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Antonio Balsemin
Vèneto mio

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Gli ACCENTI (scheda n° 7)

DEFINIZIONE

L’accento è un piccolo segno grafico che indica su quale vocale cade l’accento tonico (con maggior forza). Mentre è possibile scrivere un termine senza l’uso dell’accento grafico è, invece, impossibile, per chiunque, leggere un termine, di qualunque natura esso sia, senza servirsi dell’accento tonico. Mi si scusi la pignoleria, ma credo sia opportuno puntualizzare che ogni termine, (sia esso breve o lungo, maschile o femminile, singolare o plurare, detto sostantivo, aggettivo, verbo, avverbio, che rientri nella classificazione di monosillabo, bisillabo, trisillabo, quadrisillabo, pentasillabo, che sia denominato tronco, piano, sdrucciolo, bisdrucciolo ecc.), ha il proprio accento tonico. Attenzione, se non per tutti i termini è necessario l’uso dell’accento grafico, per determinati termini, invece, la sua apposizione è indispensabile. È compito e dovere di chi redige la grammatica precisarne l’uso e la finalità. Non solo per gli stranieri, ma anche per gli italiani sarebbe opportuno accentare, sempre, determinate parole omonime, ma non omofone (ambivalenti) come: àncora - ancòra, pèsca - pésca, àmbito – ambìto, nòcciolo – nocciòlo, nèttare - nettàre ecc. Nel voler migliorare un qualcosa, non bisogna accontentarsi di far meglio di uno che fa ‘benino’, ma, invece, partire da quel poco di buono in più e perfezionarlo. Vista la limitata confusione possibile in ‘lingua italiana’ e l’ampia nel ‘dialetto veneto’, non si deve partire da come fa l’altro o accontentarsi di far in po’ meglio dell’altro, ma, per quanto è possibile, in maniera irreprensibile. Nel rimanere in attesa di tale adeguamento o di delucidazioni precise da parte delle Autorità competenti, seguo e pratico la teoria del prof. S. Belloni, vale a dire, quella di accentare, anche, le parole venete uguali alle parole italiane come: ìsola (dia.) = isola (it.), pòpolo (dia.) = popolo (it.), régola (dia.) = regola (it.), órdine (dial.) = ordine (it.), vèneto (dial.) = veneto (it.) ecc. Il complesso tema ‘accento’ è trattato, anche, nelle schede n° 1 e  n° 4. [Questo e il mio pensiero: il ‘dialetto veneto’ non dipende dal ‘dialetto toscano-fiorentino’ (oggi ‘lingua italiana’) perché, entrambi i


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due ‘dialetti romanzi’, procedono dalla comune madre lingua, la ‘lingua latima’e sono convinto dell’autonomia del veneto!] Breve nota. [“[ Il termine accento deriva dal latino accentus; il termine tonico (di pari senso e valore) equivale a suono (lat. sonus) [abbassamento o innalzamento (del tono o suono) della voce]; il termine grafico deriva dal greco (grafia = scrittura) e trattasi dell’applicare un piccolo segno convenzionale, concernente la scrittura ]”].

 

PRELIMINARE

L’appropriato uso dell’accento, quando si scrive in corretto ‘dialetto veneto’ = ‘lingua veneta’, evidenzia e conferma la particolare ‘musicalità’ che, assommata all’arguzia dei veneti, fa della parlata veneta uno degli idiomi più armoniosi del mondo.

 

COSA FATTA, CAPO A.

Tutti sappiamo che i grafemi vocalici, cioè, le vocali, sono cinque, come nella lingua italiana: a, i, o, u, e.  Ma, attenzione, nel ‘dialetto veneto’ i grafemi vocalici sono sette, perché sette sono i fonemi possibili: a, i, o (ò aperta, evidenziata con accento grave e ó chiusa, evidenziata con accento acuto), e (è aperta, evidenziata con accento grave e é chiusa, evidenziata con accento acuto). Ecco, quindi, che le vocali a disposizione nel nostro dialetto sono: a, i, ó, ò, u, é, è.  Le vocali a, i, u se sono accentate, portano un unico accento (acc. g.): sentà, magnà, scoltà, sonà ecc. \-/ lì, dì, sì, cussì ecc. \-/ sùcaro, (sùsta, sùgo, narànsa, creànsa, pànsa (essendo parole piane), non vanno accentate -) \-/  capìo, sentìo, partìo (essendo verbi), vanno accentati ecc.

 

UNA REGOLA FISSA

Nel ‘dialetto veneto’ il capitolo accenti è complesso e per renderlo fluido è necessario conoscerne a fondo le regole. Sono convinto che un bravo scrittore in ‘dialetto veneto’, che gode familiarità con l’accentazione, non ha problematiche per agevolare colui che non ha dimestichezza o non conosce a fondo tale dialetto. Personalmente, partendo da questo punto di vista, adotto il principio ‘nel dubbio, meglio


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un accento in più che uno in meno’ (sempre, però, che sia usato correttamente o che serva a chiarire una qualche problematica).

 

PERSONALITÀ DELL’ACCENTAZIONE VENETA

Due sono i tipi d’accento: accento tonico e accento grafico. L’accento tonico  è rilevabile solamente dal ‘tono’ (la voce). L’accento grafico, invece, va segnato sopra la lettera sulla quale si posa il ‘tono’ (la voce). L’accento può essere grave o acuto. L’accento grave ha suono aperto: bòte = percosse \-/ l’accento acuto ha suono chiuso: bóte = botte (del vino).

 

INDICAZIONI DI BASE PER L’ACCENTAZIONE (sia chiaro: propongo, non impongo)

A)   Le parole tronche, che portano l’accento tonico sull’ultima sillaba, richiedono l’accento grafico solo se terminano per vocale. Es.: parché = perché / cussì = così / inrabià = irato ecc.  Non portano, invece, alcun accento grafico le parole tronche che terminano in consonante (trattandosi, in genere, di parole che, in origine, sono piane). Es.: contadin = contadino / nissun = nessuno / osmarin = rosmarino ecc.

B)    Le parole piane (e sono la stragrande maggioranza), che portano l’accento tonico sulla penultima sillaba, non hanno bisogno dell’accento grafico (salvo per quei casi nei quali si possono creare delle confusioni). Es. (non serve): casa = casa / tola = tavolo / mantile = tovaglia / cuciaro = cucchiaio \-/ Es. (serve, invece, per) sòto =  zoppo, sóto = sotto / bigòlo = arnese particolare, bìgolo = spaghetto (di pasta) ecc.

C)   Le parole sdrucciole, che portano l’accento sulla terzultima sillaba, devono sempre essere accentate. Es.: cógoma = bricco / bìgolo = spaghetto (tipo di pasta) / lugànega = salsiccia / sùcaro = zucchero / mùsica = musica / bùbola = truciolo ecc.

D)   Le parole bisdrucciole, che portano l’accento sulla quart’ultima sillaba, devono sempre essere accentate. Es.: disémoghelo = diciamoglielo / portémoghene = portiamogliene ecc.

 

LA BUONA VOLONTÀ (almeno da parte mia e mi spiego)

In mancanza di regole certe e, poiché ritengo che l’accento sia


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un’indicazione qualificante il ‘dialetto veneto’ = ‘lingua veneta’, lo uso, anche, in parole sdrucciole, che non ne avrebbero propriamente bisogno: òmeni, sùcaro ecc. e, (come suggerisce il prof. S. Belloni, pag. 47, 48, 49), anche, in parole italiane: vèneti, Vèneto, ìsola, pòpolo, òrdine, àngelo ecc. Questo agire può sembrare una stravaganza, un di più, un superfluo, però conferma una ‘ipotetica’ regola (che può essere studiata e, sì o no, se codificata, valevole per tutti).

 

COERENZA

Nei miei scritti, non riporto alcun accento inutile come, per es., nei monosillabi: xe (è), go (ho), ga (ha), do e du (due), un e on (uno), tri (tre), va (vai), pi (pì), pra (prà), bo (bò), si (sì),  ecc. Tengo a precisare che solamente usando l’accento, determinati termini come: verbi, preposizioni, aggettivi, particelle ecc. possono assumere il loro ruolo inequivocabile. Ne elenco alcuni fra i più comuni.

Es.: sa = se (cong.) (Sa te credi de... = Se credi di...). / (verbo di sapere – savere -) (Tonio el ca a só stufo. = Antonio sa che stono stufo.) \-/ se (part. sem.) (Se te piase... = Se ti piace...) – se (part. pron. rifl.) (Tuti i se veste. = Tutti si vestono.) –  (s. f.) = sete. (Stò morendo de . = Sto morendo di sete.) \-/ ve = vi (pron.) (Ve ricordéo de...? = Vi ricordate di...?) – = andate (verbo di andare, nare) – farve benedire! = (Voi) andate in malora!) \-/ si (dial.) =(it.) (affermazione positiva). [“[ Personalmente, in questo caso di corretta scrittura veneta, scrivo in contrasto con l’italiano e metto il puntino su si (avverbio d’affermazione) – [dial. si (puntinato) = it. (accentato)]. Così scrivendo, difendo la ‘indipendenza’ specifica del ‘dialetto veneto’ e posso, con certezza, distinguere il suo omonimo del verbo èssere. Es.: Gheto studià? Si (dial.) = Hai studiato? (it.). /// Ti te (dial.) on brao studente. = Tu sei un bravo studente ]”]. Nelle due forme linguistiche, però, il si (settima nota della scala di do), va scritto uguale. [L’italiano si guarda bene dal creare confusioni e difende la sua esatta ortografia. Per tale motivo, la 3a persona sing. del verbo ‘dare’, , lo riporta accentato, così da poterlo distinguere dal termine omonimo, la part. sem., da. Es.: Antonio viene da Vicenza. - Antonio


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i numeri.]. \-/ , a ... (verbo di ’nare = andare) / na = una (agg. num. card.). Jeri a só a Vicensa. = Ieri sono andato a Vicenza. / Dame na saresa. = Dammi una cigliegia. \-/ (verbo di dare = dare) / do = due (agg. num. card.). Se te studi te dò do pumi. = Se studi ti do due mele. \-/ (verbo di fare = fare) / fa (prep. sem.). Tonio, la lession. = Antonio, fai i compiti. / A só rivà n’ora fa. = Sono arrivato un’ora fa. \-/ stò (verbo di stare) = sto / sto (agg. dim. o pron. dim.). Mi stò chì. = Io sto qui. / Sto pomo el xe smarzo. = Questa mela è marcia. \-/ stà (verbo di stare = stare) / sta (agg. dim. o pron. dim.). (Ti) stà chì. = (Tu) stai qui. / Sta ua la xe crua. = Quest’uva è acerba.) \-/ stè (verbo di stare) = state / ste (agg. dim. o pron. dim.) (Voialtri) stè sentà. = (Voi) state seduti. / Ste margarite le xe fiape. = Queste margherite sono appassite.) ecc.

 

REPETITA IUVANT = RIPETERE I CONCETTI, GIOVA

Non appena le autorità competenti forniranno dati certi, così da mettere tutti gli scrittori in veneto all’unisono, nessuno dovrà, di conseguenza, fare il volubile o l’accondiscendente, ma dovrà semplicemente metterle in pratica, e io saro il primo. In attesa, suggerisco le seguenti soluzioni (già dette):

1)      Le parole tronche, che finiscono per vocale, vanno sempre accentate;

2)      Le parole piane, non vanno mai accentate (salvo che nei casi di omonimia);

3)      Le parole sdrucciole, vanno sempre accentate (fintantoché le autorità competenti non daranno regole precise);

4)      Le parole bisdrucciole, vanno sempre accentate.

 

(Pensierin) - Dante, criticando ‘i voltagabbana’ o i ‘voltafaccia’o i ‘indecisi’, così scrisse ... ch’or vien quinci e or vien quindi, e muta nome perché muta lato. (Purg., 11, 101-102).

 

Exempla claudicant (i esempi i xe sóti), ma faccio egualmente un esempio: ‘Tante persone raggruppate in coro, se cantano seguendo lo spartito e il maestro, creano un’eufonia, se cantano a indole propria, creano cacofonia!’

 

 


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Un detto latino. Horae quidem cedunt et dies et menses et anni; nec praeteritum tempus unquam revertitur; nec quid sequatur sciri potest. (Cicerone, Cato mai., 69). = Xe propio vèro, le ore le passa e i mesi e i ani e, el tenpo passà, no ’l retorna pi e, qual tenpo che ’l sarà, no lo podemo saver. =  In verità, le ore scorrono e i mesi e gli anni e, il tempo trascorso non ritorna più e, il tempo avvenire, non lo possiamo conoscere.

 

Zonta = aggiunta. Chi che ga tenpo, no ’l speta tenpo! Chi ha tempo, non aspetta tempo!

 




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