- Regnava allora sull'Assam, -
cominciò Yanez, - il fratello dell'attuale rajah, un principe perverso, dedito
a tutti i vizi, che era odiato da tutta la popolazione e soprattutto dai suoi
parenti, i quali non si sentivano mai sicuri di riveder l'alba del domani. Quel
principe aveva uno zio che era capo di una tribù di kotteri, ossia di
guerrieri, uomo valorosissimo che più volte aveva difese le frontiere assamesi
contro scorrerie dei birmani e che perciò godeva una grande popolarità in tutto
il paese.
Sapendosi mal visto dal nipote,
il quale si era fisso in capo, senza motivi però, che congiurasse contro di lui
per carpirgli il trono e derubarlo delle sue immense ricchezze, si era ritirato
fra le sue montagne, in mezzo ai fedeli suoi guerrieri.
Quel valoroso si chiamava Mahur;
ne avete mai udito a parlare, Eccellenza?
- Sì, - rispose asciuttamente
Kaksa Pharaum.
- Un brutto giorno la carestia
piombava sull'Assam. Quell'anno nemmeno una goccia d'acqua era caduta ed il
sole aveva arsi i raccolti.
I bramini ed i gurus1
indussero allora il rajah a dare in Goalpara una grandiosa cerimonia religiosa,
onde placare la collera delle divinità.
Il principe vi annuì di buon
grado e volle che vi assistessero tutti i parenti che vivevano disseminati nel
suo stato, non escluso suo zio, il capo dei kotteri, il quale, di nulla
sospettando, aveva condotto con sé oltre la moglie, i suoi figli, due maschi ed
una bambina che chiamavasi Surama.
Tutti i parenti furono ricevuti
cogli onori spettanti ai loro gradi e con grande cordialità da parte del
principe regnante ed alloggiati nel palazzo.
Compiuta la cerimonia religiosa,
il rajah offrì a tutti i suoi parenti un banchetto grandioso, durante il quale
il tiranno, come già gli accadeva sempre, bevette una grande quantità di
liquori.
Quel miserabile cercava di
eccitarsi, prima di compiere una orrenda strage, già forse meditata da lungo
tempo.
Era quasi il tramonto ed il
banchetto, allestito nel gran cortile interno del palazzo che era tutto cintato
da alte muraglie, stava per finire, quando il rajah, non so con quale scusa si
ritirò coi suoi ministri.
Ad un tratto, quando l'allegria
degli ospiti aveva raggiunto il massimo grado, un colpo di carabina echeggiò
improvvisamente, ed uno dei parenti cadde col cranio fracassato da una palla di
carabina.
Lo stupore, causato da
quell'assassinio in piena orgia non era ancora cessato, quando un secondo colpo
rintronava ed un altro convitato stramazzava, bruttando col suo sangue la
tovaglia.
Era il rajah che aveva fatto quel
doppio colpo. Il miserabile era comparso su un terrazzino prospiciente sul
cortile e faceva fuoco sui suoi parenti. Aveva gli occhi schizzanti dalle
orbite, i lineamenti sconvolti: pareva un vero pazzo.
Intorno aveva i suoi ministri che
gli porgevano ora tazze colme di liquori ed ora delle carabine cariche.
Uomini, donne e fanciulli si
erano messi a correre all'impazzata pel cortile, cercando invano un'uscita,
mentre il rajah, urlando come una belva feroce, continuava a sparare facendo
nuove vittime. Mahur, che era il più odiato di tutti, fu uno dei primi a
cadere. Una palla gli aveva fracassata la spina dorsale.
Poi caddero successivamente sua
moglie ed i suoi due figli.
La strage durò una mezz'ora.
Trentasette erano i parenti del principe e trentacinque erano caduti sotto i
colpi del feroce monarca.
Due soli erano miracolosamente
sfuggiti alla morte: Sindhia il giovane fratello del rajah e la figlia del capo
dei kotteri, la piccola Surama, che si era nascosta dietro il cadavere di sua
madre.
Sindhia era stato segno a tre
colpi di carabina e tutti erano andati a vuoto, perché il giovane principe, con
dei salti da tigre, ben misurati, si era sempre sottratto alle palle.
In preda ad un terribile
spavento, non cessava di gridare al fratello:
«Fammi grazia della vita ed io
abbandonerò il tuo regno.
Sono figlio di tuo padre. Tu non
hai il diritto di uccidermi».
Il rajah, completamente ubriaco,
rimaneva sordo a quelle grida disperate e sparò ancora due colpi, senza
riuscire a coglierlo, tanto era lesto suo fratello; poi, preso forse da un
improvviso pentimento, abbassò la carabina che un ufficiale gli aveva data,
gridando al fuggiasco:
«Se è vero che tu abbandonerai
per sempre il mio stato ti fo grazia della vita, ad una condizione».
«Sono pronto ad accettare tutto
quello che vorrai», rispose il disgraziato.
«Io getterò in aria una rupia; se
tu la coglierai con una palla della carabina, ti lascerò partire pel Bengala
senza farti alcun male.»
«Accetto», rispose allora il
giovane principe.
Il rajah gli gettò l'arma che
Sindhia prese al volo.
«Ti avverto», urlò il pazzo, «che
se manchi la moneta subirai la medesima sorte degli altri.»
«Gettala!»
Il rajah fece volare in aria il
pezzo d'argento. Si udì subito uno sparo e non fu la moneta bucata, bensì il
petto del tiranno.
Sindhia, invece di far fuoco
sulla moneta, aveva voltata rapidamente l'arma contro suo fratello e l'aveva
fulminato, spaccandogli il cuore.
I ministri e gli ufficiali si
prosternarono dinanzi al giovane principe, che aveva liberato il regno da quel
mostro e senz'altro lo accettarono come rajah dell'Assam.
- Voi, mylord, mi avete narrata
una storia che qualunque assamese conosce a fondo, - disse il ministro.
- Non il seguito però, - rispose
Yanez, versandosi un altro bicchiere ed accendendo una seconda sigaretta. -
Sapreste dirmi che cosa è avvenuto della piccola Surama, figlia del capo dei
kotteri? -
Kaksa Pharaum alzò le spalle,
dicendo poi:
- Chi può essersi occupato d'una
bambina?
- Eppure quella bambina era nata
ben vicina al trono dell'Assam.
- Continuate, mylord.
- Quando Sindhia seppe che Surama
era sfuggita alla morte, invece di accoglierla alla corte o almeno di farla
ricondurre fra le tribù devote a suo padre, la fece segretamente vendere a dei thugs
che percorrevano allora il paese per procurarsi delle bajadere.
- Ah! - fece il ministro.
- Credete Eccellenza che abbia
agito bene il rajah vostro signore? - chiese Yanez, diventato improvvisamente
serio.
- Non so. È morta poi?
- No, Eccellenza, Surama è
diventata una bellissima fanciulla ora e non ha che un solo desiderio: quello
di strappare a suo cugino la corona dell'Assam. -
Kaksa Pharaum aveva fatto un
soprassalto.
- Dite, mylord? - chiese
spaventato.
- Che riuscirà nel suo intento, -
rispose freddamente Yanez.
- E chi l'aiuterà? -
Il portoghese s'alzò e puntando
l'indice verso la Tigre della Malesia che non aveva cessato di fumare, gli
rispose:
- Quell'uomo là innanzi a tutto,
che ha rovesciato troni e che ha vinto la terribile Tigre dell'India,
Suyodhana, il famoso capo dei thugs indiani, e poi io.
L'orgogliosa e la grande
Inghilterra, dominatrice di mezzo mondo, ha piegato talvolta il capo dinanzi a
noi, tigri di Mompracem. -
Il ministro si era a sua volta
alzato, guardando con profonda ansietà ora Yanez ed ora Sandokan.
- Chi siete voi, dunque? - chiese
finalmente, balbettando.
- Degli uomini che nemmeno i
vostri più formidabili uragani potrebbero arrestare, - rispose Yanez, con voce
grave.
- E che cosa volete voi da me?
Perché mi avete trasportato in questo luogo che io non ho mai veduto? -
Yanez, invece di rispondere,
riempì nuovamente le tazze e ne porse una al ministro, dicendogli colla sua
voce insinuante:
- Bevete prima, Eccellenza.
Questo squisito liquore vi rischiarirà le idee meglio del vostro detestabile
toddy. Bevetene pure liberamente: non vi farà male. -
Il ministro, che si sentiva
invadere da un invincibile tremito nervoso, credette opportuno di non
rifiutarsi.
Yanez si raccolse un momento,
poi, fissando il disgraziato ministro che aveva le labbra smorte, gli chiese:
- Chi è l'europeo che si trova
alla corte del rajah?
- Un uomo bianco che io detesto.
- Benissimo: il suo nome?
- Si fa chiamare Teotokris.
- Teotokris! - mormorò Yanez. -
Questo è un nome greco.
- Un greco! - esclamò Sandokan,
scuotendosi. - Che cos'è? Io non ho mai udito a parlare di greci.
- Tu non sei un europeo, - disse
Yanez. - Sono uomini che godono fama di essere i più furbi dell'intera Europa.
- Avversari temibili?
- Temibilissimi.
- Buoni per te, - rispose la Tigre
della Malesia, sorridendo.
Il portoghese gettò via con
stizza la sigaretta, poi rivolgendosi al ministro:
- Gode molta considerazione a
corte, quello straniero? - gli chiese.
- Più che noi ministri.
- Ah! Benissimo. -
Si era nuovamente alzato. Fece tre
o quattro giri intorno alla tavola, torcendosi i baffi e lisciandosi la folta
barba, poi, fermandosi dinanzi al ministro che lo guardava attonito, gli chiese
a bruciapelo:
- Dov'è che i gurus nascondono la
pietra di Salagraman che contiene il famoso capello di Visnù? -
Kaksa Pharaum guardò il
portoghese con profondo terrore e rimase muto, come se la lingua gli si fosse
improvvisamente paralizzata.
- Mi avete capito, Eccellenza? -
chiese Yanez un po' minaccioso.
- La pietra... di Salagraman! -
balbettò il ministro.
- Sì.
- Ma... io non so dove si trova.
Solo i sacerdoti ed il rajah ve lo potrebbero dire, - rispose Kaksa,
riprendendo animo. - Io non so nulla, mylord.
- Voi mentite, - gridò Yanez,
alzando la voce. - Anche i ministri del rajah lo sanno: me lo hanno confermato
parecchie persone.
- Gli altri forse, non io.
- Come! Il primo ministro di
Sindhia ne saprebbe meno dei suoi inferiori? Eccellenza, voi giuocate una
pessima carta, ve ne avverto.
- E perché vorreste sapere,
mylord, dove si trova nascosta?
- Perché quella pietra mi
occorre, - rispose Yanez audacemente. -
Kaksa Pharaum mandò una specie di
ruggito.
- Voi rubate quella pietra! -
gridò. - Non sapete che il capello che contiene, appartenne, migliaia di anni
or sono, ad un dio protettore dell'India? Non sapete che tutti gli stati
c'invidiano quella reliquia? Non sapete che, se ci venisse portata via, sarebbe
la fine dell'Assam?
- Chi lo ha detto? - chiese Yanez
ironicamente.
- Lo hanno affermato i gurus. -
Il portoghese alzò le spalle,
mentre la Tigre della Malesia faceva udite un risolino beffardo.
- Vi ho detto, Eccellenza, che a
me occorre quella conchiglia: aggiungerò poi, per placare i vostri timori, che
non lascerà l'Assam.
Io non la terrò nelle mie mani
più di ventiquattro ore, ve lo giuro.
- Allora andate a chiedere al
rajah un tale favore. Io non posso accordarlo, perché ignoro ove i sacerdoti
della pagoda di Karia la nascondano.
- Ah! Non vuoi dirmelo, - disse
Yanez cambiando tono. - La vedremo! -
In quel momento si udì ad
echeggiare il gong, sospeso esternamente alla porta.
- Chi viene a disturbarci? -
chiese Yanez, aggrottando la fronte.
- Io, padrone: Sambigliong, -
rispose una voce.
- Che cosa c'è di nuovo?
- Tremal-Naik
è giunto. -
Sandokan aveva lasciata la pipa, e
si era alzato precipitosamente.
La porta si aprì ed un uomo
comparve, dicendo:
- Buona sera, miei cari amici:
eccomi pronto ad aiutarvi. -
Le destre di Sandokan e di Yanez
si erano tese verso il nuovo venuto, il quale le aveva strette fortemente,
esclamando:
- Ecco un bel giorno: mi pare di
tornare giovane insieme a voi. -
L'uomo che così aveva parlato era
un bellissimo tipo d'indiano bengalino, di circa quarant'anni, dalla taglia
elegante e flessuosa, senz'essere magra, dai lineamenti fini ed energici, la
pelle lievemente abbronzata e lucidissima e gli occhi nerissimi e pieni di
fuoco.
Vestiva come i ricchi indiani
modernizzati dalla Young-India, i quali ormai hanno
lasciato il dootèe e la dubgah pel costume anglo-indù, più
semplice, ma anche più comodo: giacca di tela bianca con alamari di seta rossa,
fascia ricamata e altissima, calzoni stretti pure bianchi e turbantino rigato
sul capo.
- E tua figlia Darma? - avevano
chiesto ad una voce Yanez e Sandokan.
- È in viaggio per l'Europa,
amici - rispose l'indiano. - Moreland desidera far visitare a sua moglie
l'Inghilterra.
- Sai già perché ti abbiamo
chiamato? - chiese Yanez.
- So tutto: voi volete mantenere
la promessa fatta quel terribile giorno in cui il Re del Mare affondava sotto i
colpi di cannone del figlio di Suyodhana.
- Di tuo genero, - aggiunse
Sandokan, ridendo.
- È vero... Ah! -
Si era vivamente voltato
guardando il ministro del rajah, il quale stava immobile presso la tavola, come
una mummia.
- Chi è costui? - chiese
l'indiano.
- Il primo ministro di S. A.
Sindhia, principe regnante dell'Assam, - rispose Yanez. - Toh! Tu giungi
proprio in buon punto. Sapresti tu, Tremal-Naik, far
parlare quell'uomo che si ostina a non dirmi la verità?
Voi indiani siete dei grandi
maestri.
- Non vuol parlare? - disse
Tremal-Naik, squadrando il disgraziato che pareva tremasse.
- Hanno fatto cantare anche me gli inglesi, quando ero coi thugs.
Kammamuri però è più destro di me
in tali faccende. Ti preme, Yanez?
- Sì.
- Hai ricorso alle minacce?
- Ma senza buon esito.
- Ha cenato quel signore?
- Sì.
- È quasi mattina, può quindi
fare uno spuntino, o una semplice tiffine2 senza birra però.
È vero che l'accetterete in
nostra compagnia?
- Chiamalo Eccellenza, - disse
Yanez maliziosamente.
- Ah! Scusate, Eccellenza, -
disse Tremal-Naik con accento un po' ironico. - Mi ero
scordato che voi siete il primo ministro del rajah. Accettate dunque una
fiffine?
- Io di solito non mangio la
prima colazione che alle dieci del mattino, - rispose il ministro a denti
stretti.
- Voi, Eccellenza, adotterete le
abitudini dei miei amici. Sono partito ieri mattina da Calcutta, ho mangiato
malissimo lungo la via ferroviaria, peggio ancora nel vostro paese, quindi ho
una fame da tigre.
Amici, lasciate che vada ad
ordinare a Kammamuri una succolenta colazione. Suppongo che i viveri non
mancheranno in questa vecchia pagoda.
- Qui regna l'abbondanza, -
rispose Yanez.
- Vieni con me, allora. Kammamuri
è un cuoco abilissimo. -
Si presero a braccetto e uscirono
insieme, lasciando soli il disgraziato ministro del rajah e Sandokan.
Questi aveva riacceso il suo
cibuc e, dopo essersi sdraiato, si era rimesso a fumare silenziosamente, spiando
attentamente il prigioniero.
Kaksa Pharaum si era lasciato
cadere su una sedia, prendendosi il capo fra le mani. Pareva completamente
annichilito da quel succedersi di avvenimenti imprevisti.
I due personaggi stettero
parecchi minuti silenziosi, l'uno continuando a fumare e l'altro a meditare sui
tristi casi della vita, poi il pirata, staccando dalle labbra la pipa, disse:
- Vuoi un consiglio, Eccellenza?
-
Kaksa Pharaum aveva alzata
vivamente la testa, fissando i suoi piccoli occhi sul formidabile pirata.
- Che cosa vuoi, sahib? - chiese,
battendo i denti.
- Devi dire, se vuoi evitare
maggiori guai, quello che desidera sapere il mio amico.
Bada, Eccellenza! È un uomo
terribile, che non indietreggerà dinanzi a nessun mezzo feroce.
Io sono la Tigre della Malesia:
egli è la Tigre bianca.
Quale sarà il più implacabile?
Ah! Io non te lo saprei dire.
- Ma ho già detto che io ignoro
dove si trova la pietra di Salagraman.
- Il sigaro che il mio amico ti
ha fatto fumare ti ha annebbiato un po' troppo il cervello, - rispose Sandokan.
- È necessaria una buona colazione. Vedrai, Eccellenza, come la memoria
diventerà limpida. -
Tornò a rovesciarsi sul divano e
si rimise a fumare con tutta calma.
Un silenzio profondo regnava nel
salotto. Si sarebbe detto che all'infuori di quei due personaggi nessuno
abitava la vecchia pagoda sotterranea.
Kaksa Pharaum, più che mai
spaventato, era tornato ad accasciarsi sulla sua sedia, col capo fra le mani.
La Tigre della Malesia non fiatava, anzi si studiava di non fare alcun rumore
colle labbra.
I suoi occhi però pieni di fuoco,
non si staccavano un solo momento dal ministro. Si comprendeva che stava in
guardia.
Trascorse una mezz'ora, poi la
porta tornò ad aprirsi ed un altro indiano entrò, tenendo fra le mani un piatto
fumante che conteneva dei pesci annegati in una salsa nerastra.
Era un uomo presso la quarantina,
piuttosto alto di statura e membruto, tutto vestito di bianco, col viso molto
abbronzato che aveva dei riflessi dell'ottone e che aveva agli orecchi dei
pendenti d'oro che gli davano un non so che di grazioso e di strano.
- Ah! - esclamò Sandokan,
deponendo la pipa. - Sei tu, Kammamuri? Ben felice di vederti, sempre in salute
e sempre fedele al tuo padrone.
- I maharatti muoiono al servizio
del loro signore, - rispose l'indiano. - Salute a te, invincibile Tigre della
Malesia. -
Altri quattro uomini erano
entrati, portando altri tondi pieni di cibi diversi, bottiglie di birra e
salviette.
Kammamuri depose il suo tondo dinanzi
al ministro, mentre entravano Yanez e Tremal-Naik.
La Tigre della Malesia si era
alzata per sedersi di fronte al prigioniero, il quale guardava con terrore or
l'uno ed ora gli altri, senza però pronunciare una sillaba.
- Perdonate, Eccellenza, se la
colazione che io vi offro è ben inferiore alla cena che vi ho mangiata, ma
siamo un po' discosti dal centro della città ed i negozi non sono ancora
aperti.
Fate onore al nostro modesto
pasto e rasserenatevi. Avete una cera da funerale.
- Io non ho fame, mylord, -
balbettò il disgraziato.
- Mandate giù pochi bocconi per
tenerci compagnia.
- E se mi rifiutassi?
- In tal caso vi costringerei
colla forza. Non si fa l'offesa d'un rifiuto ad un mylord.
La nostra cucina d'altronde non è
meno buona della vostra: assaggiate e vi persuaderete. Poi riprenderemo il
nostro discorso. -
Come abbiamo detto, Kammamuri
aveva posto dinanzi al ministro il primo tondo che aveva portato e che
conteneva dei pesci che nuotavano entro una salsa nerastra, costringendolo in
tal modo ad inghiottire solo quell'intingolo.
Il povero diavolo, vedendo fisso
sopra di sé e minacciosi gli occhi di Yanez, si decise finalmente a mangiare
quantunque non avesse affatto appetito.
Gli altri non avevano tardato ad
imitarlo, vuotando rapidamente i piatti che avevano dinanzi e che non
sembravano contenere un intingolo diverso, almeno apparentemente.
Kaksa Pharaum aveva con grandi
sforzi inghiottiti alcuni bocconi, quando lasciò cadere bruscamente la
forchetta guardando il portoghese con smarrimento.
- Che cosa avete, Eccellenza? -
chiese Yanez, fingendo con gran stupore.
- Che mi sento bruciare le
viscere, - rispose Kaksa Pharaum che era diventato smorto.
- Non mettete anche voi del
pimento nei vostri intingoli?
- Non così forte.
- Continuate a mangiare.
- No... datemi da bere... brucio.
- Da bere? Che cosa?
- Di quella birra, - rispose il
disgraziato.
- Ah no, Eccellenza. Questa è
esclusivamente per noi e poi voi, come indiano, non potreste berne poiché noi
inglesi, onde aumentare la fermentazione della birra, vi mettiamo qualche
pezzetto di grasso di mucca.
Voi, Eccellenza, sapete meglio di
me che, per voi indiani, quell'animale è sacro e chi ne mangia andrà soggetto a
pene tremende quando sarà morto. -
Sandokan e Tremal-Naik
fecero uno sforzo supremo per trattenere una clamorosa risata. Ne poteva
inventare altre quel demonio di portoghese? Perfino il grasso di mucca nella
birra inglese!
Yanez, che conservava una serietà
meravigliosa, empì una tazza di birra e la porse al ministro dicendogli:
- Se volete, bevete pure. -
Kaksa Pharaum aveva fatto un
gesto d'orrore.
- No... mai... un indiano...
meglio la morte... dell'acqua mylord... dell'acqua! - aveva gridato. - Ho il
fuoco nel ventre!
- Dell'acqua! - rispose Yanez. -
Dove volete che andiamo a prenderne, Eccellenza? Non vi è alcun pozzo in questa
pagoda sotterranea ed il fiume è più lontano di quello che credete.
- Muoio!
- Bah! Noi non abbiamo alcun
interesse a sopprimervi. Tutt'altro.
- Mi avete avvelenato... ho dei
carboni accesi nel petto! - urlò il disgraziato. - Dell'acqua! dell'acqua!
- La volete proprio? -
Kaksa Pharaum si era alzato,
comprimendosi con le mani il ventre.
Aveva la schiuma alle labbra e
gli occhi gli uscivano dalle orbite.
- Dell'acqua... miserabili! -
urlava spaventosamente.
La sua voce non aveva più nulla
d'umano. Dalle labbra gli uscivano dei ruggiti che impressionavano perfino la
Tigre della Malesia.
Anche Yanez si era alzato di
fronte al ministro.
- Parlerai? - gli chiese
freddamente.
- No! - urlò il disgraziato.
- E allora noi non ti daremo una
goccia d'acqua.
- Sono avvelenato.
- Ti dico di no.
- Datemi da bere!
- Kammamuri! Entra! -
Il maharatto, che doveva essere
dietro la porta, si fece innanzi portando due bottiglie di cristallo piene
d'acqua limpidissima e le depose sulla tavola.
Kaksa Pharaum, all'estremo delle
sue sofferenze, aveva allungate le mani per afferrarle, ma Yanez fu pronto a
fermarlo.
- Quando mi avrai detto dove si
trova la pietra di Salagraman tu potrai bere finché vorrai, - gli disse. - Ti
avverto però che tu rimarrai in nostra mano finché l'avremo trovata, quindi
sarebbe inutile ingannarci.
- Brucio tutto! Una goccia
d'acqua, una sola...
- Dimmi dove è la pietra.
- Non lo so...
- Lo sai, - rispose l'implacabile
portoghese.
- Uccidetemi allora.
- No.
- Siete dei miserabili!
- Se lo fossimo, non saresti più
vivo.
- Non posso più resistere! -
Yanez prese un bicchiere e lo
empì lentamente d'acqua.
Kaksa Pharaum seguiva, cogli occhi
smarriti, quel filo d'acqua, ruggendo come una fiera.
- Parlerai? - chiese Yanez,
quand'ebbe finito.
- Sì... sì... - rantolò il
ministro. - Dov'è dunque?
- Nella pagoda di Karia.
- Lo sapevamo anche noi. Dove?
- Nel sotterraneo che s'apre
sotto la statua di Siva.
- Avanti.
- Vi è una pietra... un anello di
bronzo... alzatela... sotto in un cofano...
- Giura su Siva che hai detto la
verità.
- Lo... giuro... da bere...
- Un momento ancora. Veglia
qualcuno nel sotterraneo?
- Due guardie.
- A te. -
Invece di prendere il bicchiere
il ministro afferrò una delle due bottiglie e si mise a bere a garganella, come
se non dovesse finire più.
La vuotò più che mezza, poi la
lasciò bruscamente cadere e stramazzò, come fulminato, fra le braccia di
Kammamuri che gli si era messo dietro.
- Coricalo sul divano, - gli
disse Yanez. - Per Giove, che droga infernale hai messo dentro quell'intingolo?
Mi assicuri che non morrà, è vero?
- Non temete, signor Yanez, -
rispose il maharatto. - Non ho messo che una foglia di serhar, una pianta che
cresce nel mio paese.
Domani quest'uomo starà
benissimo.
- Tu lo sorveglierai e metterai
due dei nostri alla porta. Se fugge siamo tutti perduti.
- E noi dunque che cosa faremo? -
chiese Sandokan.
- Aspetteremo questa sera e
andremo ad impadronirci della famosa pietra di Salagraman e del non meno famoso
capello di Visnù.
- Ma perché ci tieni tanto ad
avere quella conchiglia?
- Lo saprai più tardi,
fratellino. Fidati di me. -
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