per l’arcivescovo Gonzi, che dalle diocesi di Gozo era passato a reggere la curia arcivescovile della Valletta succedendo a mons. Caruana nel 1943, per scagliare il suo anatema contro l’anticristo comunista.
Così, alla ripresa dei lavori dell’Assemblea, il 26 gennaio 1948, celebrando una messa cui partecipavano ministri e parlamentari, pronunciò un infuocato discorso per deplorare la “triste situazione politica e sociale di una parte del mondo che ha bandito Cristo e la sua religione”.
E mons. Gonzi volle pure in quell’occasione ricordare ai deputati le promesse di fedeltà alla
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Chiesa Cattolica, fatte nel corso della Campagna elettorale, non pago delle assicurazioni già fornite dal capo del governo nel suo telegramma al Papa e della implicita conferma rappresentata dalla partecipazione dei parlamentari alla messa da lui celebrata.13
E la stampa non era da meno nell’esorcizzare il demone comunista. Il 10 gennaio del ’48 “The Bulletin” pubblicava a tal fine due articoli, “Comunism in Catholic Malta”, e, a firma di Enrico Mizzi, “The red peril”.
L’occasione per questa levata di scudi era stata offerta dall’annuncio che una delegazione della Federazione mondiale della Gioventù, organizzazione fiancheggiatrice che riuniva giovani comunisti e simpatizzanti, avrebbe visitato Malta. Visita subito condannata dall’arcivescovo con una sua pastorale, a seguito della quale il sindacalista che si era azzardato a proporla, Twanny Vassallo, si affrettò a raccomandare alla Federazione di desistere dall’invio della delegazione.
L’andata a Canossa di Vassallo non gli evitò ulteriori attacchi, che culminarono nella richiesta di espellerlo dalla “General Workers Union”, che si giudicava compromessa dai rapporti che il sindacalista incriminato aveva tentato di allacciare con il movimento giovanile legato ai comunisti.
Nel pieno come si era della guerra fredda, il governatore non mancò di unire la sua voce al coro anticomunista, chiedendo in un suo discorso ad un gruppo di prelati l’aiuto della Chiesa contro le dottrine “sovvertitrici” sia della religione che dello stato democratico. 14
L’onda anticomunista arrivò a lambire l’aula parlamentare. Il 4 marzo 1948, durante una seduta dell’Assemblea legislativa, Enrico Mizzi attaccò il governo, la cui effettiva direzione sarebbe stata nelle mani di due ministri con chiare simpatie comuniste. L’allusione era rivolta al ministro delle Finanze, Colombo, e soprattutto al ministro della Ricostruzione, Dom Mintoff, che protestarono con molta vivacità, costringendo Mizzi a ritrattare le sue affermazioni.
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Nel riferire al MAE l’incidente, il console italiano trovava esagerata l’accusa di comunismo rivolta da Mizzi al governo, anche se in esso sembrava prevalere l’ala estrema dei laburisti, rappresentata da Mintoff, “giovane esuberante di 32 anni, dotato di forte personalità”
Nello stesso rapporto il console ricordava pure che il ministro per l’emigrazione, Cole, aveva sostenuto che il capitale maltese si era formato con le ore di lavoro straordinario prestate dagli operai maltesi durante la guerra: affermazione che sembrava ispirata dalla teoria marxista del plusvalore.15
Ed inoltre il governo laburista dimostrava tendenze di un populismo totalitario: si rivolgeva direttamente alle masse popolari, scavalcando il Parlamento ed ignorando la stampa d’opposizione, definita “non rappresentativa”.
I risultati della missione a Londra di una delegazione governativa per trattative sull’assistenza economica britannica alla deficitaria economia maltese, erano stati resi noti in un comizio prima che in Parlamento.
Nei laburisti si manifestava una tendenza nazionalista che li spingeva a vagheggiare un’impossibile autarchia, particolarmente rappresentata da Mintoff, sempre pronto a dimostrare la sua fermezza, soprattutto agli inglesi.
Tendenza nazionalista che rinforzava “il sentimento diffusissimo tra i maltesi per cui essi si sentono una nazione distinta sia dagli Italiani che dagli Inglesi”; spirito di indipendenza per cui i maltesi sembravano pronti a mutare i loro rapporti con la Gran Bretagna, se la situazione internazionale avesse loro permesso “una sistemazione più conveniente”.16
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La tentazione di trovare “una situazione più conveniente” era accentuata dalle continue frizioni con Londra causate dalle richieste maltesi di aiuti economici.
Un vivo malcontento si diffuse agli inizi del 1949 per la diminuzione da 450.000 a 350.000 sterline del sussidio contro il carovita e per il rifiuto britannico di aumentare lo stanziamento per i danni di guerra, che era di 30 milioni di sterline.
Si verificò pure uno scontro per l’aumento dei salari deciso dal governo maltese senza aver consultato quello di Londra, da cui dipendeva l’Arsenale di Malta che con i suoi 13.500 dipendenti era la maggior industria dell’isola.
Maggior disponibilità era invece stata dimostrata da parte inglese sulla richiesta del governo maltese di esser consultato anche sulle “materie riservate” (difesa, politica estera, questione linguistica).17
L’aggravarsi della situazione economica maltese (era previsto fra l’altro il licenziamento di 1200 dipendenti dell’Arsenale) comportò la necessità di nuove consultazioni tra i governi di Londra e Malta, sul finire dell’estate del 1949.
L’ambasciatore italiano a Londra, Tommaso Gallarati Scotti, riferiva al Ministero il 2 settembre 1949 su queste non facili consultazioni fra il Ministro delle Colonie Creech Jones e il premier maltese Paul Boffa, che da circa 3 settimane stavano trattando.
Da parte maltese si chiedeva la continuazione del sussidio contro il caro-vita, la sospensione “indefinita” dei 1200 licenziamenti all’Arsenale, la partecipazione al piano Marshall di aiuti all’Europa.
Negativa su tutta la linea la replica del Colonia Office: la costituzione dava al governo di Malta libertà di imposizione fiscale e non era quindi possibile continuare la politica assistenziale fin allora seguita; non era possibile revocare i 1200 licenziamenti disposti dall’Arsenale: in cambio si offriva lavoro in Cirenaica a 1000 maltesi; non era realizzabile al momento l’estensione del piano Marshall a Malta.
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Il governo maltese poteva comunque far preparare da un esperto un’analisi della situazione economica dell’isola sulla cui base il governo di Londra avrebbe poi potuto decidere.18
Il premier Boffa rientrò dalla capitale britannica molto deluso ed amareggiato. Il “Corriere della Sera” intitolava così un suo servizio non firmato da Londra, il 3 settembre 1949: “Il governo di Londra mette Malta in crisi. Il primo ministro Boffa rientra in patria scontento. Ai giornalisti ha detto: “Sono stato preso a calci a destra e sinistra”. Nel servizio si chiariva che Londra aveva negato l’accesso di Malta ai fondi del piano Marshall, perché ciò avrebbe costituito un favoritismo rispetto agli altri possedimenti britannici.
Il capo del governo riferiva al Parlamento maltese sulle trattative con il Colonial Office precisando che erano state precedute dall’invio al Ministro delle Colonie di un ultimatum, che nella sua prima stesura suonava, oltre che perentorio, addirittura minaccioso: se entro il 22 agosto 1949 non fosse stata accolta la richiesta di partecipazione al piano Marshall, il governo maltese avrebbe indetto un referendum per confermare l’associazione con la Gran Bretagna, ovvero concedere le basi dell’isola agli Stati Uniti o ad un’altra grande potenza, disposta a dare aiuti economici.
Questo testo, inviato come bozza informale al ministro Creech Jones, fu modificato il 6 agosto togliendo l’accenno all’altra grande potenza cui, oltre che agli USA, Malta avrebbe potuto rivolgersi. Ma anche in questa forma attenuata l’ultimatum non fu accettato dal governo di Londra, che ne pretese il ritiro per continuare le trattative. Ed il 15 agosto pertanto Boffa chiese ed ottenne dal governo di Malta l’autorizzazione a ritirarlo. Per protesta, Dom Mintoff si dimise.
Nel corso del dibattito parlamentare seguito alla relazione del primo ministro, Mintoff dichiarava che non era necessario affidare ad un esperto britannico l’analisi della situazione economica di Malta, richiesta da Londra per verificare le possibilità di far partecipare Malta al piano Marshall: lui stesso conosceva bene la situazione e poteva illustrarla.
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Faceva pure presente che la redazione dell’ultimatum era stata opera collegiale del governo e che l’attuale costituzione di Malta rappresentava per i laburisti solo il minimo accettabile.
Né l’ultimatum poteva essere considerato un atto di slealtà verso la Gran Bretagna: si sarebbe cercato aiuto altrove solo se Londra avesse rifiutato di darlo, insistendo in promesse illusorie come quella di offrire lavoro in Cirenaica come rimedio ai licenziamenti all’Arsenale.
Il ministro delle Finanze, Colombo, volle in tale occasione distinguere le sue posizioni da quelle di Mintoff, ritenute troppo filocomuniste, poiché non poteva che riferirsi all’URSS l’accenno all’altra grande potenza, oltre che agli USA, cui offrire le basi militari in cambio di aiuti economici.
A proposito di questo minaccioso ricorso all’URSS esistevano però molti dubbi che Mintoff facesse sul serio: “Ma benché Mintoff sia uomo di sinistra e estremista per di più, a Malta e a Londra si ritiene che egli abbia introdotto l’implicito accenno alla Russia solo per il gusto di far accapponare la pelle agli inglesi”. Si prendeva invece sul serio il proposito di Mintoff di rivolgersi agli Stati Uniti, possibili eredi dell’Inghilterra nel Mediterraneo, dove era in costante aumento la loro presenza, con il recente arrivo di altre unità navali. (“Corriere della Sera, 14 settembre 1949, corrispondenza da Londra di Giorgio Sansa “La crisi a Malta. Trionfa la corrente antibritannica capeggiata dall’ex premier Mintoff – Intanto, con l’ingrossarsi della flotta americana nel Mediterraneo, cresce l’interesse di Washington per l’isola”).
Lo stesso ministro Colombo, però, pur distinguendo la sua posizione da quella di Mintoff, aveva osservato che la richiesta di Malta di ottenere da Londra un altro milione di sterline, era minima: era l’equivalente di un minuto di guerra e senza l’eroica resistenza di Malta, la guerra sarebbe durata molti minuti di più.19
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Nel comunicare al MAE lo svolgimento di questo dibattito, il console Scaduto osservava che a conclusione ci sarebbe stato un voto sull’operato di Boffa e scriveva: “Fuori il sentimento antibritannico sembra sempre più diffuso nel popolo, che ha finora apprezzato gli Inglesi in quanto ricchi e apportatori di benessere, ma si sente distante da essi per temperamento, costumi e religione…”. Il licenziamento degli operai dell’Arsenale era per i Maltesi un segno evidente della decadenza britannica. Sfruttando questi sentimenti antibritannici Mintoff aspirava a sostituirsi a Boffa. Aspirazioni che incontravano anche le simpatie degli avversari, che lo giudicavano fermo e coerente, mentre Boffa appariva debole ed incerto. L’evoluzione di Malta verso l’indipendenza, osservava il console, era l’aspirazione di Mintoff, che si richiamava a precedenti illustri come quelli di Gandhi, Nerhu, Smuts. Sia Mintoff che l’Ambasciata degli USA a Londra avevano smentito di aver avuto contatti; il governo maltese aveva però annunciato la prossima apertura di un consolato statunitense nell’isola. La situazione era in fermento, la polizia posta in stato di allerta, si preannunciava l’arrivo si un reggimento britannico da Tripoli.20
Sembravano ormai remoti i tempi in cui Malta festeggiava l’attribuzione della “George Cross”, assegnatale come riconoscimento, il 15 aprile 1943, del suo lealismo verso la Gran Bretagna, incrollabile nonostante i devastanti bombardamenti cui era sottoposta.
La diplomazia italiana seguiva con interesse la situazione maltese, a Washington oltre che a Londra.
L’ambasciatore d’Italia negli USA, Alberto Tarchiani, segnalava difatti il 13 settembre 1949 l’attenzione della stampa per le difficoltà insorte tra Malta e l’Inghilterra. Ci si chiedeva in particolare con quali mezzi leciti da un punto di vista costituzionale si sarebbero potute offrire agli USA le basi maltesi in cambio di aiuti economici e si ricordava come dal testo originario dell’ultimatum fosse stato soppresso l’accenno minaccioso di rivolgersi “a qualunque altra potenza”.21
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La stampa USA ospitava anche le voci della protesta maltese. La “Chicago Tribune” del 9 novembre 1949 pubblicava una corrispondenza da Malta, in cui si citavano senza criticarle le dichiarazioni dell’ex commissionario generale di Malta a Londra, secondo il quale la Gran Bretagna doveva a Malta 8 milioni di sterline; l’atteggiamento del ministro Creech Jones nel corso delle trattative con Boffa era inoltre definito “antipatico, ingiusto e perfino cinico”.
Le polemiche seguite a questi negoziati avevano comportato per Boffa la sfiducia del suo stesso partito: il 9 ottobre 1949 gli iscritti si erano pronunciati a suo sfavore, con 244 voti contrari e 141 favorevoli, definendolo inadeguato come leader del partito e della nazione. Il giorno successivo, però, la maggioranza dei deputati laburisti (15 su 24) si era costituita in gruppo indipendente e di era schierata con Boffa, approvando il ritiro dell’ultimatum, necessario per evitare che fosse sospesa la Costituzione.
I deputati favorevoli a Boffa confermarono l’impegno ad insistere perché fosse ancora corrisposto da Londra il contributo contro il carovita e perché Malta entrasse nel piano Marshall. Era esclusa l’alleanza con i nazionalisti o con il Democratic Action Party. Boffa con il sostegno di questo nuovo gruppo laburista e del piccolo partito di Gozo poteva contare su una maggioranza, seppur risicata, e costituì quindi un nuovo governo, con l’opposizione di Dom Mintoff, che richiese su “The Bulletin” nuove elezioni; richiesta condivisa dal filo-britannico “Times of Malta”.22
Boffa, pur se indebolito dalla scissione operatasi nelle file laburiste, restava comunque primo ministro, ma la posizione politica di Mintoff si era rafforzata, nonostante i continui attacchi della stampa e del clero.
“The Nation”, che aveva già chiesto a Boffa di mettere fuori legge i comunisti ed i loro simpatizzanti, sul numero del 2 ottobre 1948 aveva insinuato che forse esistevano rapporti segreti tra Mintoff ed il P.C.I.
Il direttore del giornale, J. Olivieri Munzo, fu perciò denunziato dalla polizia e condannato dal Tribunale.
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Condanna confermata il 7 marzo 1949 dalla Corte d’Appello, che lo ritenne colpevole di ingiuria, in quanto definire qualcuno comunista equivaleva “all’accusa di appartenere ad una quinta colonna e di essere antireligioso”.23
Il clero nei confronti di Mintoff si dimostrava non meno diffidente ed ostile. Il 1° maggio 1948 si era svolta a San Paolo a Mare una riunione di laburisti per celebrare la festa del lavoro, che a Malta non era occasione di cerimonie pubbliche, in quanto ritenuta una festa comunista. Alla riunione aveva preso parte Mintoff e si era cantata l’Internazionale. Come risposta, il 2 maggio si tenne a Birkikara una riunione anticomunista, con la partecipazione dell’arcivescovo Gonzi, che deplorò “l’adunata rossa” del giorno prima, tenuta “da due dozzine di giovani”.
Boffa ci tenne a distinguere la sua posizione da Mintoff ed inviò a padre Busuttil una lettera, pubblicata sul “Times of Malta” del 15 maggio 1948, per congratularsi della conferenza contro il comunismo tenuta dal religioso a Zabbar l’11 dello stesso mese.24
Non pago del convegno anticomunista svoltosi il 2 maggio a Birkikara e della lettera di Boffa a padre Busuttil, che suonava come una sconfessione di Mintoff, mons. Gonzi tenne il 16 maggio una predica in cattedrale, evocando il pericolo che i comunisti, presenti anche a Malta, rappresentavano per la fede cattolica: all’uscita dalla chiesa fu accolto da applausi, canti religiosi, grida di “Viva il Papa!”, “Abbasso il Comunismo!”.
L’offensiva del vescovo non si placava: indirizzava infatti a Mintoff una lettera aperta, pubblicata sulla stampa, per chiedergli conto della sua presenza alla riunione del 1° maggio e delle parole offensive per il Papa e per la Chiesa che avrebbe pronunciate in quella occasione.25
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La pressione sull’esponente laburista era divenuta così forte da costringerlo a precisare il 16 giugno 1948, in una seduta dell’Assemblea legislativa, che il 1° maggio non si era cantata l’Internazionale, ritenuta un inno comunista, ma “Red flag”, inno del partito laburista britannico, come attestato dal responsabile Stampa e Propaganda dello stesso partito laburista con una lettera di cui Mintoff dava lettura.
Il 18 giugno Mintoff tornava sull’argomento, dichiarando all’Assemblea di aver fatto quella precisazione per evitare che fossero internati i partecipanti alla riunione del primo maggio.26
In realtà, Mintoff più che al PCI sembrava guardare al PSI: all’inviato della “Stampa”, Sandro Paternostro, manifestava difatti tutta la sua simpatia per Nenni.27
In ogni caso, erano sempre gli eventuali contatti italiani di Mintoff a preoccupare gli avversari, tanto più che veniva riaffiorando la questione linguistica, anche se non costituiva più il centro del dibattito politico.
Mizzi infatti non disarmava e per questo veniva criticato anche all’interno del suo partito.
Il console scriveva al MAE il 17 giugno 1948 che esisteva molta simpatia per l’Italia, anche per i rapporti commerciali intrattenuti con essa da molti maltesi. Ma questa simpatia non significava irredentismo: ne era prova il fatto che nelle elezioni dell’ottobre 1947 soltanto 7 seggi erano andati al partito nazionalista, “il cui principale punto programmatico è il ritorno all’uso dell’italiano”. E così concludeva il console: “Mi pare interessante notare che qualche aderente al partito nazionalista ha espressamente criticato il Dott. Mizzi perché talvolta è stato più propenso a difendere gli interessi dell’Italia anziché quelli locali maltesi”.28
Il leader nazionalista era insistente nella sua azione propagandistica. Ancora il console annotava: “Il dr. Enrico Mizzi, capo dell’opposizione nazionalista, stimato anche dai suoi avversari per la dirittura del carattere e per la seria esperienza politica e amministrativa”, pubblicava ogni sabato un lungo articolo sul quotidiano “The Bulletin”, esaminando attentamente problemi storici, più che le questioni attuali.
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Questo tenace ancoraggio al passato, secondo il console, forse dipendeva anche dalla sordità che estraniava Mizzi dal mondo contemporaneo.29
Tra questi articoli di Mizzi si possono ricordare quelli del 13 e 19 gennaio 1948 che deploravano il fatto che i giovani maltesi si recassero per completare i loro studi in Gran Bretagna, dove rischiavano di perdere la fede cattolica e le caratteristiche nazionali. Sarebbe stato preferibile invece andare a Roma, centro del cattolicesimo.
Affermazione, notava il console nel segnalare gli articoli, che corrispondeva “a una opinione largamente diffusa negli ambienti intellettuali maltesi”.30
Né Mizzi era il solo a condurre questa campagna di stampa a favore dell’uso dell’italiano. Sempre su “The Bulletin” erano apparsi due articoli del notaio R. Frendo Randon: “The language question” il 20 dicembre 1947 e “I defend Italian” il 5 gennaio 1948. Il tema – notava il console – non destava però un diffuso interesse, ma era comunque oggetto di un dibattito molto frequente sulla stampa. Il console informava pure sul posto occupato dall’italiano nei programmi scolastici; era obbligatorio nelle scuole private tenute da religiosi e nel collegio St. Edward’s, cioè proprio nell’istituto fondato da lady Strickland, dalla consorte cioè del più accanito avversario dell’italiano.
Nelle scuole medie governative era invece materia facoltativa, da scegliere in alternativa al francese. Un corso serale di italiano tenuto presso il liceo aveva incontrato notevole favore, tanto da dover creare due classi, anziché una sola, come previsto in partenza. L’interesse dei maltesi dipendeva soprattutto da ragioni pratiche, legate ad interessi commerciali e turistici.31
Mizzi non si limitava però alla propaganda giornalistica: nel giugno 1948, discutendosi all’Assemblea legislativa il bilancio, aveva riproposto la questione linguistica, chiedendo il ripristino dell’insegnamento obbligatorio dell’italiano nelle scuole secondarie e nell’università e di quello facoltativo nella scuola elementare.
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La proposta era stata appoggiata dal Partito Democratico d’Azione e dal Partito di Gozo.
Le richieste di Mizzi furono respinte dalla maggioranza laburista: si poteva comunque notare da parte del governo di Londra, l’unico competente in materia linguistica, una maggior tolleranza nei confronti dell’italiano, tanto che ogni giorno a Malta venivano proiettati in due o tre cinema film in italiano e c’era stata pure la tournée di due compagnie italiane di operetta, accolte con applausi superiori ai loro effettivi meriti.32
Sul modesto livello artistico di queste compagnie, “La Lombardiana” e “Città di Milano” il console insisteva, pur notando che esse erano “state accolte con simpatia dal pubblico maltese che ha ripreso volentieri l’abitudine di anteguerra di assistere a spettacoli italiani”.
Erano state però avanzate critiche per il modesto livello degli spettacoli, accusati anche di scarsa moralità, tanto che alcuni giornali avevano osservato che non era il caso di far venire compagnie straniere di scarso valore artistico, che toglievano lavoro ai maltesi.
Il console invitava quindi il Ministero a favorire l’arrivo di compagnie più valide.33
I rapporti culturali con l’Italia, oltre che in quello teatrale, andavano riprendendo anche in altri settori.
Nel 1947 un gruppo della “Malta Boy Scout Association” era stato ospite in Sicilia della analoga organizzazione italiana; nell’estate del 1948, 36 giovani esploratori cattolici di Acireale restituivano la visita, portando messaggi di simpatia del sindaco della città, Crispi, e del presidente della Regione siciliana, Alessi.
I giovani siciliani furono ricevuti dal primo ministro Paul Boffa e dal Governatore, Sir Francis Douglas, capo onorario degli Scouts di Malta e Gozo, che ringraziò per l’ospitalità data l’anno precedente agli Scouts maltesi e per i messaggi delle autorità siciliane. Gli esploratori di Acireale assistettero anche ad uno spettacolo in italiano organizzato da alcuni sacerdoti presso la sede degli Scouts maltesi.
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Il programma della visita comprese anche un omaggio alle tombe di soldati italiani e di vittime maltesi dei bombardamenti. Il “Times of Malta” pubblicò il 10 agosto un servizio sull’incontro con il Governatore ed il Console sottolineò le differenze con il passato, ricordando che gli esploratori cattolici in visita a Malta appartenevano all’associazione abolita dal Fascismo e restaurata dall’Italia democratica.34
Questo progressivo riavvicinamento di Malta all’Italia si manifestava anche con iniziative più significative della visita dei ragazzi di Acireale.
Il console segnalava infatti con soddisfazione che si era svolto con successo il ricevimento da lui offerto il 4 novembre 1948 per celebrare l’anniversario della vittoria italiana nella prima grande guerra.
Erano intervenute numerose personalità inglesi e maltesi ed il console aveva poi avuto modo di compiere un gesto, molto apprezzato dalle autorità, quando, invitato ad una cerimonia in onore dei caduti inglesi e maltesi, aveva deposto una corona di fiori con il tricolore italiano.
Non aveva guastato gli incipienti buoni rapporti italo maltesi l’attacco pubblicato l’11 novembre su “The Bulletin” (che pure ospitava gli articoli di Enrico Mizzi in difesa dell’uso dell’italiano), che univa a considerazioni offensive per il tricolore lamentele per il mancato indennizzo dei danni di guerra da parte dell’Italia, che aveva invece risarcito l’Egitto.
Il console aveva protestato a voce lo stesso giorno e chiese al MAE se fosse il caso di presentare al Governatore una nota ufficiale di protesta.35 Il Ministero rispose che non era il caos di insistere; uniformandosi a queste istruzioni il console dichiarò di considerare chiuso l’incidente al segretario di governo, Camilleri, che deplorava l’articolo del giornale maltese, che aveva segnalato all’attenzione del primo ministro Boffa.36
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Non era la prima volta che “The Bulletin” attaccava l’Italia a causa del risarcimento dei danni di guerra: già il 14 febbraio 1948 aveva sostenuto che si doveva richiedere un indennizzo all’Italia ed alla Germania, aggiungendo: “….se l’Inghilterra, per ragioni di politica generale ha creduto opportuno di rinunziare all’indennità dovuta a Malta, essa deve indennizzare l’isola senza porle condizioni per l’impiego delle somme concesse”.37
Al rancore per le sofferenze e le distruzioni belliche si univa il sospetto che il potente partito comunista italiano potesse esercitare la sua influenza sulle vicende politiche maltesi, fornendo aiuto agli estremisti locali.
Ma se questi erano gli atteggiamenti ufficiali, espressi dai politici e dalla stampa, in realtà non sembra che i sentimenti antitaliani fossero generalmente diffusi nella società maltese.
Vi è al riguardo la testimonianza di un funzionario della sede di Istanbul del Banco di Roma, Antonio Bavaj, sposato con una maltese e che a Malta aveva prestato servizio.
Da Istanbul si era recato nell’isola nel luglio 1947, per verificare la possibilità di riaprire la filiale del Banco.
Nel suo promemoria all’Amministratore Delegato, Bavaj scriveva: “L’accoglienza di cui sono stato fatto oggetto a Malta sin dal primo contatto avuto con la polizia maltese a bordo della nave ed alla dogana hanno (sic) subito smentito la previsione da me fatta di un atteggiamento riservato, se non freddo, nei miei confronti come italiano. Tutt’altro! L’accoglienza è stata assai calda ed aperta e perfino persone che prima della guerra ostentavano sentimenti antitaliani sono venute a salutarmi rallegrandosi del mio ritorno ed augurando di presto rivedermi colà con il Banco di Roma. Rivolta la parola in inglese a nominativi noti prima della guerra per la loro spiccata simpatia verso l’Inghilterra, mi sono sentito rispondere in italiano.
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Dai numerosi contati avuti fra i diversi ceti ho riportato l’impressione che l’ambiente maltese non solo non nutre alcun risentimento verso gli italiani per le notevoli perdite subite a causa dei bombardamenti, ma anzi la parte di esso simpatizzante verso il nostro Paese sia ora più grande di quella di anteguerra…”.38
Le elezioni del 18 aprile 1948 che videro la trionfale affermazione della Democrazia Cristiana giovarono ad eliminare, o quanto meno ad attenuare, il timore di influssi comunisti dall’Italia: lo notava con soddisfazione il console, che trovava molto migliorato l’atteggiamento dei maltesi verso l’Italia dopo quelle elezioni che avevano tolto di mezzo “uno dei pochi argomenti (prevalenza del comunismo) rimasti in mano agli avversari del nostro Paese”.39
A rassicurare ulteriormente i maltesi riguardo al pericolo comunista giovava pure l’intervista rilasciata al “Times of Malta” (9 marzo 1949) dall’on. Arnaldo Fabriani, eletto alla Camera nelle liste democristiane ed ancora molto noto a Malta, dove aveva a lungo soggiornato.
Fabriani faceva una panoramica della situazione politica italiana, accennando alla dura lotta politica fra D.C. e comunisti, al piano di ricostruzione del Paese, all’emigrazione dall’Italia. Esaltava il ruolo politico svolto dal ministro dell’Interno, Mario Scelba, e faceva presente il forte sostegno delle masse contadine, mentre gli industriali spesso indulgevano a simpatie per i comunisti. Di questi ultimi sottolineava il fanatismo, per cui, a suo dire, si erano verificati fra di essi numerosi suicidi dopo la sconfitta elettorale del 1948.
L’attenuarsi del sentimenti antitaliani nell’isola si era potuto riscontrarlo già in occasione della festa nazionale maltese dell’8 settembre 1948. Memore dell’attacco antitaliano del focoso domenicano padre Zarb, che nella ricorrenza dell’anno precedente aveva esaltato la precisione del tiro degli artiglieri maltesi contro gli attaccanti italiani, il console aveva prudentemente declinato l’invito per la manifestazione del 1948, asserendo di doversi recare in Italia. Ma il timore di nuovi attacchi si rivelò infondato.
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“Nessun accenno acrimonioso all’Italia” si ebbe a riscontrare nel discorso tenuto dal ministro dell’Educazione, il laburista Ganado, che dedicò 45 dei 50 minuti del suo discorso alla rievocazione dell’assedio turco del 1565.
Nei residui 5 minuti, Ganado, reso omaggio ai caduti dell’ultima guerra, si era limitato a dire che i maltesi avevano combattuto per la libertà e per la civiltà.
Alcuni giornali avevano pure criticato il fatto che nella celebrazione si unissero le vicende dell’assedio turco a quelle della seconda guerra mondiale; solo il filo-britannico “Times of Malta” aveva sostenuto l’opportunità di tale abbinamento nel suo articolo “1565-1943”.40
Pure la manifestazione del 1949 non diede luogo a polemiche antitaliane, in quanto – notava il console Scaduto – l’attenzione dei maltesi era rivolta ad “avvenimenti di assai maggior attualità ed importanza” (invito all’America di soccorrere Malta e di servirsene come base), per cui l’eco della guerra contro l’Italia “era sempre più fievole”.41
Ma nella richiesta di aiuti agli Stati Uniti si insinuava ancora una residua polemica contro l’Italia, strumentalizzata dal ministro dell’Educazione, Ganado, in visita negli Stati Uniti nel gennaio 1950, che in una conferenza stampa dichiarava di non vedere la ragione per cui Malta restava esclusa dai fondi ECA, di cui invece poteva fruire l’Italia, responsabile di tante distruzioni apportate all’isola.42
Gli attacchi per la mancata concessione a Malta degli aiuti americani coinvolgevano però anche l’Inghilterra, accusata da Mintoff di trattenere per sé i fondi destinati alle Colonie: l’autonomia del governo maltese non esimeva Londra dal dovere di prestare all’isola l’aiuto economico di cui aveva bisogno.
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Queste affermazioni destarono l’indignazione del “Times of Malta”, che il 28 gennaio 1950 non esitava a paragonare Mintoff a Mizzi per aver messo in forse la lealtà maltese verso la Gran Bretagna.
Ma anche il moderato Boffa criticava l’Inghilterra, osservando che i 31 milioni di sterline stanziati per la ricostruzione erano un atto dovuto e non un dono. Oltre tutto, la somma era inadeguata rispetto alle necessità della ricostruzione, che non doveva gravare sulle finanze locali.43
Il perdurare di residue ostilità antitaliane dipendeva a volte da interessi privati più che da ragioni politiche di portata generale. Lo faceva notare il console in un rapporto del 17 febbraio 1949, asserendo che gli ostacoli alla riapertura della filiale maltese del Banco di Roma dipendevano soprattutto dalla opposizione delle altre banche, soprattutto della Barclay’s Bank, dato che l’opinione pubblica non si era mostrata ostile a numerosi significativi avvenimenti, come la riapertura del consolato d’Italia nel luglio 1947; la visita delle corvette italiane “Gru” e “Baionetta” nella primavera del 1948; la proiezione quotidiana di film parlati in italiano e le recite in italiano delle filodrammatiche maltesi nel 1948-49; la stagione lirica italiana svoltasi dal dicembre 1948 al febbraio 1949.44
Meno ottimista si dimostrava però il console in un successivo rapporto del gennaio 1950. Non giudicava più le difficoltà incontrate per la riapertura del Banco di Roma come frutto della gelosia delle altre banche, timorose della concorrenza, ma la riconduceva invece ad una linea politica del governo: “L’atteggiamento di queste Autorità britanniche nei nostri riguardi è
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quasi cordiale per quanto concerne i rapporti personali, ma sembra ancora improntato ad un gretto nazionalismo in molti casi concreti specie per ciò che riguarda il soggiorno degli italiani a Malta e i nostri interessi finanziari (riapertura del Banco di Roma e proprietà sequestrate…)”.45
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Ma il momento più critico per i rapporti tra Malta e l’Italia nel secondo dopo-guerra fu dovuto ad un episodio clamoroso, che resuscitava i vecchi fantasmi dei rapporti tra Enrico Mizzi ed il regime fascista, che aveva tanto largheggiato nei finanziamenti ai nazionalisti maltesi.
Nella seduta dell’Assemblea legislativa del 5 novembre 1948, Dom Mintoff leggeva alcuni passi del “Diario” di Galeazzo Ciano, di recente pubblicazione. Sotto la data del 9 settembre 1938 era ricordata l’autorizzazione data dal console Raffaele Casertano per consegnare a Mizzi 150.000 lire destinate a finanziare la campagna elettorale dei nazionalisti.
Mizzi si difese, citando una lettera dell’on. Arnaldo Fabriani, che asseriva, dopo di aver consultato il Sottosegretario agli Esteri, Brusasca, che dalle ricerche eseguite in archivio non risultava che mai i nazionalisti avessero ricevuto sotto qualsiasi forma un solo centesimo.
L’episodio – comunicava a Roma il console – aveva destato grande sensazione e la stampa se ne era ampiamente occupata.
I documenti esprimevano scetticismo circa il risultato delle ricerche in archivio, dove di solito non si conserva traccia di finanziamenti di quel tipo. Era quindi ritenuta poco convincente la difesa di Mizzi, ma si osservava che l’incidente era arrivato al momento opportuno per distrarre l’opinione pubblica dalle nuove imposizioni fiscali (la “incom tax”) e dal continuo aumento del costo della vita.
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Il Partito Nazionalista, ascoltata una relazione di Mizzi, gli confermava la fiducia il 9 novembre.46
Il dibattito politico dell’aula parlamentare si era trasferito sulle colonne dei giornali, che riprendevano e divulgavano le dichiarazioni e le polemiche di entrambe le parti.
Il “Times of Malta” pubblicava l’8 novembre un ampio resoconto dello scontro verificatosi all’Assemblea dopo la lettura di passi del “Diario” di Ciano fatta da Mintoff.
Era intervenuto lo stesso primo ministro, Boffa, che accusava Mizzi di aver fornito a Mussolini informazioni sulle fortificazioni di Malta e dichiarava di non prestar fede alla prova, o supposta tale, dell’innocenza di Mizzi perché non si erano trovati documenti che confermassero l’appunto di Ciano. Sfidava poi Mizzi a proporre una mozione sull’argomento, su cui l’Assemblea si sarebbe pronunciata. E concludeva ponendo a Mizzi una secca domanda: sapeva o no qualcosa dei finanziamenti italiani?
A livello di ingiuria personale la replica di Mizzi “You are distorting facts. I will not stand your questioning. You are a food and a liar” (“Voi state deformando i fatti. Io non voglio sottostare al vostro interrogatorio. Voi siete un pazzo ed un bugiardo”).
Più pacato e logicamente motivato l’intervento di un altro esponente nazionalista, Giorgio Borg Olivier. A suo parere l’attacco a Mizzi era un espediente per rinviare la discussione sulla legge che istituiva la “Incom tax”: discussione che si prospettava molto difficile per i laburisti, in particolare per Mintoff.
Il “Times of Malta” tornava sull’argomento ancora il 10 novembre 1948 con l’articolo “Count Ciano’s diary. Dr. Mizzi’s Statement”. Riportava le dichiarazioni di Mizzi, che avrebbe fornito spiegazioni al suo partito, ma non all’Assemblea, e che i suoi incontri con esponenti del governo fascista avevano mirato a favorire la distensione nei rapporti anglo-italiani. Il giornale riferiva anche le critiche di Mintoff e Boffa a Mizzi, che si rifiutava di chiarire i fatti
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in Parlamento: tutto il popolo maltese, e non soltanto i nazionalisti, aveva il diritto di conoscere la verità. Si riteneva poi poco credibile che gli incontri avuti a Roma da Mizzi dovessero giovare alla causa della pace: in realtà Mizzi era colpevole di spionaggio, avendo fornito notizie sulle opere difensive di Malta.
Il “Times of Malta” introduceva anche un nuovo particolare nel capitolo finanziamenti italiani, contestando a Mizzi di aver riscosso presso il Banco di Roma 11.435 lire versategli dall’ENIT per finanziare il “Malta”, facendo apparire il contributo come il pagamento di inserzioni pubblicitarie sul giornale.
Mizzi respingeva questa nuova accusa affermando non aver ricevuto denaro da nessun ministero italiano e che le somme per la pubblicità sul “Malta” non erano raccolte da lui, ma da appositi incaricati.
Sosteneva inoltre di aver ceduto dal 1937 la proprietà del giornale e che quindi non aveva più alcun interesse in materia di pubblicità e relativi finanziamenti.
Queste precisazioni portarono il “Times of Malta” a pubblicare il 20 novembre una lettera inviata al direttore dell’ENIT il 5 gennaio 1938 dal capo gabinetto del Ministero Stampa e Propaganda, Luciano, che dava disposizioni per finanziare il “Malta”, mediante contratti per pubblicità, mettendo in evidenza che era l’unico giornale maltese in lingua italiana e l’unico strumento di propaganda per i nazionalisti.
Si chiedeva il “Times of Malta”: “Cosa direbbero i tenaci sostenitori del dr. Mizzi se essi sapessero che il signor Molotov ha autorizzato pagamenti di inserzioni sulla stampa locale?” (“What would the staunch supporters of Dr. Mizzi say where were they to learn that M. Molotov had authorized payments of adverts in local paper?”).
Quasi in risposta a questo interrogativo del “Times of Malta”, lo stesso 20 novembre 1948 “The Nation” affermava che se Togliatti un giorno avesse pubblicato un suo diario, avrebbe ricordato i suoi rapporti con Mintoff: sdegnosamente il leader laburista replicava di non esser comunista e di non aver conosciuto Togliatti.
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Nel dar notizia al MAE di questo articolo, il console Scaduto commentava: “Non è la prima volta che vengono qui avanzate ipotesi di contatti fra comunisti italiani ed estremisti laburisti maltesi, ma finora tali contatti non sembrano esser stati documentati in alcun modo, diversamente da quanto è avvenuto per i rapporti Mizzi-Ciano”.47
La pubblicazione di questo articolo costò, come si è già ricordato, 48 la condanna per calunnia al direttore de “The Nation”, poiché il tribunale ritenne offensiva la definizione di comunista, adoperate come sinonimo di traditore della patria.
Rifuggendo dalle gratuite accuse di comunismo rivolte da altri al suo avversario Mintoff, Mizzi affidava la sua difesa ad un articolo, “Answer to an attack in the back” (“Risposta ad un attacco alle spalle”), pubblicato su “The Bulletin” del 13 novembre 1948.
Il leader nazionalista faceva una puntigliosa ricostruzione dei suoi incontri con Mussolini, affermando che al primo incontro avvenuto nel 1931 ne erano seguiti altri due, nel 1937 e nel 1938, che riguardavano - diceva Mizzi – “la piccola parte che ho svolto sullo sfondo nelle occasioni dei due “Gentlemen’s Agreement” del 2 gennaio 1937 e del 16 aprile 1938. Ciano era presente solo nell’ultima occasione, perché egli mi aveva espresso il suo desiderio di parteciparvi”. (“…the little parte I played in the background on the occasions of the two “Gentlemen’s Agreement” of the 2nd january 1937 and the 16th april 1938. Ciano was present only in the latter occasion because he had expressed to me his wish to be here”).
Mizzi diceva di avere in entrambe le occasioni esposto a Mussolini la situazione linguistica di Malta e di avere insistito sulla necessità dell’amicizia anglo-italiana, nell’interesse reciproco, ripetendo in sostanza gli argomenti già esposti nel primo incontro del 1931 e da lui sempre sostenuti sulla stampa ed in ogni suo discorso.
Definiva infine maliziosa l’insinuazione di Boffa e Mintoff che egli avrebbe fornito al Duce notizie sulle fortificazioni di Malta, di cui si intendeva nella stessa misura che del sanscrito o dell’yddish.
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Appare puramente di comodo la tesi sostenuta da Mizzi di essersi limitato nei suoi incontri con gli esponenti del governo fascista a trattare soltanto la questione linguistica, sostenendo che la sua soluzione avrebbe migliorato i rapporti tra Italia ed Inghilterra.
Tutta la copiosa documentazione relativa a tali incontri, custodita nell’Archivio degli Esteri, dimostra invece quanto spazio fosse dato ai finanziamenti destinati al “Malta” ed al partito nazionalista.
Inoltre, Mizzi fu sempre e volutamente tenuto in disparte nel corso delle trattative per gli accordi anglo-italiani, da cui si volle escludere la questione maltese.
In quanto poi al fatto che Ciano partecipò solo all’incontro del 1938 perché aveva manifestato a Mizzi il desiderio di essere presente, appare del tutto incredibile che solo per gentile concessione del leader nazionalista il Ministro degli Esteri italiano potesse essere ammesso al colloquio. Le cose andarono ben diversamente: Mizzi aveva chiesto di incontrare sia Ciano che Mussolini: ma quest’ultimo volle evitare un colloquio che poteva risultare imbarazzante per l’omissione di Malta nell’agenda dei lavori per gli accordi con la Gran Bretagna: lo si ricava chiaramente dalla nota apposta sull’appunto del Gabinetto MAE per Ciano in data 8 ottobre 1938: “sarà ricevuto soltanto da S.E. il Ministro l’11 ottobre alle ore 18.30” e da quanto il funzionario Lanza d’Ajeta scriveva al console Casertano il 18 ottobre 1938.49
C’è da credere che Mizzi abbia relegato in secondo piano le sue relazioni con Ciano allo scopo di sminuire la credibilità delle sue compromettenti dichiarazioni, contenute nel “Diario”, circa i finanziamenti ai nazionalisti.
Finanziamenti documentati senza possibilità di equivoco, malgrado tutte le comprensibili smentite, anche ufficiali.
Era appunto una smentita ufficiale quella ricevuta dall’on. Giuseppe Bettiol in risposta all’interrogazione al Ministro degli Affari Esteri, il conte Carlo Sforza, presentata alla Camera dei Deputati il 15 marzo 1949.
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Il parlamentare chiedeva quale fondamento avessero le affermazioni del giornale in lingua inglese “The Nation” del 23 agosto 1947 e del giornale in maltese “Nazion” del successivo 28 agosto, secondo cui Mizzi aveva venduto nel 1937-1938 metà della proprietà del “Malta” al governo italiano, di cui era “un salariato o assoldato”.
Il capo-gabinetto del MAE chiedeva il 20 marzo 1949 alla Direzione generale Affari Politici di preparare “un progetto di risposta scritta, con cortese urgenza”. E sollecitamente il 22 marzo il 1° Ufficio della Direzione generale Affari Politici sottoponeva al capo-gabinetto questo testo: “Non risulta che il Governo italiano abbia mai acquistato il giornale Malta né che abbia sussidiato o assoldato l’on. Avv. Enrico Mizzi”.
A questa bozza propostagli, si uniformava strettamente il conte Sforza nella risposta fornita all’onorevole interrogante.50
Proprio negli stessi giorni, il 25 marzo 1949, “The Bulletin” pubblicava una lettera che con la data del 28 febbraio l’ex console a Malta, Raffaele Casertano, citato da Ciano nel Diario come tramite per i finanziamenti a Mizzi, aveva inviato da Buenos Aires al leader nazionalista.
Casertano affermava che l’accenno di Ciano nel Diario a finanziare Mizzi era “soltanto una sua intenzione che poi non ebbe alcun seguito e della quale Egli non mi parlò più successivamente”.
L’ex console proseguiva affermando che da parte sua non si era avvalso di quella autorizzazione poiché conoscenza la “fierezza” e la “linea di condotta improntata alle più rigida indipendenza morale” di Mizzi, che non aveva mai chiesto, direttamente o indirettamente, sovvenzioni né per le elezioni né per altri scopi.
Era una smentita su tutta la linea, e su tutta la linea non veritiera, imposta dalle esigenze politiche. Anche se nessun vantaggio personale Mizzi aveva mai tratto dai finanziamenti italiani, utilizzati solo per le esigenze del partito e del giornale, sarebbe stato sicuramente lapidato dai suoi avversari con una ferocia ancora maggiore, se ci fosse stata la benché minima ammissione a conferma dell’appunto di Ciano.
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E difatti, nonostante tutte le decise smentite, gli attacchi a Mizzi sulla stampa ed in Parlamento non cessarono, neanche a distanza di molti mesi, tanto che egli avvertì la necessità di pubblicare su “The Bulletin” del 30 luglio 1949 un articolo in sua difesa, “Further reply to slanderous attack” (“Ulteriore replica ad attacchi calunniosi”).
Mizzi si difendeva attaccando frontalmente il primo ministro Boffa ed i ministri Cole e Colombo, che durante la seduta dell’Assemblea legislativa, svoltasi il 18,19 e 20 luglio avevano dato “una brillante esibizione della loro disonestà politica e vigliaccheria”. (“….a brilliant exhibition of their political dishonesty and baseness”).
Ricordava di aver già confutato le accuse rivoltegli, ma, poiché “repetita juvant”, voleva riassumere tutte le ragioni a sua difesa. Avuta per caso notizia nell’ottobre 1948 dell’accenno dedicatogli da Ciano sul suo “Diario”, Mizzi aveva pubblicato su “The Bulletin” ben 12 articoli nel giro di due mesi (16,23,30 ottobre; 13,20,27,29 novembre; 4,11,13,18,25 dicembre 1948).
Non ripeteva adesso di aver avuto negli incontro con Mussolini una piccola parte per la definizione degli accordi anglo-italiani del 1937 e del 1938, ma veniva direttamente all’affermazione di Ciano di aver “autorizzato” un finanziamento di 150.000 lire per la campagna elettorale dei nazionalisti .
Mizzi a questo punto si addentrava in sottili distinzioni lessicali, notando che il termine “autorizzato…non significa ordinato ed ancor meno eseguito un qualche ordine” (“authorized…does not mean ordered and much less carried out any order”). Conferma che mai Casertano gli aveva fatto cenno di questa autorizzazione e mai gli aveva dati sussidi; ripeteva che le ricerche negli archivi del Ministero degli Esteri, disposte dal sottosegretario Brusasca a richiesta dell’on. Fabriani, non avevano portato alla luce documenti che fossero una conferma dell’asserzione di Ciano: della lettera di Fabriani, che l’informava al riguardo, aveva già dato lettura all’Assemblea il 5 novembre 1948, quando Dom Mintoff aveva tirato in ballo il “Diario” di Ciano.
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Avuto poi l’indirizzo di Casertano in Argentina, gli aveva chiesto di attestare la verità ed aveva avuto la lettera di smentita, che al pari di quella di Fabriani era stata pubblicata su “The Bulletin”. In risposta poi agli attacchi di Boffa del 17 marzo 1949 già respinti in Parlamento e su “The Bulletin”, Mizzi ricordava che il Conte Sforza, nella risposta all’interrogazione parlamentare rivoltagli dall’on. Bettiol aveva negato che il governo italiano avesse mai acquistato il “Malta” o l’avesse stipendiato in alcun modo.
Affermazioni di cui non si poteva dubitare, dal momento che un campione dell’antifascismo quale era Sforza non aveva certo alcun interesse a difendere l’operato del governo fascista.
In quanto poi alle insinuazioni relative alla pubblicità affidata dall’ENIT al “Malta”, la lettera citata da Boffa poteva dimostrare soltanto, ammesso che fosse vera, che il governo italiano aveva raccomandato all’ENIT come ad altre ditte italiane di affidare al “Malta” inserzioni pubblicitarie, che però le ditte pagavano direttamente ed in proprio, senza alcun intervento finanziario del governo italiano.
Il protrarsi di queste avvelenate polemiche non impedì al congresso del Partito nazionalista, svoltosi il 18 settembre 1949, di confermare per acclamazione Enrico Mizzi presidente, mentre Giorgio Borg Olivier era nominato vice-presidente. Né le dispute con Mintoff impedirono a Mizzi, in un discorso pronunciato nello stesso mese di settembre all’Assemblea legislativa, di elogiarlo per il suo impegno a far entrare Malta nel piano Marshall e per l’ultimatum rivolto alla Gran Bretagna poi ritirato da Boffa.
Il console italiano, nel segnalare la conferma di Mizzi alla presidenza del partito nazionalista, osservava come l’atteggiamento di indipendenza assunto da Mintoff nei confronti dell’Inghilterra venisse a coincidere con la politica dei nazionalisti, che aspiravano per Malta ad uno status di dominion analogo a quello concesso a Ceylon.51
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Su questa coincidenza delle posizioni laburiste con quelle dei nazionalisti si esprimeva chiaramente lo stesso Mizzi nel suo articolo “I principi fondamentali del Partito nazionalista”, pubblicato sul giornale in maltese “Patria” l’11 febbraio 1950, di cui il console trasmetteva la traduzione italiana al MAE.
In vista delle elezioni che si sarebbero svolte in settembre, Mizzi esponeva i punti chiave del programma:
1) difesa della religione cattolica;
2) difesa della lingua italiana e dell’identità latina dei maltesi;
3) autonomia politica con il “Dominion Status” nel Commonwealth;
4) progresso morale, culturale, economico del popolo.
Si sottolineava poi come i laburisti fossero un partito di chiara ispirazione classista, mentre quello nazionalista era aperto a tutti. Ma non si accentuava perciò la polemica con il partito avversario, cui si tributava anzi questo significativo riconoscimento: “Ciò nonostante il partito laburista ha certamente dei punti di contatto con il partito nazionalista e potrebbe averli anche nella questione delle lingua senza compromettere il suo programma elettorale”. Erano perenni e sempre validi i motivi per cui i nazionalisti avevano difeso in passato e continuavano ancora a difendere l’uso dell’italiano: questi motivi non potevano “esser cancellati né dalla guerra né dalla politica snazionalizzatrice vigliacca e tirannica”. Senza voler muovere guerra al maltese ed all’inglese il partito nazionalista proponeva quindi l’insegnamento facoltativo dell’italiano nella scuola elementare e quello obbligatorio nella scuola secondaria e nell’università. Si proponeva di affidare l’esame della questione linguistica ad una commissione di esperti che avrebbero dovuto affrontare il problema “senza alcuna passione politica o imperiale”.
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I risultati dei lavori della commissione sarebbero stati poi valutati dal Parlamento ovvero sottoposti ad un referendum popolare. Secondo Mizzi, era già in atto una confluenza dei nazionalisti e dei laburisti sulle stesse posizioni per quanto riguardava l’autonomia, richiamandosi entrambi i partiti al “Ceylon Independence Act” del 1948.
Alla base del programma sociale dei nazionalisti permanevano le encicliche papali “Rerum novarum” e “Quadragesimo anno”.52
Le polemiche e le divergenze proprie di un periodo elettorale non fecero venir meno lo spirito antibritannico che continuò ad accomunare laburisti e nazionalisti anche nei mesi successivi.
Dom Mintoff pronunciava a Rabat il 22 luglio 1950 una violenta requisitoria antibritannica, riprendendo la minaccia di offrire agli Stati Uniti le basi maltesi in cambio di aiuti economici, se fossero venuti meno i contributi britannici contro il caro-vita. Il leader laburista aggiungeva di esser pure disposto a portare la questione di fronte all’ONU, ove avrebbe detto cose da far vergognare il governo di Londra.
Dichiarazioni duramente criticate dal “Times of Malta” che riteneva pericolosa in egual misura la vittoria di Mizzi o quella di Mintoff, significativamente posti sullo stesso piano dal giornale filo-britannico.53
Le elezioni, tanto paventate dal “Times of Malta”, si svolsero nei giorni 1-4 settembre 1950, registrando un’affluenza degli elettori alle urne del 74%; i risultati, resi noti l’11 settembre, segnarono un equilibrio di forze fra i 3 maggiori partiti, con un incremento notevole dei nazionalisti, passati da 7 a 12 seggi, sui 40 in palio; i laburisti di Mintoff ebbero 11 seggi ed altrettanti quelli di Boffa. Molto ridimensionato il partito costituzionale che era stato di Strickland, che ottenne 4 seggi, mentre un seggio andò al Partito Democratico d’Azione, nato da una scissione nazionalista, ed un seggio l’ottenne un candidato indipendente.
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Il console Scaduto comunicava al MAE questi risultati il 16 settembre; attribuiva il successo nazionalista alle promesse di sgravi fiscali ed al malumore antibritannico, che aveva penalizzato i filo-britannici costituzionalisti, cui non avevano giovato neanche le incaute accuse di esser antibritannici rivolte da Mabel Strickland sia a Mizzi che a Mintoff.
Esclusa l’ipotesi di nuove elezioni, l’equilibrio dei risultati rendeva possibili varie soluzioni per la formazione del governo: si poteva arrivare ad un accordo tra Mizzi e Mintoff ovvero tra Mintoff e Boffa; non era neanche esclusa la possibilità di un governo di unione nazionale, in vista della crisi economica da tutti ritenuta inevitabile con l’esaurimento dei contributi britannici per i danni di guerra.54
Alla fine si adottò una diversa soluzione: fu costituito un governo di minoranza di soli nazionalisti, con Enrico Mizzi presidente del Consiglio e ministro della Giustizia; Borg Olivier ebbe il ministero dell’Educazione nazionale. L’inaugurazione della legislatura fu fissata per il 16 ottobre 1950, alla presenza del Governatore che avrebbe pronunciato il tradizionale discorso sul programma di governo.55
A coronamento della sua lunga carriera politica, costellata di vittorie e sconfitte, Enrico Mizzi arrivava quindi al vertice del governo maltese, anche se vi sarebbe rimasto per poco tempo, poiché la morte era in agguato: a distanza di qualche mese, il 20 dicembre 1950 Enrico Mizzi morì.
Durante il suo breve mandato di presidente del Consiglio dei ministri, ebbe ancora modo di provare nuove amarezze.
Partito il console Scaduto, gli era subentrato Vittorio Bacci di Capaci, che non mancava di informare il MAE il 6 novembre 1950 sulle visite effettuate al suo arrivo a Malta.
Il 4 novembre aveva incontrato il Governatore, Sir Gerald Creasy, il luogotenente governatore Campbell ed altri funzionari governativi, da lui definite “persone corrette e con le quali sarà sempre possibile trattare ed intendersi”.
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Era stata poi la volta dell’arcivescovo, mons. Gonzi, che lo aveva impressionato per la “interessante e volitiva personalità, che si può facilmente notare nella sua fragile apparenza”.
Toccò poi a Mizzi incontrare il console italiano. Il leader nazionalista in quell’occasione accennò alle difficoltà del suo governo, che egli avrebbe comunque affrontato per progredire sulla via dell’indipendenza e per evitare “passi indietro”.
Bacci di Capaci nel suo rapporto prevedeva che Mizzi avrebbe seguito una politica decisamente nazionalista, che trovava sostenitori anche in altri partiti, evitando però di arrivare ad una rottura con l’Inghilterra, che avrebbe comportato la revoca della Costituzione. Mizzi riteneva prossime le elezioni anticipate e, parlando dei rapporti con l’Italia, aveva detto al console “più tardi avrò bisogno di Voi”.
Il console lasciò cadere l’approccio, divagando sulla partecipazione italiana alla politica di collaborazione europea, nel cui quadro poteva meglio svilupparsi un’intesa anglo-maltese.
Questa scostante diffidenza trovava l’approvazione del Direttore generale degli Affari Politici, che il 18 novembre in via riservata manifestava il suo plauso al console, cui scriveva: “…il tuo riserbo di fronte a certe dichiarazioni che sapevano di “avances” è stato pienamente approvato. Inutile aggiungere che, il giorno in cui qualcuno ti specificasse come e perché avrà bisogno di noi, occorrerà raddoppiare il riserbo e la prudenza”.56
Il tempo di specificare “come e perché” avrebbe avuto bisogno dell’Italia, Mizzi non l’ebbe.
Della sua scomparsa dava asciuttamente notizia il 21 dicembre 1950 in un necrologio il “Times”, che affermava che scopo costante della sua vita era stato “la sostituzione della bandiera italiana a quella britannica a Malta” (“The substitution of the Italian for the British flag in Malta”). Si ricordavano poi la sua condanna del 1917 ed il suo perseverare nella politica filo-italiana e poi filo-fascista nonostante il condono della pena accordatagli; il
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sostegno alla diffusione della lingua e cultura italiana a Malta, che favoriva la propaganda irredentista; l’internamento in Uganda durante la seconda guerra mondiale.
Da ultimo si accennava alla lieve maggioranza relativa ottenuta da Mizzi nelle elezioni del settembre 1950 ed alla formazione del suo governo di minoranza.57
Miglior sorte era toccata nel 1905 a Fortunato Mizzi, cui, in occasione della sua scomparsa, le autorità britanniche avevano reso l’onore delle armi, riconoscendogli il sincero attaccamento ai propri ideali ed il personale disinteresse, che furono propri anche di Enrico Mizzi.
Un riconoscimento aperto e leale alla memoria di Enrico Mizzi pervenne invece da parte di Dom Mintoff, che pure era stato un suo deciso avversario ed implacabile accusatore e che il 22 dicembre 1950 così volle commemorarlo all’Assemblea legislativa: “Malta ricorderà Enrico Mizzi non per le sue vedute che non tutti condividevano, ma perché, pur subendone di tutti i colori, dalla deportazione alla Corte marziale, agli insulti, ai tradimenti, egli non cambiò mai d’opinione, ma rimase l’uomo dal carattere ferreo, rimase Maltese, il più forte dei Maltesi”.58
Particolarmente ignorata dalla stampa italiana la scomparsa di Mizzi: solo il “Corriere d’Informazione” ne diede notizia con un breve trafiletto puramente cronachistico apparso sull’edizione della notte (la meno diffusa) del 20 dicembre 1950; notizia non più ripresa nelle edizioni del giorno successivo, né del “Corriere della Sera” né dello stesso “Corriere d’Informazione”.
Un riconoscimento pervenne invece, alcuni anni dopo, da parte del Comune di Roma, che con delibera della Giunta municipale n. 4705 in data 21 agosto 1957 intitolava una via del quartiere Portuense a “Enrico Mizzi. Patriota (1885-1950)”.
Una via poco discosta porta il nome di Santorre di Santarosa, un altro “cavaliere dell’ideale”, quale fu definito Enrico Mizzi.
Una vicinanza che avrebbe certo fatto piacere al leader maltese.
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Con la scomparsa di Enrico Mizzi si chiuse un’epoca, ma non si arrestò il progressivo ritorno della tradizionale presenza culturale italiana a Malta.
Ma in questa nuova fase storica non si può più parlare di lotte per l’egemonia culturale tra le due nazioni, l’Italia e l’Inghilterra, che si erano a lungo affrontate per assicurarsela, venendo ad essere la lingua maltese il classico vaso di coccio tra vasi di ferro, umiliata in un ruolo di assoluta subordinazione, considerata utile soltanto per le necessità spicciole della vita quotidiana.
Oggi si deve parlare di cooperazione culturale ed economica, e non più di aspirazioni egemonistiche da parte di chiunque.
Lo stato sovrano maltese, che veniva a coincidere con l’affermazione di una individualità nazionale, è sorto attraverso varie tappe, dalla proclamazione dell’indipendenza avvenuta nel 1964, alla nascita nel 1974 di una repubblica che poneva fine alla sovranità della monarchia britannica, fino alla chiusura della base militare ed alla partenza dell’ultimo soldato britannico da Malta, il 31 marzo 1979.
A questo processo politico si è unito l’acquisto di una dignità culturale da parte del maltese.
La Costituzione promulgata il 21 settembre 1964 riconosce il maltese come lingua nazionale ed accanto ad esso l’inglese come lingua ufficiale: è un lascito dell’amministrazione britannica oltre che una necessità per i rapporti internazionali.
Il maltese è divenuto lingua letteraria e culturale ed è usato nella liturgia cattolica.
La carta costituzionale maltese lascia però la porta aperta all’adozione di una terza lingua ufficiale, che non potrebbe essere che l’italiano, con il voto favorevole di due terzi del Parlamento.
Eventualità finora non verificatasi e da molti ritenuta improbabile, anche se non sono mancate le voci favorevoli. Ha pesato negativamente, e non poco, il ricordo della propaganda fascista a
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sostegno dell’uso dell’italiano, cui peraltro non faceva riscontro un serio impegno politico, che andasse al di là di proclami gonfi di retorica. Ha osservato uno studioso maltese di formazione italiana, Giovanni Mangion, a proposito della perdita di ruolo di lingua ufficiale e culturale da parte dell’italiano: “Paradossale, ma vero: ciò che gli Inglesi non erano riusciti a fare nell’arco di un secolo a causa della instancabile tenacia dei maltesi, lo fece il fascismo nel giro di vent’anni”.59
Ma l’interesse dei maltesi per l’italiano, attenuatosi il ricordo del ventennio fascista e dei rancori suscitati dai bombardamenti italiani, permane sempre vivo ed attuale.
Non è più condizionato, però, da pregiudiziali politiche: sotto l’amministrazione britannica l’uso dell’italiano era un’affermazione della propria individualità storica, così come per la Chiesa cattolica esso costituiva una difesa contro il supposto rischio di una divulgazione del protestantesimo, legata all’uso dell’inglese.
Tramontato il dominio britannico, queste ragioni sono venute meno e l’interesse per l’italiano è dovuto esclusivamente a motivazioni culturali.
Nel dibattito parlamentare del 4 giugno 1966 il primo ministro Giorgio Borg Olivier affermava che non bisognava respingere prestiti di altre lingue al maltese, in particolare se provenienti dall’italiano.
Non era opportuno, per Borg Olivier, creare neologismi maltesi che a volte finivano per essere ridicoli: conoscere l’italiano aiutava anche a parlare bene il maltese.
Questa discussione, sorta per stabilire se fosse utile per gli stenografi parlamentari la conoscenza dell’italiano, si arricchì anche dell’intervento del capo dell’opposizione laburista, Dom Mintoff, che riconosceva l’utilità di apprendere altre lingue, ma non esclusivamente l’italiano; anche se poi il leader laburista in un articolo apparso nello stesso anno 1966 sulla rivista “Voice of Malta” ammetteva che l’italiano era la lingua più congeniale ai maltesi: “E’ innegabile che noi lo apprendiamo più facilmente che qualsiasi altra lingua nordica”.60
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Né sono mancate da parte italiana chiare prese di posizione attestanti l’interesse per una presenza culturale a Malta. In occasione del 55° congresso internazionale della “Dante Alighieri”, svoltosi a Siracusa nel 1960, il professor Antonio Di Pietro, docente di lingua e letteratura italiana nell’Università di Malta, ricordava i vincoli storici, culturali e geografici tra Malta e l’Italia, che non potevano essere recisi o ignorati per ragioni di pura opportunità politica.
La relazione di Di Pietro, oltre che negli atti del congresso della “Dante”, fu poi pubblicata su “Cultura e Scuola” nel 1962 e sulla rivista maltese “Il Ponte” nel numero dell’aprile 1965.
A quest’ultima pubblicazione replicò sulla “Voice of Malta” Dom Mintoff, obiettando che più delle antiche tradizioni contavano i recenti rapporti di cooperazione intercorsi tra Malta e la Gran Bretagna, espressi anche sotto forma di un contributo di idee.
Un altro studioso italiano, Oronzo Parlangeli, si è occupato dell’uso dell’italiano a Malta, istaurando un interessante parallelo tra la situazione linguistica di Malta e quella di altre realtà in cui lingue diverse entrano in contatto. E’ i caso, ad esempio, di Alghero, dove coesistono italiano e catalano, o del Salento, dove accanto all’italiano, lingua ufficiale e di maggioranza, è ancora parlato il grecanico. Secondo Parlangeli la differenza con Malta è costituita soprattutto dal fatto che nell’isola era presente un’amministrazione britannica, che comportava l’uso dell’inglese come lingua ufficiale. Ma accanto a questa differenza certo non trascurabile, occorre osservare che ne esiste un’altra di non minore importanza: il maltese era ed è la lingua nazionale, conosciuta dalla totalità degli abitanti, mentre il catalano ad Alghero o il grecanico nel Salento rappresentano piccole enclaves linguistiche ereditate dal passato, ma non sono certo le lingue nazionali di quei luoghi.
Più calzante appare il paragone istaurato dallo stesso studioso tra Malta ed il Lussemburgo, dove la lingua di cultura non è quella nazionale, ma il francese; o tra Malta e l’Irlanda, la cui lingua nazionale, il gaelico, è meno diffusa dell’inglese, importato con il dominio politico britannico e quindi malvisto dagli indipendentisti, ma comunque accettato per la sua universale diffusione.
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Parlangeli conclude la serie delle comparazioni citando il caso di Pantelleria. Malta sarebbe stata italiana in egual misura se fosse stata unita all’Italia nel periodo risorgimentale, e per contro Pantelleria sarebbe divenuta araba o inglese, se non fosse stata unita, assieme alla Sicilia, al Regno d’Italia.
In definitiva, Parlangeli ritiene possibile un ritorno dei Maltesi al trilinguismo, unendo l’italiano alle attuali lingue ufficiali, maltese e inglese, come consentito dalla Costituzione.61
Possibilità non esclusa anche da uno studioso britannico, Stewart Perowne, nel supplemento dedicato a Malta nel 1968 dal Times.
Ma, riconoscimenti istituzionali a parte, l’italiano ha comunque continuato a permeare di sé la realtà culturale e sociale di Malta.
Un nuovo e potente mezzo di penetrazione culturale è stata la televisione. I programmi italiani, entrando in quasi tutte le case, hanno permesso una larga divulgazione della lingua, oltre che dei contenuti socio-culturali. E nella scuola pur avendo perduto da tempo il privilegio di essere la lingua veicolare dell’insegnamento, l’italiano ha conservato una forte presenza.
Fino al 1970 esso era studiato a partire dalle scuole elementari. Oggi è rimasto nelle scuole secondarie, dove le statistiche relative all’anno scolastico 2000-2001 registrano una percentuale di studenti che hanno scelto l’italiano, in alternativa al francese, come lingua straniera, pari complessivamente all’ 80% per cento, cioè 6645 allievi su 8300 (distinguendo per sesso, il 78,3% delle ragazze, cioè 3100 su 3960; e l’81,7% dei ragazzi, cioè 3545 su 4340).
Nel 1981 è stato creato a Malta lo “junior lyceum”, scuola di specializzazione, cui si accede per esami, con due indirizzi: linguistico e scientifico. Nell’indirizzo linguistico le possibilità di scelta di una lingua straniera sono molto più ampie che nella scuola secondaria: oltre che tra italiano e francese (come avviene nella scuola secondaria) è possibile scegliere anche tra spagnolo, tedesco, russo ed arabo. Ne deriva che il numero di coloro che scelgono l’italiano
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è inferiore rispetto a quello della scuola secondaria: sempre riferendosi all’anno scolastico 2000-2001, hanno scelto l’italiano 4416 allievi su 9238, pari al 47,8%.
Dati più analitici danno per le ragazze una percentuale del 42,15% (2372 allieve su 5630), di cui il 22,75% (1281 allieve) è formato da quelle che hanno iniziato a studiare l’italiano fin dalla prima classe ed il 19,4% (1091 allieve) da quante hanno iniziato tale studio a partire dalla terza.
Più elevate le percentuali maschili; 56,7% (2044 ragazzi su 3608), di cui il 45,6% (1645 ragazzi) ha iniziato lo studio dell’italiano dalla prima classe e l’11,1% (399 ragazzi) dalla terza.
La percentuale complessiva, fra scuola secondaria e “junior lyceum”, è stata così nell’anno scolastico 2000-2001 del 63% (11050 allievi su 17538), distinta nel 57% per le ragazze (5742 su 9590) e nel 70,2% per i ragazzi (5578 su 7948).
In questo quadro statistico non sono compresi 1042 allievi (326 ragazze e 716 ragazzi) delle scuole professionali (“Opportunity centres”), in cui non si studia l’italiano.
Tenendo conto di questa ulteriore realtà, il totale degli allievi arriva a 18580 (17538 tra scuola secondaria e “junior lyceum” + 1042 delle scuole professionali) per cui gli 11050 studenti d’italiano rappresentano il 59,5%.
La formazione dei futuri insegnanti d’italiano è assicurata dalla facoltà di Magistero, mentre il Dipartimento d’italiano presso la facoltà di Lettere dell’Università della Valletta si dedica alla ricerca scientifica.62
Sono rinate inoltre a Malta le istituzioni culturali italiane.
Nel 1959, sotto la presidenza dell’avvocato Giorgio Zammit, è risorto il Comitato Maltese della Società Nazionale “Dante Alighieri”, già istituito nel 1912 per impulso di Enrico Mizzi, che ne fu presidente, e subito cessato nel 1913.
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Nel 1971 è stato riaperto, con sede provvisoria presso l’Ambasciata d’Italia, l’Istituto Italiano di Cultura, già attivo a Malta negli anni 1932-36.
Una sede propria e di grande prestigio, inaugurata dall’allora ministro degli Esteri Aldo Moro, l’Istituto l’ha avuta nel 1974 presso lo storico edificio della vecchia cancelleria dell’Ordine di Malta, costruito nel 1602 per volontà del Gran Maestro Alof de Wignancourt.
Ma la presenza italiana a Malta è legata nel modo più significativo ai quattro accordi finanziari per la cooperazione italo-maltese, di cui le iniziative culturali formano un importante capitolo.
Il primo accordo risale agli anni 1979-1983; dopo un intervallo di quattro anni è seguito il secondo accordo per gli anni 1987-90 e poi, senza soluzione di continuità, si sono avuti il terzo che riguarda gli anni 1990-1994 ed il quarto attinente gli anni 1995-2000.
Con i finanziamenti italiani si è provveduto anzitutto a sistemare il museo nazionale della Valletta.
Le risorse fornite dal secondo protocollo sono state utilizzate per elaborare il piano regolatore della stessa città, necessaria premessa per la sua inclusione tra i centri che costituiscono il Patrimonio dell’Umanità riconosciuto dall’UNESCO.
Anche la ricca documentazione sulla storia di Malta, dall’epoca dei Cavalieri al periodo coloniale britannico, è stata riordinata grazie ai fondi provenienti dai protocolli d’intesa con l’Italia, oltre che dal governo Maltese.
Il terzo accordo finanziario ha consentito l’istituzione di un laboratorio per il restauro del libro, che si avvale della cooperazione tecnica e scientifica dell’Istituto per la Patologia del Libro “A. Gallo” di Roma.
Il quarto protocollo ha previsto poi il restauro di insigni opere d’arte della co-cattedrale San Giovanni a La Valletta, quali il reliquario di Ciro Ferri, la decorazione bronzea del Gloria, dietro l’altare maggiore, la cornice della tela del Caravaggio “San Giovanni decollato”.
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E’ stato pure avviato il restauro della Chiesa Santa Caterina d’Italia, edificata nel 1574, curato dal reparto restauri del Dipartimento Maltese dei Lavori Pubblici, in collaborazione con il Dipartimento di Architettura e Pianificazione Territoriale dell’Università di Bologna.
Sempre in collaborazione con l’Università di Bologna è prevista la manutenzione ed il restauro dei forti e della cinta muraria posti intorno a la Valletta ed al Grande Porto.
La collaborazione con l’Università di Bologna è giovata anche alla formazione di tecnici maltesi esperti nel restauro. Formazione che sarà assicurata in modo organico e permanente dal “Malta Center for restoration”, sorto nel maggio 2000, che organizza corsi quadriennali di belle arti e di restauro di opere in pietra, in metallo, in ceramica, di tessuti, di libri e materiale cartaceo.
Questo centro maltese è sorto con l’assistenza dell’Istituto Centrale per il Restauro di Roma e dell’Istituto per la Patologia del Libro.
A questo vasto programma di iniziative culturali si è unito un intervento nel campo dell’istruzione, fin dal primo protocollo che prevedeva l’invio di insegnanti e di istruttori italiani per la formazione professionale, oltre che di attrezzature e di macchine utensili.
Numerose le borse di studio, alcune delle quali finanziate dal 1996 in base al quarto accordo finanziario, per gli studenti che vogliono frequentare università italiane; ogni anno ne fruiscono circa 50 studenti di varie facoltà (giurisprudenza, ingegneria, lettere, medicina).
In base al terzo ed al quarto protocollo è stata istituita una cattedra italiana di Diplomazia e Relazioni Mediterranee presso la “Mediterranean Accademy for Diplomatic Studies” dell’Università Maltese, che ha pure intensificati i suoi rapporti con le università di Roma, Bologna, Milano, Reggio Calabria, Catania, oltre che con la Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (SIOI) e con l’Istituto Affari Internazionali (IAI).63
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La presenza culturale maltese in Italia è assicurata dalla “Link Campus University of Malta”, che ha aperto la sua sede romana nel 1998.
L’università maltese offre corsi di laurea e formazione post-laurea in giurisprudenza ed in economia. Il limitato numero di studenti (circa 150 di varie nazionalità) consente un rapporto ottimale con i docenti, assicurando un insegnamento personalizzato a carattere seminariale, che si svolge a tempo pieno.
Un accordo con la seconda università di Napoli consente il rilascio di titoli congiunti per i corsi di laurea di “International Management”, “International Legal Affairs” e “International Studies”, per cui alla fine dei loro studi gli studenti ottengono un titolo riconosciuto in Italia come laurea di primo livello o come laurea specialistica, nel caso che essi abbiano seguito i corsi di Master biennali, successivi al primo triennio di studi.
Al contempo essi vengono in possesso di un titolo analogo al britannico “Bachelor of Arts” (BA), ovvero al Master (sempre che abbiano frequentato i corsi biennali successivi al triennio).
Rinnovate nel corso della storia, rinsaldate oggi da un rapporto democraticamente paritario, le relazioni culturali e politiche tra l’Italia e Malta costituiscono un fondamento della realtà mediterranea, un tassello di quella Unione Europea di cui Malta ormai fa parte.
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