Mentre Sandokan lavorava
tenacemente e con buona fortuna a liberare Surama, Yanez si riposava, almeno
apparentemente, alla corte del rajah, passando il suo tempo a bere, a mangiare,
a fumare più sigarette che poteva e ad ammirare le bellissime bajadere, che
ogni sera intrecciavano danze nel vasto cortile del palazzo al suono di tamburi
d'ogni genere e di lottatori, avendone sempre un buon numero i principi
indiani.
Non perdeva però di vista il
greco e non mancava d'informarsi minutamente, ogni mattina, della guarigione
del suo avversario, ben sapendo che il maggior pericolo stava celato nel
cervello di quell'avventuriero.
Una cosa però l'aveva subito
crucciato, una certa freddezza che aveva notato nel rajah. Dopo quella famosa
rappresentazione teatrale ed il suo duello, il principe non si era più occupato
di lui, né più lo aveva fatto chiamare, come se in tutto il regno gli animali
feroci fossero scomparsi.
Ciò annoiava non poco quell'uomo
d'azione che era tutt'altro che amante della neghittosità e dell'indolenza
indiana.
- Per Giove! - esclamava ogni
mattina, rotolando giù dal suo splendido letto dorato e scolpito. - Che
cacciatore sono dunque io?
Possibile che gli animali feroci
non mangino più indiani nell'Assam? Eppure le tigri non devono mancare in questo
paese che ha così tante foreste e così tante jungle. -
Erano tre giorni che oziava non
sapendo più come impiegare il suo tempo, quando la mattina del quarto, un
ufficiale del rajah, si presentò dicendogli:
- Mylord, il rajah ha bisogno del
suo grande cacciatore.
- Finalmente! - esclamò il
portoghese che si trovava ancora a letto. - Il principe si è dunque ricordato
di avere ai suoi servigi un distruttore di belve feroci? Cominciavo ad
annoiarmi.
Di che cosa si tratta?
- Gli abitanti d'un villaggio,
che si trova presso le rive del fiume, si lamentano perché un rinoceronte
distrugge ogni notte i loro raccolti.
Tutte le piantagioni d'indaco,
che formavano la loro principale ricchezza, sono perdute.
- Mi rincresce per quei
disgraziati coltivatori, ma saranno vendicati. Dove scorazza quel bestione?
- A venti miglia di qui.
- Dirai al rajah che io lo
ucciderò e che gli porterò il corno. Fa' preparare cavalli ed elefanti.
- Tutto è pronto, mylord.
- Ed anche la mia carabina è
pronta, - rispose Yanez. - Ed il favorito come va?
- Ieri sera si è alzato qualche
ora.
- Per Giove! Quell'uomo ha la
pelle più grossa del rinoceronte che andrò a uccidere, - mormorò il portoghese.
- Se un'altra volta mi capita fra i piedi lo passerò da parte a parte. -
Saltò giù dal letto, chiamò il
suo maggiordomo per dargli alcuni ordini, poi si vestì rapidamente.
- Chissà che uscendo dal palazzo
non possa avere qualche notizia di Surama e di Sandokan, - disse quando fu
solo. - E chissà che il rajah, dopo una tale caccia, si ricordi più sovente di
me. Il greco lavora sott'acqua ed io farò altrettanto, amico. Vedremo chi
uscirà colle costole rotte da questa battaglia. La popolarità s'avanza e quando
sarà ben assicurata avrò buon giuoco su te e sul principe, tuo protettore.
Non è che questione di pazienza,
come dice sempre Sandokan. -
Prese la sua carabina,
quell'istessa che aveva già abbattuta la terribile tigre nera, chiamò i malesi
fra i quali si trovava Kubang, che si era ben guardato di narrargli del
rapimento di Surama, e scese nel gran cortile, dove si trovavano pronti dodici
cavalli, due elefanti, molti cani e una ventina di seikki, che dovevano
aiutarlo nella pericolosissima caccia.
Fu nondimeno un po' sorpreso nel
trovare invece d'un maggiordomo o d'un conduttore di scikari, un alto ufficiale
del rajah, il quale gli disse senza preamboli:
- Mylord, la direzione della
caccia spetterà esclusivamente a me.
- Oh! - fece Yanez incrociando le
braccia. - Ed a me che cosa spetta?
- Di uccidere il rinoceronte.
- E se lo uccideste voi invece?
- Io non sono il gran cacciatore
della corte, - rispose seccamente l'alto ufficiale.
- Ah!
- Mi hai capito mylord? Io solo
ho la direzione.
- Spero che mi caccerai dinanzi
il bestione però.
- Lascia fare ai seikki, mylord.
-
Yanez salì su uno dei due
elefanti, molto di cattivo umore ed un po' anche pensieroso.
- Non ci vedo chiaro in questa
faccenda - mormorò. - Il greco deve aver tentato qualche colpo. Come mai il
rajah ha cambiato così presto d'umore verso di me? C'è qui sotto qualche cosa
che mi sfugge. Stiamo in guardia. In una caccia è facile sbagliare un animale e
uccidere invece un cacciatore.
Avvertirò i miei malesi d'aprire
per bene gli occhi e di non perdere di vista un solo istante i seikki.
Il pericolo sta là. -
Si sdraiò sui cuscini della
cassa, accese la sigaretta e affettando una calma completa che realmente non
sentiva, fece segno al cornac di muovere l'elefante, il quale già cominciava a
dar segni d'impazienza.
La carovana attraversò la città
sfilando fra due ali di popolo, che osservava con curiosità, non esente da una
certa simpatia, il famoso cacciatore; poi rimontò la riva destra del fiume
avviandosi ai grandi boschi che si estendevano verso ponente, formati di
superbi tek dal legno durissimo ed incorruttibile, di gomma lacca, di nagassi,
ossia d'alberi dal legno di ferro perché i loro tronchi ed i loro rami sono
così duri da smussare le scuri le più affilate, e di imponenti fichi baniani.
L'ufficiale del rajah che montava
il secondo elefante, si era messo alla testa della truppa, fiancheggiato dai
seikki che montavano bellissimi cavalli, di forme perfette, d'origine
certamente araba o per lo meno persiana. Pareva che si fosse perfino scordato
della presenza del grande cacciatore di corte a cui spettava il poco invidiabile
onore di abbattere il terribile rinoceronte.
Per cinque ore la carovana
continuò a costeggiare la riva del fiume, oltrepassando di quando in quando dei
meschini raggruppamenti di capanne, formate di rami intrecciati, mescolati a
fango rossastro o grigiastro; poi l'ufficiale fece l'alt nei dintorni d'un
villaggio piuttosto grosso, che sorgeva in mezzo a vastissime piantagioni
d'indaco, che si vedevano realmente qua e là gravemente danneggiate, come se
una truppa di bestie si fosse divertita a farvi sopra delle corse sfrenate.
- È questo il luogo che il
rinoceronte frequenta? - chiese Yanez al cornac che stava a cavalcioni
dell'elefante.
- Sì, signore - rispose
l'indiano. - Quel brutto animale ha già distrutto tanto indaco, che seicento
rupie non sarebbero bastanti per ricompensare questi poveri contadini.
Oh, ma tu lo ucciderai signore, è
vero?
- Farò il possibile.
- Ci fermiamo qui, signore. -
La popolazione del villaggio
guidata dal suo capo, un bel vecchio ancora vegeto, erasi avanzata incontro
alla carovana, dando a tutti il benvenuto e mettendosi a loro disposizione.
Essendo già stata precedentemente
avvertita da un corriere mandato dal rajah, aveva preparato una specie di campo
chiuso da bambù incrociati e solidamente legati, innalzandovi nel mezzo otto o
dieci capanne formate con frasche e coperte da rami ancora verdeggianti. Yanez
senza occuparsi dell'alto ufficiale, scelse la più comoda e la più ampia,
istallandovisi coi suoi sei malesi.
Nella sua qualità di grande cacciatore,
credeva di averne bene il diritto.
I cuochi servirono ai cacciatori
ed ai servi una colazione fredda e abbondante, inaffiata con dell'eccellente
toddy, poi il capo del villaggio, accompagnato dall'ufficiale del rajah, chiese
a Yanez:
- Sei tu sahib, che sei
incaricato di liberarci dal cattivo animale?
- Sì, amico - rispose il
portoghese - ma per poter far ciò tu devi darmi delle indicazioni e anche una
guida.
- Io darò a te tutto quello che
vorrai, signore, e anche un premio.
- Quello lo darai ai danneggiati.
Dove credi che il rinoceronte
abbia il suo covo?
- Nella foresta che costeggia lo
stagno dei coccodrilli.
- Lontana?
- Qualche ora di marcia.
- Si è mai mostrato di giorno?
- Mai, sahib. È solamente a notte
tarda che lascia la foresta per venire a devastare le nostre piantagioni.
- L'hai veduto tu?
- Sì, tre notti or sono gli ho
sparato contro due colpi di carabina e probabilmente non sono riuscito a
colpirlo.
- È grosso?
- Non ne ho mai veduto di così
colossali.
- Va bene. Lasciami riposare fino
dopo il tramonto e avverti l'uomo che deve guidarci di tenersi pronto.
- Sarò io che ti condurrò sul
luogo che la cattiva bestia frequenta.
- Una parola, mylord - disse
l'ufficiale del rajah. - Come intendi cacciarlo?
- Lo aspetterò all'imboscata.
- Non otterresti nulla, perché al
primo colpo di fucile, quegli animali assalgono e scappano, e tu sai che una
palla sola non basta ad atterrarli.
Il rajah ha messo a tua
disposizione uno dei suoi migliori cavalli, onde tu possa inseguire l'animale
dopo fatto il colpo.
- Me ne servirò, - rispose Yanez.
- Ora lasciatemi tranquillo perché non so se questa sera avrò tempo di dormire.
-
Attese che il capo e l'ufficiale
si fossero allontanati, poi volgendosi verso i suoi malesi che stavano seduti a
terra, lungo le pareti, disse loro:
- Qualunque cosa debba succedere,
voi non mi lascerete solo nella foresta. Non abbiate paura del rinoceronte:
penso io ad abbatterlo.
- Temi qualche tradimento,
padrone? - chiese Kubang.
- Sono sicurissimo che quel
maledetto greco, cercherà di vendicarsi, con tutti i mezzi possibili, del colpo
di scimitarra che gli ho dato, e perciò dubito di tutto e di tutti.
In una caccia in mezzo alla
foresta accade talvolta di ammazzare un cacciatore invece dell'animale.
- Non perderemo d'occhio i seikki,
capitano Yanez. Alla prima mossa sospetta, piomberemo addosso loro come tigri e
vedremo quanti sfuggiranno alle nostre scimitarre.
- Che uno di voi monti la guardia
fuori della capanna e prendiamo un po' di riposo. -
Si stese su una stuoia ed
invitato dal gran calore che regnava e dal profondo silenzio, poiché anche gli
elefanti e gli indiani si erano addormentati, chiuse gli occhi.
Fu svegliato verso il tramonto
dai latrati dei cani, dai nitriti dei cavalli, dai barriti degli elefanti e
dalle grida dei cornac e dei seikki.
I malesi erano già in piedi e
pulivano le loro carabine e le loro pistole.
- La cena, - disse Yanez. - Poi
andremo a scovare questo signor colosso. -
I cuochi avevano preparato il
pasto serale e non aspettavano che l'ordine del gran cacciatore per servire.
Yanez mangiò alla lesta, prese la
sua magnifica carabina a doppia canna, caricata con palle rivestite di rame,
veri proiettili da grossa caccia, e uscì.
Gli uomini scelti ad
accompagnarlo, non erano che in sei e tenevano per le briglie alcuni splendidi
cavalli, fra i quali uno tutto nero che pareva avesse il fuoco nelle vene e che
era riccamente bardato, con staffe corte all'orientale.
- Il mio? - chiese Yanez
all'ufficiale.
- Sì mylord, - rispose l'indiano.
- Non montarlo però ora.
- Perché?
- I cavalli devono giungere sul
luogo della caccia freschissimi. I rinoceronti corrono colla velocità del vento
quando caricano e guai al cavallo che in quel momento si trovasse affaticato.
- Hai ragione. E la guida?
- Ci aspetta di là delle
piantagioni.
- Partiamo, ma senza cani:
disturberebbero la caccia.
- Così ho pensato anch'io,
desiderando tu cacciare all'agguato. -
Lasciarono l'accampamento e
presero un sentiero che attraversava le piantagioni d'indaco, seguìti dagli
sguardi di tutti i contadini, i quali si erano schierati sui margini dei campi.
La notte era splendida e propizia
per una buona caccia. Una fresca brezzolina, che scendeva dagli altipiani
giganteschi del Bhutan, soffiava ad intervalli, sussurrando fra le pianticelle
d'indaco, e la luna sorgeva mestosa dietro i lontani picchi della frontiera
birmana. In cielo le stelle fiorivano a milioni e milioni, proiettando una luce
dolcissima.
Yanez colla sua eterna sigaretta
fra le labbra, colla carabina sotto un braccio, seguìto subito dai suoi malesi,
marciava in testa al drappello. L'ufficiale invece guidava i seikki che
conducevano i cavalli.
Oltrepassate le piantagioni il
drappello trovò il vecchio capo.
- L'hai veduto? - gli chiese
Yanez.
- No, sahib, ma ho saputo dove si
trova il suo covo. Un cacciatore di nilgò me l'ha indicato.
- Credi che sia già uscito a
pascolare?
- Oh! non ancora.
- Meglio così: lo sorprenderemo
nel suo covo. -
Ripresero la marcia avviandosi
verso una foresta che nereggiava verso ponente e che sembrava immensa.
Bastò un'ora di marcia
rapidissima, essendo gli indiani dei camminatori lestissimi ed infaticabili non
meno degli abissini, perché la raggiungessero.
Per un caso veramente raro,
quella foresta si componeva quasi tutta di fichi d'India, piante colossali
d'una longevità straordinaria, dalle foglie ovali lanceolate, coriacee,
mescolate a piccoli frutti d'un sapore dolciastro che poco hanno da fare coi
nostri fichi d'Europa, e dai cui tronchi gl'indiani estraggono, mediante una semplice
incisione, una specie di latte che non è però bevibile, ma che invece serve
ottimamente a preparare una specie di gomma-lacca, che
nulla ha da invidiare a quella che viene usata dai cinesi e dai giapponesi.
Il vecchio capo fece una breve
fermata sul margine della foresta mettendosi in ascolto, poi non udendo che gli
ululati lontani di alcuni lupi indiani, s'inoltrò risolutamente fra quella
miriade di tronchi, dicendo a Yanez:
- Non ha ancora lasciato il suo covo.
Se fosse uscito lo si udrebbe, perché quando scorazza per le boscaglie fa
sempre udire il suo niff-niff.
- Meglio così, - rispose Yanez.
Gettò via la sigaretta, armò la
carabina, fece segno ai malesi di fare altrettanto e seguì la guida che
s'inoltrava con passo sicuro sotto le immense volte dei fichi, tenendo in mano
un vecchio fucile che ben poco avrebbe potuto servire contro quei colossali
animali, che hanno una pelle quasi impenetrabile ai migliori proiettili.
La foresta, di passo in passo che
i cacciatori s'avanzavano, diventava sempre più fitta. Per di più enormi
cespugli crescevano qua e là, avvolti in una vera rete di calamus e di nepente.
I cacciatori avevano percorso un
buon mezzo miglio, quando il vecchio indiano fece a loro segno di arrestarsi.
- Ci siamo? - chiese Yanez
sottovoce.
- Sì, sahib: lo stagno dei
coccodrilli è poco lontano ed è sulle sue rive che il rinoceronte ha il suo
covo. Fa' avvolgere le teste dei cavalli nelle gualdrappe onde non nitriscano.
L'animale può essere di buon umore e sfuggirci, invece di caricarci. -
Yanez trasmise l'ordine ai seikki
poi disse alla guida:
- Avresti paura a seguirmi?
- Perché sahib?
- Desidero scovare il rinoceronte
senza avere dietro di me i seikki ed i miei uomini. Spareranno dopo di me se
non riuscirò ad abbatterlo.
- Tu sei il grande cacciatore del
rajah, quindi nulla devo temere.
- Aspettatemi qui e tenetevi
pronti a montare a cavallo, - disse Yanez alla scorta. - Se io manco aprite il
fuoco e mirate bene. Se ci carica sarà un affare serio ad arrestarlo in piena
corsa.
Andiamo amico: conducimi nel
luogo preciso dove si trova il covo.
- Vieni, sahib. -
Si allontanarono in silenzio,
passando con precauzione fra le innumerevoli colonne dei fichi, cogli occhi in
guardia e gli orecchi ben tesi.
Regnava un profondo silenzio.
Perfino i bighama, i lupi dell'India, tacevano in quel momento. Anche il
venticello notturno era cessato e non faceva più stormire il fogliame degli
immensi alberi.
Percorsi altri trecento passi il
vecchio indiano tornò a fermarsi.
- Lasciami ascoltare, - disse
sottovoce a Yanez. - Lo stagno dei coccodrilli sta dinanzi a noi.
- Odi nulla?
- Il respiro del rinoceronte.
Deve essere nascosto in mezzo a quel vasto cespuglio.
- Che non abbia fame questa sera?
- Si sarà cibato abbondantemente
stamane.
- Lo costringerò io a mostrarsi.
-
Si guardò intorno e scorto un
grosso pezzo di ramo, lo scagliò, con quanta forza aveva, al disopra del
cespuglio.
Subito una specie di fischio
rauco s'alzò fra le fronde seguìto da uno strano grido.
Era il
niff-niff del rinoceronte.
- Si è svegliato - sussurrò Yanez
mettendosi rapidamente la carabina alla spalla. - Che si mostri e gli caccerò
due palle nel cervello. -
Trascorsero alcuni istanti senza
che l'animale si mostrasse.
Anche l'indiano, quantunque
avesse una scarsa fiducia nell'efficacia del suo vecchio fucile, si teneva
pronto a sparare.
Ad un tratto il cespuglio si
agitò in tutti i sensi, come se una tempesta fosse improvvisamente scoppiata nel
suo seno, poi s'aprì bruscamente ed un enorme rinoceronte comparve lanciando
furiosamente il suo grido di guerra.
Subito tre detonazioni
rimbombarono l'una dietro l'altra, seguìte tosto da un altissimo grido lanciato
dall'indiano.
- Fuggi, sahib!... -
Il rinoceronte quantunque dovesse
aver ricevuto qualche palla, poiché Yanez non mancava mai ai suoi colpi,
caricava all'impazzata coll'impeto furibondo, che è particolare a quegli
animalacci.
Il portoghese vedendolo, aveva
voltato le spalle slanciandosi a tutta corsa verso il luogo ove si trovavano i
malesi e i seikki.
Fortunatamente gl'innumerevoli
tronchi dei fichi d'India, che in certi luoghi crescevano così uniti da non
permettere il passaggio ad un grosso animale, avevano frenato lo slancio
terribile del colosso, lasciando così tempo ai fuggiaschi di raggiungere i loro
compagni.
- A cavallo! - gridò Yanez.
Un seikko gli condusse
prontamente dinanzi quel cavallo che il rajah gli aveva destinato. Il
portoghese con un solo slancio fu in sella senza servirsi delle staffe.
I malesi e i seikki vedendo il
rinoceronte apparire fra i tronchi dei baniani a corsa sfrenata, fecero una
scarica, poi si dispersero in varie direzioni, trasportati loro malgrado dai
cavalli spaventati che non obbedivano più né alle briglie, né agli speroni.
L'ufficiale del rajah era stato
il primo a scappare, senza perdere tempo a far fuoco.
Yanez aveva fatto fare al suo
nero destriero un salto terribile per evitare l'urto del furibondo colosso,
mentre il vecchio indiano, più fortunato, si poneva in salvo, con un'agilità
scimmiesca, su un fico.
Il rinoceronte, reso feroce dalle
ferite ricevute, continuò la sua corsa per un due o trecento passi; poi fatto
un brusco voltafaccia tornò indietro lanciando per la seconda volta il suo
grido di guerra: niff-niff!...
Se gli altri erano scappati,
Yanez era rimasto sul luogo della caccia e non per volontà sua, bensì per
bizzarria del suo cavallo che pareva fosse diventato improvvisamente pazzo.
Faceva dei terribili salti di
montone come se il peso del cavaliere gli spezzasse le reni, s'inalberava
nitrendo dolorosamente, poi sferrava calci in tutte le direzioni.
Il portoghese però non si
lasciava scavalcare e stringeva nervosamente le ginocchia e non risparmiava né
strappate di briglie, né colpi di sperone, sagrando come un turco.
- Via! scappa! - urlava. - Vuoi
farti sventrare? -
Il cavallo non obbediva ed il
rinoceronte tornava alla caccia, colla testa bassa ed il corno teso, pronto ad
immergerlo tutto nel ventre del nemico.
Un freddo sudore bagnava la
fronte di Yanez. Un terribile sospetto gli era balenato nel cervello, ossia che
il greco gli avesse preparato qualche tranello per perderlo nel momento più
pericoloso.
Guardò rapidamente in aria.
Appena ad un metro sopra la sua testa si stendevano orizzontalmente i rami dei
fichi.
- Sono salvo! - esclamò,
gettandosi a bandoliera la carabina.
In quel momento il rinoceronte
piombò addosso all'imbizzarrito destriero. Il corno scomparve intero nel ventre
del povero animale, poi con un colpo di testa alzò cavallo e cavaliere. Uno
solo però cadde: il primo, poiché il secondo, che aveva conservato un
meraviglioso sangue freddo anche in quel terribile frangente, si era
disperatamente abbrancato ad un ramo, issandosi prontamente.
Il cavallo, sventrato di colpo,
stramazzò al suolo, s'alzò ancora inalberandosi, poi cadde di quarto mandando
un nitrito soffocato.
Il rinoceronte, colla brutalità e
ferocia istintiva degli animali della sua razza, tornò addosso al povero
animale immergendogli per la seconda volta nel corpo il corno, poi preso da un
eccesso di furore indescrivibile, si mise a calpestarlo rabbiosamente mandando
fischi acuti.
Sotto il suo peso enorme, le ossa
del cavallo scricchiolavano e si spezzavano, e dagli squarci prodotti da quei
due colpi di corno, uscivano insieme getti di sangue, intestini e polmoni.
Yanez che aveva ricuperata
prontamente la sua calma, appena messosi a cavalcioni del ramo, ricaricò la
carabina, borbottando:
- Ora vendicherò il cavallo del
rajah, quantunque quel testardo, per poco, non mi abbia spedito diritto
nell'altro mondo. -
In quel momento alcuni spari
rimbombarono a breve distanza: poi i sei malesi passarono a centocinquanta
metri circa da Yanez, trasportati in un galoppo sfrenato.
- Andate pure, miei bravi - disse
Yanez. - Ci penso io al rinoceronte. -
Si accomodò meglio che poté sul
ramo e puntò la carabina.
Il bestione che pareva impazzito
non aveva ancora lasciato la sua vittima. La squarciava a gran colpi di corno avvoltolandosi
nel sangue, la calpestava lasciandosi poi cadere con tutto il suo enorme
corpaccio e non cessava di mandare urla stridenti.
Una palla che lo colpì un po'
sopra l'occhio sinistro, lo calmò per un istante.
S'arrestò guardando in aria,
colla bocca aperta. Era il momento che Yanez aspettava.
Il secondo colpo di carabina
partì colpendo l'animale al palato e penetrandogli nel cervello.
La ferita era mortale, pure il
bestione non cadde. Anzi si mise a galoppare vertiginosamente intorno ai
tronchi dei fichi schiantandone parecchi.
- Per Giove! - esclamò Yanez
ricaricando l'arma. - Per questi animali ci vorrebbe una spingarda o meglio un
cannone. -
Attese che gli passasse sotto e
fece fuoco quasi a bruciapelo, colpendolo fra la nuca ed il collo.
L'effetto fu fulminante.
L'animalaccio si rizzò di colpo sulle zampe posteriori, poi stramazzò
pesantemente a terra rimanendo immobile. Aveva ricevuto cinque palle e tutte
foderate di rame e di grosso calibro.
- Era tempo che tu morissi! -
esclamò Yanez lasciandosi scivolare giù da uno di quegli innumerevoli tronchi.
- Ho ammazzato tanti animali, ma nessuno m'ha fatto sudare né passare un brutto
momento come questo. Vediamo ora che giuoco hai tentato, maestro Teotokris
dell'Arcipelago greco. Che una tigre mi divori se qui sotto non vi è la tua
mano! Il cavallo era troppo impazzito. -
S'avvicinò con precauzione al
rinoceronte e dopo essersi ben accertato che era proprio morto e che non vi era
più pericolo che si rimettesse in piedi, rivolse la sua attenzione al destriero
del rajah.
Disgraziato animale! Intestini,
cuore, polmoni e fegato giacevano intorno a lui, strappati dal brutale corno
del colosso ed il suo corpo schiacciato, mostrava delle ferite spaventevoli
dalle quali il sangue colava ancora abbondantemente.
- Sembra quasi una focaccia, -
mormorò Yanez. - Spero nondimeno di poter ancora trovare il perché aveva il
diavolo in corpo. Ci deve essere qui sotto qualche bricconata. -
Guardò a lungo il cadavere, poi
slacciò la fascia del sottoventre e alzò la sella.
- Ah! birbanti! - esclamò.
Nella parte interna vi erano
state confitte tre punte d'acciaio, lunghe un centimetro.
- Ecco perché il povero animale
era diventato furibondo, - riprese il portoghese. - Saltando in sella gli si
erano conficcate nelle carni.
Questo è un tiro del greco. Egli
sperava che il rinoceronte mi sventrasse. No, mio caro, anche questa t'è andata
a vuoto. Yanez ha la pelle più dura di quello che tu credi e, devo dirlo, anche
una fortuna prodigiosa.
Acqua in bocca per ora e lasciamo
correre, ma ti giuro, birbante, che un giorno ti farò pagare, e tutto d'un
colpo, i tuoi tradimenti.
Già quell'altissimo ufficiale,
che deve essere una tua creatura, mi era sospetto. -
Caricò flemmaticamente la
carabina e sparò, con un certo intervallo l'uno dall'altro, due colpi in aria.
Le due detonazioni rombavano
ancora sotto le infinite volte di verzura, quando vide giungere, a breve
distanza l'uno dall'altro, i suoi fidi malesi seguìti dall'ufficiale del rajah.
- Ecco fatto, - disse Yanez con
una certa ironia, guardando l'indiano. - Come vedi la faccenda è stata sbrigata
senza troppa fatica. -
L'ufficiale rimase per qualche
istante muto, guardandolo con profondo stupore.
- Morto, - disse poi.
- Non si muove più, - rispose
Yanez.
- Tu sei il più grande cacciatore
di tutta l'India.
- È probabile.
- Il rajah sarà contento di te.
- Lo spero.
- Farò tagliare dai seikki il
corno e tu stesso lo regalerai al principe.
- Lo presenterai tu, così potrai
avere una mancia.
- Come vuoi, mylord.
- Fammi condurre un altro cavallo,
purché sia più docile del primo. Ne ha qualcuno troppo bizzarro il tuo signore.
-
L'ufficiale finse di non udirlo
ed essendo in quel momento giunti i seikki accompagnati dal vecchio indiano,
fece cenno a uno di loro di smontare.
Yanez stava per montare in sella
quando un'improvvisa agitazione si manifestò fra i seikki, seguìta quasi subito
dalle grida:
- Lo
jungli-kudgia!... Lo jungli-kudgia! -
Yanez udendo dietro di sé aprirsi
i cespugli si voltò rapidamente.
Un animale che a prima vista
sembrava un bisonte indiano, era comparso improvvisamente aprendosi il passo
fra le liane e i nepenti.
- Fuoco, amici! - gridò.
I sei malesi, che avevano le
carabine ancora cariche, fecero fuoco simultaneamente, non badando al grido
mandato dal vecchio indiano:
- Ferma! -
Il ruminante colpito da cinque o
sei palle stramazzò fra le erbe, senza mandare un muggito.
- Sventura sui maledetti
stranieri! - urlò il capo del villaggio slanciandosi verso l'animale che
agonizzava e alzando le braccia verso il cielo. - Hanno ucciso la vacca sacra
di Brahma!
- Ehi capo, diventi matto? -
chiese Yanez. - Se è per spillarmi un po' di rupie, sono pronto a pagarti la
tua bestia.
- Una vacca sacra non si paga, -
rispose l'ufficiale del rajah.
- Andate tutti al diavolo! -
gridò Yanez che perdeva la pazienza.
- Temo, mylord che tu dovrai fare
i conti col rajah, perché qui, come in tutta l'India, una vacca è un animale
sacro, che nessuno può uccidere.
- Perché dunque i tuoi uomini
hanno gridato lo jungli-kudgia? Sebbene non conosca
profondamente la lingua indiana, quel nome lo si dà, se non erro, ai terribili
bisonti della jungla, che non sono meno pericolosi d'un rinoceronte.
- Si saranno ingannati.
- Peggio per loro. -
Mentre si scambiavano quelle
parole, il vecchio indiano continuava a girare intorno al cadavere della vacca,
manifestando la più violenta disperazione e vomitando una serqua infinita
d'ingiurie contro gli uccisori dell'animale sacro.
- Finiscila, cornacchia! - gridò
Yanez, sempre più seccato. - T'ho liberato dal rinoceronte che guastava le tue
piantagioni, e non cessi d'ingiuriarmi. Tu sei la più grande canaglia che abbia
conosciuto da che sono nato. Se non ritiri la tua linguaccia da cane, ti farò
bastonare dai miei uomini.
- Tu non lo farai, - disse
l'ufficiale del rajah con voce dura.
- Chi me lo impedirebbe, signor
ufficiale? - chiese Yanez.
- Io, che qui rappresento il
rajah.
- Tu non sei, per me, che sono un
mylord inglese, che un impiegato della corte, inferiore ai miei servi.
- Mylord!
- Vattene all'inferno, - disse
Yanez, montando a cavallo.
Poi volgendosi verso i malesi che
guardavano ferocemente i seikki, pronti a caricarli al primo moto sospetto,
disse a loro:
- Torniamo in città; ne ho abbastanza
di questo affare.
- Mylord, - disse l'ufficiale, -
gli elefanti ci aspettano.
- Gettali nel fiume, non ne ho
bisogno. -
Fece salire dietro di sé il
malese che gli aveva dato il cavallo e partì al galoppo, mentre il vecchio
indiano gli urlava dietro ancora una volta:
- Maledetti stranieri! Che Brahma
vi faccia morire tutti! -
Usciti dal bosco, le tigri di
Mompracem si gettarono fra le piantagioni, senza badare se rovinavano più o
meno l'indaco, e presero la via di Gauhati.
Quando entrarono in città era
ancora notte. Le guardie che vegliavano dinanzi al portone, si affrettarono ad
introdurli nel vasto cortile d'onore, dove, sotto i porticati spaziosi,
dormivano su semplici stuoie, scudieri e staffieri, onde essere più pronti ad
ogni chiamata del loro signore.
Yanez affidò a loro i cavalli e
salì nel suo appartamento svegliando il chitmudgar.
- Tu, signore! - esclamò il
maggiordomo stropicciandosi gli occhi.
- Non mi aspettavi così presto?
- No, signore. Hai già ucciso il
rinoceronte?
- Sì, l'ho messo a terra con
quattro colpi di carabina. Portami una bottiglia nella mia stanza, alcune
sigarette e aspettami, ché devo chiederti importanti spiegazioni.
- Sono ai tuoi ordini, sahib. -
Yanez si sbarazzò della carabina,
mandò i suoi malesi a coricarsi, poi raggiunse il chitmudgar, che aveva già
accesa la lampada e messo sul tavolo una bottiglia di liquore ed una scatola di
sigarette indiane, formate d'una foglia di palma arrotolata e di tabacco rosso.
Vuotò un bicchiere di vecchio
gin, poi sdraiatosi su una poltrona, gli narrò succintamente come si era svolta
la caccia, dilungandosi solo sull'uccisione di quella maledetta vacca sacra,
che l'aveva fatto uscire dai gangheri:
- Che cosa ne dici tu ora di
questo affare?
- È una cosa grave, mylord -
rispose il maggiordomo che appariva preoccupato. - Una mucca è sempre sacra, e
chi l'uccide incorre in grandi fastidi.
- Mi avevano detto che era un
bisonte della jungla ed io ho comandato il fuoco senza guardarla bene. -
Il chitmudgar scosse il capo
mormorando:
- Affare serio! affare serio!
- Dovevano tenersela nel
villaggio.
- Tu hai ragione, mylord, ma il
torto sarà tuo.
- Quel capo è un vero furfante.
Non gli ho ucciso il rinoceronte che devastava le piantagioni del villaggio?
Ah! e se in questa faccenda vi fosse sotto la mano del favorito del rajah? Le
punte di ferro vi erano nella sella.
- Non mi stupirei, - rispose il
maggiordomo. - Io so che quell'uomo ti odia a morte.
- Me ne sono già accorto e poi
vorrà vendicarsi di quel colpo di scimitarra.
- Certo, mylord.
- Allora è stata ordita una vera
congiura. Prima ha tentato di farmi sventrare dal rinoceronte, poi mi ha
mandato la vacca sacra.
Che fosse d'accordo anche il capo
del villaggio?
- È probabile, signore.
- Per Giove! non mi lascerò
mettere nel sacco.
Vado a riposarmi e se prima di
mezzogiorno il rajah manda qualcuno dei suoi satrapi, risponderai che dormo e
che non voglio essere disturbato.
Se insistono, lancia contro di
loro i miei malesi. È ora di mostrare a quel cane di greco e a quell'ubriacone
che serve, che un mylord non si lascia prendere a gabbo.
Va', chitmudgar. -
Spense la lampada e si gettò sul
ricchissimo letto senza spogliarsi, addormentandosi quasi subito.
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