Gli indiani, al pari di noi
europei e di molti altri popoli asiatici, hanno una vera passione pel teatro; i
migliori attori sono sempre i malabari ed i tamuli, i quali vengono
specialmente assoldati dai rajah che li retribuiscono non meno dei lottatori.
Le commedie che rappresentano
sempre, sono tratte dalle antiche leggende indiane ed a base di soggetto
religioso, perciò si vedono sempre apparire divinità, giganti e malvagi che si
danno busse finché sono esausti.
Quasi sempre vi figurano il dio
Rama, il conquistatore di Ceylan, che decanta il valore dei suoi guerrieri;
Krisna che ha compiuto imprese straordinarie tratte dal yudkishtira vigea, uno
dei più grandiosi poemi epici, e Pandu, il famoso re dell'India, della razza
dei re provenienti dal sole.
I loro teatri, al pari di quelli
siamesi, annamiti e cinesi, sono di una semplicità straordinaria.
Una piattaforma con qualche vaso
contenente una pianta, tre o quattro stanzette ai lati per gli attori onde
possano cambiarsi senza essere veduti dal pubblico e molti lumi ad olio,
sospesi a qualche filo di ferro.
Gli spettatori siedono per terra,
su stuoie, e all'oscuro, così è permesso loro di fumare, di mangiare e anche di
bere: dobbiamo dire però che non disturbano mai gli attori. Tutt'al più si
rizza un piccolo padiglione quando assiste alla rappresentazione qualche
personaggio importante.
Gli attori sono sempre
numerosissimi ed i loro abbigliamenti molto splendidi e molto ricchi ed
all'eroica indiana, cioè simili a quelli che si vedono in certe statue antiche
dei loro numi e dei loro eroi.
Gli attori, come in Cina, sono
tutti uomini e giovanotti. Questi ultimi fungono da donne e sanno truccarsi
così da rendere l'illusione quasi perfetta.
Le rappresentazioni finiscono
quasi sempre con una pantomima, la quale però è difficile a essere compresa da
chi non ne ha fatto uno studio particolare. L'europeo non ci capisce affatto
nulla per quanta attenzione vi presti.
Essi pretendono di esprimere in
essa non solamente le azioni e le passioni, bensì anche gli oggetti esterni ed
assenti, come per esempio una montagna, un cavallo, una nave, un albero ecc. per
mezzo di gesti, ciascuno dei quali è fisso a determinare e significare il tale
e tal altro di quei medesimi oggetti.
Invece le passioni sono in quelle
pantomime assai bene rappresentate.
Per esprimere l'amore, gli attori
menano dolcemente in giro la testa rivolgendo, nel medesimo tempo, in una
maniera leggiadra e tenera gli occhi e sospirando teneramente.
Per esprimere invece l'ira,
mettono in convulsione, in un modo assai espressivo i muscoli delle labbra, del
naso, degli occhi, della fronte e così del resto...
Il sole era scomparso da qualche
ora, quando Yanez fu avvertito dal chitmudgar che la rappresentazione stava per
cominciare e che il rajah lo aspettava nel padiglione che era stato eretto in mezzo
allo spazioso cortile del palazzo, di fronte alla piattaforma che doveva
servire da teatro.
- Andiamo a vedere che faccia
farà S. A., - mormorò il portoghese, sorridendo ironicamente. - Scommetto che
questa notte non dormirà tranquillo.
Il colpo sarà forse troppo
audace, ma bah! Non sono solo e Sandokan è capace, con un pugno d'uomini, di
spazzar via anche la guardia del principe.
Checché accada andiamo a vedere
come lavorano questi attori indiani. -
Sempre prudente, potendo
aspettarsi qualunque sorpresa in quella corte dove era straniero e dove sapeva
ormai d'avere un nemico mortale in quel greco dell'Arcipelago, si nascose sotto
la fascia le pistole ed il kriss, diede ordine ai suoi malesi di fare
altrettanto, poi scese nel cortile cercando di affettare la massima
tranquillità.
Tutto era pronto per la
rappresentazione. Il palcoscenico, una semplice piattaforma adorna solamente di
pochi vasi di porcellana, che contenevano dei colossali mazzi di fiori, ed
illuminata da una trentina di lumi di vetro variopinto, non aspettava altro che
gli attori.
Ai lati soldati, servi e serve,
seduti su dei tappeti, chiacchieravano sommessamente. Di fronte, sotto un ampio
padiglione formato da tende seriche a colori smaglianti, stavano il rajah col
greco, i suoi ministri e gli alti dignitari dello stato. Fumavano, bevevano
liquori o masticavano il betel in attesa che la rappresentazione cominciasse.
Il principe che sembrava di molto
buon umore e anche un po' alticcio, fece sedere Yanez alla sua destra,
dicendogli:
- Spero mylord, che sarete
contento dei miei attori. Sono quasi tutti malabari e li ho fatti scegliere con
cura.
- Io essere contentissimo, -
rispose Yanez. - Amare molto teatro io, anche indiano.
- Bevete mylord, - disse il rajah
porgendogli una tazza. - Questo è vero gin inglese.
- Più tardi, Altezza - rispose il
portoghese che aveva notato come quel liquore lo avesse versato il greco. - Non
avere sete ora. -
Depose la tazza accanto a sé, su
una scranna, ben deciso di non vuotarla. Non si fidava troppo del signor
Teotokris.
Il rajah batté le mani e tosto
comparvero sulla scena una cinquantina di attori. Alcuni erano truccati da
vecchi ed indossavano dei costumi principeschi, altri da donne e non mancavano
i fanciulli e le fanciulle.
Spiccava soprattutto, per la ricchezza
delle sue vesti, una ragazzina d'una diecina d'anni, che si teneva accanto ad
un vecchio guerriero che aveva una lunga barba bianca.
Fra tutta quella gente vi era un
rajah d'aspetto sinistro, accompagnato da un giovane principe che rassomigliava
stranamente a Sindhia.
Nel vedere quei due personaggi il
portoghese non aveva potuto trattenere un sorriso.
- Questi indiani sanno camuffarsi
meravigliosamente, - aveva mormorato. - Credo di non avere spese male le mie
cinquecento rupie. -
Dopo una lunga serie di
complimenti fra il rajah e tutta quella gente, una immensa tavola era stata
portata sul palcoscenico, carica di piatti e di cibi e tutti si erano messi a
mangiare, mentre una turba di bajadere e di suonatori intrecciavano danze e
facevano squillare rumorosamente gong, sitar e saranguy accompagnati da gran
colpi di tumburà, magnifico istrumento, caricato di dorature, di pitture, di
nastri e di preziosi ornamenti che i ricchi indiani tengono esposto agli occhi
dei forestieri nella loro migliore stanza, siccome una delle più belle
suppellettili.
Mangiavano frattanto gli attori,
con un appetito invidiabile e non già dei pesci di cartapesta o delle salse
false, tracannando dei fiaschi pieni di toddy, ridendo e chiacchierando
rumorosamente.
Ad un tratto, verso la fine del
banchetto, si vide il rajah a scomparire, per mostrarsi poco dopo, accompagnato
da alcuni ministri, sulla balconata che sovrastava il palcoscenico.
Teneva in mano una carabina ed i
suoi compagni portavano invece delle bottiglie e dei bicchieri.
Tosto echeggiò un colpo di fuoco
ed uno dei convitati, il vecchio guerriero dalla barba bianca, cadde mentre la
bambina che gli sedeva accanto, fuggiva urlando.
Altro colpo di fuoco ed un altro
cadde dibattendosi disperatamente. Il rajah, che sembrava in preda ad una
furiosa pazzia, vuota una tazza di liquore che un ministro gli porge, poi
prende un'altra carabina e torna a sparare.
I convitati fuggono
disperatamente aggirandosi, come lupi in trappola, intorno alla tavola,
rovesciando sedie e tondi, urlando spaventosamente e tendendo le braccia verso
il rajah che continuava a sparare.
Stramazzano i vecchi, poi le
donne, poi i fanciulli, ma il sanguinario principe, come invasato dal demonio
della distruzione, sordo ai lamenti strazianti delle vittime, continua a
sparare, finché non rimangono che il giovane che gli rassomiglia e la bambina
che piange sul cadavere del vecchio guerriero.
Yanez guarda il rajah. Il
principe è pallidissimo, la sua fronte è aggrottata, le sue labbra fremono. Si
ricorda bene di quel terribile dramma che lo ha portato sul trono dell'Assam.
- È più commosso di quello che
credeva, - mormora il portoghese. - Aspetta la fine, mio caro. Questo è ancora
nulla. -
Il rajah beve un'altra tazza e
guarda le vittime, contandole cogli occhi.
Il giovane principe, che è ritto
in mezzo ai cadaveri tende, con atto disperato, le braccia verso il rajah che
barcolla come un ubriaco fradicio e urla ripetutamente, simulando a meraviglia
uno spavento indicibile:
- Lasciami la vita! Sono tuo
fratello! Abbiamo nelle vene il medesimo sangue! -
Il rajah sembra esitare, poi il
suo sguardo ardente e feroce si spegne lentamente. Getta sul palcoscenico una
delle sue carabine e dice:
- Io ti risparmio purché tu
colpisca la rupia che io getterò in aria. -
Il principe raccoglie l'arma e
spara sul rajah che stramazza fulminato sul terrazzino.
I ministri del defunto tiranno si
affrettano a discendere nel cortile ed a gettarsi ai piedi del giovane
principe, ma questi invece si getta sulla bambina che piange sempre sul cadavere
del padre, gridando con un gesto tragico:
- Portatela via, anch'io non
voglio più parenti! Vendetela schiava a qualcuno! -
Sulla scena compariscono alcuni
indiani, miseramente vestiti, dai lineamenti feroci, che portano dipinto sul
petto un serpente azzurro colla testa d'una donna e che hanno ai fianchi dei
fazzoletti di seta nera e dei lacci.
Sono i thugs, gli adoratori della
sanguinaria Kalì, i terribili strangolatori.
Afferrano brutalmente la bambina,
la cacciano entro una specie di sacco e la portano via malgrado le sue grida.
Yanez torna a guardare il rajah e
lo vede livido. Grosse gocce di sudore gl'imperlano la fronte e le sue labbra
si agitano come se un grido dovesse uscirgli: però non riesce a pronunciare
nemmeno una sillaba.
- Non osa, - mormora il
portoghese.
Tutti gli attori in quel momento
scompariscono, i gongs, i sitar ed il tumburà intonano una marcia trionfale che
assorda gli spettatori.
Tosto venti uomini che indossano
dei costumi guerreschi e che tengono in mano delle scimitarre, invadono la
scena mandando clamori altissimi; poi comparisce un palanchino sorretto da otto
hamali9 splendidamente vestiti, sul quale sta assisa una giovane
principessa che porta sulla fronte una corona reale.
Il rajah manda in quell'istante
un urlo di belva feroce, seguìto tosto da un altro straziante.
Tutti gli spettatori balzano in
piedi. Anche il rajah si è alzato guardando, con smarrimento, i suoi ministri
che reggono un alto dignitario che barcolla e che ha le labbra imbrattate di
una schiuma sanguigna.
- Che cosa succede qui? - urla
Sindhia.
- Signore... Muoio!... - risponde
il dignitario con voce fioca.
Yanez che non capisce nulla di
quel colpo di scena, getta uno sguardo presso di sé ed impallidisce a sua
volta.
Il bicchiere colmo di liquore,
che si era messo presso la sedia, era stato vuotato da qualcuno.
Un lampo gli attraversa il
cervello.
- Sono sfuggito alla morte per un
vero miracolo. Se l'avessi vuotato io, a quest'ora mi troverei nei panni di
quel disgraziato.
Cane d'un greco! Mi pagherai questo tiro birbone.
Fortunatamente sono più astuto e più prudente di quello che credi. -
Nel padiglione la confusione era
al colmo. Tutti gridavano e s'affannavano dietro al disgraziato, il quale
vomitava sangue insieme a certe materie verdastre e filamentose.
Il medico di corte finalmente
giunse. Con un solo sguardo capì subito che la sua opera sarebbe stata
assolutamente inutile..
- Quest'uomo ha bevuto qualche
potente veleno, - disse.
Il rajah era diventato livido. I
suoi occhi ardenti come carboni, si fissarono ora sugli uni ed ora sugli altri
dignitari che occupavano il padiglione e che tremavano come se fossero stati
colti da un accesso di febbre.
- Qui vi è un colpevole! - gridò
il principe. - O lo troverete o vi farò decapitare tutti! Mi avete udito?
Probabilmente quel veleno era
destinato a me!
- O a me, Altezza? - disse Yanez.
Il rajah lo guardò con stupore.
- Tu credi, mylord?...
- Io non credere niente, però
fare notare a S. A. che mio bicchiere non averlo vuotato io. Io averlo trovato senza
goccia liquore dentro.
Potere essere stato quello
avvelenato.
- Dov'è quel bicchiere, mylord? -
Yanez si curvò per raccoglierlo,
ed un'esclamazione di collera gli sfuggì.
- Aho! -
Il bicchiere era misteriosamente
scomparso.
- Non essere più accanto sedia, -
disse poi.
- Noi troveremo il colpevole
mylord, te lo prometto.
- Grazie, Altezza.
- Questo delitto non deve
rimanere impunito. Il mio elefante carnefice avrà del lavoro fra qualche
giorno. -
Poi aggiunse brutalmente:
- Lo spettacolo è finito. Che anche
il colpevole vada a dormire per l'ultima volta. -
I ministri, in preda ad un vivo
sgomento, si erano ritirati precipitosamente per fargli largo.
Il rajah strinse la mano al
portoghese e uscì dal padiglione, colla fronte aggrottata e lo sguardo cupo. Il
greco nella sua qualità di primo favorito, stava per seguirlo, quando Yanez fu
pronto a trattenerlo.
- Ho da dirvi una parola, signor
Teotokris.
- Me la direte domani, mylord -
rispose il greco. - Il principe mi aspetta.
- Non ho che da dirvi grazie.
- Di che cosa!
- Diamine! Di essere ancora vivo
ed è un bel piacere, credetelo, Teotokris - disse Yanez, ironicamente. -
Credevo però che i greci dell'Arcipelago fossero più furbi.
- Mylord! - esclamò il favorito
con voce rauca. - Voi m'insultate e questo non è né il luogo, né il momento.
- Domani aggiusteremo l'affare;
non guastatevi il sangue per ora. -
Il greco alzò le spalle e se ne
andò frettolosamente. Yanez non credette opportuno trattenerlo. Si sfogò con un
«va' al diavolo, briccone!».
Chiamò i suoi malesi e lasciò a
sua volta il padiglione, ormai deserto.
In mezzo al cortile, guardato da
una mezza dozzina di servi e coricato su un tappeto, giaceva il cadavere del
dignitario, un alto funzionario della corte a quanto sembrava.
Il veleno aveva operato rapidamente
troncandogli la vita ancora giovane e gagliardo.
Il portoghese, più commosso di
quanto lo credeva, si levò il cappello, mormorando con ira:
- Un giorno, anche tu, povero
uomo che mi hai salvata l'esistenza, sarai vendicato. -
Stava per salire la scala che
conduceva al suo appartamento, quando un uomo gli sbarrò la via, cadendogli ai
piedi in ginocchio.
Era il calicaren, ossia il capo
degli attori.
- Sahib, - gli disse, - salvami.
Noi domani saremo tutti morti.
- Chi? - chiese Yanez sorpreso.
- Io ed i miei artisti.
- Perché?
- In causa della commedia che noi
abbiamo rappresentato. Il rajah è furibondo ed ha giurato di farci tagliare il
collo allo spuntare del sole.
- Chi te lo ha detto?
- L'altro uomo bianco
- Il favorito?
- Sì, sahib.
- Vuoi un consiglio?
- Dammelo sahib.
- Dattela a gambe assieme ai tuoi
attori e va' a rappresentare i tuoi drammi nel Bengala. Kubang! -
Il capo della scorta si era fatto
avanti.
- Da' a quest'uomo altre
cinquecento rupie, - gli disse Yanez. - Ti bastano per scappare, calicaren?
- Tu mi fai un signore, sahib -
disse l'attore. - Me ne hai dato altre cinquecento.
- Prendi anche queste.
- Mi farò costruire un gran
teatro.
- Come vuoi, purché non ti
acciuffino prima che il sole si alzi.
- Il rajah non ci prenderà più,
sahib. Se posso esserti necessario disponi di me.
- Non occorre: corri invece. -
Yanez salì la scala ed entrò nel
suo appartamento dove lo aspettava il maggiordomo.
Per la prima volta in vita sua il
portoghese appariva molto preoccupato.
- Sbarrate la porta, - disse ai
suoi malesi, - e coricatevi colle carabine a fianco. Non so che cosa possa
accadere.
- Siamo in sei, capitano -
rispose il capo della scorta. - Tu puoi dormire tranquillamente perché
veglieremo su di te. Vuoi che mandi qualcuno ad avvertire la Tigre?
- È inutile pel momento.
Lasciatemi solo col maggiordomo. -
Si sedette dinanzi al tavolo
stappando una bottiglia di gin, la fiutò a lungo, poi empì il bicchiere e lo
porse al chitmudgar dicendogli:
- Avresti paura tu a vuotarlo?
- Perché, mylord?
- Sai che con un bicchiere di non
so quale liquore hanno mandato, or ora, all'altro mondo uno dei grandi
ufficiali del rajah?
- Me lo hanno raccontato, sahib -
rispose il chitmudgar. - Era il tesoriere del principe.
- Sai che quell'uomo ha vuotato
il bicchiere che era stato offerto a me?
- Che cosa dici, mylord! -
esclamò l'indiano stupefatto.
- È come te la racconto.
- Sicché si cercava di avvelenare
te?
- Così pare, - rispose Yanez
flemmaticamente.
- E non hai alcun sospetto?
- Chi credi tu, chitmudgar che
alla corte abbia qualche interesse a sopprimermi? -
Il maggiordomo era rimasto
silenzioso.
- Il rajah?
- No, è impossibile! - esclamò
l'indiano. - Egli ti deve troppa riconoscenza per aver ricuperata la pietra di
Salagraman e di non aver chiesto alcuna ricompensa.
E poi egli ti ammira troppo dopo
l'uccisione della kala-bâgh.
- E allora?
- L'altro uomo bianco.
- Il favorito, è vero? -
L'indiano ebbe una breve
esitazione, poi rispose francamente:
- Sì, lui.
- Ne ero certo, - disse Yanez.
- Egli teme che tu mylord, gli
prenda il posto.
- Credi tu che questo liquore sia
avvelenato?
- Questo no; è impossibile! Le
bottiglie che io ho portato qui le ho prese nelle cantine del rajah, quindi
puoi vuotarle con animo tranquillo.
- Bevi allora.
- Ecco mylord. -
Il chitmudgar vuotò, senza
esitare, d'un sol colpo il bicchiere.
- È eccellente, mylord.
- Allora berrò anch'io, - disse
Yanez, empiendo un altro bicchiere. - Va' a riposarti ora: se avrò bisogno di
te ti farò chiamare. -
Il maggiordomo fece un profondo
inchino e si ritirò.
Yanez vuotò un altro bicchiere,
accese una sigaretta e si stropicciò le mani mormorando:
- La giornata è stata pesante,
tuttavia non ho perduto il mio tempo inutilmente. Le frutta le raccoglieremo
più tardi.
La matassa è ancora molto
imbrogliata; però spero di dare a Surama la corona che le spetta e di mandare a
casa del diavolo Sindhia.
Il ragno malefico è quel dannato
greco dell'Arcipelago. Domani farò il possibile di darti una terribile lezione.
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