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Antonio Balsemin Vèneto mio IntraText CT - Lettura del testo |
La passione di Balsemin per la terra di origine, per il “dialetto” o meglio, piuttosto, per la dolce lingua materna veneta-vicentina un po’ sorprende e un po’commuove: l’ha maturata all’ombra del Campidoglio, dopo una vita trascorsa a Roma, che ama e de cui conosce ogni angolo.
Ha scritto poesie, in quella lingua, ha scritto racconti e anche normali articoli di giornale. Il veneto-vicentino è un altro modo per lui, intimo e affettuoso, di parlare e quindi di scrivere l’italiano.
Ora ci propone “Vèneto mio" (Appunti grammaticali e ortografici in veneto-vicentino). Sono annotazioni serie, ma anche di gustosa lettura per il mondo vivace, vicino ai campi, ai giochi, ai mestieri, che spesso rivelano. Il veneto del resto avrebbe potuto essere una lingua vera e propria, una lingua neolatina in più. Per secoli fu usata, infatti, nelle relazioni e nei commerci tra isola e costa, nei mari Adriatico, Jonio, Egeo e di Levante. Gli ambasciatori veneziani, nella loro corrispondenza con San Marco, ne fecero uno strumento acuto e prudente di valutazione psicologica e politica.
Poi Dante, a Firenze, all’unità nazionale per secoli soltanto (ma almeno!) linguistica, Venezia sacrificò generosamente l’alternativa al toscano che era il parlare del suo popolo. Anche per questa rinuncia dobbiamo esserle grati. E Goldoni scrisse “La locandiera” in toscano. Ma grazie pure a Balsemin romano-vicentino, per la nostalgia che nutre verso la lingua materna.
(Presidente della Società Dante Alighieri)