Era appena trascorsa mezz'ora da
che Surama era stata rapita mercé l'audacia del fakiro, quando una delle serve
entrava nella stanza, per annunciare alla sua giovane padrona il ritorno del
capo della scorta con una lettera urgente della Tigre della Malesia.
Quantunque fosse passata già la
mezzanotte, la fedele indiana non aveva esitato a vestirsi prontamente e ad
entrare, avendo ricevuto l'ordine di svegliarla nel caso che qualche messaggero
si fosse presentato al palazzo.
Il capo della scorta di Yanez si
era fermato dinanzi alla porta, però udendo la donna mandare un grido
altissimo, si era subito slanciato innanzi temendo che qualche grave pericolo
minacciasse la fidanzata del portoghese.
- Perché urli così? - aveva
chiesto, mettendo una mano sull'impugnatura della scimitarra.
- Sparita!
- Chi?
- La padrona!
- È impossibile!
- Guarda! Il letto è vuoto. -
Il malese aveva fatto un gesto di
stupore, poi la sua pelle era diventata grigiastra che è quanto dire
pallidissima. Aveva veduto il letto disfatto, le coperte rovesciate e le
lenzuola vuote.
- Rapita! - aveva esclamato.
- Lo vedi: non vi è più.
- Che sia uscita?
- No, perché la porta era chiusa
e due servi vegliavano.
- Chiama qui tutti e da' ordine
di preparare due cavalli, i migliori che si trovano nelle scuderie. -
La serva uscì correndo mentre il
malese faceva il giro della stanza. La finestra colle imposte aperte lo colpì
subito.
- È per di là che l'hanno fatta
scendere! - esclamò.
Si curvò sul davanzale, allungò
le braccia e trovò la corda ancora appesa al gancio.
- Birbanti! - mormorò. - Come
hanno fatto ad introdursi qui senza che nessuno li udisse e portarla via senza
che Surama mandasse un grido o... -
Si era bruscamente interrotto,
portandosi una mano sulla fronte.
- Che cosa provo io? - si chiese,
guardandosi rapidamente intorno. - Si direbbe che il mio cervello diventa
pesante e che un lieve torpore m'invade... e questo sottile profumo da dove
proviene? Eppure io non vedo alcun fiore qui. -
In quel momento entravano i
servi, le serve ed i quattro malesi gridando e piangendo.
- Silenzio, - disse il capo della
scorta. - Ditemi innanzi tutto se voi sentite un qualche profumo sospetto qui.
-
Tutti fiutarono l'aria a varie
riprese, poi uno dei servi esclamò:
- Hanno nascosti qui dei
carma-joga!
- Che cosa sono? - chiese il
capo.
- Dei fiori che addormentano.
- Cercateli. -
I servi si misero a rovistare
dappertutto, spostando i mobili, sollevando i tappeti ed i cortinaggi e
riuscirono finalmente a trovare il piccolo mazzolino che il furbo fakiro aveva
nascosto ed i pezzi di vetro della bottiglietta rotonda.
- Gettiamoli subito via,- disse
colui che li aveva scoperti. - Corriamo il rischio di addormentarci anche noi.
-
Il mazzolino fu lanciato
attraverso la finestra aperta.
- Ditemi ora, - disse il capo. -
Avete veduto nessuno a entrare?
- No - risposero tutti ad una
voce.
- E nessun rumore?
- Nemmeno.
- Avete dei sospetti?
- No. -
Ad un tratto uno dei servi mandò
un grido:
- E il gussain? Andiamo a vedere
se c'è ancora. -
La porta che comunicava col
salotto fu aperta e tutti poterono constatare che il fakiro non vi era più.
Un grido di rabbia sfuggì da
tutte le bocche:
- Il miserabile!
- Che cosa volete dire? - chiese
il capo. - Chi era? Un uomo forse?
- Un fakiro - disse uno dei
quattro malesi.
- L'hai veduto anche tu?
- Sì, capo.
- Sono pronti i cavalli?
- Sono davanti alla porta signore
- rispose uno staffiere.
- Vieni con me Loy, - comandò il
capo. - Mi racconterai ciò che è avvenuto durante il viaggio.
Non dobbiamo perdere un solo
istante. Forse ho indugiato troppo. -
Scesero rapidamente le scale,
senza aver aggiunta nessuna altra parola e trovati i cavalli che scalpitavano
dinanzi alla gradinata, trattenuti a stento da due servi, balzarono in sella
allentando le briglie.
- Dove andiamo, Kubang? - chiese
Loy.
- Alla pagoda sotterranea.
Avvertiamo innanzi tutto la Tigre della Malesia.
- Ed il capitano Yanez?
- Il palazzo del rajah è chiuso
di notte e poi il capitano non potrebbe tentare nulla in questo momento, mentre
la Tigre e Tremal-Naik sono liberi e hanno uomini valenti
con loro come Kammamuri e quel Bindar.
Spingi il tuo cavallo e arma la
tua carabina. La notte scorsa ho uccisa una spia nei pressi del nostro rifugio.
- Ti aveva seguito?
- Sì e per molte ore; però me la
sono sbrigata presto. Non ho fatto altro che imboscarmi fra le centinaia di
tronchi d'un banian e aspettare che mi passasse dinanzi. Una palla sola è stata
sufficiente a chiudergli la bocca eternamente.
Via, sferza! Sarà un colpo
terribile anche per la Tigre della Malesia nell'apprendere la scomparsa di
Surama, che ama come se fosse sua figlia. -
I due cavalli, due splendidi
corsieri del Guzerate, correvano come il vento, sollevando una fitta colonna di
polvere, non essendo le antiche città indiane lastricate.
In un quarto d'ora raggiunsero
l'ultimo sobborgo che si estendeva lungo la riva sinistra del Brahmaputra e si
gettarono nell'aperta campagna senza che i due malesi avessero incontrato fino
allora alcun essere vivente.
Un altro quarto d'ora dopo,
galopparono fra le folte macchie di banian, di tara e di mangifere che
nascondevano in gran parte l'enorme roccia nelle cui viscere s'apriva la pagoda
sotterranea.
- Preparati a raccontare tutto
alla Tigre della Malesia, - disse il capo a Kubang. - Ci siamo. -
Quattro uomini erano balzati
bruscamente sul sentiero che conduceva al tempio, puntando le carabine.
- Amici, - gridò il capo. -
Presto, accorrete a svegliare il padrone. Notizie gravi. -
Due sentinelle scomparvero fra le
macchie mentre le altre si rimettevano in agguato, onde impedire che qualche
spia s'avvicinasse.
I due malesi, pochi istanti dopo,
entravano nel tempio sotterraneo, preceduti da due dayachi muniti di torce e
s'introducevano nella saletta già descritta, dove si trovavano mezzi vestiti la
Tigre della Malesia, Tremal-Naik, Kammamuri e l'indiano
Bindar.
- Che notizie rechi? - chiese il
primo non senza una certa commozione. - Se sei tornato così presto vuol dire
che qualche grave avvenimento è accaduto in città.
- Gravissimo, Tigre della
Malesia: Surama è stata rapita. Il mio compagno ti narrerà tutto. -
Vi fu fra quei quattro uomini un
momento di silenzio angoscioso: il pirata e Tremal-Naik
rimasero come fulminati.
- Scomparsa! - esclamò poi il
primo con voce terribile. - Chi può aver osato tanto? Yanez lo sa?
- No padrone, - rispose il
malese. - Surama è stata portata via forse un paio d'ore fa.
- E da chi? - domandò
Tremal-Naik stringendo i pugni, mentre il maharatto si
strappava i peli dalla rada barba.
- Ascoltatelo, - disse Sandokan.
- Parla! Parla! - gridarono tutti
ad una voce.
Il malese che era ai servigi di
Surama narrò rapidamente quanto era avvenuto, non dimenticando di far cadere i
suoi sospetti sul gussain dal braccio anchilosato. Quella circostanza colpì
subito Bindar.
- Un fakiro che porta un
ramoscello chiuso entro il pugno, - disse l'indiano, quando il malese ebbe
terminato. - Non ve n'è che uno in tutta la città: Tantia.
- Lo conosci tu? - chiese la
Tigre della Malesia.
- Sì, di vista, sahib, - rispose
l'indiano.
- Che tipo è?
- Uhm! Non gode troppo buona fama
quel fakiro. Si dice che sia una spia del rajah o dei suoi ministri.
- Sai dove abita? - chiese
Tremal-Naik.
- Ordinariamente sui gradini
delle pagode e domani è venerdì, è vero?
- Sì, - rispose Kammamuri.
- Lo potremo vedere di certo
dinanzi alla pagoda di Karia. Io in tale giornata l'ho sempre veduto a fare il
giuoco del fiore in compagnia di alcuni saniassi, che devono essere i suoi
protettori ed anche i suoi sfruttatori.
- Ecco il punto di partenza, -
disse Sandokan che non aveva perduto una sillaba. - Purché non vi siano due di
quei birbanti!
- No, sahib, ne sono sicuro, -
rispose Bindar. - Io conosco la città a menadito abitando qui da undici anni e
non ho mai veduto un gussain che somigliasse a quello.
- Tu, hai notato qualche altro
segno particolare su quel fakiro? - chiese Tremal-Naik al
malese di Surama.
- Sì, una larga cicatrice sulla
fronte, che mi parve prodotta più da un terribile colpo di frusta che da
un'arma da taglio.
- È Tantia! - esclamò Bindar. -
Anch'io ho notato quel segno violaceo che sembra un leggero solco.
- A che ora va ad occupare i
gradini della pagoda? - chiese Sandokan.
- L'ho sempre veduto di buon'ora.
Nel pomeriggio dorme sotto i banian.
- Coi suoi saniassi?
- Sì, sahib.
- La bangle è sempre pronta?
- È nascosta fra i canneti della
riva.
-
Tremal-Naik, partiamo. Non mancano che tre ore all'alba.
- Quanti uomini? - chiese il
bengalese.
- Una diecina basteranno. Gli
altri rimangano a guardia di quel caro Kaksa Pharaum.
Il ministro deve essere ora più sorvegliato
che mai. Se dovesse fuggirci sarebbe finita per noi e anche per Yanez.
- Padrone, - disse - devo
avvertire il capitano?
- Per ora no. Andiamo, amici:
un'ora perduta vale un giorno in questi momenti. -
Kammamuri era subito uscito per
scegliere gli uomini che dovevano accompagnarli.
Sandokan e
Tremal-Naik si vestirono rapidamente, presero le loro armi
e lasciarono il salotto.
Fuori dalla pagoda sotterranea
dieci malesi, fra i quali si trovava anche il malese di Surama, li aspettavano
insieme a Bindar ed a Kammamuri.
Ad un fischio mandato dalla Tigre
della Malesia, le sentinelle che vegliavano nelle macchie circostanti, erano
accorse.
- Nulla di sospetto? - chiese
Tremal-Naik.
- No.
- In marcia, - comandò allora
Sandokan.
I quattordici uomini scomparvero
fra le macchie che s'allargavano intorno alla roccia, avviandosi verso la riva
del Brahmaputra.
Bindar si era messo alla testa,
subito seguìto da Sandokan e da Tremal-Naik i quali
tenevano le carabine sotto il braccio onde essere più pronti a servirsene.
Il fiume muggiva sordamente a
breve distanza, nondimeno tutti aprivano ben bene gli occhi e tendevano gli
orecchi, avendo già saputo che il capo della scorta di Yanez, la notte
precedente, aveva ucciso un individuo sospetto che lo aveva seguìto per
parecchie ore.
Giunti a duecento passi dal corso
d'acqua, si gettarono in mezzo ad un macchione di nagatampo, bellissimi alberi,
dal legname così duro che gli europei lo hanno chiamato legno del ferro e che
producono dei fiori assai profumati, dei quali si servono le eleganti indiane
per ornarsene i capelli.
- La bangle non è che a pochi
passi - disse Bindar, volgendosi verso Sandokan e
Tremal-Naik.
- Che ci sia ancora?
- L'ho visitata ieri mattina,
sahib. -
Attraversarono anche quella
macchia e s'impegnarono fra una immensa quantità di calamus, che
s'aggrovigliavano gli uni cogli altri come giganteschi serpenti, spingendosi
fino sulla riva dove formano delle strane volte.
Bindar s'immerse fra le canne
acquatiche e ben presto un grido di trionfo avvertì
Tremal-Naik e Sandokan che la grossa imbarcazione era stata
trovata.
- Lesti, - disse il pirata. -
Dobbiamo approdare prima che l'alba sorga. -
La bangle, spinta da Bindar,
s'avanzava spaccando o curvando le canne che le ostacolavano la marcia.
I malesi ed i loro capi
s'imbarcarono rapidamente, prendendo subito il largo senza troppo agitare i
lunghissimi remi.
- Diritti verso l'isolotto! -
aveva comandato Sandokan.
La notte era calma,
tranquillissima anzi. Non si udivano che il mormorìo delle acque frangentisi
contro i canneti che coprivano la riva e le grida delle anitre bramine e delle
oche, le prime a svegliarsi sui grandi fiumi dell'India.
Sandokan e Tremal-Naik,
sdraiati sulla prora della grossa imbarcazione, guardavano attentamente le due
rive e l'isolotto sul quale giganteggiava la celebre pagoda che racchiudeva
nuovamente, nei suoi sotterranei, la famosa pietra di Salagraman.
Quantunque fossero sicurissimi
che nessuno li avesse veduti partire, pure non si sentivano interamente
tranquilli.
Il rapimento di Surama doveva
averli profondamente impressionati e forse per istinto avevano compreso che
qualche sospetto doveva essersi infiltrato nell'anima dei ministri del rajah.
Il segreto, fino allora così bene
custodito, sulle origini di quella bellissima ragazza, doveva essere stato
tradito da qualcuno. Diversamente a quale scopo l'avrebbero rapita?
- Vi è un mistero qui sotto, -
disse Sandokan a Tremal-Naik, - e che noi dobbiamo
decifrare. Non ammetterò mai che Yanez possa aver commesso qualche imprudenza
da destare dei sospetti nell'animo del rajah. Nessuno deve più qui rammentarsi
della bambina venduta ai thugs bengalesi.
- Era precisamente quello che
pensavo anch'io in questo momento - rispose l'indiano.
- E chi può aver tradito il
segreto? I miei uomini sono d'una fedeltà a tutta prova e adorano me e Yanez
come due divinità. Un milione di rupie offerto dal rajah, li lascerebbe
assolutamente impassibili perché sono incorruttibili.
- Non ho alcun dubbio sui tuoi
malesi e sui tuoi dayachi, - rispose Tremal-Naik.
- Ah! Se potessi sapere...
Saccaroa! Ed il greco che si è battuto con Yanez? l'hai dimenticato tu? -
Tremal-Naik
ebbe un soprassalto.
- Tu credi? - chiese con viva
emozione.
- Che quell'uomo l'abbia fatta
rapire, non perché sospetti forse in quella fanciulla una formidabile rivale
del rajah, bensì per vendicarsi della sciabolata che ricevette.
- Se tutto fosse questo non si
tratterebbe che di riprendergliela, - disse Tremal-Naik. -
Una cosa non troppo difficile per noi, è vero Sandokan?
- Aspetta che io abbia quel
fakiro nelle mie mani e vedrai come lo farò cantare! Lo costringerò io a dirmi
dove l'hanno nascosta, dovessi mettere sossopra tutta la popolazione di
Gauhati.
Quando ho sottomano i miei malesi
ed i miei dayachi, non ho paura di tutti i seikki del principe, se ne avrà
allora.
- Ti ho udito più volte parlare
di quei seikki - disse Tremal-Naik. - Tu devi avere qualche
idea.
- Penso mio caro che non sarà con
una trentina di pirati, per quanto valorosi ed audaci, che si potrà conquistare
un trono, - rispose Sandokan. - Tu mi dicesti che quei valorosi soldati servono
chi meglio li paga.
- È vero.
- Che cosa saranno per noi
centomila rupie? Una corona vale ben di più.
Aspetta che Surama sia nuovamente
libera ed io mi occuperò di questo importante affare.
Ah! Ci siamo già! Sbarchiamo.
- E l'alba spunta, - rispose
Tremal-Naik.
La bangle aveva gettata già
l'ancora a pochi passi dalla riva meridionale dell'isolotto, poi i malesi
l'avevano spinta verso terra servendosi dei loro lunghi remi.
- Fingiamo di essere cacciatori,
- disse Sandokan ai suoi uomini. - Vedo alzarsi fra questi canneti stormi di
oche, di anitre, di bozzagri e di marabù.
Fuciliamoli finché la pagoda sarà
aperta e...
- Fermi, - disse in quel momento
Bindar.
- Che cos'hai veduto?
- Comincia la nagaputsciè, - aggiunse
Bindar.
- Che cos'è ciò?
- Mi ero dimenticato di dirti,
sahib, che quest'oggi scade appunto l'uffizio del serpente, - rispose
l'indiano.
- Ne so meno di prima: tu ti
scordi facilmente che io non sono indiano.
- È una festa che fanno le donne,
sicché ne vedremo moltissime qui. Mancheranno invece gli uomini.
- Meglio per noi: così non ci
daranno impiccio quando piomberemo sul fakiro.
E perché vengono qui le donne?
- Perché su queste rive abbondano
l'arisci ed il margosano.
- Due piante acquatiche?
- Sì, sahib.
- Andiamo a cacciare fra i
margosani allora. -
Diede ordine a tre malesi di
rimanere a guardia della bangle, poi tutti scesero fra i canneti che
pullulavano di uccelli acquatici.
La luce diurna si diffondeva
rapidissima e si udivano già a risuonare nella pagoda i giganteschi tumburà,
quegli enormi tamburi ricchi di dorature e di pitture, coi quali s'annunciano
le feste religiose ed i tam-tam.
Fra i canneti e le piante di loto
che tappezzavano le rive, volavano via vere nubi di tortorelle dalle piume
bianche, che mandavano lievi grida, cakinni, colombi di tutte le tinte,
pernici, beccaccini, corvi, bozzagri e gypaeti insieme con oche ed anitre.
Sandokan,
Tremal-Naik ed i malesi non tardarono ad aprire il fuoco,
più per farsi credere cacciatori che per fare delle prede, non avendo con loro
alcun fucile da caccia.
Tutto quel baccano infatti non
ebbe altro risultato che di far stramazzare qualche oca, colpita
miracolosamente da una palla di carabina.
La caccia durò una mezz'ora, poi
fu sospesa, poiché cominciavano a giungere sulla riva delle donne per compiere
la cerimonia del nagaputsciè, ossia l'uffizio del serpente.
Quella strana festa viene
eseguita parecchie volte all'anno ed ha per iscopo d'invocare la protezione
delle divinità per avere una numerosa prole.
I serpenti hanno nulla a che fare
in questa funzione, poiché i sapwallah, ossia gli incantatori, non si fanno
nemmeno vedere, né figurano alcun cobra-capello, né il più
infimo naja.
Il tutto si limita ad una
semplice passeggiata, che fanno le donne sulle rive dei fiumi o degli stagni,
dove abbondano soprattutto le piante chiamate arisci e margosano.
Giunte sotto quegli alberi che
non nascono che fra i bassifondi, le indiane depongono una pietra chiamata
lingam, già venerata da tutti i bramini e da tutti i sivani, d'una forma che
non si può descrivere perché troppo oscena, ma che per la circostanza è unita
da due piccole serpi pure di pietra.
Dopo averla ben lavata nell'acqua
del fiume o dello stagno, vi accendono dinanzi alcuni pezzi di legno, destinato
specialmente a quelle specie di sacrifici e vi gettano sopra dei fiori
chiedendo al dio a cui sono fedeli, ricchezze, numerosa prole e molti anni di
vita ai loro mariti.
Terminate alcune preghiere
abbandonano quelle pietre sul luogo onde altre donne che non le posseggono se
ne possano servire.
Se per caso sulle rive non
trovano alcuna pianta di arisci o di margosano, portano con loro alcuni rami di
quegli alberi e li piantano da una parte e dall'altra del lingam, in modo da
formare una specie di baldacchino.
L'arisci, per le donne indiane
viene riguardato come il maschio ed il margosano come la femmina, quindi
raccolgono più rami dell'uno o dell'altro secondo il desiderio dei loro mariti.
Sandokan vedendo giungere le
prime schiere di donne, chiamò i suoi cacciatori onde non disturbare quelle
cerimonie e, guidato da Bindar, s'avviò verso la grande pagoda dove sperava di
trovare il misterioso fakiro che aveva rapita Surama.
Attraversati alcuni boschetti di
fichi baniani e di cassie latifoglie, che somministrano agli indù dei fiori
molto carnosi e assai nutrienti, si trovarono improvvisamente dinanzi al vasto
piazzale che si estendeva intorno alle gradinate della pagoda.
Bindar che precedeva sempre la
truppa, aveva subito fatto un salto indietro.
- Che cos'hai? - aveva subito
chiesto Sandokan.
- Lui!
- Chi lui?
- Il gussain! -
Sandokan si volse verso il malese
di Surama mostrandogli il fakiro.
- Padrone! - esclamò il malese.
- Lo vedi quel fakiro che ha un
braccio rigido?
- Il birbante!
- Lo riconosci?
- Sì, è quello che è venuto nel
palazzo a levare il mal occhio.
- Non t'inganni?
- No, padrone: è proprio lui.
Ecco la cicatrice che gli sfregia la fronte.
- Va bene: siamo su una buona
pista. -
Il gussain Tantia si trovava
seduto sui gradini dell'entrata principale della pagoda, tenendo in mano una
conchiglia del genere dei corni d'Ammone, simile alla famosa pietra di
Salagraman, piena di latte, che doveva, secondo il rito, essere stato prima versato
sul lingam, per poterlo efficacemente offrire ai moribondi, onde potessero
rendersi degni di godere le delizie del cailasson, ossia del paradiso indiano.
Intorno a lui sonnecchiavano
dieci o dodici altri fakiri che appartenevano però alla classe dei saniassi,
pessimi individui più dediti al brigantaggio che alle pratiche religiose e che
sono assai temuti da tutti gli indiani.
Ed infatti oltre le lunghe barbe
che davano loro un aspetto ripugnante, ai lunghissimi capelli che da anni non
dovevano aver conosciuto l'uso del pettine e che erano imbrattati di fango
rossastro, per farsi maggiormente temere, avevano a fianco dei nodosi bastoni.
- Sono quelli i suoi protettori?
- chiese Sandokan con profondo disprezzo, volgendosi verso Bindar.
- Sì, sahib.
- Bella scorta!
- Guardati, perché sono cattivi e
nell'istesso tempo molto rispettati.
- Mi degnerò appena di prenderli
a calci. Sarebbe troppo onore per loro, se mi servissi della carabina o della
scimitarra.
Accampiamoci sotto l'ombra fresca
di questo superbo pipal e tu malese mio cerca di non farti vedere dal fakiro.
Potrebbe riconoscerti ancora.
- Sì, padrone - rispose il
pirata, sdraiandosi dietro ai suoi compagni.
- Ed ora, giacché abbiamo portato
con noi delle provviste, facciamo colazione, - disse Tremal-Naik.
Senza preoccuparsi delle donne
che entravano in gran numero nella pagoda e che si facevano dare dal fakiro
alcune gocce di latte che mettevano religiosamente entro delle microscopiche
ampolle, per serbarle probabilmente pei loro mariti o congiunti, trassero le
provviste, che i malesi, sempre prudenti perché abituati alle lunghe
spedizioni, avevano rinchiuse in sacchetti di tela e consistenti in carne
fredda, biscotti e bottiglie di arak.
Il fakiro pareva non si fosse
accorto affatto della presenza di quel drappello che bivaccava sotto le piante.
Continuava a vendere il suo latte, mentre i suoi protettori dormivano al sole,
certi di dividere una buona giornata.
Terminato il pasto, i malesi ed i
loro capi, si misero a fumare, aspettando impazientemente il momento
d'impadronirsi del fakiro.
Non fu però che verso il tramonto
che Tantia lasciò i gradini della pagoda, coll'evidente intenzione di
tornarsene in città.
I saniassi si erano svegliati e
armati dei loro bastoni, gli si erano messi alle calcagna impazienti forse di
dividere il prezzo della vendita del latte sacro.
- In piedi - aveva comandato
Sandokan. - Li sorprenderemo sotto le macchie.
Tu malese resta indietro, onde
non s'accorgano delle nostre intenzioni. -
Il drappello si cacciò sotto i
fichi baniani, sparando qualche colpo contro i pappagalli che cicalavano
rumorosamente ed in grande numero, fra i frondosi rami di quegli splendidi e
maestosi alberi.
Il fakiro pareva che non avesse
anche questa volta prestata alcuna attenzione a quei cacciatori ed aveva
continuata la sua via sempre seguìto da quei luridi saniassi.
Già aveva percorso quasi mezzo
chilometro accostandosi sempre più alla riva, dove aveva certo la sua barca,
quando Sandokan e Tremal-Naik, che lo avevano preceduto
girando le macchie, gli sbarrarono la via, tenendo le carabine in mano.
- Alto, fakiro! - gridò il primo,
mentre i malesi si radunavano rapidamente dietro di lui.
Tantia li guardò tranquillamente,
dicendo:
- Non ho più latte da vendere, e poi
ai cacciatori non ne do mai.
- Si tratta di qualche cosa di
più importante del latte, amico, - rispose Sandokan.
Questa volta il gussain li guardò
sospettosamente.
- Che cosa vuoi tu? Non vedi che
sono un fakiro?
- È bene un fakiro che mi
occorre.
- Va' a cercarne un altro.
- Un altro non saprebbe dirmi
quello che voglio sapere da te.
- Da me! - esclamò il gussain con
inquietudine. - Tu vedi che io sono un pover'uomo che non si occupa che della
vendita del latte sacro e del mal occhio.
- È appunto perché tu sai
togliere le occhiate fatali, che noi abbiamo bisogno di te, - disse
Tremal-Naik.
- Io non ho tempo in questo
momento. Devo tornare in città essendo atteso da un grande personaggio della
corte.
- Quello aspetterà - disse Sandokan
con tono minaccioso. - Congeda la tua scorta e vieni con noi.
- Io non vado mai solo.
- Basta fakiro! Obbedisci! -
I saniassi vedendo che la
faccenda prendeva una brutta piega, impugnarono i loro randelli e si misero
dinanzi al gussain urlando a squarciagola:
- Largo, canaglie! -
Sandokan si volse verso i malesi
dicendo:
- Spazzate questi furfanti! -
Non aveva ancora terminato il
comando che i pirati, guidati da Kammamuri e da Bindar, si erano scagliati,
impugnando le carabine per la canna onde servirsene come mazze.
I saniassi lasciarono andare
alcune randellate, poi scapparono come lepri in tutte le direzioni lasciando lì
il loro protetto.
- Ora briccone, - disse Sandokan,
scrollando bruscamente il disgraziato fakiro - verrai con noi.
- Non mi uccidete! - balbettò il
povero diavolo terrorizzato.
- Non saprei che cosa farne della
tua pelle, - rispose Sandokan. - Non sarebbe buona nemmeno per fabbricare un
tumburà. È la tua lingua che mi occorre.
- Vuoi strapparmela, signore! -
strillò il gussain tremando.
- Allora non parlerebbe più
mentre noi abbiamo bisogno invece che canti e molto alto. Cammina e basta.
- Dove volete condurmi?
- Lo saprai più tardi.
- Bada che io ho il potere di
gettare il mal occhio.
- Finiscila, cialtrone! - disse
Tremal-Naik. - Già i tuoi saniassi non torneranno a
liberarti. Avanti! -
I malesi si presero in mezzo il
gussain e lo spinsero verso la riva che era poco lontana.
La notte era già calata, quando
il drappello giunse dinanzi alla bangle, la quale era nascosta fra i canneti.
- Nulla di sospetto? - chiese
Sandokan ai due dayachi che erano rimasti a bordo.
- No, padrone, - risposero ad una
voce.
- Imbarchiamoci e torniamo
presto. Io non so che cosa sia, eppure non sono tranquillo questa sera.
- Che cosa temi? - chiese
Tremal-Naik, mettendo piede sul ponte. - Finora tutto è
andato bene.
- Eppure vorrei già essere nella
pagoda sotterranea.
- Infatti tu mi sembri
irrequieto.
- È il rapimento di Surama che mi
ha tolto la mia solita tranquillità, - rispose Sandokan. - Io non cesso dal
chiedermi perché l'hanno portata via.
- Il fakiro è nelle nostre mani e
ce lo dirà. -
In quel momento due detonazioni
ruppero il silenzio che regnava sul fiume, rumoreggiando sinistramente sotto le
folte boscaglie che si prolungavano lungo le rive.
Sandokan aveva spiccato un salto.
- Le carabine dei miei uomini! -
aveva esclamato. - Amici, preparatevi al combattimento! -
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