Sei ore dopo la carovana, che era
accompagnata da un gran numero di curiosi accorsi da tutti i quartieri della
città, per vedere la terribile belva e per lanciare contro il cadavere insulti
sanguinosi, si arrestava dinanzi al grandioso palazzo del rajah.
I ministri, già avvertiti da due
scikari che avevano preceduti gli elefanti, aspettavano il famoso cacciatore
inglese alla base della gradinata marmorea, con una grossa scorta di seikki in
alta tenuta e di eunuchi che indossavano dei costumi sfarzosi e molto
appariscenti.
- Yanez, - disse Sandokan,
fermandolo nel momento in cui stava per scendere dall'elefante. - Non occuparti
di me, né di Tremal-Naik.
Il palazzo reale non è fatto per
noi. Sai dove trovarci.
- Tengo con me i malesi.
- Formano la tua guardia e quale
guardia! Con loro non avrai nulla da temere.
Noi approfittiamo di questa
confusione per eclissarci.
- Riceverete presto mie nuove. -
Scese a terra e mosse incontro ai
ministri seguìto da otto scikari che portavano la mostruosa belva.
- Dire a S. A. che io avere
mantenuta mia promessa, - disse loro.
- S. A. ti aspetta, mylord -
risposero ad una voce i ministri, curvandosi fino quasi al suolo.
Yanez, ridiventato l'eccentrico inglese,
salì lo scalone fiancheggiato da due file di seikki che lo guardavano con
profonda ammirazione e preceduto da quattro eunuchi, fece la sua solenne
entrata nell'immensa sala del trono, la quale rigurgitava di alti dignitari, di
capi d'esercito, di suonatori, e di can-ceni, ossia di
danzatrici che indossavano dei bellissimi costumi poco dissimili da quelli che
portano le bajadere bengalesi e dell'India centrale.
S. A. stava sdraiato sul suo
trono-letto chiacchierando con alcuni favoriti. Quando però
vide entrare il portoghese, seguìto dagli scikari che portavano la
kala-bâgh, si alzò prontamente e, favore insigne, scese i
tre gradini della piattaforma, stendendo la destra.
- Tu, mylord, sei un valoroso, -
gli disse.
- Io non avere fatto altro che
sparare mia carabina - rispose Yanez.
- Nessuno dei miei sudditi, per
quanto coraggiosi, sarebbe stato capace di affrontare e di uccidere una simile
belva. Ora puoi domandare quello che vuoi.
- A me bastare essere tuo grande
cacciatore ed essere ospite tuo.
- Darò delle grandi feste in tuo
onore.
- No, baccano, farmi troppo male
testa. Io non voler vedere che teatro indiano.
- Ho una compagnia stabile qui ed
è la più rinomata di quante se ne trovano nel mio regno.
- Aho! Io essere soddisfatto
vedere tuoi commedianti.
- Sarai stanco.
- Pochino.
- Il tuo appartamento è pronto e
metto a tua disposizione quanti servi vorrai.
- Bastare a me, Altezza, mia
scorta e un tuo chitmudgar.
- Lo troverai dinanzi alla tua
porta, mylord. Quando vorrai assistere alla rappresentazione?
- Questa sera se non dispiacere a
te.
- Ogni tuo desiderio è per me un
comando, mylord - rispose cortesemente il rajah.
S'accostò alla tigre e la guardò
a lungo.
- Questa pelle farà una bella
figura nella tua stanza, - disse poi. - Essa ti ricorderà sempre la grande
impresa che tu hai compiuta.
Va' a riposarti, mylord e questa
sera pranzeremo insieme e ti presenterò un altro uomo bianco, che spero diverrà
tuo amico.
- Io vederlo con piacere, -
rispose Yanez.
Il ricevimento era finito.
Il portoghese chiamò i suoi
malesi e lasciò la sala che lentamente si sfollava, preceduto da due eunuchi.
Il rajah era tornato a sedersi o
meglio a sdraiarsi sul suo trono, dopo d'aver fatto colla mano un gesto imperioso
che voleva significare:
- Lasciatemi solo. -
L'ultimo ministro e l'ultima
guardia erano appena usciti, quando la doppia cortina di seta che pendeva
dietro al trono si aprì ed un uomo comparve.
Non era un indiano, bensì un
europeo di alta statura, dalla pelle bianchissima, che risaltava doppiamente in
causa d'una lunga barba nerissima che gli incorniciava il volto.
Aveva i lineamenti regolarissimi,
il naso aquilino, gli occhi neri e ardenti, ma che avevano tuttavia un non so
che di falso che produceva una cattiva impressione, almeno di primo acchito.
Come tutti gli europei che
soggiornano nell'India, era vestito di leggerissima flanella bianca. Solo in
testa portava una calotta rossa con grosso fiocco, simile a quelle che usano
portare i greci ed i levantini.
- Che cosa ne dici Teotokris? -
gli chiese il rajah. - Dall'espressione del tuo viso si direbbe che tu non sia
soddisfatto del felice esito dell'impresa compiuta da quell'inglese.
- T'inganni, Altezza: i greci
ammirano le prove di coraggio.
- Eppure io scorgo una profonda
ruga sulla tua fronte e sembri preoccupato.
- Lo sono infatti, Altezza -
rispose il greco.
- Per quale motivo?
- Sei tu proprio certo che egli
sia veramente un mylord?
- E perché dovrei dubitarne?
- Sai da dove venga?
- Dal Bengala, mi ha detto.
- E che cosa sia venuto a fare
qui?
- A cacciare. -
Il greco fece una smorfia.
- Uhm! - fece poi.
- Sai tu qualche cosa sul suo
conto?
- So solo che egli di quando in
quando va a trovare una bellissima fanciulla indiana che deve appartenere alle
alte caste e che sembra sia ricchissima, abitando in un bellissimo palazzo ed
avendo molti servi e molte donne.
- Fin qui non ci trovo nulla di
straordinario, - disse il rajah. - Molte delle nostre donne hanno sposato degli
inglesi.
- E se quel signore fosse una
spia mandata qui dal governatore del Bengala per sorvegliare i tuoi atti? -
Udendo quelle parole la faccia
del principe aveva assunto un aspetto quasi feroce.
- Hai qualche prova tu,
Teotokris? - chiese coi denti stretti.
- Finora no.
- È una tua supposizione, dunque.
- Per ora sì.
- Si vede però che hai qualche
sospetto. -
Il greco fece un gesto vago, poi
aggiunse con una certa malignità.
- Vorrei vedere i titoli di
nobiltà di quel mylord.
- Tu hai una polizia a tua
disposizione: adoperala dunque. Finché non avrai però una prova in contrario
quell'inglese sarà mio ospite.
Egli ha ricuperata la pietra di
Salagraman e non ha voluto nulla, anzi mi ha reso un altro importante servigio,
liberando i miei buoni sudditi di Kamarpur dalla kala-bâgh.
Tu non sei mai stato capace di
fare tanto in sole quarant'otto ore. -
Il greco si morse le labbra.
- Io non contesto che egli sia un
coraggioso e che la fortuna lo abbia favorito - disse poi. - Ma appunto perché è
un coraggioso può essere anche pericoloso. -
Il rajah fece un gesto di noia e
s'alzò dicendo:
- Lasciami in pace quell'inglese,
Teotokris. Fa' invece avvertire i miei attori di preparare questa sera, nel
grande cortile, uno spettacolo emozionante.
- Farò come tu vuoi, Altezza, -
rispose il greco.
Yanez, soddisfattissimo della
buona piega che prendevano i suoi affari, aveva preso possesso
dell'appartamento destinatogli dal munifico rajah.
Si componeva di quattro
bellissime stanze, d'un salotto elegantissimo e d'un gabinetto pel bagno, tutte
ammobigliate con molto sfarzo e fornite di punka, che sono grandi tavole
coperte di stoffa, attaccate al soffitto e che un servo fa girare
continuamente, mediante un giuoco di corde, onde mantenere nell'interno una deliziosa
frescura.
Il chitmudgar, che il principe
aveva destinato al famoso cacciatore, aveva subito fatto portare un lauto
pranzo con molte bottiglie di birra e di liquori, destinato parte al primo e
parte ai sei malesi che avevano preso posto in una delle quattro stanze
tramutandola in una specie di caserma.
- Fammi compagnia, - aveva detto
Yanez al maggiordomo, sedendosi.
- Io!... Con voi, mylord! - aveva
esclamato l'indiano, facendo un gesto di stupore.
- Taci e dividi con me. Ho molte
cose da chiederti e anche delle rupie da regalarti se mi sarai fedele. -
Le rupie fecero maggior effetto
dell'invito, poiché il chitmudgar, venale come la maggior parte dei suoi
compatriotti, obbedì prontamente senza più protestare contro un così grande
onore.
- È vero che i commedianti sono
qui, nel palazzo? - chiese Yanez assaggiando le vivande.
- Sì, mylord.
- Conosci il capo della
compagnia?
- È mio amico anzi, mylord.
- Benissimo, - disse Yanez
versandosi un bicchiere di birra e tracannandola d'un colpo solo. - Desidero vederlo.
- Io ho avuto l'ordine di
soddisfare qualunque tuo desiderio. Il rajah così vuole.
- Ed io invece desidero che il
principe non sappia affatto che io voglio vedere il capo della compagnia.
Compero il tuo silenzio per cinquanta rupie. -
Il chitmudgar fece un soprassalto
e sgranò gli occhi. In un anno di servizio forse non aveva guadagnato la metà
di quella somma, che rappresentava per lui una piccola fortuna.
- Che cosa devo fare?
- Te l'ho detto: desidero che
venga qui il capo dei commedianti e possibilmente senza che sia veduto.
Dove si terrà lo spettacolo?
- Nel cortile interno. -
Yanez si rovesciò nella
poltroncina di bambù e guardò per qualche po' il chitmudgar.
- È quello stesso dove il rajah
uccise suo fratello?
- Sì, mylord.
- Me l'ero immaginato. Vi è
ancora quella famosa balconata da dove il fratello di Sindhia sparò sui suoi
parenti?
- Si trova anzi precisamente
sopra il palcoscenico.
- Per Giove! - esclamò Yanez. -
Ciò si chiama avere una prodigiosa fortuna.
Va' a chiamarmi quell'uomo. -
Il chitmudgar non si fece
ripetere l'ordine due volte, quantunque il pranzo non fosse stato ancora
terminato. Si alzò precipitosamente e scomparve.
- Ah! Ah! - fece Yanez ridendo. -
Mio caro rajah voglio prepararti un tiro birbone e metterti nel cuore un sospetto
che non ti lascerà più dormire. -
Chiamò il capo dei sei malesi il
quale, pranzando nella stanza vicina coi compagni fu pronto ad accorrere.
- Che cosa desideri capitano
Yanez? - gli chiese il selvaggio figlio della Malesia.
- Quante rupie vi ha affidate
Sandokan? - chiese il portoghese.
- Seimila.
- Che siano pronte. -
Un momento dopo il maggiordomo
entrava accompagnato da un indiano piuttosto attempato, dagli occhi
intelligentissimi, dai lineamenti ancora belli, dalla carnagione piuttosto
oscura essendo gli attori indiani quasi sempre tamuli o malabari, che sono i
popoli più appassionati per le rappresentazioni drammatiche.
- Ecco il calicaren (attore), -
disse il maggiordomo.
L'indiano fece un profondo
inchino e attese di essere interrogato.
- Sei tu che scegli le commedie o
le tragedie che si rappresentano od il rajah? - gli chiese Yanez.
- No, io, sahib, - rispose il
calicaren.
- Che cosa avevi intenzione di
rappresentare questa sera?
- Il Pramayana, una tragedia
scritta dal nostro grande poeta Valmiki, che è il più celebre che sia
conosciuto nell'India.
- Di che cosa tratta?
- Delle imprese e delle conquiste
fatte dal dio Rama a Ceylan.
- Rama non m'interessa, - rispose
Yanez. - Il soggetto voglio dartelo io.
Vieni ed ascoltami attentamente.
-
Si alzò e lo condusse nel suo
salotto. Il colloquio durò una buona mezz'ora e terminò con una chiamata di
Yanez del capo della scorta malese.
- Da' a quest'uomo cinquecento
rupie, - disse il portoghese. - Questo è il regalo di mylord. -
Il calicaren si era precipitato
ai piedi del generoso inglese; ma questi con un rapido gesto lo aveva
trattenuto dicendo:
- Non occorre. Intasca e fa'
quanto ti ho detto.
Ora puoi andartene e sopratutto
silenzio.
- Sarò muto come una statua di
bronzo, sahib - rispose il calicaren.
Quando fu solo Yanez si gettò sul
magnifico letto, tutto dorato con intarsi di madreperla e coperto da una
superba stoffa di seta damascata, dicendo:
- Ed ora possiamo riposare finché
verrà quell'europeo misterioso se si degnerà di venirmi a salutare. -
Invitato dal silenzio profondo
che regnava nel palazzo, essendo l'ora del riposo diurno che dura da dopo il
mezzodì fino alle quattro, durante il cui tempo tutti gli affari sono sospesi,
e dalla dolce frescura prodotta dalla punka che un servo, situato sulla
terrazza, manovrava energicamente, non tardò a chiudere gli occhi.
Una discreta battuta alla porta
lo svegliò dopo un paio d'ore.
- Sei tu, chitmudgar? - chiese
Yanez balzando giù dal letto.
- Sì, mylord.
- Che cosa si vuole da me?
- Vi è, sahib, Teotokris che
desiderava vederti.
- Teotokris! - esclamò il
portoghese. - Chi è costui? Questo è un nome greco, se non m'inganno.
Ah! Deve essere l'europeo di cui
mi hanno parlato.
Andiamo a fare la conoscenza di
quel misterioso personaggio. -
Si rassettò le vesti, si mise per
precauzione una pistola in tasca sapendo, per istinto, d'aver a che fare con un
avversario forse pericolosissimo ed entrò nel salotto.
Il greco era là, in piedi, con
una mano appoggiata al tavolo, un po' meditabondo.
Vedendo entrare Yanez si rizzò di
colpo squadrandolo rapidamente, poi fece un legger inchino, dicendo in perfetto
inglese:
- Ben felice di salutarvi, mylord
e di vedere qui, alla corte di S. A. il rajah dell'Assam, un altro europeo. -
Quelle parole però erano state
pronunciate con una certa ironia stizzosa, che non era sfuggita al furbo
portoghese.
Tuttavia questi fu pronto a
rispondere amabilmente.
- Io lo avevo saputo, signore,
che vi era qui un europeo e nessuno è più felice di me di potergli stringere la
mano.
Fuori del nostro continente a
qualunque nazione apparteniamo siamo sempre fratelli, perché siamo tutti figli
della grande famiglia degli uomini bianchi.
Sedetevi signor...
- Teotokris.
- Un greco?
- Sì, dell'Arcipelago.
- Come mai vi trovate qui? La vostra
nazione non ha interessi nell'India.
- È una lunga istoria che vi
racconterò un'altra volta. Non sono venuto per questo, mylord.
- Ditemi che cosa desiderate da
me.
- Chiedervi, da parte del rajah,
una spiegazione. -
Yanez aggrottò impercettibilmente
la fronte e guardò attentamente il greco, come se cercasse di scrutare i suoi
pensieri.
- Parlate, - disse poi.
- Voi non siete giunto solo qui?
- No, ho condotto con me sei
cacciatori malesi che mi hanno dato molte prove di fedeltà quando cacciavo le
tigri bornesi.
- Ah! Siete stato al Borneo?
- Ho visitato tutte le isole
malesi facendo delle vere stragi d'animali feroci.
- Eppure noi abbiamo saputo che
un'altra persona vi ha accompagnato.
- Chi?
- Una bellissima giovane indiana che
ha preso in affitto un palazzo.
- E così? - chiese Yanez,
freddamente.
- Il rajah desidererebbe sapere
se è qualche principessa indiana.
- E perché?
- Per invitarla a corte.
- Ah! - fece Yanez, respirando un
po' più liberamente di prima, poiché aveva provato, non ostante il suo
meraviglioso coraggio e sangue freddo, una certa apprensione. - Dite a S. A.
che io lo ringrazio, ma che quella giovane non ama che la tranquillità della
sua casa.
- È però una principessa.
- Sì, del Mysore, - rispose
Yanez. - Volete saper altro? -
Il greco non rispose: pareva che
fosse imbarazzato o che volesse fare qualche altra domanda e non osasse.
- Parlate, - disse Yanez.
- Vi fermerete molto qui, mylord?
- Non lo so, dipendendo dal minor
o maggior numero di tigri che infestano l'Assam.
- Lasciate che divorino, - disse
il greco, alzando le spalle. - Che cosa importa a voi se si mangiano alcune
centinaia d'assamesi? Il rajah ne avrà sempre abbastanza da governare.
- Non siete troppo gentile verso
chi vi ospita.
- Sono ospite del rajah e non di
loro.
- Spiegatevi meglio.
- Che cosa vorreste per
tornarvene nel Bengala? Là vi sono più tigri che qui e nelle Sunderbunds
potrete sfogarvi finché vorrete.
- Io andarmene! - esclamò Yanez.
Teotokris rimase silenzioso,
guardando però con un certo stupore Yanez.
- Un mio compatriotta mi avrebbe
a quest'ora compreso, - disse poi con mal celata collera.
- Può darsi, signore, - rispose
pacatamente Yanez; - siccome però noi inglesi non siamo così svegliati come i
greci dell'Arcipelago, abbiamo l'abitudine di aspettare sempre maggiori
spiegazioni.
- Cinquemila rupie vi
basterebbero? - chiese il greco.
- Per...
- Andarvene?
- Aho!
- Ottomila. -
Yanez lo guardò senza rispondere.
- Diecimila, - disse il greco coi
denti stretti.
Nuovo silenzio da parte del
portoghese.
- Quindicimila?
- E trentamila invece a voi se
fra ventiquattro ore avrete varcato la frontiera dell'Assam, - disse Yanez,
alzandosi.
Il greco era diventato
pallidissimo, come se avesse ricevuto uno schiaffo in pieno viso.
- A me! - gridò.
- Sì, a voi le offre mylord
Moreland, che non è mai stato un greco dell'Arcipelago, né un pescatore di
spugne o di sogliole.
- Avete detto? - gridò Teotokris
stringendo le pugna.
- Vi occorrerebbe per caso un
medico per farvi qualche operazione agli orecchi? Uno dei miei malesi è
abilissimo in tali faccende.
Ha curato perfino una giovane
tigre che io avevo fatta prigioniera. -
Il greco aveva fatto due passi
indietro saettando su Yanez, che conservava la sua calma ammirabile, due occhi
di fuoco.
- Mi avete offeso, mi pare? -
disse con voce arrangolata.
- Parrebbe anche a me.
- E allora?
- Ma! Da noi, quando si crede di
aver ricevuto un insulto, si usa chiedere una riparazione colle armi. -
Il greco rimase interdetto.
Yanez dal canto suo levò una
sigaretta da una tasca e l'accese tranquillamente, soffiando in aria una
nuvoletta di fumo profumato.
- Se ne volete una anche voi,
signore, ve la offro di tutto cuore.
- Voi volete burlarvi di me!
- Io! Dio me ne guardi! Io non
amo burlarmi che delle tigri, e quelle sono più pericolose degli uomini. Vi
pare, signor Teotokris?
- Sicché voi non volete
andarvene?
- Non sono già venuto qui per
uccidere una miserabile kala-bâgh - rispose Yanez. - Voglio
tornarmene al Bengala con un bel numero di pelli.
E poi ho trovato che si sta
benissimo qui nel palazzo reale.
- Voi non conoscete ancora quanto
sia capriccioso il rajah. Egli sarebbe capace di ordinarvi domani di portargli
una tigre ogni giorno.
- Ed io andrò a cercarla e
ucciderla. Non mi ha nominato forse il suo cacciatore?
- E potrebbe anche chiedervi di
mostrare i vostri documenti per accertarsi se siete veramente un mylord od un
volgare avventuriero. -
Questa volta fu Yanez che
impallidì. La sua destra piombò sulla spalla sinistra del greco con tale
violenza da costringerlo a piegarsi, quantunque fosse più alto d'almeno un
palmo.
- Siete voi ora, signor
Teotokris, che mi avete offeso: vi sembra?
- Può darsi.
- Ora siccome un mylord non lascia
mai impunito un insulto, vi chiedo di rendermi stretto conto di quel titolo di
avventuriero.
- Quando lo vorrete, se mi
concederete la scelta delle armi e che il duello sia pubblico.
- Fate, - rispose semplicemente
Yanez.
- Per domani.
- Sia.
- Il rajah e la sua corte saranno
i nostri testimoni.
- Benissimo.
- Addio, signore.
- Mylord vi saluta, greco
dell'Arcipelago. -
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