CAPITOLO
V
L'APPICCATO.
Quando il Corsaro ed i
suoi compagni giunsero sulla Plaza de Granada, l'oscurità era cosí
profonda, da non potersi distinguere una persona a venti passi di distanza.
Un profondo silenzio
regnava sulla piazza, rotto solamente dal lugubre gracidare di qualche urubu,
vigilante sulle quindici forche degli appiccati. Non si udivano nemmeno piú i
passi della sentinella posta dinanzi al palazzo del Governatore, la cui massa
giganteggiava dinanzi alle forche.
Tenendosi presso i muri
delle case o dietro ai tronchi delle palme, il Corsaro, Carmaux ed il negro
s'avanzavano lentamente, cogli orecchi tesi, gli occhi bene aperti e le mani
sulle armi, tentando di giungere inosservati presso i giustiziati.
Di tratto in tratto,
quando qualche rumore echeggiava per la vasta piazza, s'arrestavano sotto la
cupa ombra di qualche pianta o sotto l'oscura arcata di qualche porta,
aspettando, con un certa ansietà, che il silenzio fosse tornato.
Erano già giunti a pochi
passi dalla prima forca, dalla quale dondolava, mosso dalla brezza notturna, un
povero diavolo quasi nudo, quando il Corsaro additò ai compagni una forma umana
che si agitava sull'angolo del palazzo del Governatore.
- Per mille pescicani!...
- borbottò Carmaux. - Ecco la sentinella!... Quell'uomo verrà a guastarci il
lavoro.
- Ma Moko è forte, - disse
il negro. - Io andrò a rapire quel soldato.
- E ti farai bucare il
ventre, compare.
Il negro sorrise,
mostrando due file di denti bianchi come l'avorio, e cosí acuti da fare invidia
ad uno squalo, dicendo:
- Moko è astuto e sa
strisciare come i serpenti che incanta.
- Va', - gli disse il
Corsaro. - Prima di prenderti con me, voglio avere una prova della tua audacia.
- L'avrete, padrone. Io
prenderò quell'uomo come un tempo prendevo gli jacaré della laguna.
Si tolse dai fianchi una
corda sottile, di cuoio intrecciato e che terminava in un anello, un vero lazo,
simile a quello usato dai vaqueros messicani per dare la caccia ai tori,
e s'allontanò silenziosamente, senza produrre il menomo rumore.
Il Corsaro, nascosto
dietro il tronco d'una palma, lo guardava attentamente, ammirando forse la
risolutezza di quel negro che, quasi inerme, andava ad affrontare un uomo bene
armato e certamente risoluto.
- Ha del fegato il
compare, - disse Carmaux.
Il Corsaro fece un cenno
affermativo col capo, ma non pronunciò una sola parola. Continuava a guardare
l'africano il quale strisciava al suolo come un serpente avvicinandosi
lentamente al palazzo del Governatore.
Il soldato si allontanava
allora dall'angolo, dirigendosi verso il portone, era armato di un'alabarda ed
al fianco portava anche una spada.
Vedendo che gli volgeva le
spalle, Moko strisciava piú velocemente tenendo in mano il lazo. Quando
giunse a dodici passi si alzò rapidamente, fece volteggiare in aria due o tre
volte la corda, poi la lanciò con mano sicura. S'udí un leggero sibilo, poi un
grido soffocato ed il soldato stramazzò al suolo, lasciando cadere l'alabarda
ed agitando pazzamente le gambe e le braccia.
Moko, con un balzo da
leone, gli era piombato addosso. Imbavagliarlo strettamente colla fascia rossa
che portava alla cintola, legarlo per bene e portarlo via come se fosse stato
un fanciullo, fu l'affare di pochi istanti.
- Eccolo, - disse,
gettandolo ruvidamente ai piedi del capitano.
- Sei un valente, -
rispose il Corsaro. - Legalo a questo albero e seguimi.
Il negro obbedí aiutato da
Carmaux, poi tutti e due raggiunsero il Corsaro, il quale esaminava gli
appiccati dondolanti dalle forche.
Giunti in mezzo alla
piazza, il capitano s'arrestò dinanzi ad un giustiziato che indossava un
costume rosso e che, per amara derisione, teneva fra le labbra un pezzo di
sigaro.
Nel vederlo, il Corsaro
aveva mandato un vero grido di orrore.
- I maledetti!... -
esclamò. - Mancava a loro l'ultimo disprezzo!
La sua voce, che pareva il
lontano ruggito d'una fiera, terminò in uno straziante singhiozzo.
- Signore, - disse Carmaux,
con voce commossa, - siate forte!
Il Corsaro fece un gesto
colla mano indicandogli l'appiccato.
- Subito, mio capitano, -
rispose Carmaux.
Il negro si era
arrampicato sulla forca, tenendo fra le labbra il coltello del filibustiere.
Recise con un colpo solo la fune, poi calò giú il cadavere, adagio, adagio.
Carmaux gli si era fatto
sotto. Quantunque la putrefazione avesse cominciato a decomporre le carni del
Corsaro Rosso, il filibustiere lo prese delicatamente fra le braccia e
l'avvolse nel mantello nero che il capitano gli porgeva.
- Andiamo - disse il
Corsaro, con un sospiro. - La nostra missione è finita e l'oceano aspetta la
salma del valoroso.
Il negro prese il
cadavere, se lo accomodò fra le braccia, lo coprí per bene col mantello, e poi
tutti e tre abbandonarono la piazza, tristi e taciturni. Quando però giunsero
all'estremità, il Corsaro si volse guardando un'ultima volta i quattordici
appiccati, i cui corpi spiccavano lugubremente fra le tenebre, e disse con voce
mesta:
- Addio, valorosi disgraziati;
addio compagni del Corsaro Rosso! La filibusteria vendicherà ben presto la
vostra morte.
Poi, fissando con due
occhi ardenti il palazzo del Governatore giganteggiante in fondo alla piazza,
aggiunse con voce cupa:
- Tra me e te, Wan Guld,
sta la morte!...
Si misero in cammino,
frettolosi di uscire da Maracaybo e di giungere al mare per tornare a bordo
della nave corsara. Ormai piú nulla avevano da fare in quella città, entro le
cui vie non si sentivano piú sicuri, dopo l'avventura della posada. Avevano già percorse tre o quattro
viuzze deserte, quando Carmaux, che camminava dinanzi a tutti, credette di
scorgere delle ombre umane, seminascoste sotto l'oscura arcata d'una porta.
- Adagio, - mormorò,
volgendosi verso i compagni. - Se non sono diventato cieco, vi sono delle
persone che mi pare ci attendano.
- Dove? - chiese il
Corsaro.
- Là sotto.
- Forse ancora gli uomini
della posada?
- Mille pesci... cani!...
Che siano i cinque baschi colle loro navaje?
- Cinque non sono troppi
per noi, e faremo pagare caro l'agguato, - disse il Corsaro sguainando la
spada.
- La mia sciabola
d'arrembaggio avrà buon gioco sulle loro navaje!... - disse Carmaux.
Tre uomini avvolti in
grandi mantelli fioccati, dei serapé senza dubbio, si erano staccati
dall'angolo d'un portone occupando il marciapiede di destra, mentre due altri,
che fino allora si erano tenuti celati dietro un carro abbandonato, chiudevano
il passo sul marciapiede di sinistra.
- Sono i cinque baschi, -
disse Carmaux. - Vedo le navaje luccicare alle loro cintole.
- Tu incaricati dei due di
sinistra ed io dei tre di destra, - disse il Corsaro, - e tu, Moko, non
occuparti di noi e prendi il largo col cadavere. Ci aspetterai sul margine
della foresta.
I cinque baschi si erano
sbarazzati dei mantelli piegandoli in quattro e ponendoseli sul braccio
sinistro, poi avevano aperto i loro lunghi coltellacci dalla punta acuta come
le lame delle spade:
- Ah!... Ah!... - disse
colui che era stato respinto da Carmaux.
- Pare che non ci siamo
ingannati.
- Largo!... - gridò il
Corsaro, che si era messo dinanzi ai compagni.
- Adagio, caballero,
- disse il basco, facendosi innanzi.
- Che cosa vuoi tu?...
- Soddisfare una piccola
curiosità che ci cruccia.
- E quale?
- Sapere chi siete voi, caballero.
- Un uomo che uccide chi
gli dà impiccio, - rispose fieramente il Corsaro, avanzandosi colla spada in
pugno.
- Allora vi dirò, caballero,
che noi siamo uomini che non hanno paura, e che non ci faremo uccidere come
quel povero diavolo che avete inchiodato al muro. Il vostro nome ed i vostri
titoli o non uscirete da Maracaybo. Siamo ai servizi del signor Governatore e
dobbiamo rispondere delle persone che passeggiano per le vie ad un'ora cosí
tarda.
- Se volete saperlo,
venite a chiedermi il mio nome, - disse il Corsaro mettendosi rapidamente in
guardia. - A te i due di destra, Carmaux.
Il filibustiere aveva
sguainata la sciabola d'arrembaggio e muoveva risolutamente contro i due
avversari che impedivano il passo sul marciapiede opposto.
I cinque baschi non si
erano mossi, aspettando l'assalto dei due filibustieri. Fermi sulle gambe che
tenevano un po' aperte per essere piú pronti a tutte le evoluzioni, colla mano
sinistra stretta contro la cintura e la destra attorno al manico della navaja,
ma col pollice appoggiato sulla parte piú larga della lama, aspettavano il
momento opportuno per scagliare i colpi mortali.
Dovevano essere cinque diestros,
ossia valenti, ai quali non dovevano essere sconosciuti i colpi piú famosi, né
il javeque, ferita ignominiosa che sfregia il viso, né il terribile desjarretazo
che si avventa per di dietro, sotto l'ultima costola e che recide la colonna
vertebrale.
Vedendo che non si
decidevano, il Corsaro, impaziente di aprirsi il passo, piombò sui tre
avversari che gli stavano di fronte, vibrando botte a destra ed a manca con
velocità fulminea, mentre Carmaux caricava gli altri due sciabolando come un
pazzo.
I cinque diestros
non si erano per questo sgomentati. Dotati di una agilità prodigiosa, balzavano
indietro parando i colpi ora colle larghe lame dei loro coltellacci ed ora coi serapé,
che tenevano avvolti intorno al braccio sinistro.
I due filibustieri erano
diventati prudenti, essendosi accorti di avere da fare con degli avversari
pericolosi.
Quando però videro il
negro allontanarsi col cadavere e perdersi fra l'oscurità della via tornarono
furiosamente alla carica, frettolosi di sbrigarsela prima che qualche guardia,
attirata da quel cozzare di ferri, potesse giungere in aiuto dei baschi.
Il Corsaro, la cui spada
era ben piú lunga delle navaje e la cui abilità nella scherma era
straordinaria, poteva avere buon gioco, mentre Carmaux era costretto a tenersi
molto in guardia essendo la sua sciabola assai corta.
I sette uomini lottavano
con furore, ma in silenzio, essendo tutti assorti nel parare e vibrare colpi.
S'avanzavano, indietreggiavano, balzavano ora a destra ed ora a manca,
percuotendo forte i ferri.
Ad un tratto il Corsaro,
vedendo uno dei tre avversari perdere l'equilibrio e fare un passo falso,
scoprendo per un istante il petto, si allungò con una mossa fulminea.
La lama toccò e l'uomo
cadde senza mandare un gemito.
- E uno, - disse il
Corsaro, rivolgendosi agli altri. - Fra poco avrò la vostra pelle!
I due baschi, per nulla
intimoriti, stettero fermi dinanzi a lui, senza fare un passo indietro;
d'improvviso però il piú agile gli si precipitò addosso curvandosi verso terra
e spingendo dinanzi il serapé che gli riparava il braccio, come se
volesse portare il colpo della parte baja, che se riesce squarcia il
ventre, ma poi si rialzò e scartandosi bruscamente tentò di vibrare la botta
mortale, il desjarretazo.
Il Corsaro fu lesto a
gettarsi da un lato e partí a fondo, però la sua lama s'imbarazzò nel serapé
del valiente.
Tentò di rimettersi in
guardia per parare i colpi che gli vibrava l'altro basco e quasi subito mandò
un grido di rabbia.
La lama era stata spezzata
a metà dal braccio dell'uomo che stava per vibrargli il desjarretazo.
Balzò indietro agitando il
pezzo di spada, e urlando:
- A me, Carmaux!...
Il filibustiere che non era
ancora riuscito a sbrigarsi dei suoi due avversari, quantunque li avesse
costretti a indietreggiare fino all'angolo della via, in tre salti gli fu
presso.
- Per mille pescicani!...
- tuonò, - eccoci in un bell'impiccio!...Saremo bravi se riusciremo a levarci
d'attorno questa muta di cani arrabbiati.
- Teniamo la vita di due
di quei bricconi, - rispose il Corsaro, armando precipitosamente la pistola che
teneva alla cintola.
Stava per far fuoco sul
piú vicino, quando vide precipitarsi addosso ai quattro baschi, che si erano
radunati, credendosi ormai certi della vittoria, un'ombra gigantesca.
Quell'uomo, giunto in cosí buon punto, teneva in mano un grosso randello.
- Moko!... - esclamarono
il Corsaro e Carmaux.
Il negro invece di
rispondere alzò il bastone e si mise a tempestare gli avversari con tale furia,
che quei disgraziati in un baleno furono tutti a terra, chi colla testa rotta e
chi colle costole sfondate.
- Grazie compare!... -
gridò Carmaux. - Mille fulmini!... che grandinata!...
- Fuggiamo, - disse il
Corsaro. - Qui piú nulla abbiamo da fare.
Alcuni abitanti, svegliati
dalle grida dei feriti, cominciavano ad aprire le finestre per vedere di che
cosa si trattava.
I due filibustieri ed il
negro, sbarazzatisi dei cinque assalitori, svoltarono precipitosamente l'angolo
della via.
- Dove hai lasciato il
cadavere? - chiese il Corsaro all'africano.
- È già fuori della città
- rispose il negro.
- Grazie del tuo soccorso.
- Avevo pensato che il mio
intervento poteva esservi utile e mi sono affrettato a ritornare.
- Vi è nessuno
all'estremità del borgo?
- Non ho veduto alcuno.
- Allora affrettiamoci a
battere in ritirata, prima che giungano altri avversari, - disse il Corsaro.
Stavano per mettersi in
marcia, quando Carmaux, che s'era spinto innanzi per perlustrare una via
laterale, tornò rapidamente indietro, dicendo:
- Capitano, sta per
giungere una pattuglia!...
- Da dove?
- Da quella viuzza.
- Ne prenderemo un'altra.
Le armi in mano, miei prodi, e avanti!...
Va' a disarmare il
biscaglino che ho ucciso; in mancanza di altro è buona anche una navaja.
- Col vostro permesso
v'offro la mia sciabola, capitano; io so adoperare quei lunghi coltelli.
Il bravo marinaio porse al
Corsaro la propria sciabola, poi tornò indietro e andò a raccogliere la navaja
di uno dei biscaglini, arma formidabile anche in mano sua.
Il drappello s'avvicinava
a grandi passi. Forse aveva udito le grida dei combattenti ed il cozzare delle
armi e s'affrettava ad accorrere.
I filibustieri, preceduti
da Moko, si misero a correre tenendosi presso i muri delle case; percorsi circa
centocinquanta passi, udirono il passo cadenzato di un altra pattuglia.
- Tuoni! - esclamò
Carmaux. - Stiamo per essere presi in mezzo.
Il Corsaro Nero s'era
arrestato, impugnando la corta sciabola del filibustiere.
- Che siamo stati
traditi?... - mormorò.
- Capitano, - disse
l'africano. - Vedo otto uomini armati di alabarde e di moschettoni avanzarsi
verso di noi.
- Amici, - disse il
Corsaro, - qui si tratta di vendere cara la vita.
- Comandate che cosa si
deve fare e noi siamo pronti - risposero il filibustiere ed il negro, con voce
decisa.
- Moko!
- Padrone!
- Affido a te l'incarico
di portare a bordo il cadavere di mio fratello. Sei capace di farlo? Troverai
la nostra scialuppa sulla spiaggia e ti porrai in salvo con Wan Stiller.
- Sí, padrone.
- Noi faremo il possibile
per sbarazzarci dei nostri avversari, ma se dovessimo venire sopraffatti,
Morgan sa cosa dovrà fare. Va', porta il cadavere a bordo, poi verrai qui a
vedere se siamo ancora vivi o morti.
- Non so decidermi a
lasciarvi, padrone; io sono forte e posso esservi di molta utilità.
- Mi preme che mio
fratello sia sepolto in mare come il Corsaro Verde e poi tu puoi renderci
maggiori servigi recandoti a bordo della mia Folgore, che qui.
- Ritornerò con dei
rinforzi, signore.
- Morgan verrà, sono certo
di questo. Vattene: ecco la pattuglia.
Il negro non se lo fece
ripetere due volte. Essendo però la via sbarrata dalle due pattuglie, si cacciò
in una via laterale mettendo capo ad una muraglia che serviva di riparo ad un
giardino.
Il Corsaro, vistolo
scomparire, si volse verso il filibustiere, dicendo:
- Prepariamoci a piombare
sulla pattuglia che ci sta dinanzi. Se riusciamo con un improvviso attacco ad
aprirci il passo, forse potremo guadagnare la campagna e poi la foresta.
Si trovavano allora
sull'angolo della via. La seconda pattuglia, già scorta dal negro, non era
lontana piú di trenta passi, mentre la prima non si scorgeva ancora, essendosi
forse arrestata.
- Teniamoci pronti, -
disse il Corsaro.
- Lo sono, - disse il
filibustiere, che s'era nascosto dietro l'angolo della casa.
Gli otto alabardieri
avevano rallentato il passo come se temessero qualche sorpresa, anzi uno di
loro, forse il comandante, aveva detto:
- Adagio, giovanotti! Quei
bricconi devono trovarsi poco lontano di certo.
- Siamo in otto, signor
Elvaez, - disse un soldato, - mentre il taverniere ci ha detto che i
filibustieri erano solamente tre.
- Ah! Furfante d'un oste!
- mormorò Carmaux. - Ci ha traditi! Se mi capita fra le mani gli farò un
occhiello nel ventre, e cosí grande da fargli uscire tutto il vino che avrà
bevuto in una settimana!
Il Corsaro Nero aveva
alzato la sciabola pronto a scagliarsi.
- Avanti!... - urlò.
I due filibustieri si
rovesciarono con impeto irresistibile addosso alla pattuglia che stava per
svoltare l'angolo della via, vibrando colpi disperati a destra ed a manca, con
rapidità fulminea.
Gli alabardieri, sorpresi
da quell'improvviso attacco, non poterono resistere e si gettarono chi da una
parte e chi dall'altra, per sottrarsi a quella gragnuola di colpi. Quando si
furono rimessi dallo stupore, il Corsaro ed il suo compagno erano già lontani.
Accortisi però che avevano avuto da fare con due soli uomini, si slanciarono
sulle loro tracce, urlando a squarciagola:
- Fermateli! I
filibustieri! I filibustieri!...
Il Corsaro e Carmaux
correvano alla disperata, senza però sapere dove andassero. Si erano cacciati
in mezzo ad un dedalo di viuzze e voltavano ad ogni istante angoli di case
senza però riuscire a guadagnare la campagna.
Gli abitanti, svegliati
dalle urla della pattuglia ed allarmati dalla presenza di quei formidabili
scorridori del mare, cosí temuti in tutte le città spagnole dell'America, si
erano alzati e si udivano porte e finestre aprirsi o chiudersi con fracasso,
mentre qualche colpo di fucile rimbombava.
La situazione dei
fuggiaschi stava per diventare, da un istante all'altro, disperata; quelle
grida e quegli spari potevano spargere l'allarme anche nel centro della città e
fare accorrere l'intera guarnigione.
- Tuoni!... - esclamava
Carmaux, galoppando furiosamente. - Tutte queste grida di oche spaventate
finiranno col perderci! Se non troviamo il modo di gettarci nella campagna,
finiremo su una forca con una solida corda al collo.
Sempre correndo, erano
allora giunti all'estremità d'una viuzza la quale pareva che non avesse nessuno
sbocco.
- Capitano! - gridò
Carmaux, che si trovava dinanzi. - Noi ci siamo cacciati in una trappola.
- Che cosa vuoi dire? -
chiese il Corsaro.
- Che la via è chiusa.
- Non vi è alcun muro da
scalare?
- Non vi sono che case
alte assai.
- Torniamo, Carmaux.
Gl'inseguitori sono ancora lontani e possiamo forse trovare qualche nuova via che
ci conduca fuori di città.
Stava per riprendere la
corsa, quando disse bruscamente:
- No, Carmaux! Mi è
balenata una nuova idea nel cervello. Io credo che con un po' d'astuzia
possiamo fare perdere le nostre tracce.
Egli si era rapidamente
diretto verso la casa che chiudeva la estremità di quella viuzza. Era quella
una modesta abitazione a due piani, costruita parte in muratura e parte in
legno, con una piccola terrazza verso la cima, adorna di vasi e di fiori.
- Carmaux, - disse il
Corsaro. - Aprimi questa porta.
- Ci nascondiamo in questa
casa?
- Mi sembra il mezzo
migliore per fare perdere le nostre tracce ai soldati.
- Benissimo, capitano.
Diventeremo proprietari senza pagare un soldo di pigione.
Presa la lunga navaja,
introdusse la punta nella fessura della porta e facendo forza fece saltare il
chiavistello.
I due filibustieri si
affrettarono ad entrare, chiudendo tosto la porta, mentre i soldati passavano
all'estremità della viuzza, urlando sempre a squarciagola:
- Fermateli! fermateli!
Brancolando fra
l'oscurità, i due filibustieri giunsero ben presto ad una scala che salirono
senza esitare, fermandosi solo sul pianerottolo superiore.
- Bisogna vedere dove si
va, - disse Carmaux, - e conoscere gli inquilini. Che brutta sorpresa per quei
poveri diavoli!
Estrasse un acciarino ed
un pezzo di miccia da cannone e l'accese, soffiandovi sopra per ravvivare la
fiamma.
- To'!... Vi è una porta
aperta, - disse.
- E qualcuno che russa, -
aggiunse il Corsaro.
- Buon segno!... Colui che
dorme è una persona pacifica.
Il Corsaro intanto aveva
aperta la porta procurando di non fare rumore ed era entrato in una stanza
ammobiliata modestamente e dove si vedeva un letto che pareva occupato da una
persona.
Prese la miccia, accese
una candela che aveva scorta su di una vecchia cassa che doveva servire da
canterano, poi si avvicinò al letto ed alzò risolutamente la coperta. Un uomo
occupava il posto. Era un vecchietto già calvo, rugoso, dalla pelle
incartapecorita e color del mattone, con una barbetta da capra e due baffi arruffati.
Dormiva cosí saporitamente da non accorgersi che la stanza era stata
illuminata.
- Non sarà certamente
quest'uomo che ci darà dei fastidi, - disse il Corsaro.
Lo afferrò per un braccio
e lo scosse ruvidamente, però dapprima senza successo.
- Bisognerà sparargli una
trombonata in un orecchio - disse Carmaux.
Alla terza scossa però,
piú vigorosa delle altre, il vecchio si decise ad aprire gli occhi. Scorgendo
quei due uomini armati, si alzò rapidamente a sedere, sgranando due occhi
spaventati ed esclamando con voce strozzata dal terrore:
- Sono morto!
- Ehi, amico! C'è del
tempo a morire, - disse Carmaux. - Mi sembra anzi che ora siate piú vivo di
prima.
- Chi siete? - chiese il
Corsaro.
- Un povero uomo che non
ha mai fatto male a nessuno - rispose il vecchio, battendo i denti.
- Noi non abbiamo
intenzione di farvi del male, se risponderete a quanto vorremo sapere.
- Vostra eccellenza non è
dunque un ladro?...
- Sono un filibustiere
della Tortue.
- Un fili... bu...
stiere!... Allora... sono... morto!...
- Vi ho detto che non vi
si farà nulla di male.
- Cosa volete adunque da
un povero uomo come me?
- Sapere innanzi tutto se
siete solo in questa casa.
- Sono solo, signore.
- Chi abita in questi
dintorni?
- Dei bravi borghesi.
- Che cosa fate voi?
- Sono un povero uomo.
- Sí, un povero uomo che
possiede una casa, mentre io non ho nemmeno un letto, - disse Carmaux. - Ah!...
vecchia volpe, tu hai paura per i tuoi denari!...
- Non ho denari,
eccellenza.
Carmaux scoppiò in una
risata.
- Un filibustiere che
diventa eccellenza!... Ma quest'uomo è il piú allegro compare che io abbia mai
incontrato.
Il vecchio lo sbirciò di
traverso, però si guardò bene dal mostrarsi offeso.
- Alle corte, - disse il
Corsaro, con un tono minaccioso. - Che cosa fate voi a Maracaybo?
- Sono un povero notaio,
signore.
- Sta bene: sappi intanto
che noi prendiamo alloggio nella tua casa, finché giungerà l'occasione di
andarcene. Noi non ti faremo male alcuno; bada però che se ci tradisci, la tua
testa lascierà il tuo collo. Mi hai compreso?
- Ma che cosa volete da
me? - piagnucolò il disgraziato.
- Nulla per ora. Indossa
le tue vesti e non mandare un grido o metteremo in esecuzione la minaccia.
Il notaio si affrettò ad
obbedire; era però cosí spaventato e tremava tanto, che Carmaux fu costretto ad
aiutarlo.
- Ora legherai quest'uomo,
- disse il Corsaro. - Stà attento che non fugga.
- Rispondo di lui come di
me stesso, capitano. Lo legherò cosí bene che non potrà fare il piú piccolo
movimento.
Mentre il filibustiere
riduceva all'impotenza il vecchio, il Corsaro aveva aperta la finestra che
guardava sulla viuzza, per vedere che cosa succedeva al di fuori.
Pareva che le pattuglie si
fossero ormai allontanate, non udendosi piú le loro grida; però delle persone,
svegliate da quegli allarmi, si vedevano alle finestre delle case vicine e si
udivano chiacchierare ad alta voce.
- Avete udito? - gridava
un omaccione che mostrava un lungo archibugio. - Pare che i filibustieri
abbiano tentato un colpo sulla città.
- È impossibile, -
risposero alcune voci.
- Ho udito i soldati a
gridare.
- Sono stati messi in
fuga?
- Lo credo poiché non si
ode piú nulla.
- Una bella audacia!...
Entrare in città con tanti soldati che vi sono qui!...
- Volevano certamente
salvare il Corsaro Rosso.
- Ed invece lo hanno
trovato appiccato.
- Che brutta sorpresa per
quei ladroni!...
- Speriamo che i soldati
ne prendano degli altri da appiccare - disse l'uomo dell'archibugio. - Del
legno ce n'è ancora per rizzare delle forche. Buona notte, amici!... A
domani!...
- Sí, - mormorò il
Corsaro. - Del legno ve n'è ancora, ma sulle nostre navi vi sono ancora tante
palle da distruggere Maracaybo. Un giorno avrete mie nuove.
Rinchiuse prudentemente la
finestra e tornò nella stanza del notaio.
Carmaux intanto aveva
frugata tutta la casa ed aveva fatto man bassa sulla dispensa. Il brav'uomo si
era ricordato che la sera innanzi non aveva avuto tempo di cenare, ed avendo
trovato un volatile ed un bel pesce arrostito che forse il povero notaio s'era
serbato per la colazione, si era affrettato a mettere l'uno e l'altro a
disposizione del capitano.
Oltre a quei cibi, aveva
scovato, in fondo ad un armadio, alcune bottiglie assai polverose, che
portavano le marche dei migliori vini di Spagna: Xéres, Porto, Alicante e anche
Madera.
- Signore, - disse
Carmaux, colla sua piú bella voce, rivolgendosi verso il Corsaro, - mentre gli
spagnuoli corrono dietro alle nostre ombre, date un colpo di dente a questo
pesce, una tinca superba di lago, ed assaggiate questo pezzo d'anitra
selvatica. Ho poi scoperto certe bottiglie che il nostro notaio teneva forse
per le grandi occasioni, che vi metteranno un po' di buon umore addosso. Ah! Si
vede che l'amico era amante dei liquidi d'oltre Atlantico! Sentiremo se era di
buon gusto.
- Grazie, - rispose il
Corsaro, il quale però era ridiventato tetro.
Si sedette, ma fece poco
onore al pasto. Era ritornato silenzioso e triste come già lo avevano quasi
sempre visto i filibustieri. Assaggiò il pesce, bevette alcuni bicchieri, poi
si alzò bruscamente, mettendosi a passeggiare per la stanza.
Il filibustiere invece non
solo divorò il resto, ma vuotò anche un paio di bottiglie con grande
disperazione del povero notaio, il quale non finiva di lagnarsi, vedendo
consumare cosí presto quei vini che aveva fatto venire, con grandi spese, dalla
lontana patria. Il marinaio però, messo di buon umore da quella bevuta, fu
tanto gentile da offrirgliene un bicchiere, per fargli passare la paura provata
e la rabbia che lo rodeva.
- Tuoni! - esclamò. - Non
credevo che la notte dovesse passare cosí allegramente. Trovarsi fra due fuochi
e colla minaccia di terminare la vita con una solida corda al collo, e finire
invece in mezzo a queste deliziose bottiglie, non era cosa da sperarsi.
- Il pericolo non è però
ancora passato, mio caro, - disse il Corsaro. - Chi ci assicura che domani gli
spagnuoli, non avendoci piú trovati, non vengano a scovarci? Si sta bene qui,
ma amerei meglio trovarmi a bordo della mia Folgore.
- Con voi io non ho alcun
timore, mio capitano; voi solo valete cento uomini.
- Tu forse hai dimenticato
che il Governatore di Maracaybo è una vecchia volpe e che tutto oserebbe pure
di avermi in sua mano. Sai che fra me e lui si è impegnata una guerra a morte.
- Nessuno sa che voi siete
qui.
- Si potrebbe sospettarlo
e poi, hai dimenticato i biscaglini? Io credo che hanno saputo che l'uccisore
di quello spaccone di conte era il fratello del povero Corsaro Rosso e del
Verde.
- Forse avete ragione,
signore. Credete che Morgan ci manderà dei soccorsi?
- Il luogotenente non è
uomo da abbandonare il suo comandante nelle mani degli spagnuoli. È un audace,
un valoroso e non sarei sorpreso se tentasse di forzare il passo, per far
piovere sulla città una tempesta di palle.
- Sarebbe una pazzia che
potrebbe pagare cara, signore.
- Eh!.. Quante non ne
abbiamo commesse noi, e sempre o quasi sempre con esito fortunato.!
- Questo è vero.
Il Corsaro si sedette
sorseggiando un bicchiere, poi si alzò e si diresse verso una finestra che
s'apriva sul pianerottolo e che dominava l'intera viuzza. Si era messo in
osservazione da una mezz'ora, quando Carmaux lo vide entrare precipitosamente
nella stanza, dicendo:
- È sicuro il negro?
- È un uomo fidato,
comandante.
- Incapace di tradirci?...
- Metterei una mano sul
fuoco per lui.
- Egli è qui...
- L'avete veduto?
- Ronza nella viuzza.
- Bisogna farlo salire,
comandante.
- E del cadavere di mio
fratello, che cosa ne avrà fatto? - chiese il Corsaro, aggrottando la fronte.
- Quando sarà qui lo
sapremo.
- Và a chiamarlo, ma sii
prudente. Se ti scorgono non risponderei piú della nostra vita.
- Lasciate pensare a me,
signore, - disse Carmaux, con un sorriso. - Vi domando solamente dieci minuti
di tempo per diventare il notaio di Maracaybo.
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