Yanez, che aveva dormito
tranquillamente, come un uomo che non ha fastidi, aveva appena aperti gli occhi
e stava sbadigliando, quando il chitmudgar, dopo aver bussato replicatamente
entrò accompagnato da un ufficiale del rajah.
- Mylord, - disse il maggiordomo,
mentre l'ufficiale faceva un grande inchino - sei aspettato dal principe.
- Aspettate cinque minuti, -
rispose Yanez, tornando a sbadigliare.
Balzò dal letto, si vestì con
cura senza troppo affrettarsi, si mise nella fascia le pistole e raggiunse il
chitmudgar e l'ufficiale che lo attendevano nel salotto dove era stato intanto
approntato il thè.
- Che cosa desidera S. A.? -
chiese sorseggiando l'aromatica bevanda con studiata lentezza.
- Lo ignoro mylord, - rispose
l'ufficiale.
- È di cattivo umore forse?
- Mi sembra assai preoccupato
stamane, mylord. Pare che vi sia stata un po' di burrasca fra lui e l'altro
uomo bianco.
- Ah! Il signor Teotokris! -
esclamò Yanez quasi distrattamente. - Già, l'altro uomo bianco è sempre di
cattivo umore.
- È vero mylord!
- Così si fa temere.
- Tutti hanno paura di lui alla
corte.
- Anche di me?
- Oh no, mylord. Tutti vi
ammirano e sarebbero ben lieti di vedervi al posto del favorito.
- Ecco una preziosa informazione
- mormorò fra sé il portoghese.
Trangugiò in fretta l'ultimo
sorso, chiamò i suoi fedeli malesi e seguì l'ufficiale dicendo:
- Prepariamoci ad una burrasca.
L'affare della commedia non passerà certamente liscio.
Fortunatamente gli attori se ne sono
andati, almeno lo spero. -
Scese lo scalone ed entrò nella
sala del trono. S. A. Sindhia vi era già, sdraiato come il solito su quella
specie di letto, con parecchie bottiglie di liquori disposti su un tavolino ed
un gran bicchiere colmo in mano.
- Ah! ben felice di vederti,
mylord - disse appena Yanez entrò seguìto dai malesi. - Ti aspettavo con
impazienza.
- Io essere sempre a disposizione
di V. Altezza, - rispose Yanez nel suo fantastico inglese.
- Siedi presso di me, mylord. -
Yanez prese una sedia e la
collocò sulla piattaforma, presso quella specie di letto che serviva di trono.
- Mylord, - disse il rajah
porgendogli un bicchiere di champagne, - bevi questo. Non è avvelenato perché
la bottiglia l'ho fatta sturare in mia presenza ed ho assaggiato il liquido che
conteneva.
- Io non avere paura di voi,
Altezza - rispose Yanez. - Amare molto vino bianco francese e bevere subito a
vostra salute. -
Vuotò d'un colpo la tazza poi
riprese:
- Ed ora io ascoltare tutto
orecchi Vostra Altezza.
- Dimmi mylord, in quali rapporti
sei col mio favorito?
- Cattivi, Altezza.
- Perché?
- Non sapere io. Greco non
vedermi bene qui.
- Tu hai avuto una questione.
- Essere vero. Noi uomini bianchi
rissare sempre quando non appartenere istessa nazione. Io inglese, lui greco.
- Sai che vuole ucciderti?
- Aho! Io uccidere forse lui.
- Mi ha chiesto di offrire alla
mia corte un combattimento emozionante. Io amo i coraggiosi e mi piace vedere
gli uomini a difendere la propria vita valorosamente.
- Io essere pronto, Altezza.
- Quale arme hai scelto, mylord?
- Io avere lasciato scelta a tuo
favorito.
- Sai dove vi misurerete?
- Io non sapere niente.
- Nel mio cortile. Il duello sarà
pubblico e tutta la mia corte vi assisterà. Così desidera il mio favorito.
- Benissimo, - rispose Yanez con
indifferenza.
- Tu hai un coraggio
meraviglioso, mylord.
- Io non avere mai paura,
Altezza.
- Io ho scelto l'ora.
- Quale?
- Due ore prima del tramonto noi
saremo tutti raccolti nel cortile d'onore. Stanno già i miei servi preparando i
padiglioni.
- Noi dare ora commedia.
- Ah! - esclamò il rajah
aggrottando la fronte e facendo un gesto di collera. - A proposito di commedie,
sai che tutti i miei attori sono fuggiti?
- Oh! - fece Yanez simulando un
meraviglioso stupore.
- Fra di loro doveva esservi colui
che cercò di avvelenare me o te.
- Possibilissimo, - si limitò a
rispondere il portoghese.
- A quest'ora saranno molto
lontani, ma se per caso rientreranno un giorno nel mio stato, li farò
decapitare tutti, compresi i fanciulli che hanno con loro.
Accetta un altro bicchiere di
questo eccellente vino, mylord, prima di lasciarmi. Ti darà maggior forza per
misurarti col mio favorito.
- Grazie, Altezza - rispose
Yanez, prendendo la tazza che il rajah gli porgeva.
La vuotò ed avendo compreso che
l'udienza era finita si alzò.
- Mylord, - disse a voce bassa il
principe mentre gli stendeva la mano. - Sta' in guardia! Il mio favorito ha
scelto per lui un'arma terribile e che egli sa maneggiare meglio d'un vecchio
thug.
Sii pronto a tagliargliela o
sarai perduto.
Ora va' e sii forte e valoroso
come il giorno in cui hai ucciso la kala-bâgh. -
Yanez uscì dalla sala del trono e
forse in quel momento appariva preoccupato. Il suo eterno buon umore pareva che
fosse scomparso da quel viso sempre ilare e un po' ironico.
Senza dubbio le ultime parole del
rajah avevano fatto presa sul suo animo.
Risalì lentamente nel suo
appartamento dove il chitmudgar lo aspettava per annunciargli che la colazione
era pronta.
- Mangerò poi, - gli disse Yanez.
- Pel momento devo occuparmi di qualche cosa più interessante dei tuoi piatti
più o meno infernali.
- Che cos'hai, mylord? - chiese
il maggiordomo. - Tu mi sembri di cattivo umore stamane.
- Può darsi, - rispose il
portoghese. - Siediti e rispondi alle domande che ti rivolgerò.
- Sono sempre a tua disposizione,
mylord.
- Hai mai visto tu il greco a
eseguire dinanzi al rajah qualche straordinario esercizio?
- Sì, quello del laccio; credo
anzi che nessun thug possa rivaleggiare con lui.
Un giorno è giunto alla corte uno
di quei sinistri adoratori della dea Kalì e si è misurato col favorito del
rajah.
- E chi vinse?
- Il favorito, mylord. Il thug
cadde mezzo strangolato e se non fosse stato graziato, non sarebbe certo uscito
vivo da questo palazzo.
- Che il favorito sia stato fra i
thugs?
- Solo il rajah potrebbe saperlo
e forse nemmeno lui.
- Ah! birbante d'un greco! -
esclamò Yanez. - Fortunatamente so come agiscono i signori strangolatori.
Quando si ha in mano una buona scimitarra
si può tenere fronte a loro senza correre troppo pericolo.
Sta' tu, in guardia, signor
Teotokris. Ora possiamo fare colazione.
- Subito mylord, - disse il
chitmudgar.
Yanez passò nel salotto, mangiò
col suo solito appetito, poi strappate alcune pagine dal suo portafoglio si
mise a coprirle d'una scrittura fittissima e minuta.
Quand'ebbe finito fece cenno al
chitmudgar di lasciarlo solo e chiamò il capo della scorta.
- Porta questi fogli a Sandokan,
- gli disse sotto-voce. - Bada che tu probabilmente sarai
pedinato da qualcuno, è necessario quindi che tu agisca colla massima prudenza
perché desidero che si ignori qui ove si nascondono i miei compagni.
Se vedi di non poter ingannare
quelli che ti seguissero, fermati da Surama. Penserà ella a far pervenire
questi fogli alla Tigre della Malesia.
- Sarò prudente, capitano -
rispose il malese. - Aspetterò la notte per entrare nel tempio sotterraneo,
così potrò uccidere più facilmente quelli che mi seguiranno.
- Va', amico. -
Quando il malese fu scomparso, il
portoghese si sdraiò su un divano, accese una sigaretta e s'immerse in profonde
riflessioni, seguendo distrattamente, cogli occhi socchiusi, le spire che
descriveva il fumo innalzandosi.
Quando il chitmudgar entrò, dopo
tre ore, il portoghese russava pacificamente come se nessuna preoccupazione lo
turbasse.
- Mylord, - disse il maggiordomo,
- il rajah ti aspetta.
- Ah! Diavolo! - esclamò Yanez
stirandosi le membra. - Non mi ricordavo più che il greco deve strangolarmi.
Sono già tutti raccolti nel cortile?
- Sì, mylord: non si aspetta che
te.
- Portami un bicchiere di gin
onde mi svegli del tutto. Bada che non contenga qualche droga infernale.
- Aprirò per maggior sicurezza
un'altra bottiglia.
- Tu sei un brav'uomo: un giorno
ti farò nominare gran cantiniere di qualche grossa corte. -
Si alzò, vuotò il bicchiere che
il chitmudgar gli porgeva e dopo d'aver chiamati i malesi scese nell'ampio
cortile, tenendo fra le labbra la sigaretta spenta.
Aveva riacquistato tutto il suo
sangue freddo e la sua calma straordinaria. Pareva un uomo che si recasse ad
una festa anziché ad un combattimento terribile e forse mortale per lui.
Tutto intorno al cortile erano
stati eretti dei ricchi padiglioni, un po' più bassi di quello che occupava il
rajah. C'erano uomini e bellissime indiane, con costumi sfarzosi e molti
gioielli indosso.
Il greco stava in mezzo, accanto
ad un piccolo mobile su cui stavano una scimitarra ed un laccio. Era pallido
più del solito, però sembrava non meno tranquillo del portoghese.
Il rajah che sedeva fra i suoi
ministri, vedendo entrare il mylord colla sigaretta in bocca, lo salutò
cortesemente colla mano guardandolo intensamente.
Gli spettatori affollati nei
padiglioni si erano invece alzati in piedi, osservandolo curiosamente.
Yanez salutò toccandosi con una
mano la tesa del cappello, poi mentre i suoi malesi prendevano posto
all'estremità del cortile appoggiandosi sulle loro carabine, si avanzò
lentamente verso il greco dicendogli:
- Eccomi.
- Cominciavo a perdere la
pazienza, - rispose Teotokris con un brutto sorriso che parve una smorfia. -
Quando noi marinai dell'Arcipelago abbiamo deciso di ammazzare un avversario,
non aspettiamo mai.
- E nemmeno i gentiluomi inglesi,
- disse Yanez. - Le armi?
- Le ho scelte.
- Alla spada o alla pistola?
- Voi dimenticate che qui non
siamo in Europa.
- Che cosa volete dire?
- Che io vi affronterò con un
laccio onde offrire al mio signore uno spettacolo veramente indiano.
- È degno dei briganti indiani che
adorano Kalì, - rispose Yanez ironicamente. - Credevo aver da fare con un
europeo: ora capisco di essermi ingannato.
Non importa: ho commesso la
sciocchezza di lasciarvi la scelta delle armi ed ora vi mostrerò come un mylord
inglese sa trattare le persone della vostra razza.
- Signore!
- No, chiamatemi mylord, - disse
Yanez.
- Mostratemi le vostre carte
prima.
- Dopo, quando vi avrò tagliato
il collo e la barba insieme. Voi, greci dell'Arcipelago siete tanti barili di
polvere? - chiese Yanez, sempre beffardo.
- Basta: il rajah s'impazienta!
- A teatro bisogna sempre
aspettare, per Giove, almeno a Londra.
- Prendete la vostra scimitarra.
- Ah! È con questa che dovrò
tagliarvi la testa? Benissimo!
- Scherzate troppo!
- Che cosa volete? Noi inglesi
siamo sempre di buon umore.
- Vedremo se lo sarete quando il
mio laccio vi strangolerà, signore.
- No, no, mylord.
- Lo vedremo il vostro sangue
azzurro! - gridò il greco esasperato.
- Ed io quello dei greci
dell'Arcipelago.
- Prendete la vostra scimitarra:
ho fretta di finirla!
- Ed io nessuna di andarmene
all'altro mondo. -
Gettò la sigaretta, prese la
scimitarra che era stata posata accanto al laccio e fece alcuni passi indietro,
senza troppo affrettarsi, arrestandosi a qualche metro dai malesi i quali
guardavano ferocemente il greco.
Era da prevedersi che i selvaggi
figli delle grandi isole indo-malesi non sarebbero rimasti
impassibili, se una disgrazia avesse colto il loro capo che adoravano come un
dio, checché dovesse succedere dopo.
Teotokris, che sembrava in preda
ad un vero accesso di furore, aveva preso bruscamente il laccio, mettendosi a
dieci passi dal suo avversario.
Quello strano duello, di
carattere veramente indiano, pareva che avesse impressionato profondamente gli
spettatori, quantunque dovessero averne veduti ben altri. Un profondo silenzio
si era fatto in tutti i padiglioni: anche il rajah stava zitto e non staccava i
suoi sguardi da Yanez, la cui tranquillità era meravigliosa.
Il portoghese si era messo in
guardia come un vecchio spadaccino, tenendo la scimitarra un po' alta per
essere più pronto a difendere il collo.
In quel momento egli si chiedeva
solo se il suo avversario aveva imparato a maneggiare il lazo fra i gauchos
dell'America meridionale o fra i thugs indiani.
Una mossa del greco lo convinse
di aver dinanzi un uomo che aveva imparato a servirsi di quella terribile corda
fra gli ispano americani piuttosto che fra gli indiani.
- Quello deve essere stato un
grande avventuriero, - mormorò. - Bada al collo, amico Yanez. -
Teotokris aveva arrotolata parte
della fune sul braccio sinistro facendo girare, attorno alla propria testa il
lazo come usano fare i cavalieri della pampa argentina ed i
cow-boys del Wild-West dell'America settentrionale
allorquando si preparano ad arrestare un mustang selvaggio spinto al galoppo.
- Siete pronto mylord? - chiese.
- Quando vorrete.
- Fra mezzo minuto vi avrò
strangolato, ammenoché il rajah non chieda la vostra grazia.
- Non preoccupatevi tanto, signor
Teotokris - rispose Yanez. - Non avete ancora in vostra mano la pelle
dell'orso, come si dice da noi.
- Vi farò un colpo che non lo
sospettate.
- Me lo direte più tardi. Voi
cercate di sorprendermi facendomi parlare troppo. Basta, signor Teotokris. -
Infatti il greco, mentre
chiacchierava, non aveva cessato di far girare sopra la propria testa il
terribile lazo per tenere la corda ben aperta.
Tutti gli spettatori si erano
alzati per non perdere nulla di quell'emozionante combattimento. Un vivo stupore
si leggeva su tutti quei volti abbronzati o nerastri: la calma meravigliosa dei
due duellanti aveva prodotto in tutti gli animi una profonda ammirazione.
- Ah! questi europei! - non
cessavano di sussurrare.
Yanez, un po' raccolto su se
stesso per offrire meno presa al laccio, aspettava l'attacco del greco, sempre
impassibile, seguendo attentamente collo sguardo le rotazioni, sempre più
rapide, che descriveva la funicella.
Ad un tratto un sibilo acuto si
fece udire, Yanez aveva alzata rapidamente la scimitarra, vibrando un colpo,
poi aveva fatto un balzo indietro, un vero balzo da tigre, mandando nel
medesimo tempo un urlo di furore.
Nella sua destra non stringeva
altro che l'impugnatura dell'arma. La lama, appena urtata dal laccio, era
caduta a terra.
Tuttavia il colpo era stato
parato.
- Traditore! - gridò Yanez al
greco che ritirava precipitosamente il lazo per ritentare il colpo. - Se fai un
passo innanzi ti brucio le cervella! -
Aveva tratta dalla fascia una
delle due pistole e dopo averla montata l'aveva puntata su Teotokris, mentre i
malesi che si trattenevano a stento avevano alzate precipitosamente le carabine
appoggiandosele alle spalle.
Un gran grido erasi levato fra
gli spettatori che non si aspettavano di certo quel colpo di scena. Anche il rajah
pareva in preda ad una certa irritazione, avendo ben compreso che un tradimento
era stato ordito a danno del suo grande cacciatore, non potendo ammettere che
una scimitarra si spezzasse sotto il semplice urto d'una funicella.
Teotokris, pallido come un cencio
lavato, era rimasto muto ed immobile, lasciando pendere il lazo. Grosse stille
di sudore gl'imperlavano la fronte.
- Datemi un'altra scimitarra! -
gridò Yanez. - Vedremo se si spezzerà nuovamente. -
Uno dei suoi malesi estrasse
quella che gli pendeva al fianco e gliela porse dicendogli:
- Prendi questa, capitano. È
d'acciaio del Borneo e tu sai che è il migliore che si possa avere. -
Il portoghese impugnò saldamente
l'arma, gettò a terra la pistola e si mise di nuovo di fronte al greco.
Una sorda rabbia lo aveva invaso.
- Bada, greco, - disse coi denti
stretti - che io farò il possibile per ucciderti. Non mi aspettavo da te,
europeo al pari di me, un simile tradimento.
- Ti giuro che io non ho scelta
quell'arma...
- Lascia i giuramenti agli altri;
già non ti crederei.
- Signore!
- Ti aspetto per farti a pezzi.
- Sarai tu che morrai! - urlò il
greco furibondo.
- Lancia il tuo lazo dunque! -
Il greco tornava a far girare la
funicella. Spiava attentamente Yanez sperando di sorprenderlo; il suo avversario
però conservava una immobilità assoluta e non perdeva mai di vista, nemmeno per
un istante, il lazo.
D'improvviso il greco fece un
balzo in parte lanciando contemporaneamente la funicella e mandando un urlo
selvaggio per scombussolare o impressionare il portoghese.
Questi si era ben guardato dal
muoversi. Sentì piombarsi addosso il lazo e scendergli attraverso la testa, ma
pronto come un lampo avventò due colpi di scimitarra a destra ed a sinistra,
tagliandolo netto prima che il greco avesse avuto il tempo di dare lo strappo
fatale.
Allora a sua volta si slanciò.
La larga lama balenò in alto, poi
scese con gran forza, colpendo il greco con un traversone sotto la mammella
destra.
Teotokris aveva fatto un salto
indietro, tuttavia non era riuscito ad evitare per intero il colpo. Si tenne un
momento ritto, poi cadde pesantemente al suolo, comprimendosi con ambe le mani
il petto.
Attraverso la casacca squarciata
il sangue usciva, formando una larga macchia sulla candida flanella.
Un urlo uscito da duecento bocche
aveva salutato la vittoria del coraggioso uccisore di tigri.
- Devo finirlo? - chiese Yanez,
rivolgendosi verso il rajah che si era alzato.
- Ti chiedo la grazia per lui,
mylord - rispose il principe.
- Sia, - rispose Yanez.
Restituì la scimitarra, raccolse
la pistola e dopo d'aver fatto un lungo inchino si ritirò mentre le donne si
levavano i mazzolini di mussenda che portavano all'estremità delle loro trecce
gettandoglieli dietro.
Mentre si allontanava sempre
scortato dai suoi malesi, il medico di corte e sei servi avevano adagiato il
greco su un palanchino, portandolo rapidamente nella sua stanza.
Teotokris non era svenuto e
nemmeno si lamentava. Solo di quando in quando una rauca bestemmia gli sfuggiva
attraverso le labbra scolorite. Pareva che sentisse più la rabbia di essere
stato vinto dal suo rivale, che il dolore prodottogli da quel colpo di
scimitarra.
- Sì, visitami e fasciami subito
- disse con tono imperioso al medico. - La ferita non è grave.
La lama deve aver incontrato la
guardia del pugnale che portavo sotto la casacca. -
Il medico gli denudò rapidamente
il petto.
La scimitarra aveva tracciato,
sotto la mammella destra, un taglio lungo una quindicina di centimetri che non
sembrava molto profondo.
- Ah! Ecco! - esclamò il dottore
raccogliendo un oggetto che era scivolato sotto la giacca. - Tu devi a questo,
la tua vita, signore.
- Il manico del pugnale?
- Sì: è stato tagliato netto. Se
la lama non lo avesse incontrato il cacciatore di kala-bâgh
ti avrebbe spaccato il cuore. Ero presente quando ti ha vibrato il colpo.
- Una botta scagliata con tutta
forza, - rispose Teotokris. - Per quanto credi che io ne abbia?
- Non sarai in piedi prima di due
settimane. Sei robustissimo tu, signore.
- Ed ho pelle di marinai addosso,
- disse il greco, sforzandosi a sorridere. - Spicciati: il sangue se ne va e
non desidero affatto di perderlo. -
Il medico che, quantunque
indiano, doveva essere abilissimo, cucì lestamente la ferita, spalmandola poi
con una materia che pareva resinosa e la fasciò strettamente.
Aveva appena terminato, quando un
ufficiale dei seikki entrò nella stanza annunciando il rajah.
La fronte del greco si era subito
abbuiata, tuttavia si guardò bene dal far trasparire il suo malumore.
- Uscite tutti, - disse al medico
ed ai servi.
Il rajah entrava in quel momento
e solo. Anche la sua fronte non pareva serena.
Attese che tutti si fossero
allontanati, compreso l'ufficiale, poi prese una sedia e si assise presso il
capezzale del ferito.
- Come va dunque, mio povero Teotokris?
- chiese. - Ti credevo più abile e più fortunato.
- Vi ho dato, Altezza, non poche
prove della mia abilità nell'uso del laccio. Non credo di meritarmi quindi
alcun rimprovero.
- È grave la ferita?
- No, Altezza. Potrò rimettermi a
vostra disposizione fra una quindicina di giorni e allora vi giuro che non
perderò il mio tempo.
- Che cosa vuoi dire?
- Che saprò chi è quell'uomo che
si spaccia per un mylord.
- Tu serbi rancore a quel
valoroso cacciatore.
- E gliene serberò finché avrò un
alito di vita, - rispose il greco con accento feroce.
- Eppure tu gli hai giuocato un
cattivo tiro.
- Voi supponete Altezza?...
- Che l'impugnatura di quella
scimitarra sia stata abilmente segata onde la lama cedesse al menomo urto.
- Chi è che mi accusa?
- Io, - disse il rajah,
aggrottando la fronte.
- Se siete voi Altezza che lo
dite, allora non negherò più.
- Confessi?
- Sì, è vero: l'estremità della
lama l'ho fatta segare presso la guardia da un abilissimo artefice. -
Il principe non poté frenare un
gesto di stupore e guardò severamente il suo favorito.
- Avevi dunque paura del gran
cacciatore bianco?
- Volevo sopprimerlo a qualunque
costo per rendere al mio benefattore un grande servizio, - disse il greco
audacemente.
- A me?
- Sì, Altezza.
- Uccidendo colui che mi ha
restituito la pietra di Salagraman e che ha ucciso la
kala-bâgh!
- Sì, perché quell'uomo un
giorno, ne sono sicuro, ti giuocherà qualche pessimo tiro.
- E perché?
- Perché è un inglese innanzi
tutto e tu sai, forse meglio di me, che gli uomini della sua razza furono
sempre i più pericolosi avversari degli indiani.
Forse che quasi tutto l'Indostan
non è stato conquistato da loro? E poi perché quel mylord ha condotto con sé
una principessa indiana che non è assamese? Apri gli occhi Altezza e non
fidarti ciecamente di quell'inglese che non sappiamo che cosa sia venuto a fare
qui.
- A uccidere la tigre, mi ha
detto - rispose il rajah.
- Tu potrai credere quello che vorrai,
ma non io che appartengo alla razza più astuta che viva in Europa. -
Il principe, visibilmente
impressionato, si era levato in piedi mettendosi a passeggiare intorno al letto
del ferito. Diffidente per carattere, cominciava a diventare inquieto.
- Che cosa fare? - chiese ad un
tratto fermandosi presso il greco che lo aveva seguito con uno sguardo ironico.
- Io non posso congedarli lì per lì; potrei anzi avere dei grossi fastidi col
governatore del Bengala.
- Non ti consiglierei di far ciò
nemmeno io, Altezza - disse il greco.
- E allora?
- Vuoi lasciare a me carta
bianca? -
Il rajah lo guardò con
diffidenza.
- Penseresti a farlo assassinare
da qualche sicario o di farlo avvelenare? Cattivi mezzi che non mi salverebbero
dall'avere dei grattacapi.
- Non sarà contro di lui che io
agirò. A te Altezza non chiedo altro che di farlo strettamente sorvegliare.
- Con chi te la prenderai dunque?
Voglio prima saperlo.
- Con quella misteriosa
principessa indiana. Quando sarà in mia mano la costringerò a dirmi chi è, e
che razza d'avventuriero sia quel mylord.
- Io credo davvero che tu
appartenga alla razza più astuta dell'Europa, - disse il rajah. - Non desidero
però che quella donna o fanciulla che sia venga trasportata qui.
- Ho una casa di mia proprietà,
dove tengo le mie donne - rispose il greco. - Questa notte mi farò condurre
colà, ma tu dirai a tutti che io sono sempre alla tua corte e darai ordine che
nessuno, per qualsiasi motivo, venga a disturbarmi.
- Farò quello che vorrai. Addio e
pensa a guarire presto. -
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