Come Bindar aveva detto, proprio
sotto la parete che reggeva l'ultimo terrazzo, s'aprivano due finestre
piuttosto anguste, ma sufficienti per lasciar passare un uomo, e riparate da
semplici stuoie di coccottiero.
Sandokan che si era riunito a
Tremal-Naik, a Kammamuri e a Surama, dopo averle osservate
un momento, trasse dalla fascia il kriss e con un colpo solo sventrò il
grossolano tessuto, introducendo la testa attraverso lo squarcio.
- Non vi è nessuno? - chiese il
bengalese.
- Sembra che le grida e le
fucilate non abbiano ancora guastato il sonno agli abitanti di questa casa -
rispose Sandokan. - Chi è che ha una torcia?
- Io, sahib - rispose Bindar.
- Accendila, ragazzo previdente.
- Eccola padrone. -
La Tigre della Malesia sfondò la
stuoia strappandola completamente; prese la torcia, armò una pistola ed entrò
in un bugigattolo ingombro solamente di vecchie mobilie fuori d'uso.
- Che tutti mi seguano, - comandò
- e tenete pronte le armi. -
Con una semplice spinta aprì una
porta e trovata una scala, si mise a scendere tranquillo, come se fosse stato
in casa sua. Molte porte s'aprivano a destra ed a manca, però tutte erano
chiuse e nessun rumore si udiva.
- Si direbbe che questa casa è
deserta, - mormorò Sandokan.
S'ingannava, poiché mentre stava
per scendere il primo gradino d'uno scalone, due servi indiani, due sudra, gli
si pararono dinanzi roteando minacciosamente nodosi randelli e gridando:
- Ferma!
- Sgombrate, - rispose invece
Sandokan puntando contro di loro la pistola. - Siamo in quaranta e tutti
armati.
- Che cosa vuoi tu? - chiese il
più vecchio. - Come sei entrato qui, senza il permesso del padrone?
- Noi desideriamo solamente
andarcene, senza disturbare nessuno.
- Siete ladri?
- Nessuno dei miei uomini ha
toccato le cose appartenenti al tuo padrone. Orsù, metti fuori la chiave e
aprici il portone. Abbiamo fretta.
- Io non posso aprire senza
l'ordine del padrone.
- Ah, occorre il suo ordine? La
vedremo. -
Si volse verso i malesi che
l'avevano raggiunto e disse loro:
- Legate ed imbavagliate questi
due servi. -
Non aveva ancora terminato
quell'ordine, che già i malesi si erano scagliati come tigri sui sudra
disarmandoli ed imbavagliandoli.
- La chiave! se non volete che vi
faccia gettare giù dalla scala, - disse Sandokan con voce imperiosa. - Vi ho
detto che abbiamo fretta. -
I due indiani spaventati non
osarono più rifiutarsi e porsero la chiave.
Sandokan riprese la discesa
seguito da tutto il drappello e aprì non senza qualche difficoltà il portone.
Nessuno pareva che si fosse accorto di quell'invasione, poiché nessun altro
servo erasi mostrato.
- Eccoci finalmente liberi, -
disse Sandokan. - Come hai veduto, mio caro Tremal-Naik, la
cosa non poteva essere più facile.
- Tu sei sempre l'uomo
straordinario che la Malesia intera ha temuto e ammirato.
- Venite tutti. -
Non essendo ancora sorta l'alba,
la via era deserta, sicché poterono allontanarsi indisturbati e raggiungere le
viuzze d'un vicino sobborgo, che terminava sulle rive del Brahmaputra.
In lontananza il cielo era tinto
di rosso. Erano i riflessi dell'incendio che divorava il palazzo di Surama.
Vedendoli, la giovane principessa
non poté trattenere un lungo sospiro, che non isfuggì a Sandokan che le
camminava a fianco.
- Tu rimpiangi la tua casa, è
vero amica? - disse il pirata.
- Non lo nego.
- Fra non molto ne avrai una più
bella: il palazzo del rajah.
- Tu dunque speri sempre,
signore?
- Non avrei lasciata la Malesia,
- rispose Sandokan, - se non fossi stato certo di condurre a buon fine
l'impresa.
Fra me, Yanez e
Tremal-Naik, rovesceremo quell'ubbriacone sanguinario, che
regna sull'Assam e gli strapperemo la corona che egli ha conquistata con un
semplice colpo di carabina.
Egli ha mandato te a fare la
bajadera e noi manderemo lui a fare... il bramino od il gurum. -
Intanto erano giunti sotto i
folti tamarindi che ombreggiavano la riva del fiume. Sandokan si era fermato
rivolgendosi verso i servi e le donne, che si erano raggruppati dietro di lui.
- È questo il momento di lasciare
la vostra padrona, - disse loro. - Riceverete ognuno cinquanta rupie di regalo,
che vi consegnerà domani mattina Bindar nel bengalow di passaggio.
Appena avremo bisogno di voi
riprenderete il vostro servizio.
- Grazie, sahib - risposero i
sudra commossi da tanta generosità.
- Disperdetevi e non
dimenticatevi dell'appuntamento. -
Le donne baciarono le mani di
Surama, gli uomini l'orlo della veste, poi si allontanarono rapidamente
prendendo varie direzioni.
- Ora a noi, Bindar, - riprese
Sandokan; - posso contare sulla tua assoluta fedeltà?
- Mio padre è morto difendendo
quello della principessa ed io, che sono suo figlio, sarei ben lieto di fare
altrettanto - rispose con nobiltà l'assamese. - Comanda, sahib.
- Andrai, innanzi tutto, a
presentare questa tratta di cinquantamila rupie al banco
anglo-assamese e pagherai i servi.
- Bene sahib: ti riporterò
fedelmente la rimanenza non più tardi di domani sera.
- Non c'è premura - disse
Sandokan. - Hai altro da fare qui, prima di raggiungermi nella jungla di Benar.
- Comanda, sahib.
- Tu andrai al palazzo reale e
cercherai di vedere Yanez o qualcuno dei suoi uomini.
- Che cosa devo dire al sahib
bianco?
- Narrargli tutto ciò che è
avvenuto e dirgli dove noi ci troviamo. Se ti darà una lettera noleggerai una
barca e verrai a raggiungermi nella jungla. Sii prudente e bada di non farti
prendere.
- Non mi lascerò sorprendere,
signore, - rispose Bindar.
- Va', bravo ragazzo: la tua
fortuna è assicurata. -
L'assamese baciò l'orlo della
veste di Surama, poi si allontanò velocemente scomparendo sotto gli alberi.
- Alla bangle ora, - disse
Sandokan. - Speriamo di trovarla ancora nel medesimo posto dove l'abbiamo
lasciata.
- E facciamo presto - aggiunse
Tremal-Naik. - Noi non saremo interamente sicuri finché non
ci troveremo nella pagoda di Benar.
- Se lo saremo anche là.
- Dubiti?
- Eh! chi lo sa? Il greco non
mancherà di spie, mio caro Tremal-Naik, e tu sai meglio di
me quanto sono astuti e soprattutto intelligenti i tuoi compatriotti.
- Questo è vero - rispose il
bengalese.
- E faremo perciò bene a
guardarci alle spalle. Alla bangle amici, e andiamocene prima che il sole
sorga. -
Si cacciarono in mezzo agli
alberi seguendo la riva che era popolata solamente di marabù, ritti e fermi
sulle loro zampe, in attesa che la luce si avanzasse per recarsi a pulire le
vie della città, essendo quegli ingordi volatili i soli spazzini dei quartieri
indù, spazzini economici, ma non meno utili di quelli umani perché tutto
divorano: ossa, vegetali marci, avanzi di qualunque genere che i cani più
affamati sdegnerebbero.
Le stelle cominciavano ad
impallidire quando il drappello giunse nel luogo dove era stata lasciata la
bangle.
- Niente di nuovo? - chiese
Sandokan ai due malesi che erano rimasti a guardia della barca.
- Sì: siamo spiati, Tigre della
Malesia, - rispose uno dei due.
- Che cos'hai notato?
- Alcuni uomini sono venuti a
ronzare presso la bangle.
- Molti?
- Cinque o sei.
- Soldati del rajah?
- No, non erano guerrieri quelli.
- Sono ritornati?
- Due ore fa li abbiamo riveduti,
- rispose il malese.
Sandokan guardò
Tremal-Naik.
- Che cosa ne dici tu? - gli
chiese.
- Che la nostra presenza è stata
notata e che il rajah o il greco tenteranno di fare qualche colpo contro di
noi, - rispose il bengalese.
- Che vengano ad assalirci nella
jungla?
- Ho proprio questo dubbio.
- Bah! Abbiamo laggiù forze
sufficienti per opporre una terribile resistenza. Se vogliono seguirci lo
facciano pure: saremo pronti a dar loro una tale lezione che non
dimenticheranno facilmente. -
Salirono sulla bangle; i malesi
presero i remi e si spinsero al largo risalendo la corrente del Brahmaputra.
Sandokan, come era sua abitudine,
si era collocato a prora con Tremal-Naik e Surama. Gli
occhi vigili del pirata sorvegliavano attentamente la riva, poiché, dopo quanto
gli avevano riferito i due malesi lasciati a guardia della barca, un dubbio lo
aveva assalito.
Ed infatti la bangle non aveva
ancora percorso duecento metri, quando da una piccola insenatura, nascosta da
giganteschi tamarindi, vide avanzarsi sul fiume una di quelle leggere barche,
che gli indiani chiamano mur-punky e che rassomigliano
nelle forme alle baleniere, quantunque abbiano la prora un po' elevata ed
adorna d'una grossa testa di pavone.
- Ah! furfanti! - mormorò. -
M'aspettavo questo inseguimento.
- E ci lasceremo dare la caccia
da quegli uomini? - chiese Surama.
- Non siamo ancora giunti nella
jungla di Benar, - rispose Sandokan.
- Chissà che cosa può succedere
prima d'imboccare il canale che conduce nello stagno dei coccodrilli. Io spero
di offrire a quei brutti sauriani una cena appetitosa, quantunque li detesti.
- Quegli uomini possono diventare
un giorno miei sudditi.
- Ne avrai sempre abbastanza, -
rispose freddamente Sandokan. - Se io avessi risparmiati tutti i miei nemici,
non sarei diventato la Tigre della Malesia, né avrei potuto rimanere per tanti
anni nella mia Mompracem.
D'altronde io non potrei tenere
troppi prigionieri: ne ho già due nella jungla, uno dei quali potrebbe darmi
dei gravi fastidi.
- Chi è?
- Il fakiro che ti ha rapita, mia
cara Surama. Se quello riuscisse a scapparmi, a noi non resterebbe altro che di
rifugiarci al più presto nel Borneo, e allora la tua corona sarebbe perduta.
Ah! ci corrono dietro! La vedremo, signori miei: abbiamo palle e polvere
ancora. -
Il mur-punky
che era montato da otto rematori e da un timoniere, filava rapidissimo
tenendosi sulla scia della bangle. Che quegli uomini fossero semplici rematori,
vi era da dubitare, poiché gli sguardi acuti di Sandokan avevano veduto,
quantunque cominciasse solo allora a rischiararsi il cielo, le estremità di
parecchi fucili che s'appoggiavano sui due bordi.
Poteva darsi che fossero
cacciatori in cerca di anitre bramine e di oche, volatili che abbondano sempre
sulle rive dei grandi fiumi dell'India, specialmente su quelli che bagnano le
terre orientali di quella immensa penisola.
Ad un tratto però la leggera
baleniera si gettò fuori dalla scia, piegando a destra e con uno sforzo di remi
sorpassò la bangle, che in causa della sua pesante costruzione e dei suoi
larghi fianchi, non poteva vincerla in velocità, e con non poca sorpresa di
Sandokan e di Tremal-Naik, si diresse verso la riva
sinistra, dove si scorgeva vagamente, sotto le immense fronde di tamarindi
costeggianti il fiume, una massa nera.
- Che cosa significa questa
manovra? - si chiese il pirata corrugando la fronte.
- Che ci siamo ingannati? - disse
Tremal-Naik.
- Adagio, amico - rispose
Sandokan. - Che cos'è, innanzi a tutto, quell'ombra grossa che si nasconde
sotto le piante?
- Da' ordine al timoniere di
accostarsi alla riva. Voglio vederci chiaro in questa faccenda.
- Toh! Guarda,
Tremal-Naik. Il mur-punky l'ha
abbordata.
- Che sia qualche bangle? In tale
caso non dovremmo spaventarci.
Quegli uomini del
mur-punky possono essere marinai che tornano a bordo del
loro legno.
- Uhm! - fece Sandokan. - Non
sono affatto rassicurato. Ehi, Kammamuri, poggia ancora! -
La bangle deviò verso la riva
sinistra mentre i malesi rallentavano la battuta e passò dinanzi alla massa
oscura a trenta o quaranta metri di distanza.
Un doppio grido di stupore sfuggì
dalle labbra del pirata e del bengalese.
- Il poluar! -
Si guardaron l'un l'altro
interrogandosi cogli occhi.
- Sarà poi quello che ci ha
seguiti quando scendevamo il fiume? - chiese finalmente
Tremal-Naik.
- Quando io ho veduto una volta
una nave non la scordo più, - rispose Sandokan. - Quello è il poluar che ci ha
dato la caccia.
- E che si prepara a seguirci
ancora, - aggiunse Kammamuri, che aveva ceduto il timone ad un malese. - Stanno
spiegando le vele.
- Eppure non devono scoprire il
nostro rifugio, - disse Sandokan che era diventato pensieroso.
- Vorresti assalirlo? - chiese
Surama, - Un equipaggio ben più numeroso del tuo.
- Ho un'idea, - disse Sandokan, dopo
essere rimasto alcuni istanti silenzioso. - Tu, Kammamuri, saresti capace di
fabbricarmi una bomba? Basterà una scatola di latta, una di quelle che
contengono le conserve.
Ne dobbiamo avere qui.
- Ne ho fatto imbarcare una
dozzina piene di biscotti, prima di lasciare la jungla.
- Basterà una di quelle: con un
chilogrammo di polvere si può produrre un bel guasto.
Lega però solidamente la scatola,
con del filo di ferro se lo puoi trovare e mettici una buona miccia, che non
sia più lunga di cinque centimetri.
- E con quale cannone la lancerai
a bordo del poluar? - chiese Tremal-Naik.
- Andrò io a regalarla a quei
signori, - rispose Sandokan. - Saremo costretti ad aspettare la notte poiché il
sole già si alza; ma noi non abbiamo fretta ed i nostri amici, che sono nella
jungla, non si inquieteranno pel nostro ritardo.
- Non riesco a comprendere il tuo
progetto.
- Lo capirai quando mi vedrai
all'opera. Va' a riposarti, Surama, tu devi essere molto stanca.
Ti sveglieremo all'ora della
colazione e tu Kammamuri va' a fabbricarmi la bomba e metti fra la polvere più
palle di carabina che puoi.
Vedremo poi come se la caverà
quel poluar. -
Accese la pipa e si portò a poppa
della nave per sorvegliare le mosse di quei misteriosi naviganti.
Il piccolo naviglio, levate le
ancore e sciolte le sue due vele quadrate, aveva lasciata la riva ed avendo il
vento favorevole, si era messo dietro alla bangle tenendosi ad una distanza di
tre o quattrocento metri. Dietro la poppa rimorchiava il mur-punky.
Se avesse voluto avrebbe potuto
superare facilmente la pesante barca di Sandokan, essendo quei piccoli
bastimenti velocissimi, anche con vento scarso; ma si vedeva che il suo
equipaggio non aveva alcun desiderio di fare troppo cammino, poiché di quando
in quando abbassava ora l'una ora l'altra vela per rallentare la marcia.
Essendosi il sole ormai innalzato
sopra le immense foreste del levante, Sandokan e
Tremal-Naik potevano distinguere facilmente le persone che
montavano quel poluar.
Non erano che dieci o dodici e
parevano battellieri, non avendo per vestito che un semplice dootèe annodato
intorno ai fianchi per esser più lesti a montare sull'alberatura, ma forse
altri si tenevano nascosti nella stiva.
Una cosa aveva subito colpito il
pirata ed il bengalese: era un enorme tamburo, uno di quelli che gl'indiani
chiamano hauk e di cui si servono nelle feste religiose, tutto adorno di
pitture e di dorature e sormontato da mazzi di penne variopinte e che si
trovava collocato fra i due alberi, quasi in mezzo alla coperta.
- Quello non è un istrumento da
guerra, - disse Sandokan, a cui nulla sfuggiva, - né fino ad oggi ho veduto
quei tamburoni sui velieri indiani.
- E nemmeno io, - rispose
Tremal-Naik. - Lo hanno collocato là per qualche motivo e
che io forse indovino.
- Vuoi dire?
- Che quegli istrumenti quando
sono vigorosamente percossi si possono udire a distanze incredibili.
- Sicché servirebbe?
- Per trasmettere dei segnali.
- Sono della tua opinione, -
disse Sandokan. - Si prepara qualche cosa contro di noi. Ormai abbiamo fatto
troppe osservazioni.
- Bah! aspettiamo questa sera e
anche quel tamburone andrà a tenere allegra compagnia ai pesci del Brahmaputra.
-
La bangle intanto continuava la
sua marcia, senza troppo affrettarsi, non volendo Sandokan allontanarsi di
troppo dal canale che conduceva alla laguna, seguìta ostinatamente dal poluar,
il quale si sforzava di mantenersi sempre alla medesima distanza, quantunque la
brezza mattutina fosse diventata più forte.
Il fiume che si svolgeva superbo,
scendendo dolcemente, invece di restringersi tendeva ad allargarsi, scorrendo
fra due magnifiche rive coperte di palas, di palmizi tara, di mangifere
splendide e di nim dal tronco enorme e dal fogliame cupo e foltissimo.
Di quando in quando compariva
qualche risaia, chiusa tra arginetti alti alcuni piedi, destinati a trattenere
le acque, tutta coperta da lunghi steli d'un bel verde e che producono dei
chicchi enormi; ma ben presto la foresta riprendeva il suo impero svolgendosi
fra un caos di liane che formavano dei pergolati bellissimi.
Numerose bande di semnopiteci,
svelte e leggere scimmie che gli indiani chiamano langur, alte un metro e
mezzo, ma così magre da non pesare oltre dieci chilogrammi, si mostravano sugli
alberi e salutavano i naviganti con fischi acuti, scagliando nel medesimo tempo
frutta e ramoscelli, essendo insolentissime.
Sulle rive invece, fra i canneti,
svolazzavano gruppi di bellissime anitre bramine, di cicogne, di bozzagri e di
marabù e sonnecchiavano indolentemente, scaldandosi al sole, grossi coccodrilli
dai dorsi rugosi e coperti di piante acquatiche.
A mezzogiorno, Sandokan fece
dirigere la bangle verso la riva sinistra e affondare l'ancora, onde permettere
ai suoi uomini di far colazione.
Il poluar continuò la sua marcia
per altri tre o quattrocento metri per non destare forse dei sospetti, ma poi
poggiò verso la riva destra gettando le sue ancore in un minuscolo seno, dove
l'acqua era ancora abbastanza profonda.
Dal fumo che sfuggiva dal casotto
di poppa, Sandokan s'accorse subito che anche quell'equipaggio si preparava il
pasto del mezzodì.
- Hai ancora qualche dubbio sulle
intenzioni di quegli uomini? - chiese a Tremal-Naik.
- No, - rispose il bengalese che
appariva preoccupato. - Se non troviamo il mezzo di sbarazzarci di quel legno,
non ci lasceranno più.
Quegli uomini devono aver
ricevuto l'ordine di spiarci.
- Aspettiamo questa notte. -
Fecero chiamare Surama e
pranzarono sulla tolda, dopo d'aver avuto la precauzione di far stendere una
vela sopra le loro teste onde preservarsi da qualche colpo di sole.
Non fu che verso le quattro del
pomeriggio che Sandokan fece dare il segnale della partenza.
La bangle si era appena mossa che
anche il poluar spiegava una delle sue due vele, prendendo la medesima via.
- Ah, non volete lasciarci? -
disse il pirata. - La bomba è pronta e penserà essa ad arrestarvi anche in
piena corsa. -
Le due barche continuarono a
navigare di conserva, l'una a remi e l'altra a vela, mantenendo la medesima
distanza che variava dai trecento ai cinquecento metri.
La regione era diventata deserta.
Non si scorgevano più né risaie,
né capanne e nemmeno barche.
La jungla, sfuggita da tutti gli
abitanti che non avevano alcun desiderio di ricevere le visite poco gradite
delle tigri e delle pantere, non doveva essere lontana.
Infatti verso il tramonto, la
bangle che si era avanzata assai, benché lentamente, passava dinanzi al canale
che conduceva nella palude; ma Sandokan vedendosi sempre alle costole il
poluar, si guardò bene dal dare il comando di cacciarvisi dentro.
Lasciò che la barca risalisse il
fiume per un paio di miglia ancora, poi, quando le tenebre scesero, fece
gettare di nuovo le ancore presso la riva sinistra.
Il poluar, come aveva fatto al
mezzodì, proseguì la sua marcia per alcune centinaia di metri e si ancorò non
già sulla riva opposta, bensì in mezzo al fiume, onde sorvegliare più
strettamente la piccola barca.
- Cenate pure, - disse Sandokan a
Tremal-Naik ed a Surama.
- E tu? - chiese il bengalese.
- Mangerò dopo il bagno.
- Che cosa vuoi tentare?
- Non te l'ho detto? Voglio
sbarazzarmi di quegli spioni.
- E come?
- Il tuo bravo Kammamuri m'ha
preparato una bomba veramente splendida. Quando tu, Surama, diventerai la
regina dell'Assam lo nominerai generale dei granatieri.
- Io farò tutto quello che
desidereranno i miei protettori, - rispose la giovane con un amabile sorriso.
- Pensiamo ora al nostro affare,
- disse Sandokan. - La notte è oscura e nessuno mi vedrà attraversare il fiume.
- Tu vuoi farti divorare! -
esclamò Tremal-Naik spaventato.
- Da chi?
- Vi sono coccodrilli e anche
squali d'acqua dolce nelle acque del Brahmaputra. -
Sandokan alzò le spalle, poi levandosi
dalla fascia il kriss malese disse con noncuranza:
- E quest'arma a che cosa
dovrebbe dunque servire? - chiese. - Quando il vecchio pirata di Mompracem l'ha
bene in pugno, se ne ride degli uni e anche degli altri. La mia carne non fa
per loro, tranquillizzati.
- Lascia che t'accompagni.
- No, amico. In queste faccende
non può agire che un solo uomo.
- Non mi hai spiegato ancora il
tuo progetto.
- È semplicissimo. Vado ad
appendere la mia bomba ai cardini del timone del poluar, accendo la miccia e ritorno
tranquillamente a bordo della mia bangle.
Vedrai che guasto farà quel
chilogrammo di polvere! Kammamuri, sono pronto. -
Il maharatto accorse portando con
una certa precauzione la famosa bomba, la quale non consisteva che in una
scatola di latta, bene cerchiata con filo di rame tolto dai bordi della bangle,
con una miccia lunga otto o dieci centimetri ed un gancio, ad una delle due
estremità, formato pure di filo di rame, per poterla appendere ai cardini del
timone.
Sandokan la esaminò attentamente,
fece col capo un gesto come d'uomo soddisfattissimo, poi entrato nel casotto di
poppa, si spogliò rapidamente stringendosi ai fianchi un dootèe e passandovi
dentro il kriss.
- Ora tu, mio bravo Kammamuri, mi
legherai sulla testa la bomba e vi unirai l'acciarino e l'esca.
Assicura bene l'una e gli altri,
onde non costringermi a rifare il viaggio. -
Kammamuri non si fece ripetere
due volte l'ordine.
- Fa' calare una fune ora, -
riprese Sandokan.
- Bada ai coccodrilli, signore, -
disse Surama che sembrava commossa. - Tu arrischi la tua preziosa vita per me.
- E per gli altri, - rispose il
fiero pirata. - Sii tranquilla, mia bella fanciulla. La carne delle vecchie
tigri di Mompracem è troppo coriacea. -
Stese la mano alla giovane ed a
Tremal-Naik, raccomandò il più assoluto silenzio, poi si
lasciò scivolare lungo la fune, immergendosi, dolcemente, nella corrente dal
fiume.
Surama,
Tremal-Naik e tutto l'equipaggio, avevano seguìto
ansiosamente cogli sguardi il formidabile pirata chiedendosi, non senza
sgomento, come sarebbe finito quell'audace tentativo, ma dopo pochi istanti lo
perdettero di vista essendo l'acqua oscurissima ed il cielo coperto di vapori.
Sandokan si era messo a nuotare
silenziosamente, tagliando la corrente, che era d'altronde debolissima, senza
far rumore. Con frequenti colpi di tallone si teneva ben alto, temendo che
qualche spruzzo bagnasse l'esca o la miccia.
Il poluar si trovava a soli
quattrocento metri: una distanza derisoria per un uomo dell'arcipelago della
Sonda. Nessun nuotatore può competere con un malese ed un bornese della costa.
Si può dire che quegli audaci pirati nascono nel mare e che vi muoiono dentro.
Sandokan, di passo in passo che
s'accostava al piccolo veliero indiano, diventava più prudente. Non era il
timore d'incontrare qualche coccodrillo o qualche squalo d'acqua dolce, bensì
il timore che degli uomini vegliassero a bordo e che potessero scorgerlo.
Di quando in quando si fermava
per ascoltare, poi rassicurato dal profondo silenzio che regnava sul fiume e
sul veliero, riprendeva la sua marcia silenziosa, agitando le braccia e le
gambe con somma prudenza e sempre più dolcemente.
A cinquanta passi dal poluar subì
un urto. Credette per un istante che qualche sauriano cercasse di assalirlo;
trovò invece sotto mano un corpo molle, che lo appestò col suo puzzo nauseante
di carogna imputridita.
- Un cadavere, - mormorò,
respirando.
S'allungò lasciando il passo al
morto e con cinque o sei bracciate giunse sotto la poppa del veliero.
Quantunque avesse avuta la
precauzione di non levare le mani dall'acqua, gli uomini che vegliavano sul
poluar, s'accorsero certamente di qualche cosa d'insolito, poiché udì
distintamente una voce a dire:
- Si direbbe, Maot, che qualcuno
ha rasentato il bordo della nave. Hai udito nulla tu?
- Solo il timone a cigolare sui
cardini, - rispose un'altra voce. - Bah! qualche coccodrillo lo avrà urtato.
- Sarà meglio accertarsene, Maot.
Mi hanno detto i seikki che quelli che montano la bangle non sono indiani.
- Guarda dunque. -
Sandokan si era prontamente
cacciato sotto la poppa, aggrappandosi al timone.
Trascorse un mezzo minuto poi la
medesima voce di prima riprese:
- Non si vede nulla con questa
oscurità, Maot.
Ti ripeto che sarà stato un
coccodrillo. Quelle brutte bestie non mancano su questo fiume.
Dammi un po' di betel e
riprendiamo la nostra guardia a prora. Dal castello osserveremo meglio. -
Sandokan, che ascoltava
attentamente, udì uno stropiccìo di piedi nudi allontanarsi.
- Stupidi! - mormorò. - Al vostro
posto non mi sarei accontentato di chiacchierare come pappagalli. Ah! sapete
che noi non siamo indiani? Ecco una ragione di più per farvi saltare in aria. -
Attese ancora qualche minuto, poi
rassicurato dal profondo silenzio, che regnava sul poluar, levò con una mano la
scatola, si mise fra le labbra l'acciarino e l'esca, badando bene di non
bagnare quest'ultima e appese la bomba al secondo cardine.
Ciò fatto strinse le gambe contro
il timone e con grande precauzione, diede fuoco all'esca accostandola alla
miccia.
Il rumore però, per quanto
lievissimo, prodotto dalla selce battuta contro l'acciarino, fu certamente
udito dai due battellieri di guardia, poiché Sandokan s'accorse che
s'avvicinavano.
Si lasciò andare a picco nuotando
sott'acqua con estrema velocità, onde non saltare insieme con la nave.
Emerse a cinquanta metri e fissò
subito gli occhi sul poluar.
Piccole scintille cadevano sotto
la poppa. Era la miccia che ardeva.
- Eccovi serviti, - mormorò,
tornando a tuffarsi e percorrendo sempre sott'acqua altri cinquanta o sessanta
metri.
Quando tornò a galla, urla
acutissime partivano dal poluar:
- Al fuoco! al fuoco! -
Quasi nell'istesso momento un
lampo squarciò le tenebre, seguìto da una detonazione che parve un colpo di
cannone.
La poppa del piccolo veliero era
stata squarciata dalla bomba, e per l'enorme falla l'acqua entrava a torrenti.
Il timone era stato già mandato in pezzi.
A quel rimbombo, che si propagò
lungamente sotto le interminabili volte di verzura che si estendevano sulle due
rive, tenne dietro un breve silenzio, poi le grida dell'equipaggio tornarono a
farsi udite:
- Il poluar affonda! Si salvi chi
può! -
Sandokan con poche bracciate
raggiunse la bangle e afferrata la fune, che non era stata ritirata, si issò
sul ponte.
Surama e Tremal-Naik
erano accorsi.
- Ah! Tigre della Malesia! -
esclamò la prima. - Io ormai non dubito più di diventare una regina, quando
l'uomo che mi protegge possiede tale audacia.
- Tu sei un demonio, - aggiunse
il bengalese.
- Lascia che me lo dicano quei
poveri diavoli che affondano, - rispose Sandokan, scuotendosi di dosso l'acqua.
Il poluar s'inabissava
rapidamente, inclinandosi verso la poppa. Numerosi uomini saltavano in acqua,
mentre altri si salvavano sull'alberatura mandando grida di terrore, colla
speranza che il fiume non fosse in quel luogo così profondo da inghiottire
tutta la nave.
- Lasciamoli urlare e
raggiungiamo il canale, - disse Sandokan freddamente. - Se la cavino da loro.
Ai remi, amici. -
I malesi che avevano assistito impassibili
a quel disastro, per loro già non nuovo, afferrarono le lunghe pagaie e la
bangle ridiscese velocemente il fiume, aiutata dalla corrente, che si faceva
sentire piuttosto forte lungo la riva sinistra.
Per alcuni minuti i fuggiaschi
udirono ancora le urla disperate dei disgraziati che venivano tratti a fondo
insieme col naviglio, poi il grande silenzio tornò ad imperare sul Brahmaputra.
Sandokan che si era affrettato ad
indossare le sue vesti, aveva raggiunto Surama e Tremal-Naik,
che dall'alto della poppa cercavano ancora di discernere il poluar.
- Non mi ero ingannato, - disse
loro. - Ho avuto la prova che quei battellieri avevano avuto l'incarico di
sorvegliarci e fors'anche di catturarci. A bordo vi erano dei seikki del rajah.
- E come l'hai appreso? - chiese
il bengalese stupefatto.
- Da un discorso fatto da due di
quegli uomini, nel momento in cui stavo appendendo la scatola al timone. È un
vero miracolo se non mi hanno scoperto.
- Sanno dunque chi siamo noi? -
chiese Surama.
- Forse non lo credo, - rispose
Sandokan, - ma qualche cosa è trapelato di certo dei nostri progetti. Tu devi
aver parlato, Surama.
- È possibile, se mi hanno dato
da bere qualche narcotico.
- E ciò m'inquieta per Yanez.
- Non spaventarmi signore! - esclamò
la bella assamese. - Tu sai quanto io ami il sahib bianco.
- Tu finché Yanez non ci manda
qualche messo, non devi preoccuparti. Aspettiamo che torni Bindar.
- Tu però sospetti che possa
correre qualche pericolo.
- Pel momento no, e poi mio
fratellino è un uomo da cavarsela anche senza il mio aiuto. Come ha giuocato
James Brooke, il rajah di Sarawak, saprà burlare anche il rajah dell'Assam.
Aspettiamo sue nuove. -
La bangle che scendeva il fiume
con grande rapidità, era già giunta dinanzi al canale che conduceva alla
palude.
Kammamuri che aveva ripreso il
suo posto al timone, guidò la barca entro il passaggio, dopo essersi prima ben
assicurato che nessun'altra nave spiava la bangle.
Venti minuti dopo affondavano le
ancore in mezzo al vasto stagno.
Essendo la jungla pericolosissima
di notte, Sandokan mandò a dormire i suoi uomini, che cadevano per la fatica,
vi mandò poi Surama, e lui si stese sul ponte, su una semplice stuoia accanto a
Tremal-Naik, dopo essersi messa a fianco la sua fida
carabina.
L'indomani, dopo aver assicurata
bene la bangle che era loro necessarissima e d'averla nascosta sotto un enorme
ammasso di canne e di rami, Sandokan ed i suoi compagni attraversarono
felicemente la jungla e giunsero alla pagoda di Benar.
I malesi ed i dayachi si
trovavano riuniti, sorvegliando attentamente il fakiro ed il demjadar dei
seikki.
Durante l'assenza della Tigre
della Malesia, nessun avvenimento aveva turbato la calma che regnava in quella
parte della jungla.
Solo qualche tigre e qualche
pantera avevano fatto la loro comparsa, senza però osar di assalire
l'accampamento, troppo formidabile anche per quei feroci animali.
Sandokan fece allestire alla
meglio, in una delle stanze dei gurum, un modesto alloggetto per Surama, non
presentando la vasta sala della pagoda, in parte diroccata, molta solidità, ed
attese pazientemente il ritorno di Bindar.
Fu la sera del settimo giorno che
il fedele assamese finalmente comparve. Aveva risalito il fiume su un piccolo
gonga, ossia su un battello scavato nel tronco d'un albero, e aveva
attraversata la jungla prima che le belve, che l'abitavano si fossero messe in
cerca di preda. Egli recava una terribile notizia.
- Sahib, - disse appena fu
condotto dinanzi a Sandokan che stava fumando sotto un tamarindo, godendosi un
po' di fresco insieme con Tremal-Naik, - una catastrofe ci
ha colpiti. -
Sandokan ed il bengalese
balzarono in piedi in preda ad una vivissima agitazione.
- Che cosa vuoi dire tu? - gridò
il primo.
- Il sahib bianco è stato
arrestato ed i suoi malesi sono stati decapitati. -
Un vero ruggito uscì dalle labbra
del pirata.
- Lui... preso!
- E tu stai per essere assalito.
La jungla domani sarà circondata. -
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