Che cosa aveva scoperto? Lui solo
lo sapeva e se un tale uomo aveva pronunciate quelle parole, voleva dire che
era certo della riuscita del suo piano.
Sambigliong aveva detto il vero
annunciando la presenza dei kalam, quelle erbe alte e durissime, rigide come
lame. Infatti appena la colonna ebbe attraversata l'ultima macchia, cadde nel
bel mezzo d'una vastissima radura, tutta irta di quei pericolosi vegetali. Non
mancavano però, qua e là, gruppi di cespugli che avevano delle estensioni non
comuni.
L'avanguardia fu raddoppiata e
riprese la faticosa sua manovra, sciabolando le erbe per aprire il passo ai
compagni, che correvano il pericolo di rovinarsi le gambe ed i piedi.
Ed intanto le tenebre
cominciavano a dileguarsi. Le stelle impallidivano rapidamente, ad oriente la
luce cominciava a fare la sua comparsa dilagando pel cielo, la jungla
continuava ad estendersi come se non dovesse finire mai.
Sandokan si manteneva nondimeno
sempre tranquillo. I suoi sguardi erano fissi su una massa ancora oscura che
giganteggiava al di là della pianura dei kalam e che sembrava una foresta od
una gigantesca macchia di altissimi bambù.
Certamente era quella che
desiderava raggiungere, prima di decidersi a mettere in effetto il suo piano.
Si era messo dietro
all'avanguardia e stimolava i falciatori a far presto, temendo che la sua
truppa potesse venire raggiunta prima di arrivare a quel rifugio, che aveva già
indovinato e dove sperava di poter opporre un'accanita resistenza, anche se
fosse stato assalito alle spalle.
La pianura dei kalam fu
finalmente attraversata, nel momento in cui il sole sorgeva, fiammeggiante,
sull'orizzonte.
Tutti erano sfiniti, specialmente
Surama che aveva tenuto testa a quei poderosi camminatori delle foreste del
Borneo.
Erano giunti sul margine d'un
piccolo bosco, formato quasi esclusivamente di banani selvatici e di
giacchieri, che reggevano delle frutta colossali.
Sandokan fece ricoverare la sua
truppa sotto quelle foglie superbe, poi chiamato Kammamuri gli chiese:
- Abbiamo delle bottiglie di gin
fra i nostri bagagli?
- Una dozzina.
- Falle deporre dinanzi a me, poi
farai raccogliere quanta legna secca si potrà trovare. Affrettati, poiché i
seikki e gli assamesi, non devono essere lontani.
- Sì, padrone. -
Chiamò alcuni uomini e si cacciò
nel bosco.
Sandokan e
Tremal-Naik intanto si erano spinti innanzi, verso i kalam,
sorvegliando attentamente la radura che avevano poco prima attraversata.
S'aspettavano da un momento all'altro di veder comparire gli assalitori ed
erano sicuri di non ingannarsi.
Un fischio di Kammamuri li
avvertì che gli ordini erano stati eseguiti. Non vedendo comparire gli
avversari, si ripiegarono verso il bosco, dove trovarono pronti una trentina di
fasci di legna secca, disposti in semi-cerchio davanti al
campo.
- Preparatevi ad aprire il fuoco,
- disse Sandokan ai suoi malesi ed ai suoi dayachi, che aspettavano appoggiati
alle loro carabine. - Sparate a colpo sicuro e non fate spreco di munizioni:
oggi ne abbiamo più bisogno che mai.
Sei uomini attraversino intanto
il bosco e ci guardino le spalle. Gli uomini che sono sbarcati a monte del
fiume, possono averci chiusa la ritirata verso il nord. Silenzio e lasciamo
avanzare quelli che procedono da ponente. -
Si erano tutti sdraiati dietro le
ultime file dei kalam, tenendo la carabina a fianco.
Ad un tratto una parola sfuggì da
tutte le labbra:
- Eccoli! -
All'estremità della vasta radura,
in piena luce, poiché il sole si alzava rapidamente dietro i grandi alberi,
erano comparsi alcuni uomini, che portavano sulla testa dei turbanti
monumentali, ed altri ne sbucavano.
Erano i seikki del rajah che
precedevano gli assamesi, e che si avanzavano su due colonne, pronti a
slanciarsi all'attacco.
Sandokan s'appressò alle
bottiglie, le spaccò una ad una lasciando scorrere il liquido sui fastelli di
legno, poi acceso un ramo resinoso, li incendiò tutti. Fiamme livide s'alzarono
tosto, comunicandosi ai kalam, semi-bruciati dal sole.
Bastarono pochi secondi perché
una vera cortina di fuoco, si stendesse dinanzi al margine della foresta.
- Ora, amici! - gridò il
formidabile uomo, gettando il ramo fiammeggiante e afferrando la carabina -
salutate i montanari dell'India. Sono degni avversari delle tigri di Mompracem,
e ne hanno il diritto. -
I seikki, che si erano avanzati
rapidissimi, non erano che a quattrocento metri.
Una scarica nutrita, li arrestò
di colpo, facendone cadere parecchi a terra.
I montanari indiani, quantunque
non si aspettassero una così brutta accoglienza, allargarono le loro file per
offrire meno presa alle palle nemiche, ed a loro volta cominciarono a sparare,
a casaccio però, poiché le fiamme che si alzavano altissime ed i nuvoloni di
fumo misti a immensi getti di scintille, coprivano interamente i dayachi ed i
malesi.
Questi d'altronde, si erano così
bene appiattati in mezzo alle piante, da non poter essere colpiti.
Il fuoco dei seikki e dei soldati
assamesi, ebbe una durata brevissima, poiché l'incendio si dilatava con
rapidità prodigiosa, soffiando una forte brezza dal settentrione.
I kalam investiti dalle fiamme si
contorcevano, scoppiettavano e sparivano a vista d'occhio. Pareva che tutta la
jungla dovesse venire distrutta dall'elemento divoratore.
I seikki, dinanzi a quel
formidabile nemico che li minacciava da tutte le parti, e contro il quale nulla
potevano, avevano cominciato a battere rapidamente in ritirata.
Nuvole di cenere ardente e di
scintille, piovevano già su di loro, costringendoli a raddoppiare la corsa.
Sandokan, appoggiato al tronco
d'un tara, guardava tranquillamente l'incendio ed i nemici a scappare a rotta
di collo.
- Non credevo che ti fosse nata
nel tuo fantasioso cervello una così splendida idea, - gli disse
Tremal-Naik, che gli stava presso con Surama. - Tu sei
sempre la terribile ed invincibile Tigre della Malesia.
- Questo incendio non si
spegnerà, se non quando avrà divorato l'ultimo bambù di questa jungla; e i
seikki, se vorranno salvarsi, saranno costretti a riguadagnare la palude dei
coccodrilli.
- E gli altri, li hai
dimenticati? Possono aver già compiuto l'aggiramento alle nostre spalle.
- Sfonderemo le loro linee.
- Una cosa però mi cruccia. Dove
si troverà il villaggio? Ci siamo gettati molto fuori di strada.
- Vedo una collina a tre o quattro
miglia verso il settentrione. Di lassù potremo benissimo scorgerlo e
raggiungerlo. -
Già la colonna di Sandokan stava
per raggiungere gli avamposti mandati ad esplorare i margini settentrionali
della macchia, quando si vide avanzarsi Sambigliong, facendo dei larghi gesti
come per raccomandare il più assoluto silenzio.
- Che cosa c'è ancora? - chiese
la Tigre della Malesia quando il vecchio pirata fu vicino.
- C'è padrone, che noi siamo
giunti troppo tardi sui margini della jungla, - rispose Sambigliong.
- Vuoi dire che abbiano dinanzi a
noi altri nemici.
- Sì, e non mi sembrano pochi.
- Saccaroa! - esclamò Sandokan
con ira. - Sono uccelli questi indiani per percorrere in così breve tempo tali
distanze? Quei guerrieri devono essere quelli sbarcati a monte del fiume.
- Certo, - disse
Tremal-Naik.
- Dove sono?
- Imboscati a quattro o
cinquecento passi da noi, - rispose Sambigliong.
- Quando sono giunti?
- Pochi minuti fa. Correvano come
gazzelle, attratti senza dubbio dall'incendio.
- Vi hanno scorti?
- Sì e per questo si sono
arrestati.
- Ebbene li attaccheremo e
passeremo attraverso le loro file, - disse Sandokan. - Formiamo due piccole
colonne d'attacco, con Surama ed i prigionieri in coda guardati da sei uomini.
Siete pronti?
- Non aspettiamo che il vostro
segnale, - rispose Kammamuri per tutti.
- All'attacco, Tigrotti della
Malesia! -
Dayachi e malesi si
sparpagliarono alla bersagliera e si spinsero innanzi attraverso le erbe ed i
cespugli, guidati gli uni da Tremal-Naik e da Kammamuri, e
gli altri da Sandokan e da Sambigliong.
La fucileria incominciò
intensissima da una parte e anche dall'altra. Gli indiani però, che non
contavano fra di loro alcun seikko, tiravano come coscritti alle prime prove
del bersaglio, mentre gli uomini di Sandokan, che erano tutti meravigliosi
bersaglieri, di rado mancavano ai loro colpi.
Sandokan che non voleva esporre
troppo i suoi uomini al fuoco, per quanto irregolarissimo e pessimo, spingeva
alacremente l'attacco, desideroso di venire all'arma bianca.
Si era gettato a bandoliera la
carabina ed aveva impugnata la sua terribile scimitarra, quell'arma che
manovrata dal suo formidabile braccio, non poteva trovare alcuna difesa.
Correva dinanzi ai suoi uomini,
balzando come una vera tigre a destra ed a sinistra, urlando come una belva
feroce:
- Sotto, Tigrotti di Mompracem!
All'attacco! -
I dayachi ed i malesi, che non
erano meno agili di lui, piombarono colle scimitarre in pugno addosso alla
colonna assamese, come uno stormo di avvoltoi affamati.
Sfondarla e fugare i nemici a
gran colpi di sciabola, fu l'affare di pochi secondi. Una scarica di carabine
li decise a sgombrare completamente la fronte d'attacco ed a rifugiarsi nella
jungla.
- Tutta quella gente non vale un
seikko, - disse Sandokan. - Se il rajah conta su questi guerrieri è perduto.
- Prima che possano riunirsi e
ritentare l'attacco, raggiungiamo la collina, - disse
Tremal-Naik. - Potrebbero ritornare alla caccia e
tormentare la nostra marcia verso il villaggio.
- E poi lassù potremo opporre una
maggior resistenza, - aggiunse Sambigliong.
- Voi parlate come generali
prudenti, - disse Sandokan, sorridendo. - Riprendiamo la nostra corsa amici. -
La collina non distava che cinque
o seicento metri e sorgeva perfettamente isolata. Era una montagnola che
spingeva la sua vetta a sette od ottocento piedi, e coi fianchi coperti da una
lussureggiante vegetazione.
La colonna, che si era riformata,
attraversò a passo di corsa la distanza, sparando di quando in quando qualche
colpo di fucile.
L'ascensione fu compita in meno
di mezz'ora, non ostante gli ostacoli opposti da tutta quella massa di piante e
senza che gli assamesi avessero ritentato l'attacco.
Giunti sulla cima, Sandokan fece
accampare i compagni, onde accordare a loro un paio d'ore di riposo, ben
meritato d'altronde, dopo una così lunga corsa attraverso la jungla, sempre
battagliando; poi con Tremal-Naik e Kammamuri si inerpicò
su una roccia che formava il culmine della collina, e che era affatto spoglia
di qualsiasi vegetazione.
Di lassù lo sguardo poteva
dominare un immenso spazio, estendendosi tutto intorno la pianura.
L'incendio continuava ancora
nella jungla minacciando di estendersi fino sulle rive del Brahmaputra e verso
la palude dei coccodrilli.
Era un vero mare di fuoco, che
aveva una fronte di cinque o sei miglia e che tutto divorava sul suo passaggio.
Enormi colonne di fumo nerissimo
e getti immensi di scintille, ondeggiavano su quell'immane braciere, avvolgendo
già la foresta che si estendeva dietro la jungla. Perfino la vecchia pagoda di
Benar era crollata, e non era rimasto in piedi che qualche pezzo di muraglia.
Sandokan ed i suoi compagni
volgendo gli sguardi verso levante, non tardarono a scoprire un piccolo
villaggio, formato da una minuscola pagoda e da qualche centinaio di capanne.
Si trovava molto lontano
dall'incendio e fuori da qualsiasi pericolo, perché vaste risaie, coi canali
pieni d'acqua, lo circondavano.
- Non può essere che quello, - disse
Sandokan additandolo ai compagni. - Non ne vedo altri in nessuna direzione.
- E nemmeno io, - rispose
Tremal-Naik. - Quanto credi che disti da noi?
- Cinque miglia.
- Una semplice corsa.
- Sì, se gli assamesi ci
lasceranno tranquilli.
- Li vedi?
- Sono sempre nascosti fra i
kalam.
- Che ci spiino?
- Ne sono certo. Ci proveremo a
ingannarli scendendo l'altro versante della collina. -
Si lasciarono scivolare lungo la
parete rocciosa, che aveva già una notevole pendenza e raggiunsero i loro
compagni, che si erano accampati fra le piante.
- Tutto va bene, almeno per ora -
disse Sandokan a Surama. - Io spero di poter raggiungere il villaggio in un
paio d'ore, tenuto conto delle difficoltà che incontreremo nella foresta.
Se troveremo gli elefanti, faremo
correre i seikki, se vorranno darci la caccia.
- E Yanez? - chiese la giovane
con angoscia.
- Come ben puoi comprendere, pel
momento, nulla possiamo fare per lui. La sua liberazione richiederà un certo
tempo. D'altronde non inquietarti: egli non corre alcun pericolo, perché il
rajah, convinto che sia un inglese, non oserà torcergli un capello.
Tutt'al più lo farà tradurre alla
frontiera bengalese.
- E come potremo ritrovarlo poi?
- Oh! Sarà lui che muoverà
incontro a noi, quando gli giungerà la buona notizia che le Tigri di Mompracem
ed i tuoi montanari hanno preso d'assalto la capitale del tuo futuro regno.
Ah! mi dimenticavo di chiederti
una preziosa notizia. Il Brahmaputra attraversa le tue montagne?
- Sì.
- Ha delle barche quella gente?
- Bangle e anche dei grossi
gonga.
- Non speravo tanto, - disse
Sandokan.
Si sdraiò poi sotto un banano
selvatico, accese la sua pipa e si mise a fumare con studiata lentezza, tenendo
gli sguardi fissi sui kalam, in mezzo ai quali dovevano trovarsi ancora gli
assamesi, non potendo allontanarsi in causa dell'incendio, che sbarrava a loro
la ritirata verso il fiume. Gli altri lo avevano già imitato, chi fumando e chi
masticando noci d'areca.
Era trascorsa un'ora e fors'anche
di più, quando Sandokan vide delle ombre umane scivolare fra i kalam e
radunarsi presso una doppia fila di cespugli, che s'allungavano quasi
ininterrottamente verso la base dell'altura.
- In piedi amici, - comandò. - È
il momento di sloggiare.
- Che cosa succede ancora? -
chiese Surama.
- I tuoi futuri sudditi si
preparano a snidarci, - rispose Sandokan, - ed io non ho alcun desiderio di
aspettarli quassù.
Preparate le vostre gambe, perché
si tratta di fare una vera corsa. Tenetevi sempre fra le piante, finché avremo
raggiunto il versante opposto. -
Strisciando fra i sarmenti ed i
cespugli e tenendosi al riparo dalle larghe foglie dei banani, la piccola
colonna girò intorno alla roccia e raggiunse, inosservata, il pendio
settentrionale, che si presentava ingombro di superbe mangifere, che formavano
dei gruppi giganteschi di manghi e di areca dai tronchi contorti, legati
strettamente fra di loro da un numero infinito di piante parassite, che avevano
raggiunto delle lunghezze straordinarie.
L'avanguardia fu costretta a
riprendere il suo faticoso lavoro, per praticare un passaggio attraverso a
quella muraglia di verzura, che non presentava alcuna apertura.
Sandokan, sempre prudente, aveva
rinforzata la sua retroguardia, non potendo venire il pericolo che dal versante
opposto.
Forse in quel momento gli
assamesi avevano già attraversata la distanza che li separava dalla collina e
stavano salendo, sicuri di sorprendere i fuggiaschi ancora accampati.
Se loro salivano in fretta, anche
i malesi ed i dayachi, scendevano non meno rapidamente, sfondando rabbiosamente
quel caos di piante. Gli uomini dell'avanguardia, si cambiavano di cinque in
cinque minuti, onde vi fossero sempre alla testa lavoratori freschi.
La fortuna proteggeva certamente
la colonna, poiché questa poté finalmente raggiungere la foresta, che Sandokan
e Tremal-Naik avevano scorta dall'alto della roccia, e
senza che fosse stato sparato un colpo di fucile, né da una parte, né
dall'altra.
Contrariamente a quanto avevano
dapprima creduto, quella foresta era poco folta, essendo composta di piante di
tek e di nagassi, ossia di alberi del ferro, vegetali che conservano una certa
distanza e che non permettono, ai cespugli che nascono sotto le loro foglie, di
svilupparsi troppo. La marcia poteva quindi ridiventare rapidissima come
nell'ultimo tratto della jungla.
Era bensì vero che anche gli
assamesi, se avevano scoperta la pista, ciò che non era difficile col sentiero
aperto dalle scimitarre, potevano a loro volta spingere l'inseguimento; ma già
a Sandokan ormai poco importava, essendo sicuro che Bindar avrebbe già
preparato gli elefanti.
Già non distavano dal villaggio
che un mezzo miglio, quando Sandokan e Tremal-Naik, udirono
a echeggiare alle loro spalle alcuni spari, seguìti subito da una nutrita
scarica di carabine.
- Ci sono già addosso! - esclamò
il primo arrestandosi.
- La retroguardia ha risposto con
un fuoco di fila - aggiunse il secondo.
- Dieci uomini con me: gli altri
con Kammamuri continuino la via. Vi raccomando di far preparare subito gli
elefanti. -
Dieci malesi si staccarono dalla
colonna e seguirono a passo di corsa i due capi, che già rifacevano la via
percorsa, armando le carabine.
Dopo trecento passi
s'incontrarono colla retroguardia, che era condotta da Sambigliong.
- Siete stati attaccati? - chiese
Sandokan.
- Sì, da un piccolo gruppo di
esploratori, che è fuggito a rompicollo alla nostra prima scarica.
- Abbiamo dei feriti?
- Nessuno, Tigre della Malesia.
- Come mai quegli uomini ci hanno
raggiunti così presto?
- Correvano come gazzelle.
- Sei ben sicuro che si siano
dispersi?
- Li abbiamo inseguiti per due o
trecento metri.
- Affrettatevi: il villaggio non
è che a due passi e forse troveremo gli elefanti pronti. -
Radunò i due piccoli drappelli e
tornò indietro sempre di corsa, temendo che il grosso degli assalitori, si
trovasse a poca distanza.
Quando raggiunse la colonna,
questa si trovava già intorno a cinque colossali elefanti, montati ognuno da un
cornac e forniti della cassa destinata a contenere gli uomini.
Bindar era con loro.
- Ah, sahib! - esclamò il bravo
ragazzo. - Quante inquietudini ho provato per te, vedendo l'incendio divorare
la jungla e udendo tante scariche! Temevo che tu fossi stato sopraffatto ed i
tuoi guerrieri distrutti.
- Siamo gente diversa dagli
indiani noi, - si limitò di rispondere Sandokan. - Vi sono altri elefanti nel
villaggio?
- Due soli ancora.
- Basteranno questi a trasportare
tutta la mia gente?
- Sì, sahib. -
Fece salire Surama sul primo
elefante, poi diede ordine ai suoi uomini di occupare gli altri e di tenersi
pronti a salutare con una buona scarica gli assalitori, nel caso che si
mostrassero sul margine della foresta.
Bindar s'arrampicò anche lui,
coll'agilità d'una scimmia, sul primo elefante, che era montato, oltre che
dalla futura regina, da Sandokan, da Tremal-Naik, da
Kammamuri e da tre malesi, che si erano accomodati dietro la cassa sull'enorme
dorso del bestione.
- Avanti, cornac e spingete la
corsa. Venti rupie di regalo, se li farete galoppare come cavalli spronati a
sangue, - gridò Sandokan.
Non ci voleva di più per
incoraggiare i conduttori, che forse non guadagnavano tanto in un anno di
servizio.
Mandarono un lungo fischio
stridulo impugnando, nel medesimo tempo, i corti arpioni e tosto i cinque
colossali pachidermi si misero in marcia con passo rapidissimo, con quello
strano dondolamento che dà l'impressione, a chi li monta, di trovarsi su un
battello scosso ora dal rollio ed ora dal beccheggio.
Bindar, che come abbiamo detto,
si trovava sull'elefante montato da Sandokan, aveva dato ordine ai cornac di
risalire verso il sud-est, seguendo la lunga e stretta
frontiera bengalese, che si frappone come un cuscinetto fra il Boutam e
l'Assam, avvolgendo quest'ultimo stato a settentrione ed a levante, in modo da
separarlo dai montanari dell'Himalaya e dai montanari della vicina Birmania.
Makum, l'antica capitale del
piccolo principato, retto dal padre di Surama, ultima cittadella della
frontiera assamese, doveva essere la meta della loro corsa.
Appena oltrepassate le risaie,
che si estendevano tutte intorno al villaggio per uno spazio considerevole, i
cinque elefanti si trovarono in mezzo alle eterne jungle, che seguono, per
centinaia e centinaia di miglia, la riva destra del Brahmaputra, spingendosi
quasi ininterrottamente fino ai primi scaglioni della catena del Dapha Bum e
dell'Harungi.
La foresta che stavano per
attraversare, non era così fitta come quella di Benar, tuttavia aveva anche
questa immense distese di bambù di dimensioni straordinarie, ottime per servire
d'agguato a uomini ed a belve, infinite distese di kalam e di cespugli; però
non mancavano le piante d'alto fusto, come tara, pipal, palas e palmizi
splendidi, che allargavano smisuratamente le loro foglie dentellate o
frangiate.
Sandokan che s'aspettava da un
momento all'altro qualche brutta sorpresa da parte degli assamesi, i quali
potevano essersi accorti della nuova direzione presa dai fuggiaschi, raccomandò
ai suoi uomini di non deporre le carabine e di sorvegliare attentamente le
macchie.
Era sicuro di non passarla
liscia, quantunque gli elefanti s'avanzassero colla velocità di cavalli spinti
a buon galoppo.
Più innanzi le cose si sarebbero
certamente cambiate, poiché i nemici per quanto lesti corridori, non avrebbero
potuto resistere a lungo alla corsa indiavolata degli elefanti, ma pel momento
era da aspettarsi qualche brutto giuoco.
- Tu temi qualche altra sorpresa,
è vero? - gli chiese Tremal-Naik, senza cessare di
osservare attentamente le folte macchie dei bambù, che gli elefanti
costeggiavano, aprendosi un passaggio a gran colpi di proboscide, quando se le
trovavano dinanzi.
- Dubito sempre, e poi mi sembra
impossibile che quegli uomini abbiano interrotto così bruscamente
l'inseguimento. Devono averci scorti e mi aspetto, fra queste macchie, qualche
colpo di testa. -
In quel momento, con sorpresa di
tutti, gli elefanti, che fino allora avevano continuato ad accelerare la corsa,
la rallentarono bruscamente.
- Ehi, cornac, che cos'ha il tuo
elefante-pilota? - chiese Tremal-Naik,
che si era subito accorto. - Sente la vicinanza di qualche tigre forse? Noi
siamo uomini da ammazzarne anche una dozzina.
- Pessimo terreno, signore -
rispose il conduttore crollando il capo.
- Vuoi dire?
- Che le ultime piogge hanno reso
il terreno eccessivamente fangoso e che le zampe dei nostri animali affondano
fino al ginocchio. Non mi aspettavo una simile sorpresa.
- Non possiamo deviare?
- Altrove il terreno non sarà
migliore. Vi è dell'argilla sotto questa jungla e le acque stentano a filtrare.
-
Sandokan e
Tremal-Naik si alzarono guardando il terreno.
Apparentemente sembrava asciutto alla superficie, ma guardando le larghe
impronte, lasciate dagli elefanti, si poteva facilmente comprendere come sotto
esistesse una riserva d'acqua, poiché quei buchi si erano subito riempiti d'un
liquido fangoso ed a quanto sembrava, tenacissimo.
- Ehi, cornac, cerca di spingere
più che puoi il tuo elefante, - disse Sandokan.
- Farò il possibile, signore. -
I cinque pachidermi non
sembravano troppo contenti di aver incontrato quel terreno, che arrestava il
loro slancio. Barrivano sordamente, agitavano la tromba e le grandi orecchie e
scuotevano le loro teste massicce, manifestando il loro mal umore.
Nondimeno, quantunque
affondassero di quando in quando fino al ginocchio e provassero talvolta
qualche difficoltà ad estrarre le loro zampacce da quel fango tenace, come se
avessero compreso che dalla loro velocità dipendeva la salvezza degli uomini
che li montavano, facevano sforzi prodigiosi, per non rallentare troppo la
corsa.
Disgraziatamente, di passo in
passo che s'avanzavano, il terreno diventava sempre meno resistente. L'acqua ed
il fango sprizzavano da tutte le parti, macchiando le rosse gualdrappe dei
pachidermi.
Era soprattutto sotto i bambù che
si trovava maggior copia di materia liquida: là gli elefanti non potevano
scorgere dove ponevano i piedi; avanzavano a passo quasi d'uomo e non cessavano
di barrire, segnalando così la loro presenza, mentre Sandokan avrebbe
desiderato il più scrupoloso silenzio.
Una buona mezz'ora era trascorsa,
da che avevano lasciato il villaggio, quando Bindar, che si teneva dietro al
cornac del primo elefante, con una mano stretta sull'orlo della cassa, avendo
nell'altra la carabina, si lasciò sfuggire una esclamazione. Quasi nell'istesso
momento l'elefante si fermava, alzando rapidamente la tromba e fiutando l'aria
a diverse altezze.
- Che cos'hai, Bindar? - chiese
subito Sandokan, alzandosi precipitosamente.
- Ho veduto dei bambù ad
agitarsi, - rispose l'indiano.
- Dove?
- Sulla nostra sinistra.
- Che vi sia qualche tigre? Mi
pare che l'elefante sia inquieto.
- Una bâgh non spaventerebbe
questi cinque colossi, che marciano uno addosso all'altro. Deve aver fiutato
qualche cosa d'altro.
- Fermo, cornac!
- L'elefante non avanza più, -
rispose il conduttore.
- Preparate le armi! - continuò
Sandokan, alzando la voce.
Malesi e dayachi si erano alzati
come un solo uomo, armando le carabine.
Anche gli altri elefanti, che si
erano stretti contro il primo, manifestavano una certa inquietudine.
Trascorsero alcuni minuti senza
che alcun che di straordinario accadesse. I bambù non si erano più mossi,
eppure i pachidermi non si erano ancora interamente tranquillizzati.
Sandokan, che era impaziente di
guadagnare via, stava per ordinare ai cornac di riprendere la marcia, quando
alcune detonazioni scoppiarono entro un macchione di bambù, che si estendeva a
circa duecento metri dai pachidermi.
- Gli assamesi! - esclamò
Sandokan. - Fuoco là in mezzo! -
I malesi dapprima, poi i dayachi
con un intervallo di pochi secondi, fecero una scarica poderosa, mentre
l'elefante-pilota mandava un barrito spaventevole,
rovesciandosi addosso ai compagni.
Qualche palla doveva averlo colpito,
poiché gli altri si mantennero impassibili, come brave bestie, abituate al
fuoco.
Gli assamesi non risposero più. A
giudicare dai movimenti disordinati dei bambù, dovevano aver battuto precipitosamente
in ritirata, per paura forse di dover subire una carica furiosa da parte dei
pachidermi.
- Quindici uomini vadano a
esplorare quella macchia! - gridò Sandokan. - Se il nemico resiste, ripiegatevi
verso di noi facendo fuoco. -
Le scale furono gettate ed un
drappello composto di dayachi e di malesi, sotto la guida del vecchio
Sambigliong, si slanciò attraverso il pantano, balzando fra i bambù e le erbe,
le cui radici opponevano una certa resistenza.
Sandokan e gli altri, dall'alto
delle casse, sorvegliavano intanto la macchia, pronti a sostenere i loro
compagni.
L'elefante-pilota
continuava a lanciare barriti formidabili e ad indietreggiare, non ostante le
buone parole che gli diceva il suo conduttore.
- Ha ricevuto certamente una
palla nel corpo, - disse Tremal-Naik a Sandokan.
- Mi spiacerebbe che fosse stato
ferito gravemente, - rispose la Tigre della Malesia. - È bensì vero che ce ne
rimangono altri quattro.
- Cornac, va' a un po' a vedere
dove è stato toccato.
- Sì, signore - rispose il
conduttore raggiungendo rapidamente la scala di corda e lasciandosi scivolare
sul pantano.
Girò intorno al pachiderma
osservandolo attentamente lungo i fianchi e si arrestò presso la gamba sinistra
posteriore.
- Dunque? - chiese
Tremal-Naik.
- Sanguina qui, signore - rispose
il cornac. - Ha ricevuto una palla presso l'articolazione.
- Ti sembra grave la ferita? -
Il conduttore scosse il capo a
più riprese, poi disse:
- Durerà finché potrà. Questi colossi
posseggono una forza prodigiosa, eppure sono d'una sensibilità estrema e
guariscono difficilmente.
- Puoi fare una fasciatura?
- Mi proverò, signore, tanto per
arrestare il sangue. Estrarre il proiettile, che si è cacciato sotto la pelle,
sarebbe impossibile.
- Fa' presto. -
In quel momento Kammamuri ed il
suo drappello ritornavano.
- Fuggiti? - chiese Sandokan.
- Scomparsi ancora - rispose il
maharatto.
- Canaglie! Non hanno il coraggio
d'affrontarci in campo aperto.
- Li ritroveremo più innanzi, se
gli elefanti non trovano un terreno migliore. Subiremo delle imboscate finché
non potremo galoppare furiosamente.
- Continua il fango?
- Sempre.
- Montate e tenete sempre pronte
le carabine. -
Malesi e dayachi s'inerpicarono
come tanti scoiattoli su per le scale di corda, seguiti poco dopo dal cornac
dell'elefante-pilota, che era riuscito ad arrestare
l'emorragia.
- Avanti! - comandò Sandokan. -
Vedremo che cosa sapranno fare quei dannati assamesi. -
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