Sognava di Surama, che già vedeva
assisa sul trono del rajah, con un dootèe azzurro tutto costellato di diamanti
del Guzerate e di Visapur, quando tre colpi fortissimi, battuti sulla porta
della sua stanza da letto, lo fecero balzare in piedi.
- Entrate, per Giove! - esclamò
con voce tuonante. - È codesto il modo di svegliare un mylord? -
Il maggiordomo, tutto umile, si
avanzò dicendo:
- Signore, è mezzodì.
- Aho! benissimo. Non mi
ricordavo più dell'ordine che ti avevo dato. Hanno chiesto di me?
- Più volte, signore, un
ufficiale del rajah si è presentato insistendo per vedervi.
- Ed i miei malesi non si sono
seccati?
- Hanno finito per scaraventarlo
giù dalla scala.
- Si è rotto almeno una gamba
quel seccatore?
- Si sarà certo ammaccato le
costole.
- Avrei preferito che si fosse
rotto il collo, - disse Yanez. - Sono tornati quei bricconi che mi hanno
accompagnato alla caccia?
- Sì, poco dopo lo spuntare del
sole.
- Briganti! Chissà che cosa
avranno detto di me dopo il servizio reso. Il rajah troverà però questa volta
un osso duro da rodere, ed il signor Teotokris avrà poco da ridere. Per Giove!
Un mylord non si lascia divorare come un pesce del Brahmaputra. -
Fece un po' di toeletta, poi uscì
dopo d'aver raccomandato ai malesi di non muoversi. Sembrava in preda ad una
viva agitazione, ad una sorda collera: cosa piuttosto strana in un uomo che
pareva più flemmatico d'un vero inglese.
Sulla porta del salone reale
trovò un ufficiale.
- Va' a dire al tuo signore che
io desidero vederlo, - gli disse con tono imperioso.
Ciò detto entrò nel magnifico salone
sdraiandosi su uno dei divani, che si stendevano lungo le marmoree pareti,
mettendosi a fumare come fosse nella sua propria stanza.
Non trascorse un minuto, che le
cortine di seta pendenti dietro a quel letto-trono,
s'aprirono ed il principe comparve.
- Ah! siete voi! - disse Yanez
gettando via la sigaretta e accostandosi alla piattaforma.
- T'ho fatto chiamare tre volte,
- disse il rajah con voce un po' dura.
- Dormivo, - rispose Yanez pure
seccamente. - La caccia mi aveva molto stancato.
- Ho ricevuto il corno del
rinoceronte che tu mylord hai ucciso. Il suo proprietario doveva essere un
animale ben grosso.
- E anche molto cattivo, Altezza.
- Lo credo. I rinoceronti sono
sempre di cattivo umore.
- Non sono solamente quelle
bestie che hanno indosso l'umore nero: vi sono anche degli uomini.
- Che cosa vuoi dire, mylord? -
chiese il principe fingendo un grande stupore.
- Che alla vostra corte, Altezza,
avete dei furfanti.
- Che cosa dici mai, mylord?
- Sì, perché mentre io arrischiavo
la mia vita, per fare il mio dovere di grande cacciatore del rajah dell'Assam,
altri cercavano di assassinarmi a tradimento, - disse Yanez con collera.
- Ed in quale modo?
- Mettendo delle punte di ferro
sotto la sella dal cavallo, che voi mi avete mandato. L'animale s'imbizzarrì
nel momento in cui occorreva che fosse calmo per permettermi di far fuoco, e se
non vi fosse stato un ramo sopra la mia testa, io non sarei qui, Altezza, a
raccontarvi come finì la caccia.
- Io farò cercare il colpevole e
lo punirò come si merita, - disse il rajah. - Non ti nascondo però che sarà un
po' difficile a scovarlo.
Altra cosa invece è la colpa che
tu hai commesso e che è gravissima. Stamane è venuto da me il capo del
villaggio, dove tu hai cacciato, e che per tua disgrazia è uno dei più
influenti del regno, a dirmi che tu ed i tuoi uomini avete ucciso la vacca
sacra, che godeva la protezione di Brahma.
- Io credevo in buona fede che
fosse un bisonte della jungla.
- Il capo del villaggio sostiene
il contrario e ti sfida alla prova.
- Mi sfida! - esclamò Yanez,
scattando. - A colpi di carabina forse? Venga e gli salderò il conto con una
palla nella testa.
- Non credo che sia capace di
tanto, - disse il rajah con un sottile sorriso. - Vuole sfidarti a provare il
contrario.
- Come! vuole avere ragione lui?
- E ci tiene.
- Dov'è quel mascalzone? -
Il principe prese una piccola
mazza d'argento che stava su una piccola mensola, e batté tre colpi su un disco
di bronzo appeso alla parete.
Subito la porta principale del
magnifico salone s'aprì ed entrò il vecchio indiano, accompagnato
dall'ufficiale e dai sei seikki, che avevano assistito all'uccisione della
vacca sacra.
Nel vederli Yanez non poté
trattenere un moto di collera. Aveva compreso che stavano per tendergli un
secondo agguato e forse più pericoloso del primo.
- Furfanti! - mormorò. - Questi
sono le anime dannate di quel maledetto greco. -
Il rajah si era sdraiato sul suo
letto-trono, appoggiandosi ad un gran cuscino di seta
cremisina con ricami d'oro, mentre una mano passando fra le cortine, gli aveva
dato un superbo narghilè di cristallo azzurro, già acceso, con una lunga canna
di pelle rossa ed il bocchino d'avorio.
Il capo del villaggio s'avanzò verso
la piattaforma e si gettò tre volte a terra, senza che il rajah si degnasse di
rispondere a quell'umiliante saluto.
- Ah, sei qui, vecchio briccone,
- disse Yanez con disprezzo. - Che cosa vuoi tu?
- Solamente giustizia, - rispose
l'indiano.
- Dopo che ti ho sbarazzato del
rinoceronte? Bella riconoscenza la tua!
- Mi hai ucciso la vacca sacra e
chissà ora quali calamità piomberanno sul villaggio. I danni che recava il
rinoceronte, saranno niente in confronto a quelli che ci colpiranno ora.
- Tu sei un imbecille.
- No, io sono un indiano che
adora Brahma. -
Yanez stava per mandare a casa
del diavolo anche il dio, però si trattenne a tempo.
Il rajah si era un po' alzato e
dopo d'aver guardato per qualche istante tanto il capo quanto l'europeo, disse
gettando in aria una nuvoletta di fumo:
- Che cosa vuoi Kadar?
- Giustizia, rajah.
- Quest'uomo bianco che io ho
nominato grande cacciatore della mia corte, sostiene che tu hai torto.
- Io ho dei testimoni.
- E cosa dicono?
- Che il sahib ha ucciso la vacca
sacra pur avendo riconosciuto che non era un jungli-kudgia.
- Tu sei una canaglia! - gridò
Yanez.
- Taci, mylord, - disse il rajah
con accento severo. - Io sto amministrando la giustizia e non devi interrompere
né Kadar, né me.
- Ebbene ascoltiamo questo
brigante, che non ha mai saputo che cosa sia riconoscenza.
- Continua, Kadar, - disse il
rajah.
- Quella vacca era stata
consacrata a Brahma, onde proteggesse il mio villaggio, tale essendo l'uso.
Nessuno poteva ucciderla, né avrebbe osato commettere un così esecrando
delitto.
Brahma certo si vendicherà e
allora che cosa accadrà delle nostre piantagioni? La miseria più spaventosa
piomberà su noi tutti e finiremo per morire tutti di fame.
- Te ne regalerò una, così il tuo
dio si rabbonirà, - disse Yanez ironicamente.
- Non sarà più quella.
- Che cosa vuoi tu dunque?
- La tua punizione.
- Io non l'ho uccisa per recare
uno sfregio alle tue credenze religiose.
- Sì.
- Tu menti come un sudra.
- Mi appello a questi uomini.
- È vero, - disse l'ufficiale che
lo aveva accompagnato alla caccia. - Tu hai ordinato il fuoco ai tuoi, per fare
un dispetto a quest'uomo ed uno sfregio a tutti gli abitanti.
- Anche tu m'accusi?
- Ed anche i seikki. -
Yanez si trattenne a stento e
volgendosi verso il rajah, che stava vuotando un enorme bicchiere pieno di
liquore fornitogli dalla mano misteriosa che gli aveva dato il narghilè, gli
disse:
- Non credere, Altezza, a questi
miserabili. -
Il rajah ingollò con uno sforzo
il liquido, poi rispose socchiudendo gli occhi:
- Sono in otto che ti accusano,
mylord, ed io devo, secondo le nostre leggi, credere più a loro perché sono in
molti.
- Io farò venire qui i miei
uomini.
- I servi non possono
testimoniare dinanzi ai guerrieri. La loro casta è troppo bassa.
- Che cosa devo fare adunque?
- Confessare che tu hai ucciso la
vacca sacra per dispetto e lasciarti punire. Il delitto è grave.
- Sicché dovrei subire qualche
pena.
- Se tu fossi un mio suddito,
mylord, io dovrei farti schiacciare il capo dal mio elefante carnefice, come
vogliono le nostre leggi; ma tu sei straniero e per di più inglese e siccome io
non desidero aver questioni col viceré del Bengala, con mio grande
rincrescimento, dovrò sfrattarti dallo stato.
- Se ti giuro, Altezza, che
questi uomini hanno mentito.
- Io ti sfido! - disse il capo. -
Vieni con me a tentare la prova dell'acqua! Se tu rimarrai più sotto di me, la
ragione sarà tua.
- Che cosa mi proponi tu,
manigoldo?
- Ti propone la prova dell'acqua.
- In che consiste?
- Si tratta di tuffarsi nelle
acque del Brahmaputra, di discendere lungo un palo fino in fondo al fiume e di
resistere più che si può. Il primo che salirà avrà torto.
- Ah! - fece Yanez.
Squadrò il vecchio da capo a
piedi poi gli disse freddamente:
- Per quando questa prova?
- Per domani mattina, sahib; se
non ti spiace.
- Sta bene ed io dimostrerò al
rajah che tu hai torto.
- E allora gli farò dare
cinquanta legnate, - disse il principe, facendo un cenno per far capire che
l'udienza era finita:
Yanez fece un leggero inchino e
fu il primo ad uscire non senza aver lanciato sui suoi accusatori uno sguardo
di profondo disprezzo e di aver sputato sulle scarpe rosse che l'ufficiale
calzava.
- Ah, mi tendono un altro
agguato, - mormorò salendo le scale che conducevano nel suo appartamento. -
Anche questa volta vi siete ingannati, bricconi. Io rimarrò qui a vostro
dispetto.
Per Giove! valgo quanto un
palombaro e sarai tu, vecchio furfante, che caccerai prima fuori la testa, se
non vorrai crepare asfissiato.
Tu non sai che quantunque io sia
un europeo, sono ormai mezzo malese, la razza più acquatica del mondo. -
Il chitmudgar lo aspettava sulla
porta dell'appartamentino in preda ad una vivissima ansietà, poiché quel
brav'uomo amava sinceramente il grande cacciatore della corte.
- Dunque, mylord?- gli chiese.
- Me la caverò a buon mercato, -
rispose Yanez. - Mi si tendono delle reti intorno, tuttavia non dispero di
sgusciare fra le maglie. Poi verrà la mia volta e tutti questi bricconi avranno
il loro conto.
Portami il pranzo e non chiedermi
altro. -
Non ostante le sue
preoccupazioni, mangiò con appetito invidiabile, poi scrisse un biglietto per
Surama incaricando Kubang di portarglielo. Voleva avvertire Sandokan di quanto
gli accadeva e della pessima situazione in cui cominciava a trovarsi.
Gli agguati del greco, troppo
possente pel momento, cominciavano ad impensierirlo, quantunque fosse ben
deciso a tenere testa a quell'avventuriero dell'Arcipelago greco.
Passò la serata chiacchierando
coi suoi malesi e andò a coricarsi presto, onde essere pronto a subire, al
mattino seguente, la prova dell'acqua.
Se si fosse trovato in altro
paese, avrebbe certamente accoppato i suoi accusatori e fors'anche il rajah, ma
trovandosi quasi solo in una corte che poteva scagliargli addosso delle centinaia
di guerrieri, Yanez, che non era uno stupido, si vedeva pur troppo costretto, a
suo malgrado, a subire gli avvenimenti.
Tuttavia, quantunque seri
pensieri lo turbassero, anche quella notte dormì non meno saporitamente del
solito, fidando nella propria audacia e soprattutto nella sua stella e
sull'appoggio della formidabile Tigre di Mompracem, il vincitore dei tughs e
del loro non meno formidabile capo.
L'orologio della torre che
s'alzava sul palazzo reale, suonava le cinque, quando il chitmudgar lo svegliò,
portandogli il thè.
- Mylord, - disse il fedele
maggiordomo. - Il capo indiano, i giudici del rajah ed i testimoni, sono già
partiti pel Brahmaputra ed un elefante ti aspetta sulla piazza.
- Per Giove! - esclamò Yanez. -
Quelle canaglie hanno fretta di vedermi emergere asfissiato. Vedremo se fra
un'ora quel vecchio lupo avrà il dorso fracassato a colpi di bastone, o se io
sarò in viaggio per la frontiera del Bengala.
Una buona tazza di liquore dammi,
chitmudgar, onde mi scaldi un po' il sangue. Ed il favorito, come sta?
- M'hanno detto che si è già
alzato e che assisterà alla prova.
- Perdio! Ha la pelle dura come
un coccodrillo quell'avventuriero? Un'altra volta invece della scimitarra
adoprerò le armi da fuoco, con palle foderate di rame. Se ho ammazzato un
rinoceronte, bucherò anche lo stomaco di quel greco dell'Arcipelago. Aspettiamo
l'occasione. -
Vuotò la tazza di thè ed il
bicchiere che gli aveva portato il maggiordomo e discese. Sulla piazza, dinanzi
alla marmorea gradinata del palazzo reale, lo aspettavano cinque malesi,
giacché Kubang non si era ancora fatto vivo, dopo che era stato mandato al
palazzo di Surama.
Un elefante, bardato
sontuosamente, con una immensa gualdrappa di velluto rosso e grossi pendagli
d'argento agli orecchi e sulla fronte, lo aspettava.
- Parti, mahut - disse salendo
rapidamente la scala di corda e prendendo posto nella cassa che era coperta da
una cupoletta di legno dipinta in bianco con arabeschi dorati. - Fa' trottare
l'animale. -
I malesi lo avevano seguìto,
prendendo posto di fronte a lui:
- Amici, - disse loro, -
qualunque cosa accada, lasciate in riposo le vostre armi, tanto da fuoco che da
taglio. Lasciate che me la sbarazzi da solo.
Sto giuocando una carta che può
farmi perdere la partita. Siate prudenti e non muovetevi se io non vi darò il
segnale. -
L'elefante si era messo in moto
allungando il passo.
Essendo ancora molto presto,
poche persone, per lo più sudra, muniti di enormi panieri destinati a ricevere
le provviste, percorrevano le vie della capitale.
Veder passare degli elefanti era
poi una cosa così comune che nessuno se ne curava, sicché Yanez poté giungere
sulla riva del fiume senza quasi essere stato notato.
La prova doveva avere certamente
un carattere privato e non pubblico, poiché nella notte il rajah aveva fatto
innalzare una specie di semi-recinto, le cui ali estreme
terminavano nel fiume.
Numerosi personaggi appartenenti
tutti alla corte, vi si erano già radunati. Anche il vecchio indiano era giunto
e chiacchierava coi tre giudici scelti dal rajah, che stavano seduti su un
tappeto collocato di fronte a due pali piantati nel letto del Brahmaputra, a
due metri di distanza l'uno dall'altro, in un luogo ove l'acqua era molto
profonda.
Vedendo giungere il gran
cacciatore, tutti gl'invitati avevano interrotto le loro conversazioni,
guardandolo con viva curiosità. Forse credevano di scorgere sul viso
dell'europeo qualche preoccupazione per quella prova che non aveva mai subita;
ma dovettero rimanere ben delusi.
Yanez era calmo come il solito e
gustava pacificamente il fumo della sua sigaretta.
- Eccomi, vecchio briccone!-
disse dopo d'aver attraversato il recinto, fermandosi dinanzi all'indiano. -
Forse tu speravi che io non venissi.
- No, - rispose asciuttamente
Kadar.
I tre giudici si erano alzati
inchinandosi dinanzi al grande cacciatore, poi il più anziano gli disse:
- Sai di che cosa si tratta,
mylord?
- Me l'ha spiegato il rajah, -
rispose Yanez. - Bah! un bagno non fa male in questa stagione, anzi servirà ad
aguzzarmi l'appetito.
- Tu dovrai resistere più che
potrai.
- Oh stancherò facilmente questo
vecchio brigante.
- Lo vedremo, sahib, - disse
Kadar con voce ironica.
- Se non vorrai crepare
asfissiato dovrai mettere fuori la testa.
- Sì, dopo la tua.
- Non mi conosci ancora. -
Si levò la giacca, i calzoni e
gli stivali, conservando solo la camicia e le mutande e con un salto fu sulla
riva dicendo:
- Vieni birbante.
- Un momento, mylord, - disse uno
dei giudici. - Quando avrai raggiunto il tuo palo, aspetta il nostro segnale
prima di tuffarti.
- Un momento anche per voi,
signori giudici, - aggiunse a sua volta Yanez. - Vi avverto che se non agirete
lealmente vi farò accoppare dalla mia scorta. -
Ciò detto balzò in acqua, subito
seguito da Kadar e con quattro bracciate raggiunse il suo palo, aggrappandovisi
strettamente, onde la corrente non lo portasse via.
Si era fatto un profondo silenzio
fra gli spettatori. I tre giudici ritti sulla riva, aspettavano che i due
uomini fossero pronti.
Ad un tratto il più anziano alzò
un braccio gridando con voce tuonante:
- Giù!... -
Yanez ed il vecchio indiano si
tuffarono nel medesimo istante, lasciandosi scivolare per qualche metro lungo
il palo e stringendo attorno al medesimo le gambe.
Tutti gli spettatori si erano
riversati sulla riva, fissando attentamente i due pali che l'impeto della
corrente faceva oscillare fortemente. Una viva ansietà si scorgeva su tutti i
volti.
Trascorse un minuto, ma nessuna
testa riapparve. La corrente continuava la sua marcia gorgogliando sopra i due sommersi.
Passarono ancora alcuni secondi,
poi un cranio, nudo e lucido come la palla d'un bigliardo, comparve
bruscamente; quindi il viso di Kadar, spaventosamente alterato, emerse.
Una salva d'invettive coprì il
disgraziato.
- Canaglia!
- Stupido!
- Buono da nulla!
- Va' a coltivare i campi!
- Ti sei fatto insaccare
dall'uomo bianco!
- Carogna! -
Kadar mezzo asfissiato non
rispondeva che con furiosi colpi di tosse e con contorcimenti da scimmia. I suoi
occhi erano iniettati di sangue e la sua respirazione affannosa.
Altri tre o quattro secondi erano
trascorsi, quando anche Yanez comparve a galla aspirando rumorosamente una
lunga boccata d'aria. Non era in così cattive condizioni come Kadar. Più sviluppato
del magro indiano, con polmoni più ampi e anche più abituato alle lunghe
immersioni, aveva meglio resistito alla prova pericolosa.
Vedendo presso di sé il suo
avversario tutto avvilito, gli disse ironicamente:
- Te lo avevo detto io che non
avresti guadagnato con me. Va' ad offrire il tuo dorso al bastone del
carnefice.
Consolati che hai la pelle dura e
poca carne sulle tue ossa. -
Lasciò il palo e raggiunse la
riva.
Gli spettatori che avevano posto
tutte le loro speranze in Kadar, lo accolsero con un silenzio glaciale.
Solo il giudice più vecchio gli
disse:
- Tu hai vinto, mylord, quindi tu
avevi ragione e quel miserabile avrà la punizione che si merita, a menoché tu
non chieda la sua grazia.
- Ai furfanti di quella specie io
non la fo mai - rispose il portoghese.
Si asciugò alla meglio con un
dootèe che gli aveva dato uno dei suoi malesi, si vestì rapidamente e lasciò il
recinto senza salutare alcuno, mentre le invettive continuavano a grandinare
sul disgraziato Kadar, il quale si teneva ancora aggrappato al palo, per paura
di aver un'accoglienza peggiore da parte dei suoi compatriotti.
- Subito al palazzo reale, -
disse il portoghese salendo sull'elefante.
Dieci minuti dopo, avvertito da
un ufficiale che lo aveva atteso alla base della marmorea gradinata, entrava
nella sala del trono dove il rajah lo attendeva.
- So che tu hai vinto la prova, -
gli disse il principe con un benevolo sorriso - e ne sono lieto.
- Ed io ben poco. La vostra
giustizia indiana è ben al di sotto di quella inglese, Altezza.
- Da migliaia d'anni è rimasta
sempre eguale ed io non ho il tempo di modificarla.
Che cosa posso fare ora per te?
Io ti devo una ricompensa per l'uccisione del rinoceronte.
- Voi sapete, Altezza, che io mi
sono messo ai vostri servigi senza nessuna pretesa. Lasciate che vada a
riposarmi: è tutto quello che chiedo.
- Penserò più tardi al miglior
modo di mostrarmi generoso con te, mylord. -
Yanez, che pareva fosse un po'
indispettito, s'inchinò senza ribattere parola e salì al suo appartamento.
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